Sì al telefonino in classe il decalogo del ministero

da la Repubblica

Sì al telefonino in classe il decalogo del ministero

In Francia, Macron ne ha appena vietato l’uso, l’Italia lo sdogana Fedeli: “Il futuro siamo noi. I modelli educativi cambiano”

Ilaria Venturi

Si potranno usare per documentare, con video e foto, una gita, per tracciare percorsi col Gps durante una visita, per conoscere, grazie alle mappe, una città. Saranno utili per riassunti via twitter, per risolvere problemi matematici a colpi di touch: invece di alzare la mano, si preme il tasto sullo schermo dal banco. Potrà anche capitare nel bel mezzo di una lezione di sentirsi dire dal prof: “Prendete il cellulare, accendetelo, andate su Minecraft (il videogioco per costruire mondi, ndr): ora realizziamo insieme un museo e una biblioteca». Ecco come smartphone e tablet portati da casa saranno permessi in classe.

La svolta, annunciata a settembre dalla ministra Valeria Fedeli, ora fa un passo avanti. Il gruppo di esperti nominato dal ministero ha chiuso i lavori e definito una sorta di decalogo su come usare a scuola i dispositivi mobili degli alunni, lasciati sino ad oggi spenti negli zaini.

Il presidente Macron ha appena bandito, al rientro dalle vacanze natalizie, i telefonini dalle scuole francesi. Noi li sdoganiamo per fare lezione, dopo che una circolare a firma del ministro Fioroni nel 2007 li aveva vietati sull’onda dei primi casi di cyberbullismo. «Il primo segnale che la scuola italiana è al centro del futuro», dichiara la ministra che oggi a Bologna, alla tre giorni dedicata alla scuola digitale, annuncerà le linee guida che si tradurranno («spero prima del nuovo governo») in una nuova circolare. Fuor di retorica, Valeria Fedeli precisa: «La proibizione all’uso personale dei cellulari a scuola rimane, stiamo regolando il loro uso didattico, sotto il controllo del docente».

La ministra parte da un presupposto: «La natura del digitale cambia i comportamenti di una società e i modelli educativi. Di qui la necessità di assumerci questa responsabilità: dare contenuti certificati alla didattica digitale e governare fenomeni che comunque coinvolgono i nostri ragazzi fuori dalla scuola. Per fare questo sarà importante dare ai docenti una formazione adeguata, chiamare in causa anche università e case editrici. La scuola deve diventare anticorpo della società nei confronti di verità confuse, dibattiti superficiali, fake news, informazioni prive di fondamento scientifico». È l’assunto degli esperti: «Il telefonino è nelle mani di tutti, rifiutare che entri a scuola non è la soluzione. Meglio negoziare un uso responsabile». Per questo l’indicazione agli istituti è di adottare una “politica di uso accettabile”: un regolamento condiviso, e non calato dall’alto, che dica chiaramente cosa si può fare e cosa rimane proibito, quando accenderli, come evitare i furti, come non discriminare chi non ce l’ha o non scatenare la corsa all’ultimo modello. Il tutto coinvolgendo i consigli di classe e, soprattutto, spiegando bene agli studenti e alle famiglie regole e motivazioni. Vale per tutti gli ordini di scuola, in particolare per le medie e superiori. Ma anche alla primaria si potrà chiedere di portare un tablet da casa — spiegano gli autori del documento — e di condividerlo coi compagni per imparare grazie a piattaforme digitali dedicate. Anche i videogiochi, quelli educativi, sono ammessi. Aule che così si trasformano all’istante in laboratori informatici. Purché s’insegni, insistono le linee guida, a usare questi strumenti in modo critico. E se arrivano messaggi e i ragazzi si distraggono? «Insegnate loro a disattivare le notifiche, a non rispondere perché non è il momento: sono loro i padroni del mezzo. Dobbiamo regolamentare ed educare all’uso: vale anche per i docenti nel rapporto con le studentesse », avverte la ministra riferendosi al caso degli abusi sessuali al liceo Massimo di Roma.

Per fare tutto questo, viene detto agli istituti di dotarsi di connessioni in grado di reggere. Il piano nazionale per la scuola digitale ha messo sul piatto un miliardo e 200mila euro, ne sono stati spesi la metà.

«Avrei voluto fare più in fretta — ammette Fedeli — ma è un investimento che deve andare avanti». Per arrivare a una vera e propria educazione civica digitale. Anche su questo gli esperti hanno già scritto un sillabo per le scuole.