Congedo parentale e furbetti della legge 104: quando sarà possibile stanarli?

da Tuttoscuola

Congedo parentale e furbetti della legge 104: quando sarà possibile stanarli?

Alcuni organi di stampa hanno riportato e commentato la sentenza n. 590/2018 della Corte di Cassazione che ha definitivamente confermato la validità del licenziamento di un padre che, utilizzando il congedo parentale per la cura del figlio, si era assentato dal lavoro dedicando il suo tempo ad altro.

La Corte ha confermato il licenziamento di questo genitore che lavorava presso una ditta privata, sentenziando che “conta non tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio, quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore”.

La massima che discende da questa sentenza e che può valere anche per i permessi della legge 104 si può così sintetizzare: il congedo, prima di essere un diritto del lavoratore, è un diritto primario di chi dal lavoratore deve ricevere cura (il figlio) o assistenza (familiare disabile).

In questo senso i costi economici e organizzativi sostenuti dalla comunità vanno difesi dai ‘furti’ dei furbetti, che prima che essere un’illecita sottrazione di risorse pubbliche, tolgono un diritto a soggetti realmente bisognosi.

La sentenza della Corte ci porta, comunque, a due riflessioni. La prima. Il licenziamento è avvenuto nel settore privato. Sarebbe stato possibile nel settore pubblico, come, ad esempio, in una scuola?

C’è da dubitarne, perché il datore di lavoro – per la scuola il dirigente scolastico – non dispone dei mezzi di indagine per accertare il reato, diversamente da quanto avvenuto da parte del datore di lavoro del genitore licenziato che aveva utilizzato un’agenzia investigativa.

La seconda riflessione. L’abuso smascherato per il congedo parentale ci porta ad altra situazione analoga, quella relativa ai permessi per l’assistenza a familiari disabili (legge 104). Anche in questo settore, a fronte di un diritto legittimo di alto valore civile, è possibile l’abuso.

L’abuso probabilmente c’è, soprattutto nei settori pubblici, ma è difficile da smascherare, perché il datore di lavoro pubblico ha armi spuntate per il controllo e l’individuazione dei ‘furbetti’.

Non sappiamo a che punto sia l’iniziativa lanciata a settembre dalla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, per stanare i furbetti della 104, quando, a fronte di denunce e segnalazioni (tra cui un dettagliato servizio di Tuttoscuola), la stessa aveva comunicato di aver proceduto alla convocazione per i primi giorni di ottobre di un tavolo con le Regioni, il ministero della Salute e l’Inps per mettere a punto delle strategie efficaci per contrastare il fenomeno dell’abuso dei permessi e delle assenze nella scuola.

Nel dettaglio, secondo quanto annunciato da Fedeli, si sarebbe provveduto a monitorare le assenze dei beneficiari della legge 104, sia da parte dei docenti che degli Ata.

A dir la verità un monitoraggio in merito l’aveva già condotto anche l’ex sottosegretario alla P.I., Davide Faraone, ma al di là dell’analisi dei dati sulla fruizione dei permessi, non era seguita alcuna azione di accertamento né erano stati individuati strumenti di controllo legittimo da mettere nelle mani dei dirigenti scolastici.

È legittimo chiedersi: prima della conclusione della legislatura, pur nella ordinaria gestione ministeriale di fine mandato, è possibile sperare in un intervento amministrativo efficace che metta la dirigenza in grado di separare il grano dal loglio, gli aventi diritto dai furbetti?

Ricordiamo, come ha citato la Corte Costituzionale nella sentenza del padre licenziato, che “costituisce giusta causa di licenziamento l’utilizzo da parte del lavoratore che fruisce di permessi ex lege n. 104 del 1992 per attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, violando la finalità per la quale il beneficio è concesso” (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 del 2016).