Obiettivi del sistema e organizzazione scolastica

Obiettivi del sistema e organizzazione scolastica

di Stefano Stefanel

 

Scriveva su Facebook Franco De Anna il 24 luglio scorso: “Mi capita sempre più spesso, pensando (ehm..) ai problemi della nostra scuola, di utilizzare la metafora del “software nuovo” che si vorrebbe installare sul “vecchio hardware”.” E rimandava ad un ottimo intervento che è sempre utile rileggere perché entra nel centro del problema(I curricoli verticali e la scuola dell’obbligo, su http://organizzazionedida.wixsite.com/ordida).

In questo periodo sono stato un po’ preso da due attività molto interessanti e che hanno richiesto una bella dose di attenzione e di tempo:

  • la procedura di valutazione dei Dirigenti scolastici (faccio parte di un Nucleo di Valutazione del Friuli Venezia Giulia)
  • l’attività di formazione/autoformazione per i Dirigenti scolastici (sono Direttore dell’attività formativa della Provincia di Udine)

Nell’ambito dell’attività di formazione/autoformazione (50 ore per Dirigente) ho tenuto 5 moduli formativi e partecipato ad altri 7 moduli formativi tenuti da colleghi. Nell’ambito dell’attività di valutatore ho partecipato a 18 incontri via Skype e analizzato i Portfolio dei colleghi che mi sono stati attribuiti.

Analizzando il lavoro dei colleghi e confrontandomi con loro su tutte le tematiche della nostra professione mi è diventato improvvisamente “chiaro e distinto” il tentativo generalizzato di fare quello che ha detto Franco De Anna nel suo illuminante post: cioè tentare di inserire innovazione, ricerca, cambiamenti dentro la vecchia e rigida struttura della scuola italiana. Compito titanico nella prassi, che diventa ancora più mastodontico perché ogni dirigente scolastico lavora – spesso inconsapevolmente – dentro una farraginosa teoria personale che lo pervade con potenza spesso insospettabile.

Davanti agli obiettivi del sistema, definiti spesso dal Miur in forma confusa (ma non per questo meno invasiva), implicita e troppo contorta, molti dirigenti vivono in una sorta di grande autodifesa permanente, non vedendo il grande “excusatio non petita accusatio manifesta” che sta alla base di molti loro comportamenti.

Poiché in questi mesi di analisi – formazione – autoformazione ho visto molta competenza, flessibilità, intelligenza, forza di volontà e spirito di servizio mi sono interrogato su come sistemare teoreticamente questo tentativo di far stare il nuovo dentro il vecchio (come scrive De Anna il “nuovo software” dentro il “vecchio hardware”).

Per motivi a questo punto d’ufficio ho ordinato nella mia agenda personale l’idea ministeriale di obiettivi di sistema, bene evidenziata da due passaggi della legge 107 del 13 luglio 2015. Se anche quella legge fosse abrogata (per me è impossibile, visto che ormai i suoi esiti su organico e azioni finanziate sono andati troppo avanti) rimarrebbe comunque la direzione indicata, perché davanti ad un sistema scolastico ingessato, vittima di pessime valutazioni internazionali, avvitato nelle accuse tra i vari soggetti protagonisti e sconquassato da riforme continue spazzate via da ogni cambio di governo, comunque si deve ammettere che con i metodi didattico educativi e con la valutazione degli apprendimenti fin qui usata si sarà solo in grado di ripetere i risultati che stiamo ottenendo che non possono accontentare nessuno. Ci sono in giro nella scuola italiana molta dispersione, bassi risultati generali, difficile passaggio dalla scuola al mondo del lavoro, complesso passaggio tra gli ordini, presenza di moltissimi contenuti obsoleti.

Analizziamo dunque due parti della legge 107 che indicano gli obiettivi del sistema. Il comma 129 (bonus premiante il merito) indica gli obiettivi del sistema collegati al lavoro del docente:

  • Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base:
  • a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
  • b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
  • c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.

Il comma 93 invece riguarda la valutazione del dirigente scolastico e indica invece gli obiettivi del sistema collegati al lavoro del dirigente scolastico:

  • Nell’individuazione degli indicatori per la valutazione del dirigente scolastico si tiene conto del contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico (…) e dei seguenti criteri generali:
  • a) competenze gestionali ed organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell’incarico triennale;
  • b) valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali;
  • c) apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale;
  • d) contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale;
  • e) direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole.

L’idea di scuola che viene delineata da questi due passaggi normativi indica nell’innovazione e nel miglioramento i punti sensibili, interpretati a fini premianti e non punitivi per far uscire il sistema scolastico dalla stagnazione delle procedure e delle didattiche, misurate in forma negativa da tutte le ricerche internazionali e dai dati pubblici (Istat, Censis, Invalsi, ecc.).

Nell’ambito delle attività valutative e formative/auto formative di questo periodo ho visto con chiarezza l’insofferenza dei dirigenti scolastici (ma anche dei docenti) verso la sistematizzazione teorica in una ricerca quasi spasmodica di ricette per l’immediato. Mi è sembrato spesso di trovarmi dentro una cisterna con l’acqua che cresce minuto dopo minuto e con i disgraziati ospiti della cisterna che si scambiano informazione su come stare meglio a galla ma non hanno alcun interesse a cercare una via d’uscita.

E’ comunque innegabile che i richiami all’innovazione didattica e al miglioramento sono così costanti nei documenti ministeriali che penso sia chiaro a tutti che il sistema non si considera ottimale e quindi ritiene che solo con un radicale cambiamento è possibile raggiungere delle migliorie consistenti. Questo in genere è chiaro, ma allorché si pone sul piatto il problema delle strategie da intraprendere tutto scompare nella quotidianità ritenuta più importante e decisiva di qualunque visione d’insieme o visione prospettica.

L’azione del Ministero risente evidentemente di una debolezza congenita: poiché un totale cambio di prospettiva richiede una ridefinizione normativa e contrattuale che non è possibile perché attiverebbe uno scontro politico sia a livello parlamentare, sia a livello sindacale, tutto lo sforzo ministeriale è stato spostato sullo sviluppare politiche innovative collegate alla progettualità delle autonomie scolastiche dentro un immutato sistema di rapporti istituzionali e sindacali.

La progettazione dei curricoli verticali, ad esempio, è paradigmatica perché rivela la conoscenza del problema, la competenza per affrontarlo, la totale inadeguatezza degli esiti. Dopo dieci anni di curricoli verticali più citati che realizzati siamo ancora fermi a una didattica orizzontale, che ha spostato la verticalità nella spesso costosa progettualità e che da lì non riesce a farla muovere. D’altronde una vera verticalità esce dalla partizione annuale delle discipline, dai libri di testo, dalla processualità seriale dell’insegnamento: quindi il BYOD (Bring your own device) e la modularizzazione degli apprendimenti, i curricoli situati e personalizzati dovrebbero incidere il ventre molle dei programmi ministeriali e delle procedure standardizzate di avanzamento degli insegnamenti su base seriale e storicistica. Invece non è così e la verticalizzazione rimane una potente massa progettuale che poi viene stroncata dall’orizzontalizzazione rigida del sapere soprattutto secondario.

D’altronde una vera verticalizzazione e personalizzazione tende per sua natura all’eliminazione della dispersione e delle bocciature. Tutti noi però viviamo quotidianamente a contatto con le tricotuese della bocciatura, che non sono solo i Paolo Crepet e i Galli della Loggia, paladini aristocratici di un’idea di scuola che ci ha portati alla catastrofe del revisionismo e dell’analfabetismo di ritorno, ma anche tutti quei docenti di scuola secondaria a cui luccicano gli occhi di gioia per ogni insufficienza grave che riescono ad attribuire ai loro studenti.

Obiettivo chiaro del sistema scolastico dell’istruzione è l’eliminazione della dispersione a tutti i livelli. Ma il sistema si appesantisce in maniera assurda attraverso canali insospettabili: i progetti di permanenza nella scuola dell’infanzia, l’infame prassi di inserire gli stranieri al loro arrivo in Italia in una classe inferiore a   quella dell’età anagrafica, le bocciature nelle scuole secondarie di primo grado, la bocciatura di parti consistenti del sistema dell’istruzione professionale conducono a classi pesanti con molti studenti fuori età e demotivati nelle scuole secondarie di primo grado e nel biennio del secondo grado. Il segmento più critico del sistema scolastico, dove gli studenti dagli 11 ai 16 anni vivono la loro trasformazione adolescenziale, è stato trasformato in un pesante ricettacolo di dispersione e gravi problematiche affrontate a volte con “software nuovi” (ad esempio i BES) dentro “hardware vecchi” (ad esempio le classi).

La progettazione e lo sviluppo del sistema scolastico italiano trova ampia documentazione nell’attuale momento degli Istituti professionali: uno sguardo attento al problema mette insieme una difficile origine dello studente (spesso con alcune bocciature alle spalle, a volte con problemi comportamentali, tendenzialmente confuso da un sistema lavorativo con pochi sbocchi soprattutto nel manifatturiero) con l’estrema problematicità delle classi costruite in forma rigida. La soluzione che pare evidente è quella delle Charter School, le scuole di scopo che nascono attorno alla risoluzione di un problema. La salvezza dell’istruzione professionale passa dalla collaborazione che le materie teoriche devono dare alle materie di indirizzo e all’alternanza scuola lavoro. L’applicazione delle Linee guida dei professionali dovrebbe aver portato all’elaborazione di curricoli d’istituto locali e situati, cioè a Charter School di fatto, anche se non di diritto. Eppure si assiste al contrario: una progettazione anche matura dentro le vecchie strutture delle discipline teoriche insegnate come al liceo con esiti fuorvianti e un tasso di dispersione non accettabile. Quando però si ascoltano i colleghi dei professionali il focus del loro ragionamento si incardina su tre punti: i problemi disciplinari e familiari di molti studenti, la tendenza alla bocciatura soprattutto dei docenti di materie teoriche, le emergenze continue in istituti che reggono il peso degli studenti con più difficoltà anche dal punto di vista degli apprendimenti. Pensare di risolvere questo magma problematico con accorgimenti quotidiani è impossibile, eppure ogni indirizzo teorico viene considerato come una interessante perdita di tempo.

Le esperienze di questi mesi mi hanno portato a interrogarmi sugli strumenti da mettere in campo per entrare nell’immaginario della scuola italiana attraverso una teoria che venga considerata utile a orientare la pratica. Non è pensabile che qualunque teoria venga disprezzata perché non permette di risolvere i moltissimi problemi dell’immediato. La burocratizzazione della scuola è diventata una burocratizzazione anche del processo di insegnamento/apprendimento con una valutazione che non serve più (se mai è servita) ad orientare la progettazione didattica, ma solo a definire scale misurate con i metodi più disparati. I contorcimenti sulla certificazione delle competenze e sulla valutazione dell’alternanza scuola lavoro sono lì a dimostrare che senza teoria si continua a voler inserire i “nuovi software” dentro i “vecchi hardware”, costruendo documenti che non descrivono la realtà.

La deriva giuridica della dirigenza italiana porta spesso a voler affrontare dal punto di vista del diritto anche questioni che sono di carattere pedagogico, culturale e didattico. I ritornelli sul “dove sta scritto che si può fare”, “cosa succede se qualcuno fa ricorso”, “è illegittimo”, “non si può fare”, “il mio collegio non lo permetterebbe” sono spesso la giustificazione per la “fuga” dai migliori modelli teorici e dall’esposizione delle esperienze più significative. C’è una spinta fortissima ad affrontare i problemi con procedure e non con progettualità, quasi che il dirigente scolastico facesse parte del terzo potere dello stato (quello giudiziario) e non fosse invece un organo di governo. Così i problemi aumentano e con i problemi aumentano anche le casistiche sia risolutive, sia complicanti, dentro una logica sempre emergenziale che rifugge da una progettazione che innovi realmente il sistema dell’istruzione partendo dalle aspirazioni delle singole scuole. Più è difficile è il contesto e più è necessario partire da un’analisi che porti alla ridefinizione del proprio modello organizzativo. Mentre oggi nelle scuole si considera l’intervento sulla propria organizzazione come un lusso da spostare verso tempi tranquilli. Che non arrivano mai.