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Il CSPI rilancia il legame tra patto educativo ed educazione civica

Il CSPI rilancia il legame tra patto educativo ed educazione civica

di Cinzia Olivieri

Il CSPI, esprimendo nel corso della seduta plenaria dell’11/09/2019 il proprio parere negativo all’avvio della sperimentazione dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica, ha suggerito tra l’altro di utilizzare l’anno scolastico in corso per:

“preparare studenti e genitori al significato del nuovo insegnamento, anche in previsione delle opportune ridefinizioni dei patti di corresponsabilità che devono essere estesi alla scuola primaria e revisionati nella scuola secondaria di primo e secondo grado, come prevede l’art. 7 della legge n. 92 …”.

Sfuggono le modalità di realizzazione pratica di tale presupposto, anche considerando che, nonostante i continui enfatici richiami al patto educativo, questo nel quotidiano, trascorsi ormai oltre 10 anni dalla sua introduzione,  non appare influenzare efficacemente i rapporti scuola famiglia, sebbene sia individuato spesso come panacea della loro atavica crisi. Infatti nella scorsa legislatura un gruppo di lavoro aveva operato alacremente (quanto inutilmente) sulle modifiche al decreto che lo disciplina, in considerazione dei molteplici punti deboli manifestati ed opportunamente valutati, proprio per favorire una ridefinizione dei patti e dei regolamenti in maniera realmente condivisa e partecipata, precorrendo sotto questo aspetto i tempi.

Ebbene, dispone l’art. 7 della L 92/19 rubricato  “Scuola e famiglia”:

“1.   Al   fine   di    valorizzare    l’insegnamento    trasversale dell’educazione  civica  e  di  sensibilizzare  gli   studenti   alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la  collaborazione  con le   famiglie,   anche   integrando    il    Patto    educativo    di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del regolamento  di  cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno  1998,  n.  249, estendendolo alla scuola primaria. Gli articoli  da  412  a  414  del regolamento di cui al regio decreto 26 aprile  1928,  n.  1297,  sono abrogati”.

Dunque per valorizzare l’insegnamento dell’educazione civica, in quanto trasversale, la scuola è chiamata a rafforzare la collaborazione con le famiglie “anche” attraverso l’integrazione del patto di corresponsabilità, che viene esteso a tal fine pure alla scuola primaria per l’effetto abrogando gli articoli da 412 a 414 del RD 1297/1928.

L’integrazione del patto è quindi solo una delle modalità per potenziare la collaborazione con le famiglie (ma sostanzialmente la sola prevista), anche per realizzare la quale erano stati introdotti oltre quarant’anni fa quegli organi collegiali che ora si vogliono abolire e di cui si sono ridotte sempre più le competenze. Non vengono date altre indicazioni pratiche eccetto l’estensione alla primaria, con conseguente abrogazione degli articoli del regio decreto che normavano il procedimento disciplinare nella scuola “elementare”. Infatti l’art. 412 indicava i “mezzi disciplinari” applicabili, l’art. 413 i soggetti che potevano irrogare le sanzioni ed i mezzi di impugnazione e l’art. 414 la necessità di previa informativa alla famiglia prima dell’irrogazione della “pena”.

È palese quindi che queste disposizioni non sono sovrapponibili alla previsione del patto educativo di corresponsabilità, introdotto con l’art. 3 del dpr 235/07 – che ha aggiunto l’art. 5 bis al dpr 249/98 – “finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”.

Sono invece i singoli regolamenti di istituto che devono disciplinare “le procedure di sottoscrizione nonché di elaborazione e revisione condivisa” del patto oltre che l’intero  procedimento disciplinare (art. 1 del dpr 235/07 che ha sostituito l’art. 4 del Dpr 249/98). Insomma occorre prima lavorare sui regolamenti e poi sul patto. Dunque soprattutto questi avrebbero dovuto preliminarmente essere estesi alla primaria.

Già il gruppo di lavoro per la revisione del dpr 249/98 e ss mm ii aveva rappresentato l’inadeguatezza della predetta normativa anteguerra, suggerendo l’estensione (con opportuni adeguamenti) dell’intero “Statuto delle studentesse e degli studenti” alla scuola primaria (anche per la maggiore tutela procedurale). Ma per effetto della predetta abrogazione nella primaria sostanzialmente manca una normativa per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Appare una forzatura giuridica semplicemente adeguare i patti educativi senza passare da una modifica dell’impianto normativo, vuoi perché i fatti dimostrano che è necessario fornire maggiori indicazioni sulle modalità di condivisione ed elaborazione del patto (ampiamente e dettagliatamente esposte dal gruppo di lavoro), vuoi perché attualmente esso prevede la sottoscrizione anche dello studente, in considerazione delle sue finalità, improponibile alla scuola primaria. Bisognerebbe invece lavorare su come condividere realmente la corresponsabilità educativa, senza invadere le rispettive sfere di competenza ed evitando le ormai tristemente note conflittualità.

Esempio classico e recente il pasto da casa, le cui concrete modalità di esercizio sono state rimesse dalle Sezioni Unite della Cassazione all’autonomia scolastica mentre la decisione è stata nei fatti tradotta prevalentemente in un divieto, con il solo effetto di inasprire il contenzioso. Lo risolveremo con il nuovo patto?

Tra gli indicatori di valutazione corresponsabilità e partecipazione

Tra gli indicatori di valutazione corresponsabilità e partecipazione

di Cinzia Olivieri

Quando si parla di alleanza scuola famiglia è ormai inevitabile il richiamo alla “corresponsabilità educativa” enfatizzando un “patto” che  manifestamente non funziona se solo sulla carta, che tutti rilanciano ma nessuno osa cambiare.

Sembra inflazionato invece il richiamo alla “partecipazione”, quella per la cui realizzazione ben oltre quarant’anni fa erano stati istituiti gli organi collegiali di istituto e territoriali al fine di dare alla scuola “il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (art. 1 Dpr 416/74 e art. 3 Dlgs 297/94). Per la verità sebbene se ne discuta da allora non sembra  si abbiano ancora molte idee su come realizzarla, tanto che abbiamo finito per dimenticare gli organi  territoriali disapplicando una norma vigente.

Cercando di non ripetere storie già narrate, in tempi più recenti, la L 107/2015, al comma 93, a proposito degli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici ai  sensi dell’articolo 25, comma 1, del Dlgs 165/2001,  ha individuato alla lettera e) tra i  criteri generali la: “direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto  sociale  e  nella rete di scuole”. Dunque la carenza partecipativa, la conflittualità, la mancanza di collaborazione all’interno dell’istituzione dovrebbero costituire elementi negativi di valutazione della performance dirigenziale.

Per implementare la partecipazione, il D.M. 851/2017 ha previsto il finanziamento di una serie di azioni, tra cui quelle dell’art. 3 rubricato Piano Nazionale per la Promozione della Partecipazione delle studentesse, degli studenti e dei genitori, per la cui realizzazione sono stati stanziati 1.000.000,00 euro così ripartiti: a) 650.000,00 euro per la realizzazione di iniziative regionali per la partecipazione degli studenti e delle famiglie al processo di riforma del sistema di rappresentanza, attraverso i Forum delle Associazioni dei genitori ed i Forum delle Associazioni delle studentesse e degli studenti; b) 350.000,00 euro per le azioni di supporto, sviluppo e coordinamento nazionale.

A distanza di oltre un anno non si conosce molto dello stato di attuazione di questo piano, salvo poche informazioni di alcuni uffici regionali e qualche incontro locale organizzato da neonate reti di comitati.

Per menzionare un dato storico, nel 2002 il FoNAGS, appena istituito, parlava di riforma degli organi collegiali e dell’intenzione di attivare un Forum telematico con le famiglie che fu poi effettivamente realizzato rivelandosi esperienza breve ed insoddisfacente. Modeste ricadute anche da qualche pur interessante incontro informativo/formativo di necessariamente limitato coinvolgimento in assenza di un reale “piano” nazionale di ampio respiro. Gli studenti crescono, i genitori cambiano, i quesiti restano sempre gli stessi.

Dopo decenni sembra recepita l’esigenza di portali, blog, siti comunque denominati per favorire il collegamento, l’informazione e le buone pratiche. A tal proposito occorre rammentare che anche l’esperienza del progetto Gold, destinato a realizzare la banca dati delle buone pratiche della scuola italiana si è conclusa.

Tra fiere della vanità e del già visto, stagioni della partecipazione, corsi e ricorsi in cui tutto cambia per non cambiare nulla, i servizi offerti dalla società dell’informazione si evolvono più in fretta dell’assimilazione delle proposte ed occorre tenere conto della loro rapida obsolescenza.

Premesso che un portale che non sia una mera vetrina collega solo chi vi interagisce, con il sistema di iscrizione on line non sarebbe necessario acquisire dati già in possesso dell’amministrazione anche in considerazione dei principi, in particolare di proporzionalità e minimizzazione, applicabili al trattamento dei dati personali (art. 5 Reg. UE 2016/679). Integrando opportunamente l’informativa, l’interessato, con l’occasione, potrebbe esprimere il consenso per questa specifica finalità. E contraddittoriamente se da un lato si prospetta un libero accesso ai dati, dall’altro invece resta arduo per un rappresentante di classe ottenere dalla scuola i contatti degli altri genitori della propria classe o per i genitori quelli degli eletti in consiglio di istituto. Salvo poi riuscirvi con il fai da te per creare le famose chat di classe.

Intanto il Ddl S1264Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica” all’articolo 5 comma 3 ha previsto che il Ministero convochi ogni due anni la Consulta dei diritti e dei doveri dell’adolescente digitale, i cui criteri di composizione e modalità di funzionamento restano da definire ma dovrà essere garantita la “rappresentanza degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti del settore”. Ai membri di tale organismo, che dovrebbe relazionare sullo stato di attuazione della norma operando in coordinamento con il Tavolo tecnico istituito ai sensi della legge 71/2017 per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, non sono però riconosciuti nè compensi, né indennità, gettoni di presenza o altre utilità e neppure rimborsi di spese”.  La partecipazione quindi oltre che gratuita deve prevedere forme di autofinanziamento di quei  pochi chiamati a rappresentare la maggioranza silente, prevalentemente inconsapevole o disinteressata. Partecipazione implica invece coinvolgimento e non mera delega di pochi a pochi.

È poi assegnato alla VII Commissione Cultura il PDL 697, prima firmataria l’on.le Aprea, che riproduce il testo già depositato circa 10 anni fa di riforma della “governance” scolastica e che, oltre a ridurre la rappresentanza in consiglio e riassegnare la presidenza al dirigente, al comma 1 dell’art. 9 si limita a prevedere che le istituzioni scolastiche “valorizzano la partecipazione alle attività della scuola degli studenti e delle famiglie, di cui garantiscono l’esercizio dei diritti di riunione e di associazione”, facendo salva la possibilità, al comma successivo, per  il regolamento di istituto di “stabilire altre forme di partecipazione dei genitori e degli studenti”. Le scuole devono garantire i diritti costituzionali (artt. 17 e 18) di riunione ed associazione ma spetterà poi ai regolamenti interni prevedere ed immaginare possibili forme di interazione.

Quando questo testo fu depositato la prima volta provocò un qualche turbamento tra i genitori e partì una campagna diretta a salvare il rappresentante di classe dall’estinzione ed a conservare la presidenza al genitore, che condusse poi all’approvazione di un testo unificato molto diverso. Il silenzio attuale fa dubitare che non si abbia sufficiente informazione in merito o che si confidi che ancora una volta la proposta resti senza seguito ovvero che la questione forse interessi pochi. Comunque per tale proposta il “consiglio di amministrazione” (Art. 5)  ha compiti di indirizzo generale e in caso di sua inattività, irregolarità o impossibilità di funzionamento il dirigente dell’ufficio scolastico regionale può provvedere al suo scioglimento, nominando un commissario straordinario fino alla costituzione del nuovo consiglio.

Nell’assetto delle competenze attuali delineate dal nuovo regolamento di contabilità (DI 129/2018) il  Consiglio di istituto  continua ad approvare programma annuale  e conto consuntivo, documenti predisposti rispettivamente dal dirigente scolastico con la  collaborazione del D.S.G.A.  (Capo II artt. 4-10)  e dal D.S.G.A.  (Capo V artt. 25-28), i quali quindi dovrebbero averne anche la responsabilità. Il controllo è affidato  ai revisori dei conti che danno il parere di regolarità contabile. Il consiglio deve tenere conto delle loro osservazioni e, ove se ne discosti, fornire adeguata motivazione anche nel caso in cui abbia approvato il programma prima di avere acquisito il loro parere. Pertanto laddove successivamente all’approvazione i revisori non attestino la regolarità contabile, il consiglio (che non è organo con particolari richieste competenze tecniche) dovrà giustificare adeguatamente le ragioni di tale scelta. Addirittura il conto consuntivo,  approvato  in difformità dal parere espresso dai revisori dei conti, deve essere trasmesso, corredato di idonea motivazione, dal dirigente all’Ufficio scolastico regionale ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti di  competenza.

Non esistono più termini ordinatori e perentori. In caso il programma annuale non sia deliberato entro il 31 dicembre ed il conto consuntivo entro il 30 aprile, ferma la possibilità di provvedere alla gestione provvisoria nei limiti indicati dall’art. 6, il dirigente dà immediata comunicazione di tanto all’Ufficio scolastico regionale  competente  il quale nomina, entro  i dieci  giorni  successivi,  un commissario ad acta che provvede comunque all’approvazione del documento contabile entro 15 giorni dalla nomina. Insomma il consiglio che non ha compiti di controllo è chiamato a deliberare documenti di responsabilità del DS e DSGA e in caso non lo faccia, specie se in difformità del parere dei revisori, viene commissariato. Inoltre è tenuto ad  illustrare i criteri adottati per pervenire all’assorbimento di un eventuale disavanzo analizzandone le cause e definendo un piano di rientro, individuando i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio e le misure dirette ad evitare ogni ulteriore potenziale disavanzo, analizzando altresì le cause che lo hanno determinato (art. 7 comma 3). Le responsabilità previste dalla L. 20/1994  a carico di  “coloro che hanno espresso voto favorevole” all’interno dell’organo collegiale possono indurre atteggiamenti oppositivi, sebbene in realtà trattasi di responsabilità amministrativa, di natura patrimoniale, nella quale incorrono gli amministratori ed i dipendenti degli enti pubblici che, per inosservanza degli obblighi di servizio abbiano arrecato un danno diretto o indiretto all’amministrazione, mentre a mente dell’art. 41 del Testo Unico la partecipazione agli organi collegiali è gratuita e per genitori e studenti certamente avviene in assenza di esecuzione di obblighi di servizio e di connessione organica con l’amministrazione.

Difficile dire dove conduce questa partecipazione di oggi, del tempo del “consenso informato” (nota 19534 del 20.11.2018) per cui nonostante il PTOF condiviso della scuola autonoma gli studenti possono astenersi dalla frequenza (per volontà loro o dei genitori) di  “tutte le attività che non rientrano nel curricolo obbligatorio, ivi inclusi gli ampliamenti dell’offerta formativa di cui all’articolo 9 del D.P.R. n. 275 del 1999”.

Partecipare è prendere parte a qualcosa con la propria presenza, con la propria adesione, con un interessamento diretto, recando un effettivo contributo al suo compiersi, collaborare, contribuirvi anche condividendola, concorrere con altri alla sua costituzione svolgimento, non è restare nei corridoi, nei cortili, dietro un monitor, apporre la firma sotto un documento, scegliere di astenersi. In bocca al lupo a studenti e genitori della scuola di domani.

Ripensare il Patto

Prima di estendere il Patto occorrerebbe ripensarlo

di Cinzia Olivieri

Sì è parlato tanto dell’articolo 7 del testo unificato AC682 relativo all’insegnamento dell’educazione civica, approvato alla Camera il 2 maggio e trasmesso in Senato il giorno successivo (DDL S1264), rubricato (Scuola e famiglia), che recita: “1. Al fine di valorizzare l’insegnamento trasversale dell’educazione civica e di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la collaborazione con le famiglie, anche integrando il Patto educativo di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, estendendolo alla scuola primaria. Gli articoli da 412 a 414 del regolamento di cui al regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, sono abrogati”.

Questa norma nella sua formulazione desta numerose perplessità.

Non fa chiarezza la documentazione depositata in cui si spiega che il Patto educativo di corresponsabilità, è attualmente previsto solo nella scuola secondaria  e che “il 1° marzo 2018 il MIUR aveva comunicato che la proposta di revisione del patto di corresponsabilità educativa sottoscritta all’unanimità dal FONAGS, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola – che sarebbe stata oggetto di confronto con tutti gli attori a vario titolo coinvolti e con il Forum delle studentesse e degli studenti – prevedeva, fra l’altro, l’estensione dello stesso anche alla scuola primaria”. Tale passaggio richiama un comunicato stampa emesso all’esito di un complesso lavoro, durato oltre un anno, di un gruppo composto da diverse componenti tra cui, oltre i genitori, studenti, docenti, dirigenti, esperti, che aveva operato in maniera fattiva e condivisa sulla revisione dell’intera struttura del DPR 249/98 come modificato dal DPR 235/07, analizzandone tutti i punti di debolezza, in particolare quelli relativi al Patto, ed il cui nuovo testo era stato ultimato e sottoposto all’attenzione dell’ufficio legislativo.

L’art. 5-bis del DPR 249/1998, aggiunto dall’art. 3 del DPR 235/2007, che ha introdotto  il patto educativo di corresponsabilità, figlio del Contratto formativo della vecchia “Carta dei Servizi” (DPCM 7 giugno 1995), costituisce infatti solo una delle disposizioni dello “Statuto delle Studentesse e degli Studenti”, nelle intenzioni del gruppo esteso anche alla scuola primaria, ma sicuramente rappresenta la disposizione su cui in particolare si è concentrato il lavoro di revisione, essendo tra quelle che presentavano maggiori criticità. Approvata nel 2007, in un momento di particolare emergenza educativa, sì è rivelata infatti poi priva di sostanziale efficacia e per taluni aspetti superata. Basti pensare che con l’attuale sistema di iscrizione online la sottoscrizione è normalmente sostituita da spunta nell’area riservata alle istituzioni scolastiche.

La modifica del 2007 era finalizzata ad un inasprimento delle sanzioni (pure opinabile quanto ai risultati) ed a ricordare ai genitori che  “in presenza di gravi episodi di violenza, di bullismo o di vandalismo, per eventuali danni causati dai figli a persone o cose durante il periodo di svolgimento delle attività didattiche, …, in sede di giudizio civile, potranno essere ritenuti direttamente responsabili dell’accaduto, anche a prescindere dalla sottoscrizione del Patto di corresponsabilità, ove venga dimostrato che non abbiano impartito ai figli un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti. Tale responsabilità, riconducibile ad una colpa in educando, potrà concorrere con le gravi responsabilità che possono configurarsi anche a carico del personale scolastico, per colpa in vigilando …” (dalla nota del 2008).

Insomma, almeno testualmente più che di corresponsabilità sembra parlarsi di richiamo alle reciproche responsabilità e piuttosto che esortare all’alleanza si evoca il conflitto.

Al di là dei frequenti idealistici ed appassionati richiami, il “patto” è scritto su un foglio elettronico ma non nelle coscienze delle parti…e le testimonianze sono giornaliere. Perché non è sufficiente a sancire un’alleanza una firma o una spunta sotto un formulario già predisposto in maniera non condivisa, non frutto di reali e consapevoli accordi tra le parti, che non nasce da un reale procedimento di elaborazione e revisione condivisa. Tale procedura dovrebbe essere disciplinata da ogni istituzione nel proprio regolamento interno, il quale (art. 1 DPR 235/07 che ha modificato l’art. 4 del DPR 249/98) individua altresì i comportamenti che configurano mancanze disciplinari, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento.

Con una nota del 31 luglio 2008 dell’allora Ministro Gelmini è stato già chiarito che per gli alunni della scuola elementare risulta ancora vigente il Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1927, salvo per le disposizioni da ritenersi abrogate per incompatibilità con la disciplina successiva ed “attualizzazione” di quelle sopravvissute tramite applicazione delle regole generali sull’azione amministrativa derivanti dalla L. n 241/1990,

Gli articoli che l’art. 7 summenzionato ora formalmente abroga, riguardano la tipologia delle sanzioni disciplinari, le modalità di irrogazione e l’impugnativa, da intendersi sostanzialmente già abrogate per incompatibilità con la disciplina successiva (basti solo pensare alle storiche figure professionali dell’art. 413 ed alla mancanza delle tutele previste dalla L 241/90).

Nella consapevolezza di tanto e per estendere garanzie ai più piccoli nell’affermazione del valore educativo e non meramente afflittivo della sanzione, il gruppo di lavoro aveva previsto, per quanto compatibile, l’estensione di tutto il decreto alla primaria, rimettendo le sanzioni al regolamento che, com’è noto, deve essere deliberato dal consiglio di istituto.

Pertanto appare quanto mai opportuna una rielaborazione di questo articolo.

Invero per rafforzare la collaborazione con le famiglie va in primo luogo modificato il patto educativo superandone le molteplici criticità lungamente evidenziate e non può ritenersi bastevole estenderlo così com’è alla primaria. Peraltro il Patto, in quanto richiama ai diritti e doveri dello statuto, è sottoscritto anche dallo studente nella secondaria. Quindi occorre prevedere opportune distinzioni dello “Statuto” nei vari gradi e ordini di scuola, realizzando il maggiore coinvolgimento possibile di genitori e  studenti nella elaborazione del regolamento interno e del Patto se si vuole davvero sensibilizzare alla cittadinanza responsabile.

Magari ci si potrebbe ricordare di un lavoro già fatto senza dover riscrivere ciò che è stato già scritto e dimenticato.

Possibile riforma degli organi collegiali: di istituto o territoriali?

Possibile riforma degli organi collegiali: di istituto o territoriali?

di Cinzia Olivieri

Il 28 febbraio è stata annunciata l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di dieci disegni di legge di delega al Governo per le semplificazioni, i riassetti normativi e le codificazioni di settore.

Tra gli obiettivi in materia di istruzione, oltre alla razionalizzazione, anche attraverso fusioni o soppressioni, di enti, agenzie, organismi e riduzione del numero di componenti degli organi collegiali degli enti sottoposti alla vigilanza del Ministero,  la revisione della  “disciplina degli organi collegiali territoriali della scuola, in modo da definirne competenze e responsabilità, eliminando duplicazioni e sovrapposizione di funzioni, e ridefinendone la relazione rispetto al ruolo, competenze e responsabilità dei dirigenti scolastici, come attualmente disciplinati”, il tutto nel rispetto del principio di autonomia scolastica.

La bozza di schema di disegno di legge diffusa a dicembre 2018 riportava invece una formulazione priva dell’aggettivo “territoriali”. Sarà per questo che si parla in genere di prossima riforma degli organi collegiali di istituto, con riferimento ai quali effettivamente si è da tempo rappresentata la necessità di armonizzazione con le competenze e responsabilità dei dirigenti scolastici.

In realtà solo i nostalgici della partecipazione hanno memoria degli storici organi collegiali territoriali (consigli scolastici distrettuali, provinciali e Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione), di cui sopravvive soltanto il  (nuovo) CSPI, eletto nel 2015  in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato 834/15.

È utile ricordare che, come previsto dall’art. 21 L 59/1997, il  Dlgs 233/99 aveva introdotto i nuovi organi collegiali territoriali: consigli scolastici locali e regionali e, appunto, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che dovevano sostituire i vecchi “con effetto della costituzione dei nuovi organi” (art. 8  Dlgs 233/99 modificato dalla L 463/01), mai avvenuta.

Infatti, con la riforma del Titolo V, è stata messa in discussione la coerenza di tale disposizione al nuovo assetto costituzionale ma, ancora in vigore il Testo Unico, dapprima la CM 192/00 riconosceva la possibilità di indire solo eventuali elezioni suppletive per i territoriali e successivamente la CM  141/01 le escludeva del tutto e definitivamente. Così i consigli distrettuali e provinciali (che peraltro prevedevano la partecipazione di genitori e studenti), svuotati progressivamente di competenze e risorse, cadevano nell’oblio; erano costituiti i Forum Nazionali delle Associazioni degli studenti e dei genitori; e solo il CNPI era prorogato di anno in anno fino al 2012. Il Consiglio di Stato,  intervenuto nel contenzioso amministrativo incardinatosi a seguito della sua mancata proroga, proprio con riferimento alla dedotta circostanza che l’organismo previsto dal Dlgs 233/99 avrebbe violato la ripartizione delle competenze stabilite dalla riforma costituzionale del titolo V, affermava correttamente che  l’Amministrazione “non può rifiutarsi di applicare una norma legislativa” per un “presunto vizio di legittimità” in merito al quale può pronunciarsi solo la Corte Costituzionale. Tuttavia la norma è stata applicata solo limitatamente al CSPI.

Quali potranno essere i possibili scenari sul piano partecipativo a livello di singola istituzione scolastica?

Senza ribadire le criticità manifestate in questi anni, nonostante l’auspicabile e condivisibile finalità, le cronache rivelano le difficoltà di mediazione nel rapporto scuola famiglia da parte degli organi collegiali.

Lo attesta la recente ordinanza cautelare del Tar Lazio 1524/2019del 6.3.2019che ancora una volta, mentre si attende la decisione della Cassazione, ha riconosciuto sussistente il fumus boni iuris e quindi  il diritto degli alunni di consumare presso il locale refettorio della scuola il cibo portato da casa, richiamando i precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato n. 5156/2018).

In questo caso oggetto di impugnativa è stata anche una norma di regolamento della scuola che, ai sensi dell’art. 10 Dlgs 297/94, è deliberato dal Consiglio di istituto. Nonostante i precedenti autorevoli ed i reiterati riconoscimenti del diritto, si è reso necessario ricorrere nuovamente alla giustizia. Il dialogo e la corresponsabilità ne escono perdenti e ciò conferma che  la scuola ha bisogno di partecipazione.

Il gruppo che aveva lavorato nella scorsa legislatura sulle modifiche al “patto” ed alla riforma della rappresentanza aveva proposto un modello di ampio coinvolgimento, proprio nell’ottica di superare l’azione individuale e condividere gli interventi educativi. Ma non si è dato seguito.

Comunque, se la notizia della riforma non pare turbare eccessivamente al momento genitori e studenti (anche perché annunciata da anni ad ogni legislatura) la circostanza che si parli per gli altri organismi di soppressioni, fusioni, riduzioni non lascia ben sperare. A maggior ragione laddove in VII^ Commissione Senato risulta presentato il DDL S.155, che sostanzialmente ripropone lo storico testo unificato del DDL S3542,  ed in VII^ Commissione Cultura Camera con il PdL C697 è effettuato il recupero della ex PdL 953Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”, presentata nel lontano  2008. In nessun caso le prerogative degli organi collegiali verrebbero potenziate.

Induce poi a riflettere la circostanza che da quasi un ventennio resta il commissario straordinario negli istituti omnicomprensivi, nonostante la CM 192/2000 l’avesse rappresentata come una soluzione transitoria  “in attesa delle istruzioni che questo Ministero si riserva di diramare non appena acquisito il parere del Consiglio di Stato in merito alla corretta ripartizione dei seggi tra le varie componenti”. Ma non si sono più avute notizie in merito ed ancora nella circolare elezioni di ottobre 2018 si legge che “continuerà ad operare il commissario straordinario, non essendo ancora intervenuta una soluzione normativa circa la composizione dl consiglio di istituto delle scuole in questione”. Che abbia costituito una sorta di sperimentazione di un modello essenziale di partecipazione a cui ispirarsi?

Ai posteri la risposta.

Programma annuale 2019

Programma annuale 2019: nuovo regolamento e competenze del Consiglio di Istituto

di Cinzia Olivieri

La nota n. 3410 del 22.11.2018 ha fornito disposizioni per risolvere ogni dubbio riguardo a termini e procedure per l’approvazione del Programma Annuale 2019 in questa fase transitoria. Infatti il DI n. 129/2018 è entrato in vigore il 17 novembre, tuttavia, ai sensi dell’art. 55, comma 2, fino all’esercizio finanziario successivo, ovvero a partire dal 1° gennaio 2019 si applicano le disposizioni del DI 44/2001, con la sola eccezione dei casi previsti dal comma 3 per i quali già opera il nuovo regolamento di contabilità e cioè:

  • procedure e contratti i cui bandi o gli avvisi siano stati pubblicati successivamente al 17 novembre 2018;
  • contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, procedure e contratti per i quali gli inviti a presentare le offerte siano inoltrati successivamente al 17 novembre 2018.

La questione relativa alle scadenze previste per l’approvazione del programma annuale ed all’applicazione della relativa normativa non costituisce certo un cavilloso ed inutile sofisma giuridico, ma argomento che dovrebbe interessare tutte le componenti impegnate nel procedimento.

Si rammentano a tal proposito l’art. 1 L. 20/1994 e l’art. 24 Dpr 3/1957 che disciplinano la responsabilità amministrativa degli organi collegiali.

Con riferimento ai bandi ed avvisi, ai sensi dell’art. 46 del nuovo regolamento, per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, le istituzioni scolastiche, come  disposto dal Dlgs 50/2016,  ricorrono agli strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, messi a disposizione da Consip S.p.A. Fermo l’obbligo di acquisizione in forma centralizzata le istituzioni scolastiche possono, altresì, espletare procedure di affidamento in forma associata attraverso reti di scuole o in via autonoma.

L’art. 40 del Dlgs 50/2016 ha stabilito a decorrere dal 18 ottobre 2018 l’obbligo di uso dei mezzi di comunicazione elettronici da parte delle stazioni appaltanti nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione, in applicazione dell’art. 22 della direttiva comunitaria 2014/24/EU. Tale articolo va coordinato con il successivo art. 52 Dlgs 50/2016 per il quale “le stazioni appaltanti  non sono obbligate a richiedere mezzi di comunicazione elettronici nella procedura di presentazione dell’offerta” nelle ipotesi elencate e motivando la deroga.

Lo svolgimento dell’attività contrattuale è di oggettivo interesse per i consiglieri dal momento che (Art. 48) i contratti e le convenzioni conclusi sono messi a  disposizione del Consiglio d’istituto, sono pubblicati nel Portale unico dei  dati della scuola, nonché inseriti  nel  sito  internet  dell’istituzione medesima, sezione amministrazione trasparente. Inoltre il dirigente aggiorna semestralmente il Consiglio d’istituto in merito ai contratti affidati dall’istituzione scolastica nel periodo di riferimento e agli altri profili di rilievo inerenti all’attività negoziale. Il diritto di accesso è assicurato e “il rilascio delle  copie  della  documentazione  in  favore  dei membri del Consiglio d’istituto e degli altri organi dell’istituto è gratuito ed è subordinato ad una richiesta nominativa e motivata”.

 

Tornando alla nota del 22 novembre, che segue quella del 31 ottobre 2018, prot. n. 21617, essa tranquillizza sulla  tempistica per la  predisposizione ed approvazione del Programma Annuale relativo all’esercizio finanziario 2019, derogando i termini stabiliti dal DI 44/2001, che si applica  per tutto l’esercizio 2018, al fine di consentire l’utilizzo dei nuovi schemi di bilancio disponibili da gennaio 2019. Infatti, superando le scadenze perentorie, entro il 28 febbraio 2019 la Giunta esecutiva (che conserva tale competenza) dovrà sottoporre il Programma Annuale 2019 (che per il nuovo regolamento è predisposto dal dirigente con la collaborazione del D.S.G.A. per la parte economico-finanziaria) e la relazione illustrativa al Consiglio d’Istituto per l’approvazione ed all’esame dei revisori dei conti, i quali entro il 15 marzo 2019, dovranno rendere il parere di regolarità amministrativo-contabile che potrà essere acquisito anche con modalità telematiche. Anche in caso di mancata acquisizione di tale parere entro il 15 marzo 2019, il Consiglio d’Istituto dovrà provvedere all’approvazione del Programma Annuale.

Se nonostante il parere non favorevole dei revisori per rilevata mancanza di regolarità contabile il Consiglio di istituto lo approvi senza recepirne le osservazioni, dovrà fornire adeguata motivazione.

In caso di mancata approvazione nel termine del 15 marzo il Dirigente Scolastico, il successivo primo giorno lavorativo, ne darà comunicazione all’USR che entro dieci giorni nominerà un commissario ad acta per l’approvazione del programma entro quindici giorni dalla sua nomina.

Nelle more, i dirigenti  provvederanno alla gestione provvisoria, dal 1° gennaio 2019 fino all’approvazione, nel limite di un dodicesimo, per ciascun mese, degli stanziamenti di spesa definitivi del Programma Annuale, regolarmente approvato, relativo all’esercizio finanziario 2018.

Tanto vale anche per chi avesse già provveduto a predisporre ed approvare il Programma Annuale 2019, al fine di  garantire l’allineamento tra Programma annuale 2019 e relativo Consuntivo.

Peraltro praticamente la redazione di quest’ultimo, salvo cambiamenti, dovrebbe essere praticamente quasi contestuale all’approvazione del primo.

Infatti a norma dell’art. 23 il consuntivo è predisposto dal D.S.G.A. entro il 15 marzo dell’esercizio finanziario successivo a quello cui si riferisce (precisazione utile per le componenti del consiglio), corredato di relazione sull’andamento della gestione e sui risultati conseguiti in relazione agli obiettivi programmati, che deve altresì specificare le finalità e le voci di spesa cui sono stati destinati i fondi eventualmente acquisiti con il contributo volontario delle famiglie, nonché quelli derivanti da erogazioni liberali. È  sottoposto dal dirigente entro la stessa data all’esame dei revisori dei conti che esprimono il proprio parere entro il successivo 15 aprile e quindi trasmesso al Consiglio d’istituto, che lo approva entro il 30 aprile dell’esercizio successivo a quello cui si riferisce. Se il conto consuntivo è approvato in difformità dal parere dei revisori è trasmesso entro il 10 giugno, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti di competenza, dal dirigente all’USR, unitamente ad una dettagliata relazione che motivi l’approvazione in difformità. In caso di mancata approvazione nei termini, il dirigente scolastico ne dà comunicazione immediata ai revisori dei conti e all’USR, che nomina, entro i dieci giorni successivi alla comunicazione, un commissario ad acta che vi provvede entro quindici giorni dalla nomina. Il consuntivo è pubblicato  nel Portale unico dei dati della scuola, nonché nel sito dell’istituzione medesima, sezione amministrazione trasparente, entro quindici giorni dall’approvazione.

Tra i nuovi compiti del Consiglio di istituto con riferimento all’approvazione del programma annuale, l’art. 7 dispone che nel programma annuale è  iscritto  l’avanzo o il disavanzo di amministrazione presunto  al  31  dicembre dell’esercizio precedente cui il bilancio si riferisce ed il Consiglio d’istituto, nella sua deliberazione, deve illustrare i criteri  adottati  per  pervenire  all’assorbimento di detto disavanzo di amministrazione.

Inoltre (Art. 8) nel programma annuale deve essere iscritto,  tra  le  spese,  un fondo di riserva da utilizzare per aumentare gli stanziamenti insufficienti per spese impreviste ed eventuali maggiori spese, i prelievi dal quale sono disposti dal dirigente scolastico e comunicati al Consiglio d’istituto  nella prima riunione  utile  per  la  conseguente  modifica  del  programma annuale.

Per questi ed ulteriori motivi il nuovo regolamento non dovrebbe essere conosciuto solo dal DS e dal DSGA ma da tutti i rappresentanti eletti nel consiglio di istituto.

Keep Calm and PTOF

Nota sul “consenso informato”… Coinvolgimento delle famiglie e “nuova” proposta Aprea: “Keep calm and PTOF”

di Cinzia Olivieri

 

La nota del 20 novembre sul PTOF

La nota congiunta prot. n.19534 del 20 novembre dalla Direzione Generale Ordinamenti e dalla Direzione Generale per lo studente è intervenuta, come dichiarato, per rispondere ai quesiti in merito alla tempistica con cui il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) deve essere approvato e comunicato alle famiglie ed alle modalità con le quali queste “devono esprimere il consenso, ove occorra”, alla partecipazione alle attività extracurricolari.

Essa giunge a breve distanza da quella della Direzione Generale Ordinamenti (ivi richiamata) del 16 ottobre Prot. n. 17832 del 16.10.2018, che ha individuato una più adeguata tempistica per la predisposizione del PTOF (rispetto alla prevista scadenza del 31 ottobre), coincidente con la data di apertura delle iscrizioni, ribadendone l’importanza quale documento di progettualità scolastica e strumento di comunicazione tra la scuola e la famiglia reso disponibile attraverso il proprio sito e pubblicato su “Scuola in Chiaro”.

Si ripropongono le questioni relative al “consenso informato” relativamente in particolare ai cosiddetti “progetti gender”, in merito a cui era già intervenuta la nota Prot. n. 1972 del 15/09/2015 del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione a chiarimento dell’art. 1 comma 16 L 107/2015, il quale promuove principi di pari opportunità all’interno del PTOF rinviando a quanto già disposto dall’articolo 5, comma 2, DL n.93/2013, convertito dalla L. 119/2013 contenente misure contro la violenza di genere (con particolare riguardo al femminicidio) e le discriminazioni.
Ebbene, la nota del 20 novembre non introduce una nuova disposizione sul consenso informato.

Ciò in primo luogo per l’evidenza giuridica che nulla di innovativo può essere introdotto con una nota che, come hanno ribadito tanto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 567/17 quanto la Cassazione con la sentenza n. 6185 del 10.3.2017, non costituisce fonte del diritto ma semplice atto ad uso interno, prevalentemente a scopo interpretativo o informativo.
Perciò il quadro normativo non cambia.

L’autonomia è estranea all’idea di scuola “a la carte”, in cui ognuno ordina a volontà scegliendo solo il secondo perché il primo appesantisce, e l’istruzione non dovrebbe essere assimilata ad un trattamento sanitario di cui essere informati in considerazione dei rischi e dei possibili effetti collaterali.

La comunità scolastica non è quel luogo in cui è in atto uno scontro titanico tra forze predefinite del male e del bene. Le famiglie hanno sensibilità ed esigenze diverse che la scuola che integra nella sua autonomia è chiamata a mediare.

E laddove si richiama la libertà di scelta educativa occorre ricordare quanto espresso con autorevole chiarezza dalle Sezioni Unite della Cassazione con l’Ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2656. Riconoscendo la competenza del tribunale amministrativo nel regolamento di giurisdizione proposto dal genitore di un alunno di scuola primaria di un comprensivo della provincia di Laives (Bolzano), che aveva convenuto la scuola davanti al tribunale ordinario affinché dichiarasse che l’istituto non aveva “diritto di svolgere lezioni di educazione sessuale in classe senza il consenso dei genitori …. e che quindi si vietasse lo svolgimento di tali lezioni durante l’orario dell’obbligo, con condanna al risarcimento del danno nel caso di avvenuta effettuazione”, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la sua granitica decisione, ha sostanzialmente riconosciuto la legittimità dell’operato scolastico. Quanto alla tesi difensiva, che invocava i principi costituzionali degli articoli 29 e 30 Cost, ha ritenuto che essa “non considera che il diritto fondamentale dei genitori di provvedere alla educazione ed alla formazione dei figli trova il necessario componimento con il principio di libertà dell’insegnamento dettato dall’art. 33 Cost. e con quello di obbligatorietà dell’istruzione inferiore affermato dall’art. 34 Cost. Il quadro costituzionale di riferimento pone con chiarezza, in relazione al processo formativo degli alunni della scuola pubblica, una esigenza di bilanciamento e coordinamento tra i diritti e doveri della famiglia e quelli della scuola, i quali peraltro trovano esplicazione nell’ambito dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”.

Per l’effetto è “certamente ravvisabile un potere della amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell’approccio alla materia sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori”.

 

Coinvolgimento delle famiglie e “nuova” proposta di legge Aprea

La nota ribadisce che per la elaborazione del PTOF la scuola deve altresì prendere “in considerazione le proposte e i pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti”, come previsto dall’art. 3 del DPR 275/99 modificato dalla L 107/2015 e che al fine di garantire una scelta consapevole il “PTOF deve, necessariamente, essere predisposto antecedentemente alle iscrizioni”.
Per l’effetto la libertà di scelta educativa si esplica al momento dell’iscrizione. Successivamente si apre un rapporto dialogico con la scuola, propositivo e non impositivo, aperto a tutte le sensibilità, appartenendo ormai alla storia la secessione dell’Aventino.
I conflitti, si sa, non procurano cose buone.

Occorre aggiungere che proprio riguardo alle modalità, anche tempistiche, di coinvolgimento delle famiglie, al fine e garanzia del coinvolgimento nella elaborazione e della conoscenza del piano (oltre che del patto di corresponsabilità educativa) aveva lavorato, in una composizione allargata e di ampio coinvolgimento, in sinergia tra tutte le componenti, coordinato dalla Direzione dello studente, il gruppo di lavoro istituito nella precedente legislatura, per la riforma della rappresentanza, che aveva presentato un testo di modifica del Dpr 249/98 come già modificato ed integrato dal Dpr 235/07 (Statuto delle studentesse e degli studenti). Purtroppo né il gruppo è stato più riunito né si è dato seguito a quanto già definito.
È stato reso noto invece il testo della proposta di legge n. 697 “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti” presentata dall’On.le Aprea ed assegnata alla VII Commissione Cultura in sede Referente il 7 novembre 2018, che in pratica ripropone la famosa PDL 953 di riforma degli organi collegiali, con tutti i suoi contenuti: trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni; consiglio di amministrazione in luogo del consiglio di istituto; scomparsa dei consigli di classe.
Ai genitori è garantito il diritto di riunione e di associazione ed il regolamento di istituto PUÒ stabilire altre forme di partecipazione dei genitori (a cui sono estese le opportunità dello Statuto) e degli studenti.
Chissà se ne coglieranno le implicazioni.

 

Il curricolo nelle indicazioni nazionali

La nota afferma poi che dovranno essere portate a conoscenza di genitori e studenti, in particolare, quelle attività didattiche “che prevedano l’acquisizione di obiettivi di apprendimento ulteriori rispetto a quelli di cui alle indicazioni nazionali di riferimento”.
In merito occorre esprimere qualche perplessità.
Infatti nelle premesse alle indicazioni nazionali (2012) per il curricolo nel primo ciclo, ad esempio, si legge che “Le discipline e le vaste aree di cerniera tra le discipline sono tutte accessibili ed esplorate in mille forme attraverso risorse in continua evoluzione.”

Ed ancora: “Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate”. Insomma gli obiettivi di apprendimento appaiono estremamente vasti, così come quelli che la scuola è chiamata a realizzare, tanto che è difficile identificare gli “ulteriori”.

Prosegue poi la nota: “La partecipazione a tutte le attività che non rientrano nel curricolo obbligatorio, ivi inclusi gli ampliamenti dell’offerta formativa di cui all’articolo 9 del D.P.R. n. 275 del 1999, è, per sua natura, facoltativa e prevede la richiesta del consenso dei genitori per gli studenti minorenni, o degli stessi se maggiorenni. In caso di non accettazione, gli studenti possono astenersi dalla frequenza. Al fine del consenso, è necessario che l’informazione alle famiglie sia esaustiva e tempestiva”.

Ebbene, il DPR 275/99 disciplina all’art. 8 il curricolo obbligatorio costituito dalla quota nazionale e dalla quota riservata alle scuole che comprende le discipline e le attività da esse (cioè dalle istituzioni scolastiche) liberamente scelte.

“Il curricolo di istituto è espressione della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto” e definisce tra l’altro, oltre agli obiettivi di apprendimento, “le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale” e “l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche”.

Il successivo art. 9 contempla l’ampliamento dell’offerta formativa, consistente “in ogni iniziativa coerente con le” finalità dell’istituzione scolastica. Tali “discipline e attività facoltative” (in primo luogo per la scuola, nel senso che la scuola può scegliere di realizzarle) sono destinate ad arricchire il curricolo e dunque ne costituiscono anche parte ove previste.

Coordinando il tutto, quindi, in sintesi si può affermare che per curricolo obbligatorio si intende, ad esempio, 990 ore nella scuola secondaria di primo grado, corrispondente al “tempo normale”.
L’ampliamento dell’offerta è anche ampliamento di quel curricolo.
Per l’effetto il consenso da acquisire riguarda in particolare la frequenza ad attività che si svolgono al di fuori del curricolo obbligatorio, cioè fuori dal tempo scuola. Cosa che di fatto avviene. Extracurricolare significa fuori dal curricolo, cioè dall’orario obbligatorio.

Il PTOF rappresenta l’offerta – curricolare ed extracurricolare – della scuola in base alla quale le famiglie operano le proprie scelte educative al momento dell’iscrizione. Se si realizzano successivamente attività diverse e ulteriori, sia in orario curricolare che extracurricolare, le famiglie sono informate. È prevista l’adesione tra l’altro, anche in orario curricolare, ad uscite didattiche ed a quelle attività che “richiedano un contributo economico da parte delle famiglie”, che la nota congiunta invita a limitare ovvero ad organizzare adottando correttivi o misure dispensative.

È ovvio che tra queste non possono intendersi ricomprese quelle laboratoriali negli istituti tecnici e professionali che costituiscono parte essenziale del curricolo obbligatorio di cui all’art. 8 DPR 275/99, anche in considerazione della circostanza che gli art. 153, commi 1 e 2, del R.D. 969/1924 n. e l’art. 53 del R.D.L. 749/1924 non risultano abrogati.

In conclusione il vero entusiasmo per la vittoria riserviamolo ad una scuola libera ed accessibile senza discrimine, che non punisca ma educhi all’autodeterminazione, ispirandosi a valori autentici di cittadinanza nel rispetto della pluralità e della diversità.
E poiché siamo ormai prossimi al termine di scadenza: “keep calm & PTOF”

Può invalidarsi il procedimento elettorale?

Può invalidarsi il procedimento elettorale?

di Cinzia Olivieri

Si sta concludendo nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado il definito “rito stanco” delle elezioni per il rinnovo dei consigli di istituto giunti a scadenza ovvero delle suppletive.
All’indifferenza che accompagna il procedimento in ormai numerosissime scuole, con insignificante e poco interessata presenza, si contrappongono casi virtuosi come quello di un istituto comprensivo di Boscoreale dove hanno votato circa 400 genitori o altri in cui i candidati, a prescindere dall’affluenza e lamentando vere o presunte irregolarità, auspicano l’annullamento dell’intera procedura per modificare per questa via il risultato.
Ebbene l’ordinanza ministeriale non appare prevedere tale ipotesi e neanche quella di un eventuale rinnovo straordinario delle elezioni.
Un caso tuttavia può ricorrere ad esempio laddove non risultino presentate liste di candidati oppure allorquando si rendono inutili le elezioni come per l’art. 17 comma 4 (per i convitti ed educandati) per cui ove gli insegnanti in servizio siano non superiori a sei per cui tutti fanno parte di diritto del consiglio, ovvero per l’art. 6 (parte II relativa al consiglio di classe, interclasse, intersezione sebbene il testo appaia avere carattere generale) “8. Nei casi in cui il numero degli elettori di un qualsiasi organo collegiale sia inferiore o pari al numero dei posti da coprire, tutti gli elettori fanno parte di diritto dell’organo collegiale di cui trattasi, ed i posti eventualmente non attribuiti rimangono scoperti”.
Il ministero con la sua circolare annuale fissa il termine delle operazioni e gli uffici regionali individuano le date, anche delle suppletive. I dirigenti formalmente le indicono avviando le procedure. Il procedimento è spiegato nell’ordinanza 215/91 e tutti possono conoscerlo verificando la regolarità delle singole fasi. Dunque il difetto di informazione non appare di rilevanza invalidante.
È l’ordinanza che in diversi momenti del procedimento contempla la possibilità di ricorrere per la risoluzione di eventuali irregolarità.
L’art. 28 disciplina i ricorsi alla commissione elettorale contro l’erronea compilazione degli elenchi degli elettori, entro il termine perentorio di 5 giorni dalla data di affissione all’albo dell’avviso di avvenuto deposito degli elenchi stessi. La commissione decide entro i successivi 5 giorni, sulla base della documentazione prodotta e di quella acquisita d’ufficio. Quindi gli elenchi definitivi, previa informativa all’albo, sono rimessi ai seggi elettorali allorquando si insediano e dati in visione a chiunque ne faccia richiesta.
In sintesi si propone il ricorso, la commissione lo verifica, provvede alle correzioni e rimette gli elenchi al seggio dandone informazione.
L’art. 34 contempla la regolarità delle liste. La commissione elettorale provvede a ridurre le liste che contengano un numero di candidati superiore al massimo consentito nonché a cancellare i nominativi dei candidati eventualmente inclusi in più liste e non tiene conto delle firme dei presentatori che abbiano sottoscritto altre liste presentate in precedenza. Qualora all’esito i presentatori risultino in numero inferiore a quello richiesto e nell’eventualità di ogni altra irregolarità riscontrata nelle liste, è affisso avviso all’albo con invito alla regolarizzazione entro tre giorni e comunque non oltre il terzo giorno successivo al termine ultimo di presentazione. La decisione è pubblicata entro 5 giorni dalla scadenza di detto termine e può essere impugnata entro due giorni dall’affissione con ricorso al “Provveditore agli Studi” (da intendersi ormai al direttore generale dell’ufficio regionale) che è deciso nei successivi due giorni. Le liste definitive sono affisse all’albo e quindi inviate ai seggi elettorali all’atto del loro insediamento.
A questo punto la fase preelettorale si è cristallizzata.
Dolo le votazioni si può ricorrere alla commissione (Art. 46) avverso i risultati delle elezioni entro 5 giorni dall’affissione degli eletti proclamati. La commissione elettorale decide entro 5 giorni dalla scadenza del termine sopra indicato, all’esito evidentemente provvedendo a correggere il risultato.
L’intero procedimento appare governato da un principio generale del nostro ordinamento che è quello di conservazione e della salvezza di atti e procedure.
Per questo ad esempio nell’esecuzione delle operazioni di scrutinio (art. 43) si deve cercare di interpretare la volontà dell’elettore, … in modo da procedere all’annullamento delle schede soltanto in casi estremi e quando sia veramente impossibile determinare la volontà dell’elettore (es: voto contestuale per più liste, espressione contestuale di preferenze per candidati di liste diverse) o quando la scheda sia contrassegnata in modo tale da rendere riconoscibile l’elettore stesso”. Dunque l’annullamento rappresenta l’extrema ratio.
Ma come può accadere che non si possa salvare il voto di una scheda, così sia impossibile determinare il risultato elettorale (ad esempio perché risultano un numero sensibile di schede superiore a quello dei votanti tale da influire in maniera determinante sul risultato elettorale).
Cosa accade in questi casi?
In assenza di chiare ed espresse indicazioni dell’ordinanza, deducendo dal sistema così delineato, la commissione elettorale dovrebbe limitarsi ad accertare i fatti ed a concludere per l’impossibilità di proclamare il risultato elettorale.
Le decisioni conseguenti dovrebbero essere adottate dal dirigente o dall’USR secondo competenza.
Occorre ricordare a questo punto che se l’annullamento dovesse riguardare una o più componenti per l’art. 37 del Dlgs 297/94 (analogamente è previsto anche dall’ordinanza ministeriale): 1. L’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza quanto meno fino alle suppletive dell’anno successivo e per l’art. 50 dell’OM 215/91 comma 2: “I consigli di circolo o di istituto possono funzionare anche se privi di alcuni membri cessati per perdita dei requisiti, purché quelli in carica non siano inferiori a tre, in attesa dell’insediamento dei nuovi eletti” ed è sempre possibile nelle more procedere alla nomina di un commissario straordinario ai sensi dell’art. 9 CM 177/1975.

Nuovo regolamento di contabilità e regime transitorio

Nuovo regolamento di contabilità e regime transitorio

di Cinzia Olivieri

È stato appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.267 del 16.11.2018 il Decreto Interministeriale n. 129 “Regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 1, comma 143, della legge 13 luglio 2015, n. 107”, sottoscritto il 28 agosto 2018 dai Ministri Bussetti (MIUR) e Tria (MEF) e registrato alla Corte dei Conti il 9 novembre 2018, che è entrato in vigore il 17.11.2018.

Qualche novità era già stata anticipata, tuttavia è inevitabile la giustificata apprensione in considerazione della scadenza per l’approvazione del programma annuale 2019.

Peraltro con l’anno scolastico 2018-2019 si è concluso il primo triennio del PTOF e, per effetto dell’art.1, comma 12 della L. 107/2015, entro il mese di ottobre 2018 avrebbe dovuto essere predisposto il nuovo Piano Triennale dell’Offerta Formativa relativo al triennio 2019-2022.

Il Ministero tuttavia ha chiarito che la data di scadenza del 31 ottobre rappresenta un termine ordinatorio e quindi può essere differita alla data di avvio delle iscrizioni, che quest’anno coincide con il termine delle festività natalizie (7 gennaio).

Il collegamento tra Piano dell’Offerta Formativa e programma annuale era già espressamente sancito all’art. 2 del DI 44/01, per il quale nella relazione con cui il dirigente propone il programma “sono illustrati gli obiettivi da realizzare e la destinazione delle risorse in coerenza con le previsioni del piano dell’offerta formativa (P.O.F.)”.

Anche per il PTOF, nel decreto 129/2018, al primo comma dell’articolo 4 del Capo II dedicato al programma annuale si legge: “La gestione finanziaria delle istituzioni scolastiche si svolge in base al programma annuale redatto in termini di competenza ed in coerenza con le previsioni del P.T.O.F.”. Dunque si conferma ovviamente la coerenza tra programma e piano.

Con nota ministeriale Prot. n. 21617 del 31.10.2018, in considerazione della imminente pubblicazione del nuovo Regolamento, “le cui disposizioni si applicheranno a partire dall’esercizio finanziario successivo a quello della loro entrata in vigore” sono stati prorogati “i termini previsti dal vigente Regolamento di contabilità di cui all’art. 2 comma 3 del D.I. 44/2001, in merito alla predisposizione ed approvazione del Programma Annuale relativo all’esercizio finanziario 2019”.

Precisa altresì la suddetta nota che tale proroga è stabilita eccezionalmente “al fine di consentire alle Istituzioni scolastiche di utilizzare i nuovi schemi di bilancio che saranno messi a disposizione dallo scrivente Ministero, in conformità alle disposizioni previste dal nuovo Regolamento” annunciando ulteriori indicazioni riguardo la tempistica “per la predisposizione ed approvazione del Programma Annuale 2019” nonché riguardo la “modalità di utilizzo dei nuovi schemi”.

Circa la predetta tempistica, il DI 44/01 prevede che il programma sia “predisposto dal dirigente … e proposto dalla Giunta esecutiva con apposita relazione e con il parere di regolarità contabile del Collegio dei revisori, entro il 31 ottobre, al Consiglio d’istituto …. La relativa delibera è adottata dal Consiglio d’istituto entro il 15 dicembre dell’anno precedente quello di riferimento, anche nel caso di mancata acquisizione del predetto parere del collegio dei revisori dei conti entro i cinque giorni antecedenti la data fissata per la deliberazione stessa”. Trattasi di un termine ordinatorio, dal momento che il successivo art. 8 disciplina l’esercizio provvisorio da parte del dirigente laddove il programma, già predisposto, non sia approvato “prima dell’inizio dell’esercizio cui lo stesso si riferisce”. Ove “il programma non sia stato approvato entro 45 giorni dall’inizio dell’esercizio (termine perentorio), il dirigente ne dà immediata comunicazione all’Ufficio scolastico regionale, cui è demandato il compito di nominare, entro i successivi 15 giorni, un commissario ad acta che provvede al predetto adempimento entro il termine prestabilito nell’atto di nomina”.

È evidente che nell’attesa non dovrebbe essersi provveduto alla predisposizione del programma annuale 2019 nel termine del 31 ottobre.

L’art. 5 del decreto 129/2018 dispone: “8. Il programma annuale è predisposto dal dirigente scolastico con la collaborazione del D.S.G.A. per la parte economico-finanziaria ed è proposto dalla Giunta esecutiva, unitamente alla relazione illustrativa, entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento al Consiglio d’istituto per l’approvazione. … 9. La delibera di approvazione del programma annuale è adottata dal Consiglio d’istituto entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento”. Il 31 dicembre è da considerarsi termine perentorio dal momento che il successivo art. 6 prevede che in caso di mancata approvazione entro tale data, il dirigente provvede alla gestione provvisoria ma “entro il primo giorno lavorativo successivo alla scadenza del 31 dicembre, comunica all’Ufficio scolastico regionale competente l’avvio della gestione provvisoria. L’Ufficio scolastico regionale nomina, entro i dieci giorni successivi alla ricezione della comunicazione, un commissario ad acta che provvede all’approvazione del programma entro 15 giorni dalla nomina”. Dunque il consiglio di istituto, a cui peraltro spetta il nuovo compito in caso di disavanzo di amministrazione (art. 7 ultimo comma) di “illustrare i criteri adottati per pervenire all’assorbimento dello stesso disavanzo di amministrazione”, dovrà provvedere alla tempestiva adozione della delibera se non vuole essere commissariato per l’adempimento.

Le disposizioni transitorie e finali (art. 55 comma 1) prevedono: “1. Il presente regolamento sostituisce il regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 1° febbraio 2001, n. 44, le cui disposizioni continuano ad applicarsi fino al 31 dicembre dell’esercizio finanziario in corso alla data di entrata in vigore del presente regolamento e sono abrogate successivamente a tale data”.

Il programma dell’esercizio successivo deve essere predisposto e presentato entro la fine dell’anno relativo all’esercizio in corso che lo precede (nel caso di specie il programma 2019 entro fine esercizio 2018).

Il nuovo regolamento è entrato in vigore il 17.11.2018. Pertanto le disposizioni del DI 44/01 si applicano sino al 31 dicembre dell’esercizio finanziario 2018, in corso alla suddetta data.

Per l’effetto il programma dell’esercizio finanziario 2019 è elaborato ed approvato secondo le disposizioni del regolamento del 2001, vigente sino a fine 2018 (salva l’adozione di nuova modulistica come da nota ministeriale).

Prosegue il comma 2 dell’art. 55 “Le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano a far data dall’esercizio finanziario successivo a quello della loro entrata in vigore”.

Le norme quindi, essendo entrate in vigore il 17 novembre, durante l’esercizio finanziario 2018 entro cui si predispone il programma relativo all’esercizio 2019, si applicheranno a partire da quest’ultimo ed il consuntivo dovrebbe essere predisposto secondo il nuovo regolamento.

Resta la questione relativa all’esercizio provvisorio (ora gestione provvisoria art. 6) di cui all’art. 8 DI 44/01.

Ebbene, se al programma si applicano le norme vigenti sino al 31 dicembre 2018, dovremmo dedurre possano estendersi nella loro totalità anche alla possibilità di approvazione entro il termine perentorio di febbraio 2019 (sebbene a quella data viga il nuovo regolamento), come del resto lascerebbe intendere anche la flessibilità temporale di cui alla nota del 31 ottobre, che parla di proroga dei termini del regolamento del 2001 e non di applicazione di una nuova tempistica.

La preannunciata nota a breve dovrebbe offrire indicazioni alle scuole, dirimendo ogni residuo dubbio.

Rappresentanti degli studenti nei consigli di classe alla primaria

Rappresentanti degli studenti nei consigli di classe alla primaria

C’è ancora molto da discutere

di Cinzia Olivieri

Ad inizio della 18a legislatura, il DDLS.155 (“Disposizioni concernenti l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché la riforma dello stato giuridico dei docenti”), presentato al Senato il 23 marzo 2018 ed assegnato alla VII^ commissione il 26 giugno 2018, ha previsto una “nuova” revisione degli organi collegiali scolastici che ripropone un modello analogo ai disegni e proposte di legge degli ultimi anni, con la scomparsa peraltro dei consigli di classe (nonché interclasse ed intersezione).

Ed in effetti necessiterebbe una modifica del “Testo Unico” da quanto l’autonomia introdotta con l’art. 21 della L 59/97 ha reso inevitabile un adeguamento della governance scolastica alle funzioni e responsabilità del dirigente di cui all’art. 25 Dlgs165/01. Ma da ultimo con la L 107/2015 è stata stralciata la specifica delega.

Il 19 settembre 2018 è stato  presentato il DDLS.796(“Introduzione dell’insegnamento curricolare di educazione civica nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, allargamento della partecipazione degli studenti agli organi collegiali della scuola, nonché reintroduzione del voto in condotta”), assegnato in VII^ commissione Senato il 25 settembre 2018, che prevede in primo luogo all’articolo 1 l’introduzione dell’educazione civica come materia curricolare con un monte ore annuale di 33 ore.

L’educazione civica e/o alla cittadinanza è portata all’attenzione anche da altri disegni di legge S.610, S.303, S.233. Caratterizza quello in argomento la circostanza di prevedere, quale sostanziale momento applicativo dell’insegnamento ed educazione alla democrazia (art. 4), la rappresentanza nei consigli di classe ancheper gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, con il compito di agevolare il dialogo fra la classe e docenti”, facendosi interpreti di specifiche richieste dei compagni, anche segnalando episodi di bullismo. In realtà tale funzione è indicata nella presentazione premessa al testo che però nulla aggiunge negli specifici articoli agli attuali compiti dei consigli di classe.

Per la loro elezione è disposta espressamente l’applicazione dell’ordinanza ministeriale 215/1991, che presenta anch’essa svariati elementi di vetustà che sconsiglierebbero di farne specifica menzione nel testo normativo. 

Alla primaria l’elettorato passivo sarà riservato ai ragazzi della classe quinta, anche se anticipatari (precisazione forse superflua laddove non si accenna all’età), mentre quello attivo si applicheràagli alunni di tutte le classi.

Con l’articolo 5 si ripristina anche nel primo grado il voto in condotta in decimi, sostituito da un giudizio sintetico dal Dlgs n. 62/2017, con le previste conseguenze sulla promozione, anchequale strumento per contrastare il bullismo.

Nello specifico, l’Art. 4, rubricato: Partecipazione degli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado nei consigli di classe, propone una modifica all’art. 5 del Dlgs 297/94 per cui, ferma l’attuale composizione per la componente docente, è prevista la presenza di un rappresentante eletto dai genitori degli alunni iscritti  nella scuola materna” (lasciando sopravvivere un termine ormai desueto) mentre «nella scuola primaria, nella scuola secondaria di primo grado e», come attualmente, nella scuola secondaria superiore, due rappresentanti eletti dai genitori degli alunni iscritti alla classe, nonché due rappresentanti degli studenti, eletti dagli studenti della classe. In pratica in tutti i consigli di classe, a partire della scuola primaria, dovranno essere eletti due genitori e due studenti.

Non basta. Anche l’art. 8, che disciplina il consiglio di istituto e la giunta esecutiva (comma 7), al comma 8 è così modificato con riferimento a quest’ultima: «Nelle scuole primarie, secondarie di primo grado e negli istituti di istruzione secondaria superiore la rappresentanza dei genitori è ridotta di una unità; in tal caso è chiamato a far parte della giunta esecutiva un rappresentante eletto dagli studenti.». Dunque in giunta esecutiva ci sarebberosempre un genitore ed uno studente.

Infine l’articolo 30, che disciplina le Categorie di eleggibili nei singoli organi collegiali, al comma 3 è così modificato: «L’elettorato attivo per l’elezione dei rappresentanti degli alunni spetta agli studenti delle classi della scuola primaria, qualunque sia la loro età, mentre l’elettorato passivo spetta agli alunni che frequentano la classe quinta anche se anticipatari. L’elettorato attivo e passivo per l’elezione dei rappresentanti degli alunni spetta agli studenti delle classi della scuola secondaria di primo grado e secondaria superiore, qualunque sia la loro età.».

Quanto all’Art. 5, nel disporre che dall’anno scolastico 2019/2020, la valutazione del comportamento degli studenti è espressa in decimi, stabilisce che dovrà tenersi conto dell’educazione dei bambini e dei ragazzi al rispetto delle persone e dell’ambiente che li circonda, quali elementi fondamentali per il contrasto al bullismo e per l’educazione alla solidarietà e al rispetto delle cose, valori trasmessi attraverso l’insegnamento dell’educazione civica. La votazione inferiore a sei decimi comporta la non ammissione all’anno successivo o all’esame conclusivo del ciclo, rimettendo ad un emanando decreto la determinazione dei criteri per correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto insufficiente, nonché eventuali modalità applicative del presente articolo.

L’auspicio è che la previsione non finisca per tradire le aspettative di educazione alla cittadinanza. Infatti, a prescindere dall’indubbio valore democratico di una esperienza elettorale, la funzione della rappresentanza all’interno dei consigli di classe, per quanto potenzialmente importante, appare attualmente in genere fortemente deludente. Questo anche perché la norma dettaglia soprattutto cosa i rappresentanti NON possono fare al suo interno, privilegiando invece per il resto espressioni generiche come quelle relative al compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e con quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni. Peraltro poiché l’art. 16 del DPR 275/99 riserva ai docenti “il compito e la responsabilità della progettazione e della attuazione del processo di insegnamento e di apprendimento”, in pratica la funzione cardine è sintetizzata nel secondo periodo. 

Inoltre dovremmo immaginare alunni di circa 10 anni coinvoltinei procedimenti per l’irrogazione ai propri compagni delle sanzioni disciplinari di competenza del consiglio di classe, sebbene, com’è noto, il DPR 235/07 (che modifica il DPR 249/98) non opera nella scuola dell’infanzia e primaria ed il sistema delle sanzioni e della garanzia del procedimento resta quello del Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1927 giacché il procedimento di modifica dello Statuto, avviato nella scorsa legislatura con l’insediamento di un gruppo di lavoro, non ha visto la sua conclusione.

Desta inevitabili perplessità la modifica del solo comma 8 dell’art. 8 del Dlgs 297/94 giacché i membri della giunta esecutivavengono eletti nel seno del consiglio di istituto, di cui però non è modificata la composizione.

Quanto poi all’elettorato, sappiamo che i rappresentanti degli studenti (come i genitori) nei consigli di classe sono eletti con riferimento a quella classe sulla base di un’unica lista che li comprende tutti. Dunque sostanzialmente elettorato attivo e passivo coincidono.

Nel disegno di legge esercitano il diritto di voto tutti gli alunni a prescindere dall’età mentre  possono essere eletti solo gli alunni dalla quinta classe della primaria, dunque i primi dovrebbero essere chiamati ad eleggere rappresentanti di classi diverse dalla propria. A meno che non esista un’ipotesi non colta dalla scrivente. Peraltro gli alunni della classe quinta hanno in genere un’età tale da non poter essere agevolmente collegata ad una maturità normativamente prevista.

La reintroduzione del voto decimale nel comportamento con conseguente possibilità di non ammissione impone ulteriori considerazioni, poiché per la legge penale l’infraquattordicennenon è assolutamente imputabile non essendo ritenuto pienamente “capace”. Tanto vero che si è reso necessario intervenire con una norma ad hoc per disciplinare la possibilità di uscita autonoma. Eppure questi ragazzi, incapaci per legge, sono ritenuti tanto consapevoli da meritare la bocciatura. Che ne è dell’azione di carattere educativo che deve attivare il dirigente a norma della L 71/2017 e del patto di corresponsabilità educativa che pure era stato rivisto e rimeditato? Inoltre non dimentichiamo che il DPR 235/07, ed in particolare le più dettagliate indicazioni della nota del 2008, hanno già definito dei criteri per collegare la gravità del comportamento alla bocciatura. 

Laddove si aprirà la discussione sul testo, ci saranno quindi svariati argomenti da dibattere ed approfondire.

Una breve menzione anche all’art. 1 della Direttiva 487/97 per cui “L’orientamento costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia…perché non pensare sin da allora a forme di esercizio della cittadinanza attiva? Magari diverse dalla rappresentanza in un consiglio di classe.

Circolare Elezioni degli organi collegiali 2018. Solo un ordinario ritardo?

Circolare Elezioni degli organi collegiali 2018. Solo un ordinario ritardo?

di Cinzia Olivieri

L’OM 215/91 (art. 21) prevede che il dirigente convochi le assemblee per l’elezione dei rappresentanti di genitori e studenti nei consigli di classe, interclasse ed intersezione entro il 31 ottobre di ogni anno nella data stabilita dal consiglio di istituto (art. 22).

È la circolare ministeriale che invece detta il termine per il rinnovo dei consigli di istituto giunti a scadenza nonché per le suppletive, sebbene, per la verità, l’art. 53 ultimo comma della citata ordinanza disponga che esse dovrebbero “essere indette, di norma, all’inizio dell’anno scolastico successivo all’esaurimento delle liste, contestualmente alle elezioni annuali”… ed è probabilmente quel “di norma” che fa la differenza.

Tradizionalmente quindi queste elezioni si tengono nel mese di novembre, anche in considerazione della tempistica dei vari adempimenti che necessariamente le precedono.

Ed infatti non oltre 45 giorni prima delle votazioni deve essere nominata la Commissione Elettorale.

Entro il 35° giorno antecedente il voto, i Dirigenti comunicano a detta commissione i nominativi degli elettori delle varie componenti (art. 27), i cui elenchi debbono essere depositati non oltre 25 giorni prima, nonché le sedi dei seggi elettorali (art. 37).

Avverso l’erronea compilazione degli elenchi possono essere presentati i ricorsi alla commissione entro 5 giorni dall’affissione all’albo dell’avviso di avvenuto deposito degli stessi, che sono decisi entro i successivi 5 giorni (art. 28).

Dalle ore 9 del 20° giorno e non oltre le ore 12 del 15° giorno che precede le elezioni debbono essere presentate le liste dei candidati (art. 32) relativamente alle quali la commissione effettua le opportune verifiche e vengono assunte le iniziative conseguenti.

Dal 18° al 2° giorno antecedente le votazioni si svolge la propaganda elettorale (art. 35) e non oltre 5 giorni prima i seggi sono nominati ed insediati (art. 38).

È per consentire il regolare e sereno svolgimento di tali operazioni ed un rinnovo dell’organo collegiale quanto più possibile tempestivo (giacché nonostante la prevista proroga – art. 50 – possono verificarsi numerose decadenze senza possibilità di attingere per surroga a liste intanto esaurite) che la data per lo svolgimento delle elezioni viene di consueto stabilita entro la seconda metà del mese di novembre.

L’elencazione potrà apparire lunga ma non immotivata considerando che la circolare ministeriale negli ultimi venti anni è stata emanata secondo le seguenti scadenze:

  • Nota 26 settembre 2017 n. 11642
  • CM 21 settembre 2016, n. 7
  • CM 7 settembre 2015, n. 18
  • CM 21 luglio 2014, n. 42
  • CM 1 agosto 2013, n. 20
  • CM 2 agosto 2012, n. 73
  • CM 8 settembre 2011, n. 78
  • CM 5 agosto 2010, n. 73
  • CM 27 agosto 2009, n. 77
  • CM 2 agosto 2007, n. 67
  • CM 4 settembre 2008, n. 71
  • CM 5 settembre 2006, n. 61
  • CM 4 agosto 2005, n. 72
  • CM 21 settembre 2004, n. 70
  • CM 3 settembre 2003, n. 70
  • CM 2 ottobre 2002, n. 107
  • CM 24 settembre 2001, n. 141
  • CM 3 agosto 2000, n. 192
  • CM 4 agosto 1999, n. 195
  • CM 1° luglio 1998 n. 296

Se lo scorso anno si è optato per una “nota” in luogo di una “circolare”, in questo corrente abbiamo superato ogni scadenza storica, persino quella del 2002. E probabilmente non appare proprio casuale se ne leggiamo i contenuti di quest’ultima: “Non essendo ancora intervenuta la revisione della disciplina degli organi collegiali a livello di singola istituzione scolastica, anche per l’anno scolastico 2002/03 dovranno essere indette le elezioni dei consigli di classe, interclasse ed intersezione, e dei consigli di circolo/istituto cessati con il decorso anno scolastico, nonché le eventuali elezioni suppletive degli stessi…A tal fine, si confermano nuovamente le istruzioni diramate con la circolare ministeriale n. 192 del 3.8.2000 – già richiamate con la C.M. n. 141 del 24.9.2001 – con esclusione dei punti relativi alle elezioni suppletive dei consigli scolastici distrettuali e provinciali. …”

Infatti nel 2002 sembrava prossima una riforma che adeguasse la collegialità alle competenze del dirigente nella scuola dell’autonomia ed intanto con la circolare 192/2000 erano state indette per l’ultima volta le sole elezioni suppletive degli organi collegiali territoriali che nel 2001 furono definitivamente escluse. Così silenziosamente sono stati cancellati i consigli scolastici distrettuali e provinciali nonostante il Dlgs 233/99 avesse previsto i consigli scolastici regionali e locali, mai istituiti.

Ed oggi che ragioni di opportunità consiglierebbero persino di anticipare il più possibile le scadenze elettorali, da quando la L 107/2015 (art. 1 comma 12) ha stabilito che il piano triennale dell’offerta formativa debba essere predisposto e rivisto e quindi sottoposto all’approvazione del consiglio di istituto (comma 14) entro il mese di ottobre, assistiamo all’indizione in assoluto più tardiva.

Che si stia infine valutando una soluzione normativa circa la composizione del consiglio di istituto delle istituzioni scolastiche che comprendono al loro interno sia scuole dell’infanzia, primarie e/o secondarie di primo grado, sia scuole secondarie di secondo grado, dove da un decennio opera il commissario straordinario?

I precedenti e le parole critiche nei confronti dei genitori dall’inizio della nuova legislatura non lasciano ben sperare in tal senso. Ma quello che sorprende è l’assenza di preoccupazione o comunque di dichiarata apprensione dei genitori. In fondo è solo un ritardo…davvero solo questo?!

La scelta alimentare è ovunque libera

La scelta alimentare è ovunque libera

di Cinzia Olivieri

Si era in attesa di una pronuncia e questa è arrivata, riconoscendo il diritto alla scelta del pasto da casa.

Il Consiglio di Stato (Sentenza 5 luglio 2018, n. 5156) ha infatti respinto l’appello proposto dal Comune di Benevento avverso la sentenza del TAR Campania n. 1566/2018, che aveva annullato le deliberazioni del Consiglio e della Giunta nella parte in cui vietavano il consumo, da parte degli alunni, di cibi diversi da quelli forniti dalla dita appaltatrice del servizio nei locali in cui si svolge la refezione scolastica, imponendo quindi, nel caso non si volesse optare per lo stesso, o il rientro o una diversa scelta di tempo scuola.

Senza entrare nel merito in questa sede delle questioni di rito affrontate nella sentenza, il Giudice Amministrativo ha rigettato la domanda formulata dall’Ente locale ritenendo la domanda infondata in quanto   “Vi è, anzitutto, un’incompetenza assoluta del Comune, che – spingendosi ultra vires” con il proprio regolamento ha imposto prescrizioni ai dirigenti relativamente all’organizzazione del servizio mensa, limitando la loro autonomia. Infatti la circolare MIUR n. 348/2017 , in attesa della pronuncia della Cassazione, aveva riconosciuto il pasto da casa con alcune cautele ed indicazioni.

Non essendo state dimostrate le eccepite ragioni di salute e di igiene (mentre d’altra parte si ammette il consumo di merendine portate da casa), il regolamento comunale impugnato   “limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici“. Esso inoltra risulta “manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario. E l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico“.

Appare evidente il richiamo ai principi costituzionali, quegli stessi che dovevano confluire nel “patto” con le famiglie, di cui ora tuttavia non si parla più.

Resta comunque salva da parte dei dirigenti “l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti“, ma è chiaro che esse non potranno consistere in un divieto tout court.

Dunque il provvedimento in esame considera la previsione del divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni con il pasto da casa “affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito“.

A distanza di oltre due anni dalla nota sentenza della Corte di Appello di Torino del 21 giugno 2016, anche il Consiglio di Stato conferma il diritto di scelta, compensando tuttavia le spese di giudizio.

È ora forse di ridare voce alla corresponsabilità educativa.

Su corresponsabilità e partecipazione l’ombra della costituzione di parte civile

Su corresponsabilità e partecipazione l’ombra della costituzione di parte civile

di Cinzia Olivieri

 

La “rottura” del “patto formativo”

Tra i primi argomenti trattati dal Ministro Bussetti nel corso dell’audizione dell’11 luglio sulle linee programmatiche del dicastero “la rottura del patto formativo scuola-famiglia”, conseguenza in particolare “del clima generale di impoverimento culturale”.

L’utilizzo del termine “rottura” fa pensare a qualcosa di definitivo ed irrimediabile, ad un danneggiamento talmente grave da rendere quello strumento del tutto inservibile. Il che appare coerente alla ribadita intenzione di “verificare e valutare … la possibilità che il Ministero si costituisca parte civile nei procedimenti penali che abbiano ad oggetto episodi di violenza o anche di semplice minaccia posti in essere da studenti o dai loro genitori parenti nei confronti di docenti, dei dirigenti o del personale ausiliario”.

Per l’effetto quindi tutte le responsabilità sembrano ricadere soltanto sui genitori/studenti, tanto da pretendere esplicitamente “che gli studenti e le loro famiglie abbiano nei confronti dell’istituzione scolastica e di tutte le sue componenti un atteggiamento di rispetto”. Eppure le cronache attestano una crisi reciproca e raccontano eventi che riguardano tutte le componenti. D’altra parte l’incidenza dei gravi episodi richiamati, sebbene amplificata dai media, è decisamente poco rilevante rispetto ai milioni di alunni che frequentano le nostre scuole. Basti pensare che alcuni dati riportano che solo la procedura per le iscrizioni on line al nuovo anno avrebbe riguardato 1.455.850 studentesse e studenti dalla primaria alla secondaria di secondo grado.

Il patto si è rotto per tutti o solo per chi ha mancato di rispetto?

Dalla partecipazione alla corresponsabilità

Storicamente, con l’istituzione degli organi collegiali a livello di circolo, di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale al fine di “realizzare la partecipazione della gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale”(Dpr 416/74 art. 1 e art. 3 comma 1 del Dlgs 297/94) è riconosciuto l’ingresso dei genitori nella scuola.

La soluzione normativa, com’è noto, ha costituito una scelta di metodo per superare il clima turbolento della seconda metà degli anni sessanta di “contestazione generale” (e non soltanto studentesca) ad ogni autorità.

Tanto non è servito tuttavia a cambiare la considerazione della famiglia, spesso avvertita piuttosto come un intralcio, specie in un confronto di tipo progettuale e operativo.

Del resto l’interesse dei genitori ha finito per concentrarsi di frequente su iniziative di critica ovvero di controllo, anche generalizzato, sull’operato della pubblica amministrazione (in particolare sull’utilizzo delle risorse), piuttosto che in un’attività propositiva e costruttiva, mentre resta sostanzialmente sulla carta il previo ascolto delle proposte e dei pareri di organismi ed associazioni dei genitori e degli studenti prima dell’elaborazione del P(T)OF (art. 3 Dpr 275/99).

Il Dpr 567/96, nel disciplinare le iniziative progettuali complementari e integrative promosse ed attivate dalle istituzioni scolastiche, potenzia e riconosce le opportunità soprattutto del comitato studentesco (ma praticamente ignora quello dei genitori), introduce i Forum delle associazioni di studenti e genitori e le sole Consulte provinciali degli studenti. Resta la carenza territoriale e non sono comprensibili le ragioni di tale disomogeneità, specie allorquando Bolzano ha costituito invece un sistema di rappresentanza equilibrato e collegato (LP 20/1995) ed anche la provincia autonoma di Trento ha istituito la consulta provinciale dei genitori (L 10/2016).

Con l’avvento dell’autonomia ed i poteri e funzioni riconosciuti alla nuova figura dirigenziale (in particolare dal Dlgs 165/01 art. 25), mai istituiti i nuovi organi collegiali territoriali, progressivamente privati di poteri, risorse e componenti quelli esistenti (non più rinnovati), senza adeguamento delle disposizioni del Testo Unico, è diventato quindi inevitabile chiedersi se servono ancora gli organi collegiali. Il problema non è semplicemente riconoscere la loro esistenza ma conferire funzioni che diano un senso alla partecipazione e ragione al tempo che vi si dedica (a prescindere dalla possibilità di godere di permessi retribuiti).

In tutte le recenti legislature sono stati presentati (ed anche discussi) progetti di riforma che prevedono una “riduzione” della rappresentanza, sia dal punto di vista delle competenze che degli organi e del numero dei rappresentanti. Anche attualmente risulta presentato il DDL S155 in VII Commissione Senato ed il PDL 697 in VII Commissione Camera (di cui ancora non si conosce il testo). Comunque una simile riforma sulla governance difficilmente può influire sulla gestione dei rapporti.

Il rapporto scuola famiglia

Sicuramente il rapporto scuola famiglia non ha tratto giovamento, tanto che la situazione contingente e le urgenze sociali conseguenti a ricorrenti fatti di cronaca, hanno determinato nel 2007 le modifiche al DPR 249/1998 introdotte con il DPR n. 235/07, che insieme ad un inasprimento del sistema sanzionatorio ha previsto il Patto educativo (art. 5-bis), che i genitori (e gli studenti) sono chiamati a sottoscrivere all’iscrizione, “finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”, nella pratica entrambi rimedi di scarsa efficacia dissuasiva e pedagogica. Nonostante le dichiarazioni di principio anziché il principio della corresponsabilità educativa tra famiglia e scuola spesso prevale il reciproco discarico delle responsabilità..

Può parlarsi di un patto esistente e condiviso per il solo fatto della sua previsione, elaborazione (non ampiamente condivisa) e mera sottoscrizione (formale o materiale) senza tuttavia costruire alcun reale percorso di corresponsabilità?

Dopo oltre quarant’anni dai decreti delegati non soltanto deve ribadirsi che difetta una cultura della partecipazione, che faccia del dialogo tra le parti (e non della semplice comunicazione) una prassi quotidiana, ma occorre chiedersi se tale partecipazione ancora interessi ovvero costituisca un valore da difendere. Intanto da decenni gli omnicomprensivi restano senza consigli di istituto e sono progressivamente praticamente scomparsi i vari coordinamenti, anche di comitati genitori e di presidenti, mentre giungono segnali contraddittori quali la proposta di introdurre telecamere nella scuola dell’infanzia a salvaguardia dei minori e nel contempo nei successivi ordini e gradi come deterrente invece alle aggressioni dei docenti; l’attesa di una pronuncia delle Giurisdizioni superiori in merito al pasto da casa, allorquando sarebbe bastato il buon senso; la necessità di una norma inserita in legge di bilancio per risolvere il problema delle liberatorie per l’uscita autonoma degli studenti infraquattordicenni (non imputabili) che tuttavia sono ritenuti poi sufficientemente responsabili e consapevoli da essere sanzionati con una bocciatura… ed ora il rapporto scuola famiglia si risolve nella costituzione di parte civile dell’amministrazione?!

Quale partecipazione

Il regolamento appena approvato  dal Consiglio del II Municipio di Roma riconosce ai genitori la possibilità di “Sistemare una tapparella di un’aula, curare il verde, aggiustare una serratura”, così dal prossimo anno scolastico “potranno contribuire a riqualificare gli istituti frequentati dai figli”. Insomma meglio manutentori che rappresentanti?

Da tempo si sono indagate le ragioni del “fallimento” partecipativo, si conosce lo stato dell’arte, ci si è profusi in svariate considerazioni e si sono proposte reiteratamente iniziative: formazione, informazione, incontri, collegamento. Ora forse però non basta più formare/informare soltanto rappresentanti che i genitori neanche riconoscono e votano…preferendo agire autonomamente e persino nei casi più gravi passare alle “vie di fatto”, ma occorrono azioni sistemiche.

Intanto appare esservi un rinnovato interesse per la partecipazione in quanto il DM 851/2017  nel definire i criteri ed i parametri per l’assegnazione delle risorse a valere sulle autorizzazioni di spesa di cui alla legge 440/1997, e 296/2006, anche in coerenza con la L 107/2015, ha individuato una serie di azioni da realizzare riferite a tre aree prioritarie: a) “Inclusione e successo formativo” b)  “Innovazioni a supporto dell’autonomia scolastica” c)  “Infrastrutture”. Per ciascuna di queste sono previsti numerosi piani di intervento per i quali sono stati regolarmente pubblicati altrettanti bandi. Tra le 21 ipotesi di intervento dell’area Inclusione è il Piano Nazionale per la Promozione della Partecipazione delle studentesse, degli studenti e dei genitori. Destinatarie della selezione le istituzioni scolastiche ed educative statali di ogni ordine e grado, singole o organizzate in reti di scuole, le quali ovviamente possono scegliere a quale iniziativa partecipare. È contemplata l’individuazione di scuole polo a livello nazionale e regionale.

A questa opportunità si aggiunge quella del decreto dipartimentale n.528 del 30-03-2018, che ha definito le regole e le modalità di assegnazione dei fondi finalizzati alla concessione dei contributi per promuovere la Partecipazione dei genitori e degli studenti alla vita scolastica per la realizzazione di attività inerenti la partecipazione, nonché di informazione e divulgazione di modelli innovativi, attraverso il coinvolgimento delle Associazioni Studentesche e dei Genitori maggiormente rappresentative, di cui al D.P.R. n. 301/2005.

Ebbene, tralasciando qualunque sterile critica, in un’ottica propositiva, giacché è da intendersi che auspicabilmente i primi interventi possano avviarsi da settembre e prima delle operazioni di rinnovo della rappresentanza, l’attuale situazione di emergenza, effetto soprattutto di un problema culturale, richiede evidentemente interventi strutturali e di ampia portata che favoriscano il maggiore coinvolgimento dei genitori, anche a prescindere dal loro ruolo specifico, oltre che di docenti e dirigenti, coordinando le azioni a livello regionale e nazionale. Peraltro è auspicabile superare controproducenti contrapposizioni in una realtà in cui sempre più in pochi appaiono interessati alla questione.

E se quel patto è rotto o mai esistito allora dovrebbe pensarsi ad uno nuovo davvero condiviso che la scuola costruisca con le famiglie, ad azioni sinergiche univoche sul piano nazionale e rispondenti altresì alle specifiche esigenze a livello regionale.

A chi scrive piace pensare che vi sia una parte non detta e non scritta di quella frase: Un nuovo patto per costruire un rinnovato modello partecipativo.

Il procedimento sanzionatorio e la difficile realizzazione dell’alleanza educativa

Il procedimento sanzionatorio e la difficile realizzazione dell’alleanza educativa

di Cinzia Olivieri

Il consiglio di istituto (art. 10 comma 3 lettera a) Dlsg 297/94) è chiamato ad adottare il regolamento interno di ogni istituzione scolastica. In mancanza, “gli organi collegiali operano sulla base di regolamenti tipo predisposti dal Ministero …” (art. 40 Dlgs 297/94), nella fattispecie della CM 105/75, successiva al DPR 416/1974, “vecchia” di oltre quarant’anni, che consta di 17 articoli che disciplinano tra l’altro convocazione, costituzione e funzionamento degli organi collegiali, pubblicità degli atti, funzionamento della biblioteca, dei gabinetti scientifici, dei laboratori e delle palestre e vigilanza degli alunni.

Si sottovaluta spesso la rilevanza dei regolamenti interni, percepiti come scarsamente cogenti, ma con il dPR 249/98 ed in particolare con le sue modifiche introdotte dal dPR 235/07 essi hanno assunto particolare importanza, dovendo individuare (Art. 4) i “comportamenti che configurano mancanze disciplinari con riferimento ai doveri elencati nell’articolo 3, al corretto svolgimento dei rapporti all’interno della comunità scolastica e alle situazioni specifiche di ogni singola scuola, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento” di cui il decreto indica i criteri generali.

I regolamenti quindi devono disciplinare con precisione un vero e proprio procedimento amministrativo, con tutte le conseguenti valutazioni di legittimità dei provvedimenti assunti dagli organi individuati quali competenti.

A tal proposito ha fatto discutere la sentenza N. 01494/2018 con la quale, la Terza Sezione del Tar Lombardia, accogliendo il ricorso presentato dai genitori di una alunna della scuola secondaria di primo grado di un istituto comprensivo, ha annullato la sanzione disciplinare comminata alla studentessa nonché il verbale del Consiglio di Classe che le aveva per effetto attribuito la votazione di comportamento pari a sette e la decisione assunta dall’Organo di Garanzia.

Il TAR lombardo aveva già accolto l’istanza cautelare per assenza di contraddittorio e difetto di istruttoria, non avendo l’Amministrazione adeguatamente accertato se la condotta sanzionata fosse effettivamente ascrivibile alla studentessa, a cui era stato contestato l’utilizzo del telefono cellulare in assenza di autorizzazione del docente, con conseguente sanzione del richiamo scritto.

Dalle circostanze di fatto dedotte in sentenza deve evincersi che l’alunna non era stata colta in flagranza e la violazione non era contestata dall’insegnante nell’immediatezza, in quanto appurata a seguito di visione di un video. Infatti la studentessa risultava “essere protagonista di un breve filmato, poi postato sui social network”.

Il Tribunale amministrativo ha rilevato che la scuola ha irrogato la sanzione essenzialmente sulla base di tale circostanza senza una adeguata istruttoria diretta ad acquisire l’esatta ricostruzione dei fatti, avendo omesso tra l’altro di accertare se l’alunna avesse acconsentito alla ripresa ed alla sua successiva pubblicazione. Non si evince poi se si fosse indagato in merito alla sussistenza di eventuali corresponsabilità o di diverse responsabilità.

Il regolamento di disciplina della scuola individuava l’ammonizione scritta quale sanzione applicabile in caso di utilizzo di telefoni cellulari, registratori e riproduttori audio-video o attrezzature informatiche in assenza di autorizzazione del docente. Tuttavia l’art. 4, terzo comma, del d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 (come modificato dal DPR 235/07) stabilisce anche espressamente che “Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni”. Analogamente disponeva il regolamento di disciplina della scuola che, in applicazione della medesima normativa, prevedeva “specifiche garanzie procedurali volte ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio”.

È emerso invece all’esito del procedimento che la scuola non aveva rispettato tale principio, non avendo provveduto a contestare gli addebiti e ad acquisire formalmente le eventuali motivazioni dell’incolpata.

La documentazione versata in atti non ha fornito argomenti a supporto della conformità della condotta dell’istituto alle procedure previste, in quanto non solo la memoria del docente era stata redatta dopo la chiusura del procedimento sanzionatorio ma altresì confermava “che l’alunna è stata sentita dal docente stesso in maniera del tutto informale al di fuori del procedimento stesso”.

Il Collegio ha quindi ritenuto che il mancato rispetto delle garanzie normativamente previste non solo costituisca una violazione formale, ma abbia altresì “determinato una insufficiente ricostruzione fattuale della vicenda, ciò che costituisce una ulteriore causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio avversato”.

Con riferimento al voto in condotta, poi, il TAR ha ritenuto che la scuola abbia altresì violato, l’art. 3, comma 2, del d.m. n. 5 del 2009 per il quale la valutazione del comportamento dello studente “…in sede di scrutinio intermedio o finale non può riferirsi ad un singolo episodio, ma deve scaturire da un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale…” e quindi fosse illegittima in quanto basata “su un unico episodio peraltro neppure adeguatamente ricostruito”.

Per la verità, tanto costituisce elemento di perplessità in quanto il DM 5/2009 è stato abrogato dall’art. 14 comma 4 del DPR 122/09 il quale, a proposito della valutazione del comportamento, all’art. 7 (a sua volta peraltro oggi abrogato con decorrenza dal 1 settembre 2017 dall’art. 26 comma 5 del Dlgs 62/2017) non ha analogo contenuto, come del resto anche lo stesso art. 26 del Dlgs 62/2017, sebbene entrambi pongano maggiore attenzione ai casi più gravi e reiterati.

Da tanto emerge la necessità di tenere in giusta considerazione l’importanza dei regolamenti dal momento peraltro che l’art. 2 comma 4 Dpr 249/98 dispone che dirigenti e docenti, proprio secondo le modalità da essi previste “… attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione…. Lo studente ha inoltre diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento”. A maggior ragione quindi non solo le sanzioni disciplinari devono essere irrogate nel rispetto delle previste modalità ed in osservanza del principio di contraddittorio ma l’intero procedimento di valutazione deve tendere a migliorare la consapevolezza di sé dello studente.

Il difetto di accertamento impedisce ogni valutazione di merito rispetto alla condotta.

Non va trascurato che ai sensi dell’art. 4 comma 2 del Dpr 249/98 “2. I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica, nonché al recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”. Tende a prevalere invece il carattere afflittivo della sanzione, in contraddizione anche con il principio della corresponsabilità educativa, che anche deve ispirare i regolamenti delle istituzioni scolastiche.

La circostanza che la famiglia abbia impugnato (con esito positivo) innanzi al giudice amministrativo una valutazione anche se non insufficiente deve altresì essere occasione di riflessione sulle evidenti criticità del rapporto scuola – famiglia, la quale ultima aveva comunque attivato le procedure interne con l’impugnazione innanzi all’organo di garanzia interno. Anche questo tuttavia non ha evidentemente rivalutato i fatti, sanando eventuali illegittimità tanto che anche la sua decisione è stata annullata.

Occorre perciò rammentare che l’impianto normativo dello statuto delle studentesse e degli studenti non prevede solo sanzioni più rigide nei casi di eccezionale gravità ma soprattutto “la realizzazione di un’alleanza educativa tra famiglie, studenti ed operatori scolastici, dove le parti assumano impegni e responsabilità e possano condividere regole e percorsi di crescita degli studenti” (nota del 31 luglio 2008).

Una mensa di qualità si realizza anche con la partecipazione delle famiglie

Una mensa di qualità si realizza anche con la partecipazione delle famiglie

di Cinzia Olivieri

 

L’8 giugno u.s. si è tenuta a Palazzo Madama la conferenza stampa dal titolo ‘la mensa migliore nell’era del junk food’, durante la quale Foodinsider ha presentato i risultati del 3° Rating dei menù scolastici.

L’evento ha costituito occasione per portare in maniera propositiva l’attenzione sulla mensa scolastica di qualità, in grado di superare i pasti omologati come pizza, bastoncini e hamburger per servire cibi sani e variegati, educando al gusto.

Così si scopre possibile che, puntando sull’appetibilità dei piatti piuttosto che al mero contenimento della spesa, un bambino affermi di gradire e preferire l’hummus di ceci e gli gnocchi di zucca.

I casi virtuosi si caratterizzano per una “cabina di regia” determinata e coinvolgente, “capace di creare alleanze”.

Imprescindibile quella con le famiglie.

Si rivela decisivo nella promozione del cambiamento, sia nell’ipotesi di conflitto che nel coinvolgimento attivo, il ruolo dei genitori. Infatti, si afferma, “i menu migliorano grazie alla partecipazione dei genitori commissari mensa”, per cui la loro formazione è ritenuta una fondamentale esigenza per aumentare la consapevolezza e divulgare un corretto stile alimentare.

Del resto ciò è in linea con l’auspicata interazione prevista dalle Linee guida per l’educazione alimentare per le quali “è indispensabile il coinvolgimento delle famiglie in tutte le fasi delle attività, anche alla luce del patto di corresponsabilità educativa” (pag. 25) e pertanto è individuato quale impegno prioritario “stabilire alleanze positive con le famiglie e con la propria comunità, per favorire senso di appartenenza alla vita della Scuola, condividendo le strategie educative alimentari” (pag. 29), determinando invece l’esclusione dal percorso educativo scolastico inevitabili quanto improduttivi contrasti, sfocianti anche in azioni giudiziarie.

La partecipazione dei genitori nel processo decisionale e di controllo della mensa scolastica contribuisce a creare invece un clima meno conflittuale.

Anche la mensa costituisce quindi ragione di un rilancio partecipativo, allorquando, in attesa delle commissioni parlamentari della XVIII^ legislatura, si evince che il 7 luglio u.s. è stato annunziato alla Camera il progetto di leggeAPREA: Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti (697)” ed in Senato è stato comunicato alla presidenza il 23 marzo 2018 il DDL n. 155 dal titolo “Disposizioni concernenti l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché la riforma dello stato giuridico dei docenti“, che prevede il “servizio pubblico di istruzione” (art. 12) e la scomparsa dei consigli di classe insieme alla rappresentanza territoriale, affidata al “Consiglio superiore della docenza” (art. 18), rimette ai regolamenti interni delle singole istituzioni la disciplina della “Partecipazione alle attività dell’istituzione scolastica da parte delle famiglie e degli studenti” (art. 11), mentre il consiglio d’istituto, rivisto nelle sue competenze, è composto da un numero massimo di undici componenti: il dirigente scolastico, tre rappresentanti del corpo docente, tre rappresentanti delle famiglie e due rappresentanti degli studenti (ovvero quattro docenti e quattro genitori), due rappresentanti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) ed è altresì integrato da un membro della fondazione (art. 8) che può essere costituita “Al fine di raggiungere gli obiettivi strategici indicati nel piano dell’offerta formativa e aumentare il livello di competenza dei singoli studenti e la qualità complessiva dell’istituto “.

Pertanto pure la qualità della mensa passa attraverso una condivisa riflessione sul sistema partecipativo.

Un patto davvero condiviso

Un patto davvero condiviso e consigli di istituto in ogni scuola per realizzare l’alleanza educativa

di Cinzia Olivieri

 

Il richiamo al patto di corresponsabilità è sempre più frequente nell’ormai quotidiana emergenza nei rapporti scuola – famiglia.

Su questo strumento, novità tra le modifiche introdotte oltre 10 anni or sono dal Dpr 235/07 allo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998, appaiono concentrarsi infatti le aspettative per mediare il conflitto.

Nella sua attuale formulazione, l’art. 5-bis del Dpr 249/98, come modificato dal Dpr 235/07, prevede che il patto sia “finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”.

Se i fatti di cronaca ce ne rivelano attualmente la scarsa efficacia, tuttavia non si prescinde dalla sua importanza. Forse quindi è insufficiente la conoscenza dei propri obblighi e prerogative per costruire un’alleanza. Occorre qualcosa di più. Serve un’estesa condivisione di azioni comuni ed interventi educativi, altrimenti, in assenza di “trattative” tra le parti, il patto potrebbe piuttosto essere inquadrato nella fattispecie del contratto “per adesione”, unilateralmente predisposto da un contraente.

La nota esplicativa del 2008, nel fornire indicazioni, precisa che la scuola, “nella sua autonomia, ove lo preveda nel regolamento d’istituto, ha la facoltà di attribuire la competenza ad elaborare e modificare il patto in questione al Consiglio di istituto, dove sono rappresentate le diverse componenti della comunità scolastica, ivi compresi i genitori e gli studenti”.

Insomma l’unico potenziale momento e luogo di condivisione individuato per disciplinare le procedure di sottoscrizione, di elaborazione e revisione di tale accordo è nel consiglio di istituto, a cui, a norma dell’art. 10 del Dlgs 297/94, spetta “adottare” il regolamento interno.

Già l’adozione prevede una attività diversa dall’approvazione e dall’elaborazione, concretandosi piuttosto in una sorta di accettazione, di adesione a qualcosa già predisposto, non costituendo quindi necessariamente il risultato di una condivisione. A tanto si aggiunge che non sempre i regolamenti sono a loro volta condivisi, completi e precisi come la norma menzionata richiede.

A ben riflettere, nonostante la dignità e la legittimazione del passaggio da un organo collegiale, anche un documento adottato da pochi membri ed elaborato in maniera magari anche meno condivisa non può dirsi in grado di rappresentare le istanze di una comunità scolastica tante volte complessa e numerosa, specie in un sistema partecipativo in crisi, dove sempre più spesso finisce per prevalere il giustizialismo individuale. Può dunque dirsi condiviso un patto predisposto senza il necessario coinvolgimento ed ancor di più laddove il regolamento non fornisca indicazioni o persino manchi il consiglio di istituto come nel caso degli istituti omnicomprensivi?

Infatti, come si legge nelle circolari ministeriali che forniscono annualmente indicazioni per le elezioni degli organi collegiali, da quasi un ventennio (si veda la Circolare Ministeriale 3 agosto 2000, n. 192) “Nelle istituzioni scolastiche che comprendono al loro interno sia scuole dell’infanzia, primarie e/o secondarie di primo grado, sia scuole secondarie di secondo grado, invece, continuerà ad operare il commissario straordinario, non essendo ancora intervenuta una soluzione normativa circa la composizione del consiglio di istituto delle scuole in questione”.

Eppure è decorso oggettivamente un tempo sufficiente per trovare una soluzione diversa da un commissario straordinario, così come non è stato difficile individuare la composizione del consiglio di istituto e disciplinare le elezioni negli istituti comprensivi (O.M. n. 267 del 4.8.1995) e in caso di aggregazione di istituti scolastici di istruzione secondaria superiore (O.M. 17 giugno 1998, n. 277).

Come si può quindi invocare un’alleanza senza gli strumenti partecipativi per realizzarla?

La sua realizzazione passa attraverso un processo di elaborazione del patto ampiamente condiviso, così come previsto ed annunciato, e l’istituzione dei consigli di istituto dove mancano.