I diplomati tecnici resistono alla crisi

da Il Sole 24 Ore

I diplomati tecnici resistono alla crisi

di Eugenio Bruno

roma

Anche se l’appeal tra gli studenti fatica a crescere, tant’è che i ragazzi continuano a preferire i licei, gli istituti tecnici e professionali dimostrano di resistere sul mercato del lavoro. Anche negli anni della grande crisi. A dirlo è un report della Fondazione Agnelli che giudica «lusinghiero in una congiuntura economica avversa» l’indice di occupazione registrato dai diplomati di questi due percorsi: più o meno il 40 per cento. Ma il quadro non è tutto rose e fiori visto che i Neet sono ancora troppi e solo il 34% del campione ha un impiego coerente con il titolo di studio. Senza dimenticare le tradizionali difficoltà occupazionali per le donne e i cittadini stranieri.

L’indagine – che analizza gli esiti sul mercato del lavoro di quasi 550mila diplomati tecnici e professionali negli anni scolastici 2011/12, 2012/13, 2013/14 – parte da un dato ormai consolidato. E cioè che solo il 30% dei ragazzi con in tasca il diploma di istruzione tecnica o professionale si iscrive all’università. Gli altri puntano a trovare subito un’occupazione. Con un tasso di successo che varia da regione a regione e da indirizzo a indirizzo. Più nel dettaglio, nei primi due anni post-maturità, il 28% risulta occupato per sei mesi; nello stesso periodo il 14,7% svolge impieghi saltuari e frammentari per meno di un semestre (i cosiddetti sottoccupati). Laddove il 27,4% dei diplomati non studia né lavora. Rientrando a pieno titolo nella categoria dei Neet.

Andando a vedere chi un lavoro ce l’ha (quel 40% di cui sopra) il rapporto si concentra sulla segmentazione territoriale dell’indice di occupazione. Che passa dal 61% del Veneto al 22% di Campania e Calabria. Anche se alcune province piemontesi e liguri mostrano un significativo ritardo rispetto al resto del Nord-Ovest, così come quelle laziali nel Centro. In generale, servono in media nove mesi per ottenere un rapporto di lavoro di almeno 30 giorni continuativi. Con una mobilità relativamente contenuta: la distanza media tra casa e lavoro è di 40 chilometri.

Passando alle note dolenti c’è un numero su tutti che balza agli occhi. A due anni dal titolo, appena un diplomato su tre (34,3%) svolge un lavoro coerente con il proprio titolo di studio, mentre un altro 14,4% svolge professioni trasversali. Ciò significa che oltre il restante 51,3% deve accontentarsi di un impiego qualsiasi. Numeri che variano da settore a settore. Con l’indirizzo Servizi dei professionali che registra l’indice di coerenza più alto tra studi e professioni. E quello Industria e Artigianato che invece consegue le performance occupazionali migliori e i contratti più stabili. In un contesto in cui – è bene ricordarlo – il 22,2% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato e circa il 27,6% è inserita in un percorso di apprendistato. Grazie – si legge nello studio – all’impatto «significativo» avuto dalla riforma Fornero e dal Jobs Act.

Specialmente per gli uomini però visto che le ragazze continuano a essere meno occupate (-3,5%), ad avere contratti meno stabili (-2,5%) e ad accedere a mansioni meno coerenti ancora (-5,3%) con il loro percorso di studi. A dimostrazione del fatto che in Italia la questione occupazionale è anche e soprattutto una questione di genere.