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La scuola italiana allo specchio: meno ritardi con l’Ue, ma il Sud è sempre indietro

da Il Sole 24 Ore

La scuola italiana allo specchio: meno ritardi con l’Ue, ma il Sud è sempre indietro

di Claudio Tucci

La scuola italiana fa qualche passo in avanti, recupera un pò di svantaggio rispetto all’Europa, ma resta fortemente “a macchia di leopardo”, con il Sud che continua ad arrancare. L’anno di riferimento è il 2014, che viene fotografato dall’Istat, nel suo ultimo rapporto annuale «Bes» («Il benessere equo e sostenibile in Italia») mostrando segnali in chiaro scuro sul fronte istruzione e formazione.

Cresce il numero di diplomati
Una prima nota positiva, rispetto al 2013, è l’incremento della fetta di popolazione (25-64 anni) con almeno il diploma superiore: l’aumento è 10 punti percentuali, raggiungendo nel 2014 il 59,3%. Cresce pure la percentuale di 30-34enni che hanno conseguito un titolo universitario e quella delle persone che hanno svolto formazione continua. Si riduce poi significativamente l’abbandono scolastico: la percentuale di giovani che esce prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito il titolo di scuola media inferiore (secondaria di primo grado) raggiunge il 15%, dato in calo rispetto al 16,8% del 2013.

Meno bambini alla scuola dell’infanzia
Ma le belle notizie sembrano finire qui. Nel 2013-14, la quasi totalità dei bambini di 4-5 anni partecipano alla scuola dell’infanzia (92,1%), ma il dato sconta un calo per due anni consecutivi con una diminuzione di 3 punti percentuali rispetto all’anno 2011/12. Piccolo segnale positivo sul fronte Neet – i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano – che era aumentata in misura considerevole per effetto della crisi economica raggiungendo il 26% nel 2013, si mantiene stabile nel 2014.

Il Sud sempre in ritardo
Continuano poi a essere particolarmente accentuate le differenze territoriali in termini
di istruzione e formazione (quote di diplomati e laureati) a svantaggio del Sud. Il tasso di uscita precoce dagli studi si attesta al 12% nel Centro-Nord e al 19,3% nel Mezzogiorno, con punte superiori al 23% in Sicilia e Sardegna. Le differenze territoriali sono però aumentate nel 2014: infatti mentre cresce la percentuale dei diplomati nel Centro-Nord non migliora il dato del Mezzogiorno così come l’aumento dei laureati di 30-34 anni nel Sud (dal 17,9% del 2013 al 23,3% del 2014) non è tale da ridurre il divario con altre zone del Paese. Inoltre, è rimasto pressoché costante il divario tra il Mezzogiorno e il Centro rispetto al tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione. In controtendenza la Calabria, dove la quota di 30-34enni laureati registra un incremento superiore alla media nazionale (dal 17,9% del 2013 al 23,3% del 2014) portandosi al di sopra anche di alcune regioni del Nord.

Il ritardo del Mezzogiorno si esprime anche in termini di competenze acquisite, misurate attraverso i punteggi medi al test Invalsi. Gli studenti della classe seconda della scuola superiore hanno livelli di competenza alfabetica funzionale e di competenza matematica molto più elevati al Nord (rispettivamente 209,9 e 212 punti) che nel Mezzogiorno (rispettivamente 191,3 e 188,6). In particolare, in Basilicata e Sardegna il livello di competenza alfabetica funzionale è inferiore a 190 punti, laddove nella provincia autonoma di Trento, Lombardia e Veneto supera i 212 punti.

La scuola non sa più essere un ascensore sociale
Lo studio dell’Istat conferma infine un dato allarmante. Il contesto socio-economico di provenienza e il titolo di studio dei genitori continuano a condizionare fortemente la riuscita dei percorsi scolastici e formativi dei ragazzi. I figli di genitori con titoli di studio elevati o professioni qualificate abbandonano molto meno gli studi, hanno minori probabilità di diventare Neet e presentano livelli di competenza informatica maggiori dei figli di genitori con la scuola dell’obbligo o con bassi profili professionali. Si tratta di uno svantaggio marcato che non mostra nessun segnale di miglioramento.

Neoassunti, il posto non è fisso

da ItaliaOggi

Neoassunti, il posto non è fisso

Sia per chi entra in fase B che C, l’assegnazione della sede definitiva avverrà sugli ambiti

Carlo Forte

I docenti assunti nella fase B e nella fase C assumeranno la titolarità sugli ambiti territoriali e saranno assoggettati alla mobilità su tutto il territorio nazionale.

È questa la novità più importante emersa nel corso dell’ultimo incontro di contrattazione sulla mobilità che si è tenuto a Roma, presso il ministero dell’istruzione.

Va detto subito che non si tratta di una proposta al vaglio del tavolo negoziale: la novità è frutto di un’interpretazione della legge 107/2015 adottata unilateralmente dal ministero dell’istruzione.

Che non piace ai sindacati, ma dalla quale, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il dicastero di viale Trastevere non intende spostarsi di un centimetro.

In buona sostanza, dunque, la deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia di prima assunzione sarebbe finalizzata ad una sorta di rimescolamento generale dei docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C. Che dovrebbe avvenire a prescindere dal fatto che nella fase B siano state assegnate cattedre dell’organico di diritto e nella fase C cattedre dell’organico di potenziamento.

L’effetto potrebbe essere quello di prevenire l’insorgenza del contenzioso che potrebbe nascere dalla mancata valorizzazione del criterio del merito in sede di assegnazione delle sedi nelle varie fasi. Nella fase B, infatti, sono stati collocati docenti ai vertici delle graduatorie, costretti ad accettare sedi anche a 1000 chilometri da casa.

Mentre nella fase C sono stati assunti docenti collocati, nelle stesse graduatorie, in posizione successiva rispetto ai colleghi della fase B.

Il paradosso, dunque, è che i docenti con più punti, nella maggior parte dei casi, hanno ottenuto sedi più svantaggiose rispetto ai loro colleghi con meno punti.

Si tratterebbe, quindi, di una sorta di sanatoria preventiva, che però andrebbe a ledere le aspettative dei docenti immessi in ruolo nella fase C nella provincia di residenza.

Aspettative che, per certi versi, potrebbero integrare veri e propri diritti. Specie se si considera il cosiddetto principio di legittimo affidamento, al quale si appellano spesso i ricorrenti quando intentano azioni contro l’amministrazione. E sul quale si fondano molte pronunce che vedono l’amministrazione soccombente. Si pensi, per esempio, al contenzioso seriale sulle pensioni statali tardivamente rimodulate.

E poi bisogna fare i conti con in numeri. Nel qual caso la bilancia pende nettamente in favore dei docenti della fase C, che sono 47.475 (rispetto ai 55.258 previsti) contro gli 8532 posti assegnati nella fase B (rispetto agli oltre 16muila previsti).

Infine bisogna considerare anche che la legge 107/2015 non prevede espressamente la mobilità coatta su tutto il territorio nazionale, quanto, invece, una mera deroga al vincolo di permanenza triennale per i neoassunti. Deroga che, unita al diritto al differimento della presa di servizio per un anno per i neoassunti impegnati in supplenze non brevi a saltuarie, indurrebbe a ritenere che l’intenzione del legislatore fosse stata proprio quella di evitarla.

Ambiti territoriali come province

da ItaliaOggi

Ambiti territoriali come province

Sono stati ridefiniti dal Miur: saranno estesi più del doppio degli attuali distretti

Gli ambiti territoriali, dai quali i presidi sceglieranno i docenti, saranno estesi più del doppio dei distretti. A fronte di circa 800 distretti, gli ambiti territoriali saranno appena 380.

Lo ha fatto sapere il ministero dell’istruzione in un incontro con i sindacati che si è tenuto a viale Trastevere giovedì scorso.

Gli ambiti non potranno estendersi su territori di province o regioni diverse edovranno comprendere scuole del primo e del secondo ciclo. In ogni caso, le istituzioni scolastiche che comprendono plessi e sezioni staccate dovranno essere comprese, per intero, nel medesimo ambito. L’amministrazione ha spiegato, inoltre, che dovranno comprendere al loro interno un numero non superiore a 40mila alunni. Che potranno arrivare fino a 60mila nelle città metropolitane.

Ogni ambito non potrà avere una popolazione scolastica inferiore a 22mila alunni. Ma nelle province che non raggiungono i 22mila alunni (Gorizia, Isernia, Verbania Cusio Ossola e Oristano) saranno introdotte delle deroghe.

La definizione degli ambiti in concreto spetterà agli uffici scolastici regionali. La costituzione degli ambiti è il presupposto delle nuove regole sulla mobilità dei docenti, sulla quale si sta trattando in questi giorni a viale Trastevere.

A questo proposito i rappresentanti del ministero hanno informato i sindacati dell’intenzione del ministero dell’istruzione di costituire organici regionali. La misura è finalizzata a dare tempo al governo di coordinare le disposizioni contenute nella legge 107/2015 con quelle del decreto legislativo 297/94, sempre in materia di mobilità.

In ogni caso, la contrattazione integrativa sulla mobilità continuerà ad avvenire con frequenza annuale.

Per il prossimo anno la mobilità dovrebbe svolgersi in tre fasi.

Nella prima fase dovrebbero essere disposte le assegnazioni delle sedi definitive delle fasi 0 e A con titolarità sulla scuola e non su ambito. In entrambe le fasi assunzionali sono state disposte immissioni in ruolo nell’ambito della stessa provincia delle graduatorie di riferimento.

In particolare, nella fase 0 sono state effettuate le assunzioni a tempo indeterminato ordinarie, disposte applicando la vecchia disciplina. E nella fase A sono state disposte immissioni in ruolo sui posti residuati nella fase 0.

Nella seconda fase dei movimenti dovrebbe avere luogo la mobilità straordinaria di tutti di docenti assunti entro il 2014/15 su tutti gli ambiti territoriali nazionali. Questa fase sarà attivata concedendo l’accesso anche i docenti che, secondo la previgente disciplina, sarebbero rimasti assoggettati al vincolo di permanenza nelle provincia di immissione in ruolo, non essendo ancora decorso il triennio di permanenza ordinariamente previsto.

È una deroga espressamente prevista dalla legge 107/2015, che consentirà a questi docenti di muoversi con precedenza rispetto ai neoimmessi in ruolo dopo il 31 agosto scorso.

Infine, nella terza fase, dovrebbero essere disposte le assegnazioni delle sedi definitive ai docenti assunti nelle fasi delle fasi B e C tratti dalle graduatorie a esaurimento, ai quali sarà assegnata la titolarità sugli ambiti.

Ai docenti assunti in quanto tratti dalle graduatorie dei concorsi ordinari sarà assegnata la titolarità entro la regione. I docenti assunti nella fase B sono stati immessi in ruolo con priorità rispetto a quelli della fase C. Ed hanno ottenuto la sede su cattedre vacanti e disponibili nell’organico di diritto, ma spesso in altre province, anche molto lontane dalle loro sedi di residenza.

I docenti assunti nella fase C, invece, sono stati immessi in ruolo su posti costituti, ex novo, sull’organico di potenziamento. E dunque non sono assegnatari di vere e proprie cattedre, ma di posti immessi nella disponibilità delle scuole per provvedere alle supplenze brevi, al recupero, al potenziamento e, in generale, al miglioramento dell’offerta formativa.

Secondo quello che risulta a ItaliaOggi, però, le operazioni di assegnazione delle sedi (fermo restando l’assunzione di titolarità negli ambiti) avverrà in modo fungibile. E cioè, senza tenere conto della fase di provenienza. Pertanto, i docenti che insegnano attualmente su cattedra potrebbero vedersi assegnare un posto di potenziamento e viceversa.

L’assunzione di titolarità negli ambiti comporterà la preclusione definitiva del diritto alla titolarità delle sede. E ciò comporterà a sua volta l’assoggettamento al sistema della cosiddetta chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici.

I docenti interessati potranno proporsi direttamente ai dirigenti scolastici con istanze motivate e corredate di curriculum. E qualora dovessero ricevere più proposte di incarico (triennale) da parte di altrettanti dirigenti scolastici, avranno facoltà di scelta tra le varie proposte. Se riceveranno una sola proposta saranno obbligati ad accettarla.

I docenti che non riceveranno alcuna proposta saranno assegnati d’ufficio ad una scuola dove risulti una disponibilità utile a ricollocare il docente interessato. Sempre nello stesso ambito di titolarità del docente.

Lotta del Miur contro i diplomifici, ispezioni in 673 scuole paritarie

da La Stampa

Lotta del Miur contro i diplomifici, ispezioni in 673 scuole paritarie

Al via il Piano straordinario per verificare il mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità

Al via il Piano straordinario di ispezioni nelle scuole paritarie previsto dalla legge Buona Scuola: sono 673 le istituzioni scolastiche di cui quest’anno sarà verificato il mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità. Di queste, 532 sono scuole superiori.

 

Particolare attenzione sarà posta – spiega il dicastero di viale Trastevere – agli istituti secondari di II grado dove viene rilevata una forte differenza fra il numero di ragazzi iscritti al primo anno e quello di iscritti all’Esame di Stato.

 

La prima tornata di ispezioni coprirà oltre il 30% delle 1.526 scuole paritarie di II grado.

 

Il Piano è già partito nelle Marche e in Abruzzo ed è stato disposto dopo il seminario «La Buona Scuola e il sistema delle scuole paritarie» che si è svolto al Miur il 30 settembre scorso, alla presenza del Ministro Stefania Giannini e del Sottosegretario Gabriele Toccafondi.

 

«Siamo per la parità scolastica, ma diciamo no con forza ai diplomifici», hanno ricordato in quell’occasione il Ministro e il Sottosegretario. Al seminario sono seguite alcune riunioni tecniche a valle delle quali è stato elaborato il Piano di interventi. Un apposito gruppo di lavoro ha prodotto una scheda di rilevazione tipo da adoperare su tutto il territorio nazionale, con gli elementi fondamentali per lo svolgimento delle attività ispettive. Gli Uffici Scolastici Regionali hanno indicato, oltre alle istituzioni scolastiche, le modalità di svolgimento dell’attività ispettiva per gli anni scolastici 2015-16, 2016-17 e 2017-18. Fatta eccezione per le Province e Regioni autonome o a statuto speciale.

 

Durante le ispezioni saranno verificati, fra l’altro, l’elaborazione e la pubblicazione del Piano triennale dell’Offerta formativa come previsto dalla normativa vigente; l’elaborazione e la pubblicazione del rapporto di Autovalutazione; il rispetto della legislazione in materia di contratti di lavoro e del principio di pubblicità dei bilanci; l’adeguamento alle modifiche ordinamentali degli ultimi anni.

 

Nell’anno scolastico in corso saranno visitate 91 scuole paritarie in Lombardia, 16 in Piemonte, 14 in Liguria, 29 in Friuli, 13 in Veneto, 24 in Emilia Romagna, 45 in Toscana, 55 nel Lazio, 23 nelle Marche, 17 in Umbria, 28 in Abruzzo, 1 in Molise, 110 in Campania, 33 in Puglia, 9 in Basilicata, 150 in Calabria, 15 in Sardegna. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di istituti Superiori.

Occupazione, l’Italia chiede all’UE di confermare ‘Garanzia Giovani’

da La Tecnica della Scuola

Occupazione, l’Italia chiede all’UE di confermare ‘Garanzia Giovani’

L’Italia ha ribadito “la richiesta di confermare e stabilizzare il programma ‘Garanzia Giovani’ che da noi ha ottenuto risultati positivi e importanti”.

A dirlo è stato il ministro del lavoro Giuliano Poletti al termine della riunione tenuta il 7 dicembre, nell’ambito del Consiglio occupazione dell’Unione Europea. Con l’Italia hanno chiesto di replicare il progetto per il 2016 anche Francia, Austria e Lussemburgo.

“Arriveremo a chiudere l’anno con quasi un milione di giovani che si sono registrati a questo programma e pensiamo che sia l’infrastruttura che vogliamo utilizzare in futuro per le politiche attive nel nostro Paese”, ha spiegato. Per il ministro è “molto importante” che ci sia continuità fra un programma appena sviluppato e il prossimo, perché “vorremmo che entrasse nelle politiche quando si farà la discussione della rideterminazione del bilancio 2016”.

Ricordiamo che ‘Garanzia Giovani’ un progetto europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, attraverso precipui finanziamenti per gli Stati con tassi di disoccupazione superiori al 25%. A beneficiarne è, ovviamente, anche l’Italia.

I finanziamenti ricevuti dall’UE devono poi essere investiti da ogni Paese con attività di formazione, politiche attive di orientamento, sostegno e aiuti per l’occupazione lavorativa. Lo scopo è far sì che i giovani possano trovare un posto di lavoro o un percorso formativo nel volgere del minor tempo possibile dal conseguimento del titolo di studio.

Cyberbullismo, la scuola è un luogo sicuro ma la metà dei presidi ha il suo da fare

da La Tecnica della Scuola

Cyberbullismo, la scuola è un luogo sicuro ma la metà dei presidi ha il suo da fare

Più della metà dei presidi delle scuole ha dovuto gestire negli anni casi di cyberbullismo: lo rivela un’indagine svolta dal Censis in collaborazione con la Polizia postale.

Dal sondaggio, pubblicato in questi giorni, risulta che il 54,9% dei dirigenti scolastici interpellati ritiene che, percentuale che sale ulteriormente tra i presidi degli istituti superiori (59,3%).

E sempre per la maggior parte dei dirigenti scolastici che hanno dovuto gestire episodi di cyberbullismo (58,5%), la principale difficoltà è stata quella di rendere i genitori consapevoli della gravità dell’accaduto.

Inoltre, alla domanda se è troppo alta l’esposizione a un uso improprio di internet, il 90,2% dei dirigenti scolastici ha detto sì.

La scuola, viceversa, è da loro considerata un luogo sicuro e controllato: solo lo 0,2% del totale segnala il possibile rischio. Tra i pericoli del web, i capi d’Istituto indicano in primo luogo il bullismo cosiddetto on line che, prolungato nel tempo, darebbe luogo a vere e proprie forme di cyberbullismo (7,0).

Sempre i presidi, segnalano anche le insidie che possono nascondersi nella diffusione dei giochi online (6,4). Più bassi sono i pericoli derivanti dalla possibilità di essere adescati online (5,4), di essere spinti verso qualche forma di disturbo alimentare (3,9) oppure di essere vittima di siti web che svolgono proselitismo religioso o terroristico (3,2).

Diplomati Magistrale inseriti in graduatoria ad esaurimento. Sì del Consiglio di Stato

da La Tecnica della Scuola

Diplomati Magistrale inseriti in graduatoria ad esaurimento. Sì del Consiglio di Stato

È arrivato l’atteso giudizio definitivo dei giudici competenti del Consiglio di Stato che lo scorso 2 dicembre hanno emesso sentenza in favore dei ricorrenti UIL Scuola Cremona, Mantova e Reggio Emilia, rappresentati e difesi dai legali Domenico Naso e Cinzia Ganzerli.

I diplomati magistrale ricorrenti, con sentenza 5439/2015, sono dunque stati inseriti, a pieno titolo e senza alcuna riserva, nelle graduatorie ad esaurimento della scuola dell’infanzia e primaria delle rispettive province. L’immissione in ruolo per un centinaio di diplomati magistrale, dunque, non è più un miraggio.

“La sentenza conferma così il diritto sacrosanto dell’immissione in graduatoria – sottolinea il segretario generale UIL Scuola Cremona-Lodi Mauro Colafato; un diritto che spetta a questi docenti, che non possono continuare ad essere ignorati dai nostri governanti. Gli insegnanti e i nostri avvocati danno oggi una nuova lezione al MIUR nei tribunali, confermando che la linea di chiusura assunta dall’amministrazione negli ultimi tredici anni sui docenti abilitati con diploma magistrale, conseguito fino al 2002, è stata lesiva del loro diritto ad insegnare. Era dunque inevitabile che in tanti si sarebbero rivolti alle aule dei tribunali per ottenere giustizia”.

Già centinaia di docenti hanno ottenuto l’inserimento in quelle graduatorie ad esaurimento che il MIUR continua a tenere ottusamente blindate: stavolta a dare ragione alla UIL Scuola Cremona-Lodi, Mantova e Reggio Emilia è stato direttamente il Consiglio di Stato, che inserisce nelle GaE i docenti precari. “Non sembra esservi dubbio alcuno – si legge nella sentenza – che i diplomati magistrali con il titolo conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al momento della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, fossero da considerare in possesso del titolo abilitante. Il fatto che tale idoneità del titolo posseduto sia stata riconosciuta soltanto nel 2014, a seguito del richiamato parere del Consiglio di Stato, non può impedire che tale riconoscimento abbia effetti ai fini dell’inserimento nelle citate graduatorie riservate ai docenti abilitati. In conclusione, l’appello è fondato e va accolto e gli appellanti vanno inseriti nella terza fascia delle citate graduatorie permanenti, ora ad esaurimento”.

Una vittoria su tutta la linea. “Il nostro sindacato – conclude Colafato – aveva ragione. E adesso è il Consiglio di Stato che si pronuncia sul ricorso accogliendolo in pieno. E i ricorsi saranno solo una delle forme di protesta avviate anche contro la legge 107 del 15 luglio 2015, dato che riteniamo ci sia anche un vulnus di costituzionalità che contiamo unitariamente di portare davanti alla Consulta. Senza abbandonare, tuttavia, gli strumenti classici della mobilitazione”.

Giannini: scuola e lavoro, è sistema duale

da La Tecnica della Scuola

Giannini: scuola e lavoro, è sistema duale

La ministra Stefania Giannini, al Forum economico italo-tedesco, sul modello duale di alternanza scuola-lavoro organizzato a Firenze, ha detto che a partire da quest’anno “possiamo presentare con concretezza di numeri, progetti e di strumenti il modello italiano di alternanza”.

“Credo che questo sia un grande risultato frutto dell’ accelerazione degli ultimi anni”, ha aggiunto Giannini,  sottolineando che la riforma della Buona Scuola “ha messo su un binario di velocità” tali azioni.

“Due anni fa quando ci siamo trovati con la Camera di Commercio italiana e tedesca su questo tema c’era una relazione asimmetrica – ha ammesso – perché la Germania ha da molti anni un collaudato modello duale”.

Il monte ore scuola-lavoro, ha spiegato Giannini ai cronisti, “per i ragazzi del triennio entrerà in vigore da quest’anno. Deve essere calcolato, però, nel triennio. E’ chiaro che sarà progressivo: ragionevolmente, in questo anno di avvio, come primo anno avrà un’applicazione ridotta rispetto ad una distribuzione equiparata delle 400 o delle 200 nel corso del triennio. Poi, quello è il modello a regime”.

“Penso che il modello di alternanza scuola-lavoro darà un grande risultato a partire dai prossimi cinque anni” contro la disoccupazione giovanile, ha anche detto la ministra.

“La nostra prima aspettativa – ha spiegato – è che in un ragionevole lasso di tempo, 3-5 anni, si abbiano politiche nazionali estese dell’alternanza che coprano tutto il sistema, dal modello sperimentale che pure ha dato frutti importanti, alla messa a regime sul territorio nazionale, con un milione e mezzo di studenti coinvolti”.

Al secondo punto, secondo Giannini, c’è “la valorizzazione delle specificità locali, delle vocazioni territoriali”, con “l’autonomia scolastica che è la base della Buona Scuola”. Infine, ha concluso la ministra, “vedremo risultati fra pochi anni sull’occupazione giovanile. Se dovessimo dire qual è il nemico e lo spauracchio più drammatico per l’Europa è la disoccupazione dei nostri giovani”.

Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, introducendo il Forum ha a sua volta affermato: “Stiamo costruendo la via italiana al sistema duale tedesco. Abbiamo appreso molto – ha detto – e abbiamo cercato di fare bene i compiti a casa, senza copiare. Con la riforma della Buona Scuola, e la sua attuazione in dirittura d’arrivo, penso che dobbiamo essere fieri della nostra via italiana”.

Secondo Toccafondi “manca ancora da fare molto sull’orientamento, dove il sistema tedesco su questo ha molto da insegnarci, e sulla certificazione delle competenze”, ma fra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro “il muro sta cadendo”, e quindi “sta a noi ora costruire le strade di collegamento fra due mondi che devono assolutamente averle”.

Anche Ivanhoe Lo Bello, presidente nazionale di Unioncamere, intervenendo al Forum, ha detto la sua, interpretando il pensiero di Confindustria: “Il duale all’italiana ha bisogno di garantire in maniera molto forte ai giovani percorsi che possano poi accompagnarli nel mercato del lavoro, dando loro una possibilità per starci dentro”.

“Veniamo da una cultura nazionale – ha affermato – che vede nel lavoro il luogo dello sfruttamento, e chiede che il percorso educativo non venga collegato al meccanismo di lavoro. Questo ragionamento ha fatto danni al paese e ai ragazzi, basta guardare la disoccupazione giovanile, che non dipende dalla nostra struttura produttiva, che oggi può fare un sforzo importante per limitarla: il problema è un sistema scolastico concentrato su modelli tradizionali, con una bassa presenza della cultura scientifica”.

Lotta ai diplomifici

Lotta ai diplomifici, al via Piano di ispezioni previsto dalla Buona Scuola
Oltre 600 scuole saranno visitate durante questo anno scolastico

Al via il Piano straordinario di ispezioni nelle scuole paritarie previsto dalla legge Buona Scuola: sono 673 le istituzioni scolastiche di cui quest’anno sarà verificato il mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità. Di queste, 532 sono scuole superiori. Particolare attenzione sarà posta agli istituti secondari di II grado dove viene rilevata una forte differenza fra il numero di ragazzi iscritti al primo anno e quello di iscritti all’Esame di Stato. La prima tornata di ispezioni coprirà oltre il 30% delle 1.526 scuole paritarie di II grado.

Il Piano è già partito nelle Marche e in Abruzzo ed è stato disposto a seguito del seminario “La Buona Scuola e il sistema delle scuole paritarie” che si è svolto al Miur il 30 settembre scorso, alla presenza del Ministro Stefania Giannini e del Sottosegretario Gabriele Toccafondi. “Siamo per la parità scolastica, ma diciamo no con forza ai diplomifici”, hanno ricordato in quell’occasione il Ministro e il Sottosegretario.

Al seminario sono seguite alcune riunioni tecniche a valle delle quali è stato elaborato il Piano di interventi. Un apposito gruppo di lavoro ha prodotto una scheda di rilevazione tipo da adoperare su tutto il territorio nazionale, con gli elementi fondamentali per lo svolgimento delle attività ispettive. Gli Uffici Scolastici Regionali hanno indicato, oltre alle istituzioni scolastiche, le modalità di svolgimento dell’attività ispettiva per gli anni scolastici 2015/16, 2016/17 e 2017/18. Fatta eccezione per le Province e Regioni autonome o a statuto speciale.

Durante le ispezioni saranno verificati fra l’altro l’elaborazione e la pubblicazione del Piano triennale dell’Offerta formativa come previsto dalla normativa vigente; l’elaborazione e la pubblicazione del rapporto di Autovalutazione; il rispetto della legislazione in materia di contratti di lavoro e del principio di pubblicità dei bilanci; l’adeguamento alle modifiche ordinamentali degli ultimi anni.

La mappa delle ispezioni per il 2015/2016

InfograficaPianoispezioniparitarie

Rapporto Censis: alternanza in oltre il 43% delle scuole, all’università in calo gli abbandoni dopo il primo anno

da Il Sole 24 Ore

Rapporto Censis: alternanza in oltre il 43% delle scuole, all’università in calo gli abbandoni dopo il primo anno

di Alessia Tripodi

Secondo i dati 2013-2014 sulla situazione sociale del Paese i percorsi «on the job» coinvolgono solamente il 13% dei licei

Esperienze di alternanza scuola lavoro in oltre il 43% delle scuole italiane, dove i presidi chiedono «tempi più lunghi» per organizzare i percorsi di formazione on the job. Mentre sul fronte universitario, se da un lato calano le immatricolazioni, dall’altro aumenta la quota degli iscritti che «resistono» e non abbandonano gli studi dopo il primo anno accademico. Sono i dati contenuti nel 49esimo Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese diffuso venerdì scorso dal Censis.

Poca alternanza nei licei
Secondo i dati nel 2013-2014 ha realizzato percorsi alternanza scuola lavoro il 43,5% degli istituti, ma solo il 13,3% dei licei può vantare un’esperienza pregressa. I percorsi finora realizzati hanno coinvolto al massimo, in un anno, poco più di 200milastudenti (il 10,3% del totale) e hanno avuto una durata media di circa 70-80 ore. La platea, dice il Rapporto, è oggi molto più ampia (più di 500mila iscritti al terzo anno di studi solo nell’anno scolastico 2015-2016 e, nel prossimo triennio, circa 1,5 milioni di studenti), cui dovranno essere garantite almeno 400 ore di percorso nei tecnici e nei professionali e almeno 200 ore nei licei. Ma se il 75,4% dei presidi intervistati dal Censis per l’alternanza scuola-lavoro «sarebbe meglio avere tempi più lunghi», visto che «l’introduzione generalizzata dell’alternanza – dicono – comporta una profonda rivisitazione dell’organizzazione scolastica e degli insegnamenti disciplinari» Il 71,1% dei presidi italiani (con punte dell’86,4% al Sud) prevede poi che sarà possibile garantire a ogni studente del triennio finale un percorso in alternanza, perchè nel territorio non c’è un numero sufficiente di aziende disposte ad accogliere studenti. Ciò nonostante, dicono ancora i dati, il 71,8% dei reputa positivo l’aver stabilito un tetto minimo di ore dedicate ai percorsi di alternanza. Ok, infine, anche alla durata triennale del Pof, il Piano dell’offerta formativa, che secondo il 62,7% dei presidi permette di effettuare una programmazione più adeguata e coerente con gli obiettivi formativi e di valutarne gli impatti.

Università, meno abbandoni
Rispetto all’anno accademico 2010-2011, nel 2013-2014 gli immatricolati ai corsi di laurea triennali e a ciclo unico sono infatti diminuiti del 4,9%, cioè di quasi 12mila unità, mentre il cosiddetto «tasso di persistenza», vale a dire il valore che misura la continuità nel passaggio dal primo al secondo anno accademico, è passato dall’84,3% all’89,8 per cento.
Quanto a quella che chiama la «geografia universitaria», il Censis evidenzia come a una riduzione dell’11,2% degli immatricolati nel Sud e nelle isole si contrappongono un incremento del 4% tra quelli del Nord-Ovest e decrementi più ridotti tra le popolazioni universitarie del Nord-Est e del Centro, rispettivamente -3,6% e -5,2 per cento. Il 44,2% degli immatricolati continua a concentrarsi nei grandi atenei, anche se nel periodo considerato si è verificato un «travaso» di immatricolati dai grandi e medi atenei (-35,4%) verso i piccoli atenei, che hanno registrato un incremento di immatricolati pari a +42,4 cento. Per quanto riguarda invece le spese delle università per gli interventi a favore degli studenti, comprese le risorse per orientamento e tutoraggio, i dati evidenziano una diminuzione di oltre 7,5 milioni di euro, dai 47 milioni del 2010 ai 39,5 milioni del 2013. Nelle Regioni del Nord , infine, si è concentrato nel 2013 oltre il 60% delle risorse.

Studentessa scrive a Mattarella «Ascolti le ragioni di chi occupa»

da Corriere della sera

Studentessa scrive a Mattarella «Ascolti le ragioni di chi occupa»

Roberta, che studia al Pasteur e fa parte della Rete degli studenti medi, chiede al presidente della Repubblica di analizzare le ragioni di chi occupa e di non ascoltare solo l’appello dei genitori, che chiedono di ripristinare la legalità

Non si focalizzi sulle occupazioni da sgomberare, ma capisca ragioni e metodi degli studenti che in questi giorni si sono mobilitati perché stufi di essere l’ultima ruota del carro. È quanto chiede, in sostanza, al presidente della Repubblica, Roberta, studentessa romana del Pasteur e militante nella Rete degli studenti medi, dopo aver letto la lettera al Capo dello Stato della mamma del Liceo Virgilio che si dichiarava contraria a queste pratiche definendole violente. La donna, Chiara Matteucci, presidente del Comitato dei genitori del liceo Virgilio di Roma, si era rivolta a Mattarella venerdì proprio per contestare il fatto che la scuola fosse diventata «uno spazio franco, ove tutto è possibile, ove tutto è permesso, al di fuori della Legge, della democrazia, del rispetto delle persone». Ogni anno, ricordava la madre della studentessa, «in questa fase dell’anno, ogni volta con le stesse menzogne, con lo stesso vento di violenza e di sconvolgente ignoranza dei valori essenziali che hanno ispirato i nostri padri costituenti, i nostri figli vengono privati da un gruppo di facinorosi del loro diritto allo studio». Ed è proprio per evitare questi episodi che la madre chiedeva l’intervento delle forze dell’ordine e quello del capo dello Stato per «insegnare la via del rispetto, del confronto e della pluralità».

«Non si può generalizzare»

Non si è fatta attendere la risposta della studentessa. «Anche io – scrive Roberta a Mattarella – credo che le scuole non possano diventare una zona franca dove tutto è lecito e dove lo Stato non arriva. Anche io credo che chi promuove metodi violenti giustificando le proprie azioni attraverso slogan fini a se stessi, radicalizzando le proprie rivendicazioni e sfociando quindi nell’estremismo garantendo la cultura dell’antistato, stia facendo un danno a se stesso e agli altri. Tuttavia non posso trovarmi d’accordo con ciò che scrive la madre: questa infatti generalizza e giudica tutte le occupazioni come se fossero uguali sia dal punto di vista rivendicativo sia dal punto di vista metodologico. No, non posso condividerlo: così si fa lo stesso errore di chi, pur essendo minoritario nella società, si erge a paladino della rivoluzione pretendendo di sovvertire le regole della democrazia, regole che a mio parere stanno alla base della costruzione di un futuro migliore».

«Non siamo una massa informe»

«Noi studenti non siamo una massa informe priva di rappresentanza sociale e di idee politiche» fa notare la studentessa assicurando di essere la prima, pur avendo anche lei occupato la propria scuola, a condannare chi utilizza la violenza per esprimere un’idea. Ma – aggiunge – «non salta mai in mente a nessuno che c’è chi occupa il proprio istituto non per farlo diventare un luogo di illegalità dove diffondere cultura antistatale e pensiero antidemocratico ma proprio per chiedere che della scuola pubblica lo Stato ne faccia una delle sue colonne portanti?». Per «troppi» anni si sono susseguite riforme fatte senza il minimo coinvolgimento degli studenti, sottolinea Roberta ricordando le tante mobilitazioni fatte contro la riforma Renzi-Giannini. «È stata questa la nostra risposta alla buona scuola: si depaupera il concetto di collegialità e noi la pratichiamo, non si investe sul welfare e diritto allo studio e noi rivendicandone l’esigenza facciamo mutualismo e tanto altro ancora» conclude Roberta dicendosi certa che «per la costruzione di un futuro privo di diseguaglianze bisogna cambiare radicalmente il mondo dell’istruzione», con «il coinvolgimento di tutti i protagonisti di questo mondo. Insomma, senza ascoltare noi non si può».

Caro Mattarella, non siamo l’ultima ruota del carro: ecco perchè occupiamo le scuole

da La Tecnica della Scuola

Caro Mattarella, non siamo l’ultima ruota del carro: ecco perchè occupiamo le scuole

Non siamo l’ultima ruota del carro: ecco perché ci facciamo sentire e arriviamo ad occupare le scuole, dove si svolgono attività ed esperienze proficue.

È questo il senso di una lunga lettera che una studentessa della ‘Rete degli Studenti Medi’ ha scritto al Capo dello Stato, in risposta a quella inviata qualche giorno prima da una madre preoccupata e contrariata per le tante occupazioni messe in atto dagli studenti in questo periodo dell’anno.

La ragazza spiega, nella missiva resa pubblica, tutti i motivi che portano i giovani a decidere per l’occupazione della loro scuola: dove non c’è violenza, ma voglia di confrontarsi e di crescere. “Di portare all’attenzione delle istituzioni, dell’opinione pubblica e della politica tutto quello che in molti pacificamente chiediamo”, perché “non siamo l’ultima ruota del carro”.

 

La lettera integrale della studentessa inviata al Capo dello Stato.

Caro presidente Mattarella,

Lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Da una studentessa romana della Rete degli Studenti Medi che quest’anno ha occupato la propria scuola

Egregio Presidente S.Mattarella,
Sono una studentessa di Roma, mi chiamo Roberta e studio al Pasteur, liceo dove ho maturato il mio impegno politico e sociale,  impegno che mi ha portata a fare attivismo nella Rete degli Studenti Medi, un sindacato studentesco che fonda la propria azione sui valori democratici della Costituzione, sull’antifascismo, sulla nonviolenza, sulla partecipazione e sulla libertà di opinione.
Le scrivo questa lettera dopo aver letto le considerazioni che una madre, presidente del Cdi del rinomato Liceo Virgilio di Roma, ha ritenuto necessario condividere con lei e con il resto dell’opinione pubblica. Considerazioni che esprimono un forte dissenso nei confronti dei metodi con i quali alcuni studenti si sono mobilitati all’interno dell’istituto, secondo la madre con prepotente violenza. Questi, secondo quanto affermato, hanno deciso di occupare arbitrariamente la propria scuola senza passare dal coinvolgimento degli studenti, entrando nell’istituto a volto coperto e con fare violento e irrispettoso.

Sulla base di questa visione dei fatti la madre chiede a lei e alle istituzioni aiuto, identificando quindi tutte le occupazioni come qualcosa di pericoloso e sbagliato, lesivo della democrazia, come qualcosa che impedisce agli studenti di usufruire del Diritto allo Studio. Anche io, come lei, credo che le scuole non possano diventare una zona franca dove tutto è lecito e dove lo Stato non arriva. Anche io, come lei, credo che chi promuove metodi violenti giustificando le proprie azioni attraverso slogan fini a se stessi,  radicalizzando le proprie rivendicazioni e  sfociando quindi nell’estremismo garantendo la cultura dell’antistato, stia facendo un danno a se stesso e agli altri.

Tuttavia non posso trovarmi d’accordo con ciò che scrive la madre: questa infatti generalizza e giudica tutte le occupazioni come se fossero uguali sia dal punto di vista rivendicativo sia dal punto di vista metodologico. No, non posso condividerlo: così si fa lo stesso errore di chi, pur essendo minoritario nella società, si erge a paladino della rivoluzione pretendendo di sovvertire le regole della democrazia, regole che a mio parere stanno alla base della costruzione di un futuro migliore. Non posso essere d’accordo con lei perché lei l’occupazione non l’ha vissuta in prima persona: basta veramente vedere dei ragazzi incappucciati che urlano e protestano all’inizio di un’occupazione per giudicare gli stessi come facinorosi, ignoranti e minoritari? Basta veramente sapere che degli studenti si appropriano di uno spazio nel quale dovrebbero essere realmente protagonisti per dire che questi stanno praticando l’antistato? Basta veramente questo per dire che le occupazioni costituiscono un rito pericoloso, un fenomeno da debellare?

Caro Presidente, le scrivo per ricordarle che noi studenti non siamo una massa informe priva di rappresentanza sociale e di idee politiche. Le scrivo per dirle che non utilizziamo tutti gli stessi metodi per manifestare il dissenso, di scendere in piazza, di occupare una scuola. Le scrivo per dirle che quando qualcuno utilizza la violenza per esprimere un’idea, sono la prima a prendere le distanze e a condannare senza timore. E tanti altri come me.
Ma soprattutto mi appello a Lei, alle istituzioni, alla politica e all’opinione pubblica per mettere in luce quello che porta noi studenti a mobilitarci. Anche io, insieme ai miei compagni, ho occupato il liceo dove studio quotidianamente e con noi tante altre scuole romane. È vero, l’occupazione è una forma di protesta molto forte ma se il suo svolgimento non comprende la violenza e questa diviene un momento di democrazia partecipata è anch’essa una forma di conflitto che può divenire costruttivo.

Non salta mai in mente a nessuno che c’è chi occupa il proprio istituto non per farlo diventare un luogo di illegalità dove diffondere cultura antistatale e pensiero antidemocratico ma proprio per chiedere che della scuola pubblica lo Stato ne faccia una delle sue colonne portanti? Per troppi anni si sono susseguite riforme fatte senza il minimo coinvolgimento degli studenti. In questa fase storica in cui la politica svilisce ripetute volte il ruolo delle parti sociali e si rende meno disponibile al confronto non è riappropriarsi dei luoghi che ci formano ad essere cittadini coscienti e consapevoli una risposta plausibile? Non è quindi il conflitto uno strumento democratico?

Dopo la mobilitazione del 5 Maggio nel Sud del paese è partita un’ondata di occupazioni che poi ha coinvolto anche il resto del paese: una mobilitazione lanciata dalla Rete degli Studenti Medi che denunciava come la Buona Scuola, ora legge 107, non fosse una riforma capace di appianare le diseguaglianze tra scuole del Nord e scuole del Sud, e non fosse capace di implementare il Diritto allo Studio e il welfare studentesco e quindi chiedeva al governo di andare in una direzione diversa. Ha ragione la madre: la scuola è un presidio dello stato.

Ma per promuovere democrazia e legalità l’istruzione deve essere inclusiva: in Italia la dispersione scolastica arriva al 17% con picchi del 30 in alcune aree del Sud. Gli studenti che abbandonano gli studi spesso alimentano il lavoro nero e la microcriminalità. È lottare contro l’illegalità pertanto sgomberare una scuola occupata o comprendere che in quella scuola magari non si sta praticando l’antistato ma anzi si chiede che in quanto stato questa sia più inclusiva?

Le occupazioni ci sono state e probabilmente sono forme di mobilitazione che riutilizzeremo: ma proponendo un modello di scuola diverso, che si autogoverna e che fa dell’aprirsi alla città, del dibattito democratico e della collegialità i suoi punti di forza. È questo quello che molte scuole sono state durante autogestioni e occupazioni: presidi di democrazia delle nostre città. Luoghi dove mangiare, studiare, dormire, fare sport. Luoghi dove incontrare associazioni, rappresentanti delle istituzioni, dove fare workshop e costruire pensiero. Luoghi aperti e inclusivi. Dove si costruisce qualcosa e la si traduce in mobilitazione. Ed è stata questa la nostra risposta alla buona scuola: si depaupera il concetto di collegialità e noi la pratichiamo, non si investe sul welfare e diritto allo studio e noi rivendicandone l’esigenza facciamo mutualismo e tanto altro ancora.

Caro Presidente, spero lei possa accogliere queste riflessioni. Da studentessa e da persona che ogni giorno vive il mondo dell’istruzione le chiedo di non focalizzarsi sulle occupazioni da sgomberare ma di capire ragioni e metodi di molti di noi. Di portare all’attenzione delle istituzioni, dell’opinione pubblica e della politica tutto quello che in molti pacificamente chiediamo. Non è di certo un momento di mobilitazione a intaccare un percorso formativo, ma quel che possiamo dirci senza timore è che per la costruzione di un futuro privo di diseguaglianze bisogna cambiare radicalmente il mondo dell’istruzione. Bisogna partire da scuola e università, senza slogan e senza annunci, senza proteste sterili ma con il coinvolgimento di tutti i protagonisti di questo mondo. Insomma, senza ascoltare noi non si può. Ma in fondo è proprio questo che chiediamo: non essere messi al margine. Essere centrali nel dibattito politico del paese. Non essere l’ultima ruota del carro.

Prof licenziati dal preside, ‘Report’ conferma le nostre previsioni

da La Tecnica della Scuola

Prof licenziati dal preside, ‘Report’ conferma le nostre previsioni

Sui licenziamenti, lo avevamo scritto già nel 2014 quali erano le intenzioni politiche del ministro dell’istruzione Stefania Giannini.

Precisamente, in un articolo del 28 febbraio 2014 avevamo spiegato che si sarebbe concretizzata la chiamata diretta dei docenti, tanto cara proorio al ministro Giannini, ma anche il licenziamento dei docenti ritenuti incompetenti dal dirigente scolastico.

Con il senno di poi, anche se ci sarebbe tanto piaciuto sbagliare, possiamo dire che avevamo visto giusto. Poi, sul licenziamento degli insegnanti abbiamo scritto anche un altro articolo nel gennaio 2015, in cui spiegavamo che con le nuove norme sul lavoro tutti i dipendenti pubblici, e quindi anche gli insegnanti, sono licenziabili da parte del loro dirigente.

In buona sostanza scrivevamo, con assoluta chiarezza e senza dubbi interpretativi, che il Jobs act è applicabile anche nelle scuole e che quindi si stava dando ai dirigenti scolastici l’arma micidiale del licenziamento. Oltre a quella della chiamata diretta. Per cui, attraverso quella norma, licenziare un docente neoassunto, ma anche di ruolo da tanto tempo, sarebbe stato in futuro molto più semplice di quanto non sia stato in passato.

É utile ricordare che il 24 dicembre di un anno fa in Parlamento era stato soppresso il comma3 dell’art.1 del Jobs Act, che escludeva il pubblico impiego dalle norme di licenziamento per i dipendenti assunti a tempo indeterminato successivamente all’entrata in vigore della stessa riforma del lavoro.

In ogni caso, ora tutti i docenti entrati in ruolo nelle fasi 0, A, B e C, sono di fatto licenziabili dal datore di lavoro ai sensi del Jobs Act così come accade per le aziende private.

E adesso arriva una sentenza della Cassazione che si è pronunciata sul licenziamento di un lavoratore statale siciliano, spiegando che l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e le norme introdotte con il Jobs act che rendono più facili i licenziamenti, valgono anche per gli statali: in buona sostanza queste nuove norme che regolano i licenziamenti valgono quindi per i lavoratori statali assunti dopo il marzo del 2015, ma anche per tutti gli insegnanti assunti con la riforma della buona scuola.

Anche ‘Report’ la trasmissione di Rai Tre, condotta da Milena Gabanelli, ha messo in evidenza quanto scritto dalla Tecnica della Scuola un anno fa, andando a chiedere spiegazioni al ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia: la giornalista ha chiesto al ministro, Marianna Madia, se sia vero che le norme sul licenziamento più facile , previste nel Jobs Act, valgono anche per i dipendenti pubblici: è rimasta una domanda senza risposta, perché il ministro del Governo Renzi non ha voluto rispondere.

Poiché chi tace acconsente, ciò vuol dire che per gli 87mila neoassunti nella scuola non esiste più l’art. 18 previsto dalla Legge 300/70. Perchè sarà molto più semplice licenziarli. Oggi con la sentenza della Cassazione scopriamo che è assolutamente vero. Dicevamo anche che con il prossimo testo unico si eliminerà l’art. 28 del contratto della scuola con cui si regola l’orario settimanale di servizio dei docenti. Speriamo di non avere ragione un’altra volta.

Gli 87mila assunti dalla Buona Scuola? Un popolo di scontenti

da La Tecnica della Scuola

Gli 87mila assunti dalla Buona Scuola? Un popolo di scontenti

Sono davvero pochi i docenti assunti quest’anno, con la riforma, che possono sentirsi soddisfatti: dalla fase 0 all’ultima, ancora in corso, hanno i loro motivi per lamentarsi.

Partiamo dagli ultimi. Che sono anche il “plotone” più grande: i 49mila della fase C, introdotta assieme alla novità assoluta del potenziamento scolastico. Solo una minima parte è stata assunta lontano da casa, è vero. Però per loro si prospettano le incognite degli albi territoriali, nati con la Buona Scuola di Renzi, che li porterà effettivamente in ruolo con dei tempi più dilatati e comunque previo giudizio del nuovo comitato di valutazione (composto da tre docenti, un componente esterno alla scuola, due genitori per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, un genitore e pure uno studente alle superiori). Con il parere definitivo sul loro operato, con effetti diretti sulla conferma della sede di servizio, che spetterà al dirigente scolastico.

Ma la palma degli scontenti spetta agli immessi in ruolo con la fase B: si tratta di circa 7mila degli 8mila assunti ad inizio settembre, nella notte di passione tra l’1 e il 2, spediti fuori provincia dall’algoritmo del Miur. Si tratta di precari con alle spalle anche diversi anni di supplenze. Che ora bramano di rabbia perché i colleghi molti più giovani di loro, che non di rado si sono seduti in cattedra nemmeno in giorno, sono stati stabilizzati con la fase C anche sotto casa. Tra l’altro, pure gli stabilizzati con la fase B saranno coinvolti nelle tante incertezze che comportano gli albi territoriali.

È una situazione effettivamente paradossale, che ‘La Tecnica della Scuola’ aveva anticipato ai propri lettori sin dall’inizio dello scorso mese di luglio, quando il piano straordinario di assunzioni era ancora in fase embrionale. Paventando, in tale occasione, anche la possibilità di assistere alle ormai solita corsa al ricorso. E anche in questo caso i fatti ci hanno dato ragione.

Soprattutto perché il Miur non ha mai voluto rendere note le procedure adottate, docente per docente, in base alle varie graduatorie che si sono venute a determinare (sulla base delle preferenze indicati dei docenti). Sulla base delle quali, l’algoritmo presidisposto dal ministero dell’Istruzione ha poi associato docente e provincia di servizio. Che,alla fine della fiera, per quasi 10mila docenti non è stata quella sperata.

Ora, tornando agli assunti con la fase B, è vero che stiamo parlando di docenti che nella gran parte dei casi vedranno concretizzarsi la sede definitiva solo nel prossimo mese di settembre, poiché si sono avvalsi della possibilità di concludere l’anno nella scuola dove hanno stipulato una supplenza annuale. Però la sostanza non cambia. Perché il danno provocato dal Miur sarà solo posticipato di quasi un anno. E soprattutto perché l’accesso alla mobilità straordinaria, che si concretizzerà in primavera e non dopo i consueti tre anni, non è detto che cambi l’attuale destinazione.

Mobilità straordinaria che, invece, viene negata ai circa 30mila assunti, sempre nel 2015, con le fasi 0 e A della riforma: perché se questi nuovi docenti di ruolo non rientreranno nelle “forche caudine” degli albi territoriali (che invece d’ora in poi riguarderanno tutti i docenti di ruolo assunti sino al 2014/15 che chiederanno di trasferirsi volontariamente), è altrettanto vero che per loro la mobilità seguirà le vecchie regole. Quindi la loro mobilità si svolgerà solo a livello provinciale, almeno per i primi tre anni. Con l’unica possibilità di avvicinarsi a casa, al termine dell’anno di prova, quindi dal 1° settembre 2016, che passerà il difficile “imbuto” dell’assegnazione provvisoria. Dove cercheranno di infilarsi in tanti, per avvicinarsi a figli minori, genitori anziani, accudire parenti in via esclusiva e via dicendo. Con le solite scarse possibilità di riuscita.

A sanare qualche ingiustizia potrebbe essere, allora, il nuovo contratto sulla mobilità. Nei giorni scorsi ai sindacati è stata consegnata una bozza. Che ha riscossi pochi consensi e molte critiche. Confermando il sospetto fondato che la mobilità del 2016 rischia davvero di trasformarsi in una bomba ad orologeria.

Niente contratto neppure per il 2015/2016

da La Tecnica della Scuola

Niente contratto neppure per il 2015/2016

L’autunno sta ormai terminando, fra pochi giorni la legge di stabilità sarà approvata e sul tema del contratto nazionale del comparto scuola non è accaduto nulla di significativo.
Le premesse ci sono ormai tutte: quasi certamente anche il 2015/2016 passerà senza che il contratto di lavoro di più di 800mila dipendenti venga rinnovato.
I sindacati avevano promesso un autunno caldissimo e una opposizione intransigente alla applicazione della legge 107; qualcuno avevano anche preannunciato “un vietnam in ogni scuola”.
In realtà le cose sono andate molto diversamente: nella maggior parte delle scuole i comitati di valutazione sono stati formati e le richiesta sindacale di demandare alla contrattazione di istituto ogni decisione sulla distribuzione del fondo per il merito non sembra essere stata accolta neppure nelle scuole dove i dirigenti scolastici appartengono a quegi stessi sindacati che sostengono la proposta.
Continua il lavoro del Comitato a sostegno della LIP scuola, ma va anche detto che referendum abrogativo di alcuni articoli della legge 107, se sarà dichiarato ammissibie , si farà comunque nella primavera del 2017 e cioè dopo due anni di “buona scuola”.
Persino sugli albi territoriali i sindacati non riescono a ottenere qualche risultato, visto che il Ministero ha già fatto sapere che, se sarà necessario, il contratto sulla mobilità verrà sostituito da un atto unilaterale di cui tutti dovranno semplicemente prendere atto.
Agli annunci di qualche mese dei sindacati fa non ha dunque fatto seguito nessuna azione concreta di contrasto; il poco che si è visto è stato messo in piedi dai sindacati di base che speravano forse che lo sciopero del 13 dicembre ottenesse un successo più ampio.
I sindacati del comparto, per parte loro, si sono limitati ad organizzare una manifestazione nazionale del pubblico impiego e non sono neppure riusciti a porre al Governo a una domanda molto semplice: “Il piano di assunzioni non è andato come si pensava e per questo motivo al termine dell’intera operazione avanzeranno un bel po’ di soldi (da 400 a 700 milioni di euro); che fine faranno questi risparmi?”.