Come pensiamo!

Come pensiamo!

di Maurizio Tiriticco

I cosiddetti pensatori/filosofi tassonomisti (dal greco taxo e nomos = metto in ordine secondo una data regola), in particolare Benjamin Samuel Bloom e la sua scuola, elaborarono negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso una teoria secondo la quale i nostri processi mentali relativi alla acquisizione/produzione delle conoscenze procedono secondo sei scalini (tre di carattere inferiore e tre di carattere superiore):

– processi di base:

1) il contatto, il prendere atto: non ho mai visto una bottiglia di Coca Cola, non so neanche che cos’è e a che cosa serve; quindi la “acquisisco” per la prima volta dal punto di vista percettivo/sensoriale, la “archivio” nella mia memoria breve, la riconosco tra mille altre bottiglie od oggetti di altra natura;

2) conoscenza/comprensione: le esperienze successive “mi dicono” che solo quella è una bottiglia di Coca Cola, e non altre, che serve a contenere una data bevanda, ecc;

3) applicazione: riguarda la scelta che io faccio, o non faccio, di utilizzarla: bevo la bevanda che si chiama Coca Cola, so che quella cosa che si chiama bottiglia può contenere altri liquidi (posso anche rifiutarla e interrompere il processo cognitivo);

– processi superiori:

4) analisi: voglio capire bene che cosa è questa cosa che si chiama ed è una bottiglia, come è fatta, di che materiale è, come si usa, se è forte abbastanza se tento di romperla; e poi perché la Coca Cola ha quel sapore, che diavolo ci hanno messo dentro, ecc.;

5) sintesi: uso la bottiglia per altri fini, ci metto l’olio, ne faccio un soprammobile, la dipingo, o addirittura penso di poterne costruire un’altra diversa, ovviamente se disponessi di una fabbrica ad hoc;

6) valutazione: valuto l’intero processo che ho attivato, le modalità che ho adottate per realizzarlo, concludo che la nuova bottiglia ipotizzata da me è migliore; oppure potrei giungere anche a soluzioni diverse o contrarie.

In poche parole, ho tentato di riassumere pagine e pagine di ricerche condotte dai signori Bloom, David Krathwohl e altri. Quindi, abbiamo individuato gli “scalini” dell’apprendere, del comprendere e del produrre pensieri e “cose” nuove”. Ma non finisce qui! Un certo Joy Paul Guilford ha trovato ben 120 scalini!!! Anita Harrov è andata oltre le tassonomie cognitive e ha costruito anche una tassonomia delle operazioni fisico-senso-motorie. Krathewol ha costruito una tassonomia relativa alle operazioni emotivo/affettive. Più recentemente Howard Gardner, allievo di Bruner, non ha lavorato “per scalini”, ma ha elaborato la teoria delle cosiddette “intelligenze multiple”, parallele e interattive e non gerarchiche.

Si tratta di ricerche e di proposte operative di un estremo interesse! E’ indispensabile conoscere come “funziona il cervello” quando si tratta di apprendere cose nuove – purché si abbia la motivazione per farlo – anche perché con il “nuovo” occorre sempre confrontarsi per evitare di “restare indietro”! Ed un pericolo da cui oggi ci dobbiamo veramente guardare, perché le tecnologie dell’apprendere e del produrre avanzano in progressione più che geometrica! Ed è alto il rischio di affidarsi troppo ad esse!

In ordine a quanto scritto fin qui, penso che sia un dovere primario per un insegnante conoscere come funziona un processo di apprendimento, che poi non riguarda solo il singolo alunno e la scuola, ma la stessa nostra intera giornata. Basti il fatto che, se debbo raggiungere un amico che abita in una via per me nuova, “apprendere come operare” per “risolvere il problema” diventa una necessità primaria.

Per chi insegna è indispensabile conoscere come “funzionano”, in ciascuno dei “suoi alunni”, le operazioni del prendere atto, del conoscere/comprendere e dell’applicare. Che costituiscono le precondizioni di base perché il soggetto/alunno possa poi procedere nelle funzioni superiori che riguardano l’ analisi, la sintesi e la valutazione. Il fatto che un alunno studi o non studi, si applichi o non si applichi, sia motivato o meno all’apprendere ciò che la scuola propone non è cosa di poco conto. Ma si tratta di una cosa di cui è necessario conoscere le ragioni di fondo. E qui ci può essere di aiuto la ricerca di Krathwohl

Insomma, in materia di apprendimento cognitivo e di motivazione allo studio, “cose” fondanti per la scuola, un insegnante non può limitarsi a dire che l’alunno x “è intelligente, ma non si applica”, oppure che “non è portato allo studio” od altre amenità, che poi genitori culturalmente poco provveduti debbono accettare senza poi sapere come “correre ai ripari”!

In conclusione, occorre sottolineare che un insegnante è in primo luogo un professionista delle “”funzioni intellettive” e di quelle “emotive”, come un medico è un professionista delle “funzioni fisiche! E le conseguenze sono assolutamente impegnative!