Sugli ITS manca ancora uno scatto culturale

da Il Sole 24 Ore

Sugli ITS manca ancora uno scatto culturale

di Valerio Castronovo

Il futuro dell’Italia continua e continuerà a essere legato per molti aspetti al mondo della fabbrica, alle sue capacità di marciare in sintonia con le innovazioni e di produrre sviluppo e valore aggiunto. Eppure esiste ancora nel nostro Paese, sebbene figuri fra i big dell’economia europea, uno spesso strato di preconcetti e idiosincrasie nei riguardi dell’industria, della sua ragion d’essere e della sua attività.

A fare le spese di un atteggiamento purtroppo ancora diffuso nella nostra cultura sociale, oscillante fra la diffidenza e l’incomprensione verso il sistema industriale, risulta anche una risorsa importante come l’istruzione tecnica. In passato, in quanto era destinata a fornire alcune nozioni di base per lo svolgimento di mansioni di routine e di tipo esecutivo, costituiva per lo più materia d’insegnamento per i giovani di famiglie operaie e la sua immagine corrente era perciò quella di una scuola di “serie B”. In realtà, le scuole d’avviamento professionale e gli istituti tecnici hanno formato migliaia di persone, provenienti dai ceti popolari, affermatesi dal secondo dopoguerra in poi a capo di tante piccole e medie aziende o distintesi come quadri tecnici di prim’ordine. E ciò si spiega col fatto che hanno saputo valorizzare le cognizioni apprese nei corsi scolastici frequentati in origine con un’esperienza di lavoro basata sul “saper fare”, sul talento e l’inventiva personale.

È vero che oggi è necessario un bagaglio di competenze assai più consistente di quello d’un tempo e inoltre continuamente mutevole; ma non è che l’istruzione tecnica sia rimasta nel frattempo ferma al palo. Si è aggiornata man mano negli ultimi anni, in sintonia con l’evoluzione tecnologica e i cambiamenti di scenario susseguitisi nel mondo del lavoro.

Senonché è rimasta pur sempre in campo una questione di fondo, che è di ordine eminentemente culturale, di mentalità e di convenzioni, dovuta a un insieme radicato di stereotipi e di pregiudizi nei confronti dell’istruzione tecnica, dei suoi contenuti e delle sue valenze, che occorre infine superare una volta per tutte. Non soltanto in quanto non esiste qualcosa del genere in altri paesi europei; ma perché il peso di una visuale tradizionale, secondo cui l’istruzione tecnica ha una posizione secondaria e ancillare rispetto a quella delle discipline umanistiche, rischia adesso di penalizzare l’operato e le potenzialità degli istituti tecnici, sebbene sia stato attribuito loro, col riordino dal 2010 del nostro sistema educativo, un compito primario in funzione della formazione di saperi e di competenze professionali spendibili immediatamente per accedere a un lavoro nelle aziende o utilizzabili per la prosecuzione dei propri studi a un livello superiore.

È avvenuta infatti negli ultimi anni una sorta di eterogenesi dei fini, per cui, invece di una crescita degli iscritti agli istituti tecnici (come si proponevano vari piani di riforma dell’istruzione per ampliare le file di giovani qualificati secondo varie specializzazioni), si è registrata in complesso una regressione del loro numero, nonostante siano assai più numerose le occasioni di lavoro congeniali ai profili professionali acquisibili mediante l’istruzione tecnica per via del loro maggior grado di flessibilità e mobilità. Ciò che risulta di particolare importanza agli effetti dell’avvio e dello sviluppo di una produzione 4.0.

Sta di fatto che quello dell’istruzione tecnica è un problema cruciale che va affrontato tenendo in debito conto le sue forti implicazioni sia economiche che sociali. Da un lato, perché è essenziale ridurre il profondo divario esistente su questo versante fra l’Italia e i principali paesi della Ue (basti dire in proposito che, mentre i nostri diplomati negli Istituti tecnici superiori sono 8.000, quelli tedeschi superano la cifra di 750.000). Da un altro lato, perché, è indispensabile che maturi una maggiore consapevolezza delle famiglie nella valutazione delle opportunità offerte ai loro figli da percorsi formativi di carattere tecnico, ed è altrettanto essenziale che le imprese trovino il modo di dialogare con le scuole in forme appropriate e non strumentali.