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Rapporto sul contrasto del fallimento formativo

Presentato il 10 gennaio 2018 il documento finale della Cabina di regia su Dispersione scolastica e povertà educativa


Fedeli-Rossi Doria: “Serve piano nazionale, coinvolgere tutti gli attori in campo”

Cala la dispersione scolastica, con un tasso del 13,8% di coloro che abbandonano precocemente gli studi (dato 2016) contro il 20,8% di dieci anni fa. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungimento del livello del 10%. Ma restano forti gli squilibri territoriali, con Sicilia, Campania, Sardegna sopra la media nazionale. I maschi sono più coinvolti delle femmine, così come percentuali più alte si registrano fra studentesse e studenti di cittadinanza non italiana che non sono nati in Italia e fra coloro che partono da condizioni economiche e sociali meno vantaggiose. In Italia ci sono infatti oltre 1 milione di persone in crescita (fra i 3 e i 18 anni) e in età scolare che vivono in condizione di povertà assoluta.

Sono i dati da cui è partito il lavoro della Cabina di regia sulla dispersione scolastica e la povertà educativa istituita dalla Ministra Valeria Fedeli e guidata da Marco Rossi Doria, ex Sottosegretario all’Istruzione ed esperto del tema. Il gruppo, istituito a maggio del 2017, ha lavorato in questi mesi partendo dal quadro dei dati disponibili, nazionali ed europei, dalla documentazione già prodotta in sedi istituzionali quali il Consiglio dell’Unione europea, l’Onu, il Parlamento italiano, dall’analisi delle buone pratiche già presenti nel nostro Paese, mettendo a punto un documento che offre, oltre ad una panoramica completa sul fenomeno, una serie di raccomandazioni sulle azioni da mettere in campo nel prossimo quinquennio per continuare a contrastare con forza la dispersione e le povertà educative, passando attraverso “un piano nazionale di contrasto”.

“Grazie al lavoro attento fatto dalla Cabina di regia in questi mesi, offriamo oggi al Paese una fotografia chiara del fenomeno e un piano d’azione per intervenire in maniera efficace e sistemica nella direzione del contrasto del fallimento formativo che, voglio dirlo chiaramente, non è semplicemente uno dei problemi della scuola italiana. È il problema. Della scuola, del Paese intero – sottolinea la Ministra Valeria Fedeli -. Combattere la povertà educativa deve essere la priorità nazionale, perché questa è la base per combattere le altre povertà: da qui partono le disuguaglianze, così come le opportunità. L’abbandono e la dispersione hanno conseguenze negative non solo sulle vite dei singoli, arrecano danno complessivo alla società, comportano una perdita economica per l’intero Paese in termini di Pil, minano la coesione territoriale e sociale. Si tratta di fenomeni che vanno contrastati con forza, perché dove la dispersione è alta vuol dire che non sono garantite a sufficienza pari opportunità alle ragazze e ai ragazzi. E questo va contro uno dei più importanti principi costituzionali, quello che ritroviamo all’interno dell’articolo 3 della nostra Costituzione, che ci ricorda che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Il documento presentato oggi offre “soluzioni di lungo termine alla questione. Soluzioni orientate al bene delle nuove generazioni e del nostro Paese. Soluzioni condivisibili, al di là di appartenenze politiche e scadenze elettorali”, sottolinea Fedeli. “Agire sulla dispersione scolastica, sull’insuccesso formativo e sulla povertà educativa è un’azione che richiede un intervento strutturato da parte di tutti gli attori in campo: Ministero, enti territoriali, realtà associative. La scuola ha un ruolo centrale, ma la scuola è società e l’impegno su questi temi è quindi responsabilità di tutte e di tutti. È molto importante agire ‘in verticale’, non solo nel periodo scolastico e non solo all’interno della scuola, investire anche sull’acquisizione di competenze lungo tutto l’arco della vita e aiutare le ragazze e i ragazzi, soprattutto chi è in condizione di svantaggio, ad affrontare al meglio la transizione dalla scuola agli studi successivi o nel mondo del lavoro”.

“La Cabina di regia per il contrasto della dispersione scolastica in questi mesi ha fatto tesoro dei dati dettagliati del Miur e ha raccolto le esperienze delle scuole, esaminato decine di buone prassi di ogni parte d’Italia e in particolare il lavoro in rete tra le scuole e le altre realtà educative: centri sportivi, terzo settore, parrocchie, volontariato – sottolinea Marco Rossi Doria -. Ha recepito indicazioni da regioni, enti locali e parti sociali. Ha tenuto conto delle tante buone pratiche che sono già in atto, dei documenti prodotti in diverse sedi istituzionali. Oggi offriamo uno strumento di lavoro che propone articolate linee di indirizzo e raccomandazioni sulle azioni da mettere in campo. La riduzione delle diseguaglianze è un diritto da garantire alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi. Su questo fronte servono interventi sistemici e di lungo termine, una metodologia d’azione condivisa e partecipata con un forte coinvolgimento dal basso che metta al centro le studentesse e gli studenti, le docenti e i docenti, le famiglie. Abbiamo il dovere di contrastare la dispersione e creare opportunità per chi abbandona i percorsi di istruzione”.

Fra gli obiettivi prefissati dal documento, l’abbattimento dei tassi di abbandono al di sotto del 10% (che è il limite europeo) in tutte le aree del Paese e l’aumento degli investimenti per elevare il livello delle conoscenze e competenze di base e di cittadinanza.

Obiettivi da raggiungere mettendo in campo:

  • Una governance unitaria affidata al governo, con l’accordo di Regioni e Comuni, sotto il controllo del Parlamento per coordinare azioni e interventi, fare una ricognizione degli strumenti già in campo, concretizzare nuove proposte;
  • Un piano di azioni nazionale delle misure anti-dispersione;
  • L’individuazione di aree di educazione prioritaria su cui concentrare gli interventi (a partire dal rafforzamento del passaggio fra scuola primaria e secondaria);
  • L’allocazione di risorse sulla base dei risultati di apprendimento e dei tassi di dispersione;
  • L’estensione dei servizi per la prima infanzia;
  • Il rafforzamento delle reti territoriali per la valorizzazione delle buone pratiche;
  • L’attivazione di interventi per fare in modo che città e quartieri entrino sempre più in relazione con le comunità educanti;
  • Il rafforzamento della base di dati.

A livello scolastico, suggerisce il documento, vanno studiate modalità specifiche di composizione delle classi, va rafforzata e favorita la didattica laboratoriale con una gestione più flessibile e aperta delle classi stesse, va ricostruito il patto fra scuola e famiglie. Il contrasto alla dispersione e alla povertà educativa, prosegue il documento, va promosso, in concreto, anche attraverso un’edilizia scolastica di qualità, l’estensione del tempo pieno, la promozione di attività che vadano oltre l’orario scolastico, il sostegno all’innovazione digitale e ai laboratori, la formazione dei docenti.

“Abbiamo già cominciato ad investire su questi temi – ricorda Fedeli – a partire dagli 840 milioni di euro di fondi PON che abbiamo messo a disposizione per una scuola più aperta, inclusiva, innovativa. Un grande investimento che riguarda le competenze delle studentesse e degli studenti, pensato nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Stiamo investendo sull’edilizia scolastica, parliamo di oltre 9 miliardi di euro, perché siamo convinti che migliorare le infrastrutture non è solo una questione, fondamentale, di sicurezza ma un importante fattore abilitante di un’esperienza didattica moderna e al passo con i tempi. Abbiamo messo oltre 1 miliardo, con la riforma della scuola, sul Piano Nazionale Scuola Digitale per costruire una didattica nuova nelle diverse discipline, più attrattiva. Abbiamo investito sull’Alternanza Scuola-Lavoro, una scelta coraggiosa che apre alle studentesse e agli studenti l’opportunità di fare una esperienza nel mondo del lavoro, di capirne l’organizzazione, di vivere in un ambiente diverso da quello scolastico e sviluppare competenze differenti da quelle tradizionalmente scolastiche. E stiamo rafforzando i servizi per l’infanzia grazie alla creazione, per la prima volta, di un sistema nazionale integrato da 0 a 6 anni. Infine, approvando il reddito di inclusione abbiamo stabilito che l’erogazione dei sussidi alle famiglie venga vincolata alla effettiva frequenza scolastica di ragazze e ragazzi. La strada è tracciata. Questo documento è un ulteriore tassello per portare avanti un’azione di sistema che metta al centro il miglioramento della qualità dell’istruzione davvero per tutte e per tutti”.

Dispersione scolastica A.S. 2015/2016


Dispersione scolastica, fenomeno in calo ma resta divario Nord-Sud

Da oggi disponibile la pubblicazione con i dati aggiornati

Fedeli: “A dicembre le linee guida elaborate dalla cabina di regia Miur”

Rossi Doria: “Documento terrà conto di quanto emerso dai territori, necessario mettere a sistema le buone pratiche raccolte”

Il fenomeno è in calo, ma resta il divario fra Nord e Sud. Sia nella scuola secondaria di I che di II grado. I maschi sono più coinvolti delle femmine, così come percentuali più alte si registrano fra studentesse e studenti di cittadinanza non italiana che non sono nati in Italia.

Questo il quadro che emerge sulla dispersione scolastica dalla pubblicazione curata dall’Ufficio Statistica e Studi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

“La dispersione scolastica – sottolinea la Ministra Valeria Fedeli – è un fenomeno che va contrastato con forza, perché dove la dispersione è alta vuol dire che non sono garantite a sufficienza pari opportunità alle ragazze e ai ragazzi. Nel nostro Paese, come evidenziano anche i dati raccolti dal Ministero, il fenomeno è in calo, c’è stato un miglioramento negli ultimi anni. Ma restano forti divari sociali e territoriali rispetto ai quali serve un’azione importante che parta dal Miur, ma che coinvolga anche tutti gli altri attori in campo: le famiglie, il terzo settore, i centri sportivi, l’associazionismo, le istituzioni del territorio. Per mettere insieme questa rete e per far emergere le buone pratiche che già esistono e che possono essere prese a modello – spiega Fedeli – abbiamo voluto un apposito gruppo di lavoro, una cabina di regia guidata da Marco Rossi Doria che ha una lunga esperienza in materia, anche come ex Sottosegretario all’Istruzione”.

“Il gruppo in questi mesi ha lavorato anche sulla base dei dati che oggi rendiamo pubblici ed entro dicembre consegnerà al Paese delle linee guida per il contrasto e la prevenzione della dispersione. Un piano d’azione che avrà come punto di riferimento l’articolo 3 della nostra Costituzione, che in questi mesi abbiamo sempre messo al centro del nostro lavoro, nella convinzione che garantire pari opportunità alle ragazze e ai ragazzi sia il compito principale del sistema di istruzione”, chiude Fedeli.

“La cabina di regia per il contrasto della dispersione scolastica in questi mesi ha fatto tesoro dei dati dettagliati del Miur e ha raccolto le esperienze delle scuole, esaminato decine di buone prassi di ogni parte d’Italia e in particolare il lavoro in rete tra le scuole e le altre realtà educative: centri sportivi, terzo settore, parrocchie, volontariato – spiega Marco Rossi Doria -. Ha recepito linee di indirizzo da regioni, enti locali e proposte dalle parti sociali. La relazione finale sarà pronta entro dicembre. Intende essere uno strumento di lavoro che metterà insieme i dati quantitativi e le analisi qualitative dei contesti elaborando articolate linee di indirizzo e raccomandazioni per l’azione”.

Il quadro europeo

In Europa l’indicatore utilizzato per la quantificazione del fenomeno è quello degli early leaving from education and training (ELET) con cui si prende a riferimento la quota dei giovani tra i 18 e i 24 anni d’età con al più il titolo di scuola secondaria di I grado o una qualifica di durata non superiore ai 2 anni e non più in formazione.

Per l’Italia tale indicatore mostra un miglioramento  attestandosi, per l’anno 2016, al 13,8%. Nel 2006 era al 20,8%. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungimento del livello del 10%. Il dettaglio regionale evidenzia il divario fra Nord e Sud con Sicilia, Campania, Sardegna, Puglia, Calabria, sopra la media nazionale della dispersione.

Il quadro nazionale

L’indicatore degli ELET è largamente utilizzato per confronti tra i paesi europei, tuttavia, quantificando la prematura uscita dal sistema scolastico a distanza di alcuni anni, fotografa una situazione riferita ad epoche pregresse.

In aggiunta all’indicatore utilizzato in ambito europeo, molti Paesi hanno elaborato specifiche misure a livello nazionale per quantificare la dispersione, basandosi sulle Anagrafi amministrative o su rilevazioni statistiche. In Italia è possibile quantificare il fenomeno della dispersione scolastica a livello nazionale a partire dai dati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti.

La secondaria di I grado

Il report pubblicato oggi evidenzia che nell’anno scolastico 2015/2016, 14.258 ragazze e ragazzi, pari allo 0,8% di coloro che frequentavano la scuola secondaria di I grado, hanno abbandonato gli studi in corso d’anno o nel passaggio fra un anno e l’altro. Al Sud la propensione all’abbandono è maggiore, con l’1% (l’1,2% nelle isole e 0,9% al Sud). Mentre nel Nord Est la percentuale è più contenuta, con lo 0,6%. Tra le regioni con maggiore dispersione spiccano la Sicilia con l’1,3%, la Calabria, la Campania e il Lazio con l’1%. La percentuale più bassa si evidenzia in Emilia Romagna e nelle Marche con lo 0,5%. I maschi abbandonano più delle femmine. La dispersione scolastica colpisce maggiormente i cittadini stranieri rispetto a quelli italiani: dispersione al 3,3%, contro lo 0,6% relativo agli alunni con cittadinanza italiana. Gli stranieri nati all’estero, con una percentuale del 4,2%, sembrano essere in situazione di maggiore difficoltà rispetto agli stranieri di seconda generazione, i nati in Italia, che hanno riportato una percentuale di abbandono complessivo del 2,2%.

L’abbandono è più frequente, poi, fra coloro che sono in ritardo con gli studi: la ripetenza può essere considerato un fattore che precede, e in certi casi preannuncia, l’abbandono. La percentuale di alunni che hanno abbandonato il sistema scolastico è pari al 5,1% per gli alunni in ritardo, e allo 0,4% per gli alunni in regola. Anche gli alunni anticipatari presentano una percentuale di abbandono superiore a quella degli alunni in regola (1,1%). La distribuzione per fasce di età mostra come l’abbandono sia più elevato per gli alunni che hanno età superiore a quella dell’obbligo scolastico, ossia superiore ai 16 anni.

La serie storica dell’abbandono nella secondaria di I grado evidenzia un calo complessivo, dall’1,08% del 2013/2014 allo 0,83% del 2015/2016.

La dispersione nel passaggio fra i cicli

Nel passaggio dall’anno 2015/2016 al 2016/2017, dei 556.598 ragazze e ragazzi che hanno frequentato il terzo anno di corso, 34.286 sono usciti dal sistema scolastico, pari al 6,16% della platea di riferimento. Il 4,47% di queste ragazze e questi ragazzi è passato alla formazione professionale regionale, lo 0,02% è andato in apprendistato, lo 0,06% ha abbandonato per validi motivi (istruzione parentale, trasferimento all’estero), l’1,61% ha abbandonato del tutto.

La serie storica (considerando tutti i frequentanti della scuola secondaria di I grado) vede anche in questo caso un miglioramento: la dispersione fra i cicli era dell’1,18% nel 2013/2014, dello 0,77% nel 2014/2015, dello 0,52% nel 2015/2016.

La scuola di II grado

L’abbandono nella scuola di II grado è del 4,3% (112.240 ragazze e ragazzi). L’abbandono è molto elevato nel primo anno di corso (7%). I maschi abbandonano più delle femmine. Il Mezzogiorno ha una percentuale più elevata della media nazionale (4,8%). Tra le regioni con maggiore abbandono spiccano Sardegna, Campania e Sicilia, con punte rispettivamente del 5,5%, del 5,1% e del 5,0%. Mentre le percentuali più basse si evidenziano in Umbria con un valore del 2,9% e in Veneto e Molise con valori del 3,1%. Nelle scuole paritarie si registra un maggiore abbandono con una percentuale del 7,6% contro il 4,1% delle scuole statali. Considerando il dettaglio della cittadinanza degli alunni, anche per  quest’ordine scolastico è evidente come il fenomeno della dispersione scolastica colpisca maggiormente i cittadini stranieri rispetto a quelli italiani. Analizzando il fenomeno dal punto di vista della regolarità del percorso scolastico, come prevedibile la percentuale di abbandono che appare nettamente più elevata è quella degli alunni con ritardo scolastico (14,5% contro 1,2% degli alunni in regola).

L’abbandono complessivo più contenuto si è registrato per i licei che hanno presentato mediamente una percentuale del 2,1%. Per gli istituti tecnici la percentuale è stata del 4,8% e per gli istituti professionali dell’8,7%. La percentuale di abbandono più elevata è relativa ai percorsi IeFP (corsi di Istruzione e formazione professionale realizzati in regime di sussidiarietà presso le scuole), con un abbandono complessivo del 9,5%. Tra i licei spicca il tasso di dispersione complessivo del liceo artistico, con il 4,8%. Per gli istituti tecnici: la percentuale di dispersione si è attestata al 5,2% per i percorsi ad indirizzo economico e al 4,6% per quelli ad indirizzo tecnologico. Tra i professionali gli istituti con indirizzo industria e artigianato hanno presentato una percentuale di abbandono complessivo più alta, con l’11%. L’elevata uscita dal percorso scolastico di studentesse e studenti iscritti agli istituti professionali potrebbe tuttavia rivelarsi meno consistente, ove si consideri che una parte (più o meno cospicua a seconda delle varie realtà territoriali) potrebbe essere transitata nel sistema regionale di istruzione e formazione professionale senza averne dato comunicazione alla scuola.

La serie storica vede anche in questo caso un miglioramento: la dispersione era del 4,4% nel 2013/2014, del 4,6% nel 2014/2015, del 4,3% nel 2015/2016.

Nota 20 ottobre 2016, AOODGOSV 11637

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione
Ufficio V

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI

e, p.c.  Al Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
SEDE

 

OGGETTO:   Decreto Direttoriale n. 1068 del 19 ottobre 2016 – Scuola, lavoro e dispersione. Percorsi di apprendistato

 

Si trasmette il D.D. in oggetto, in applicazione dell’articolo 22, comma 2, lettere a), c) e d), del D.M. 663 del 1° settembre 2016, concernente “Criteri e parametri per l’assegnazione diretta alle istituzioni scolastiche nonché per la determinazione delle misure nazionali relative alla missione Istruzione Scolastica, a valere sul Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche”.

Si rappresenta la necessità che le SS.LL., al fine di consentire con speditezza l’assegnazione delle risorse impegnate alle istituzioni scolastiche e, laddove previsto, la predisposizione degli ordini di pagamento in tempo utile, osservino le seguenti scadenze:

  • 28 ottobre 2016, termine per la pubblicazione dell’Avviso pubblico da emanare secondo le specifiche e i criteri dettati dal decreto in oggetto, per l’acquisizione delle candidature delle istituzioni scolastiche ed educative statali organizzate in rete;
  • 25 novembre 2016, termine entro il quale le istituzioni scolastiche faranno pervenire a codesti Uffici le proprie candidature;
  • 12 dicembre 2016, termine entro il quale le Commissioni, nominate da ciascuna delle SS.LL. e composte da personale in servizio presso gli Uffici in indirizzo, dotato di specifica professionalità nelle materie oggetto dei progetti e senza alcun compenso o indennità, valutano, ai sensi dell’articolo 22, comma 4, del D.M. 663/2016, le candidature, attribuendo un punteggio nel limite massimo di punti 100, nel rispetto dei criteri contenuti nel D.D. in oggetto;
  • 16 dicembre 2016, termine per la pubblicazione, sul sito web di codesti Uffici, dei decreti recanti le graduatorie delle istituzioni scolastiche che hanno presentato la propria candidatura;
  • 16 dicembre 2016, termine per la trasmissione, da parte di codesti Uffici Scolastici Regionali, alla scrivente Direzione Generale – Ufficio V, dei decreti contenenti le graduatorie delle istituzioni scolastiche che hanno presentato la propria candidatura, all’indirizzo di posta elettronica ufficio5@istruzione.it.

Questa Direzione Generale provvederà, quindi, all’invio dei decreti emessi dalle SS.LL. contenenti le suddette graduatorie, alla Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie, che curerà l’adozione degli atti necessari all’assegnazione ed erogazione delle risorse finanziarie e ad impartire istruzioni sulla rendicontazione delle attività, da completare entro l’esercizio finanziario 2017.

Si ringrazia per la consueta e fattiva collaborazione.

IL DIRETTORE GENERALE
Carmela Palumbo


Decreto Direttoriale 19 ottobre 2016, n. 1068
Scuola, lavoro e dispersione. Percorsi di apprendistato

Una ricerca per monitorare la dispersione scolastica

Scuola, una ricerca Indire per monitorare la dispersione scolastica
Coinvolti 51.116 studenti della Calabria, Campania, Puglia e Sicilia

L’Indire ha presentato oggi, giovedì 26 maggio, al Centro Congressi di Roma Eventi, il “Rapporto di monitoraggio e analisi dei prototipi di intervento territoriale”, in occasione dell’ultimo Comitato di Sorveglianza del Programma Operativo Nazionale “Competenze per lo Sviluppo” e “Ambienti per l’apprendimento”. La ricerca prende in esame l’azione di contrasto alla dispersione scolastica precoce in aree territoriali a elevato rischio, che è stata realizzata negli anni scolastici dal 2013 al 2015 nelle quattro Regioni dell’Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). L’attività fa parte del “Piano di Azione Coesione per il miglioramento dei servizi pubblici collettivi al Sud” ed è nata per volontà dell’Agenzia per la Coesione territoriale, in accordo con la Commissione Europea e in sinergia con il MIUR, le Regioni coinvolte, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Economia.

La dispersione scolastica da anni è un tema al centro delle politiche di istruzione e formazione promosse dall’Unione Europea. Nei triennio 2013-2015 al Sud sono stati 207 i progetti autorizzati e sviluppati contro l’insuccesso formativo, per un totale di 828 scuole coinvolte: 207 capofila (89 della scuola dell’infanzia e del primo ciclo, 118 al secondo ciclo) e 621 istituti scolastici in rete (457 della scuola dell’infanzia e del primo ciclo, 164 al secondo ciclo). A queste si aggiungono altri 810 enti del territorio tra amministrazioni pubbliche (165), associazioni no profit (621) e cooperative (24). I progetti hanno coinvolto complessivamente 51.116 studenti: di questi 47.293 (il 92,5%) hanno frequentato tutte le attività previste (25.425 maschi e 21.868 femmine), mentre 3.823 (il 7,5%) hanno abbandonato tutti i percorsi dei progetti.
Alle iniziative sono stati coinvolti anche “target strumentali”, soggetti a cui indirizzare formazione o interventi dedicati per facilitare il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Europa contro la dispersione scolastica. Tra questi, sono stati individuati 7.208 genitori (84% madri, 26% padri), 6.632 docenti e 176 operatori del personale non docente.

Le reti di scuole coinvolte hanno scelto come elementi principali su cui intervenire la riduzione della disaffezione scolastica, delle ripetenze e il miglioramento delle competenze di base in italiano e matematica. Per rilevare il miglioramento raggiunto nei percorsi formativi sono stati scelti quindi indicatori quantitativi, come la percentuale di assenza, il passaggio alla classe successiva, la votazione curricolare in italiano e in matematica.
I miglioramenti più evidenti si sono verificati sul versante della frequenza scolastica. Il 94,5% degli studenti monitorati, infatti, non ha interrotto la frequenza scolastica e l’88,1% è passato alla classe successiva, rilevando una forte riduzione del rischio di abbandono scolastico dei ragazzi che hanno partecipato ai percorsi. Hanno mostrato minor successo gli indicatori relativi alla valutazione nelle varie discipline; all’ultimo posto quelli riguardanti il coinvolgimento delle famiglie. Se gli interventi hanno contribuito al raggiungimento, nelle scuole monitorate, dell’obiettivo europeo di ridurre il tasso di abbandono scolastico precoce sotto il 10%, è evidente la difficoltà a intervenire con successo sul miglioramento delle competenze di base degli studenti. Un dato, questo, che nel tempo inciderà inevitabilmente sul conseguimento di uno dei parametri previsti dalla Commissione Europea per il settore Istruzione, ossia l’aumento al 40% della soglia dei giovani 30-34enni in possesso di un titolo universitario. Per innalzare questa quota percentuale sarà dunque necessario intervenire con azioni specifiche sul sistema della scuola primaria e secondaria, oltre che sulla qualità dell’istruzione superiore. Il “Rapporto di monitoraggio e analisi dei prototipi di intervento territoriale” è stato curato da Patrizia Lotti e Valentina Pedani dell’Indire.
Durante l’incontro sono stati presentati anche i risultati della ricerca Indire su “Competenze Digitali di studenti e docenti delle Regioni del Sud”, già illustrati alle Università di Udine e di Padova. L’indagine ha coinvolto 9.508 studenti e 7.732 docenti degli Istituti Scolastici di ogni ordine e grado delle regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Lo studio è stato curato dai ricercatori Annalisa Buffardi, Samuele Calzone, Claudia Chellini e Gabriella Taddeo.

Nota 2 aprile 2015, Prot. 2224

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo d’istruzione e formazione
Direzione Generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione

 

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI

OGGETTO: Progetti in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica in attuazione dell’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito in legge 8 novembre 2013, n. 128.

 

Con nota prot. n. 0001014 del 18/02/2014 è stato trasmesso alle SS.LL. il DDG n. 25 del 7 febbraio 2014, riportante, attraverso una specifica procedura di bando, le modalità di selezione e finanziamento di interventi mirati alla riduzione degli abbandoni formalizzati e non formalizzati nel corso dell’anno scolastico e nel passaggio da un anno scolastico all’altro, delle ripetenze nelle scuole secondarie di 1° e 2° grado, nonché dei debiti formativi nella scuola secondaria di secondo grado, in attuazione del disposto dell’art. 7 del D.L. 104/2013.

A seguito di detto bando è stato avviato in tutte le regioni, in via sperimentale, il programma di didattica integrativa, che utilizza il prolungamento dell’orario scolastico di tutte le istituzioni coinvolte di 1° e 2° grado e modelli organizzativi nuovi e più attraenti per i ragazzi coinvolti.

L’ammontare del riparto delle risorse per ciascun USR è stato definito sulla base della popolazione scolastica di ogni regione, corretto dal rilevato tasso di dispersione.

Sulla base delle indicazioni fornite attraverso il richiamato DM n. 87/2014 e ribadite dal decreto direttoriale n. 25/2014, codesti Uffici Scolastici Regionali hanno acquisito le candidature delle istituzioni scolastiche interessate, che sono state valutate e, infine, selezionate da apposite Commissioni regionali. Gli elenchi di tali scuole, acquisiti dalla scrivente Direzione, sono stati trasmessi alla D.G. per il Bilancio e la Politica finanziaria, che nel corso del 2014, ha assegnato alle scuole un acconto, pari al 24%, del finanziamento complessivo.

Al riguardo si comunica, altresì, che a breve la stessa Direzione generale erogherà un ulteriore acconto, pari al 26%, che completerà il previsto 50% di risorse previsto per la prima annualità.

A questo punto sembra opportuno richiamare l’attenzione delle SS. LL. sulla necessità di un attento monitoraggio delle azioni in corso, sulle modalità degli interventi messi in atto, attraverso il ruolo attivo e responsabile delle Commissioni a ciò nominate.

Si comunica, a tale scopo, che i progetti dovranno essere terminati, improrogabilmente, entro giugno del corrente anno e, entro il 15 luglio, le SS.LL. faranno pervenire alla scrivente la documentazione complessiva riguardo agli esiti dei progetti realizzati, ai modelli d’intervento didattico privilegiati e ai risultati conseguiti dai giovani coinvolti. Alla documentazione specifica andrà allegata anche la tabella, allegata alla presente nota, con l’elenco delle scuole selezionate per i progetti ex art. 7 del D.L. 104/2013, riportando per ciascuna scuola la regione, la denominazione ufficiale e l’esatto codice meccanografico. Se la tempistica sopra descritta verrà rispettata, la D.G. per il Bilancio sarà in grado di erogare la restante quota risorse, a monitoraggio acquisito, entro il 31 agosto 2015, in tempo utile e prima di eventuali cambi di denominazione e codici delle scuole stesse.

Confidando nella puntuale e consueta collaborazione, si ringrazia per l’attenzione e si resta a disposizione per ulteriori eventuali esigenze.

 

IL DIRETTORE GENERALE

Giovanna BODA


TABELLA per elenco istituzioni scolastiche selezionate_art. 7

27 novembre Dispersione scolastica in 7a Camera

Il 27 novembre, alle ore 10, presso la Sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio, ha luogo la presentazione degli atti dell’indagine conoscitiva, svolta dalla VII Commissione, sulle “Strategie per contrastare la dispersione scolastica

Il 16 e 21 ottobre la 7a Commissione esamina ed approva il documento conclusivo relativo all’Indagine Sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

Il 23 e 29 aprile, 7 e 29 maggio, 3 e 10 giugno si svolgono audizioni in 7a Commissione della Camera in merito all’Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

Il 16 aprile la 7a Commissione della Camera delibera lo svolgimento di un’Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica.

PROGRAMMA

Introduzione

La Commissione Cultura, scienza e istruzione intende avviare un’indagine conoscitiva sull’insieme dei processi che caratterizzano la dispersione scolastica (abbandoni, ritardi, ripetenze, evasione), e sulle strategie per contrastarla, concentrandosi in particolare sulla prevenzione del fenomeno e sugli aspetti relativi all’inclusione.
Nel corso dei lavori della Commissione e in occasione della discussione e adozione di provvedimenti a favore del sistema dell’istruzione, è emerso chiaramente come occorra ampliare il focus dell’attenzione, prioritariamente riservato ai pur seri e contingenti problemi relativi al personale scolastico, anche agli alunni studenti e alla loro uscita precoce dal sistema formativo.
La dispersione, infatti, rappresenta uno dei 5 obiettivi proposti dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, richiede uno specifico impegno da parte del Parlamento e del Governo.
Per quanto riguarda, in particolare, il tema dell’inclusione, è richiesto che – per il 2020 – il tasso di abbandono scolastico diminuisca a meno del 10 per cento a livello europeo e al 16 per cento a livello nazionale e che il tasso dei giovani laureati salga sopra il 40 per cento. La riduzione del tasso di abbandono scolastico sotto il 10 per cento – entro il 2020 – è stata, peraltro, oggetto di una specifica Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 28 giugno 2011.
Questa linea politica comune europea è stata generata da un’analisi che riconosce nel settore dell’istruzione e della formazione un asset portante per lo sviluppo di un’economia maggiormente competitiva. L’aspetto socio-economico non è tuttavia l’unico, in quanto ancora più rilevante è quello dei diritti di cittadinanza che si acquisiscono attraverso l’istruzione e che vengono negati dall’intreccio tra disagio sociale e dispersione scolastica.
Per affrontare il fenomeno in ambito europeo si utilizza l’indicatore degli early school leavers (ESL) con cui si prende a riferimento la quota dei giovani dai 18 ai 24 anni d’età in possesso della sola licenza media e che sono fuori dal sistema nazionale di istruzione e da quello regionale di istruzione e formazione professionale. Nella fascia di età considerata, l’incidenza dei giovani in possesso della sola licenza media e non più in formazione, pur essendo in diminuzione, è ancora pari al 17,6 per cento (22,9 per cento nel 2004) contro una media dell’Unione europea del 12,8 per cento (13,5 per cento nel 2011).
Va inoltre sottolineato che nella graduatoria dei 27 paesi componenti l’Unione europea, l’Italia occupa ancora una posizione di ritardo, collocandosi nella quart’ultima posizione, dopo il Portogallo, per l’alto tasso di early school leavers.
Da segnalare, nello specifico, la presenza di dati ancora superiori circa l’abbandono degli studi, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno italiano, con punte che arrivano anche al 21 per cento, Pag. 157un dato che va ad aggravare una situazione già molto difficile in alcune aree del nostro Paese.
I dati PISA segnalano, però, un quadro di miglioramento nella rilevazione 2012, con una percentuale di studenti con scarse competenze di lettura, scese al 19,5 per cento, in diminuzione rispetto al 2003, ma sempre troppo alta; ugualmente si può dire per l’apprendimento delle scienze. Preoccupa il quadro di indicatori dell’istruzione molto più bassi al sud, anche se in lieve miglioramento. Tale trend, che diminuisce il divario nord-sud, va sostenuto e accresciuto con un rafforzamento degli interventi.
In particolar modo, si segnalano alcuni precisi momenti della vita di uno studente, caratterizzati da un cambiamento significativo: il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella secondaria di secondo grado, ed il conseguente successivo orientamento verso la scelta universitaria o lavorativa. Sono questi due i momenti di difficoltà maggiore e rappresentano, oggi, l’età critica dell’abbandono degli studi.

Alunni di cittadinanza non italiana

Un aspetto particolare riguarda gli alunni di cittadinanza non italiana che sono stati, nell’anno scolastico 2012/2013, 786.630 unità, ovvero 30.691 in più rispetto all’anno scolastico precedente. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, anche se l’aumento registra – di anno in anno – una leggera contrazione: attualmente gli alunni con cittadinanza non italiana, nella scuola secondaria di primo grado, sono il 9,5 per cento ed il 6,6 per cento nella scuola secondaria di secondo grado (Fonte MIUR, ottobre 2013).
Nell’anno scolastico 2012/2013, l’incremento complessivo della presenza degli alunni stranieri è stato del 4,1 per cento, dovuto essenzialmente agli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia, che rappresentano ben il 47,2 per cento degli alunni stranieri totali (di contro, i nuovi ingressi nel nostro Paese a partire dalla scuola primaria, si attestano al 3,7 per cento). In altre parole, mentre negli anni precedenti l’incremento della presenza degli stranieri nelle scuole italiane era dovuto principalmente all’immigrazione, più di recente, l’evoluzione del fenomeno vede un incremento degli stranieri di seconda generazione.
Il fenomeno della dispersione scolastica – maggiore rischio e minore rendimento scolastico, a causa soprattutto del deficit linguistico – colpisce maggiormente gli alunni non italiani; infatti, nella scuola secondaria di primo grado, gli studenti stranieri a rischio di abbandono – in percentuale sugli iscritti, nel mese di settembre 2013 – sono lo 0,49 per cento, rispetto allo 0,17 per cento relativo agli alunni di cittadinanza italiana. Simile è la situazione nella scuola secondaria di secondo grado, in cui gli studenti stranieri a rischio di abbandono scolastico sono il 2,2 per cento degli iscritti, contro l’1,16 per cento degli alunni italiani. Nella scuola secondaria di primo grado, oltre l’84,5 per cento del numero complessivo di alunni stranieri a «rischio di abbandono» è rappresentato, infatti, da alunni stranieri nati all’estero; nella scuola secondaria di secondo grado tale percentuale tocca il 92 per cento (Fonte: MIUR – D.G. per gli studi, la statistica e i sistemi informativi – Servizio statistico giugno 2013).
Si rileva, inoltre, come i figli degli immigrati siano più spesso degli altri in ritardo scolastico (il 17 per cento nel 2011-2012 nella scuola primaria, a fronte dell’1 per cento degli studenti italiani). Nella scuola secondaria di primo grado sono in ritardo il 46 per cento contro il 5 per cento e, alle scuole superiori, il dato aumenta ulteriormente: il 69 per cento contro il 25 per cento. I motivi sono legati, da un lato alle bocciature, dall’altro, anche all’inserimento in classi inferiori alla loro età. In base al decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, i minori stranieri soggetti all’obbligo scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente all’età Pag. 158anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa tenendo conto:
dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno, che può determinare l’iscrizione ad una classe immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente all’età anagrafica;
dell’accertamento delle competenze dell’alunno;
del corso di studi eventualmente seguito.

A seguito di queste eccezioni, due terzi dei ragazzi arrivati in Italia, in età da scuola secondaria di primo grado (11-13 anni), non sono inseriti nella classe corrispondente alla loro età. Anche se le iscrizioni in classi precedenti sono motivate da difficoltà di inserimento degli alunni, di fatto, ciò che si produce è un ritardo istituzionalizzato degli studenti di origine immigrata.
In tutti gli ordini di studi, il tasso di bocciatura degli studenti stranieri è superiore a quello dei compagni italiani. La differenza si riduce negli ultimi anni delle secondarie, ma a causa dell’abbandono scolastico. Anche i risultati conseguiti in termini di voto mostrano valutazioni mediamente inferiori agli studenti italiani. Quindi, i livelli di istruzione sono più bassi, con maggiore rischio di abbandono scolastico. I dati PISA del 2009 mostrano, ad esempio, livelli di competenze decisamente più bassi, in relazione soprattutto all’età di arrivo in Italia.
Infine, i ragazzi di cittadinanza non italiana si trovano maggiormente concentrati nei percorsi più brevi e professionalizzanti. Nella scelta della scuola secondaria di secondo grado, gli alunni stranieri si orientano verso la formazione tecnica e professionale (tra il 70 per cento e l’80 per cento).
Va operata, a questo proposito, un’importante distinzione tra bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana – nati all’estero – e coloro che, invece, sono nati e cresciuti in Italia dalla tenerissima età, le cosiddette «seconde generazioni». A causa della mancata riforma dell’acquisizione della cittadinanza, operata nella maggior parte dei Paesi occidentali, nel nostro Paese i figli di genitori immigrati possono diventare cittadini italiani, su richiesta, e a precise condizioni, solo a 18 anni. Le cosiddette seconde generazioni, quindi, si trovano ad essere stranieri in Patria, anche nel caso in cui siano nati nel Paese e la loro lingua madre sia l’italiano.
Come è noto, a partire dal 2008, è andato progressivamente crescendo il loro numero. Nel 2011-2012 gli studenti con cittadinanza straniera – nati in Italia – erano il 73 per cento degli stranieri nella scuola dell’infanzia, il 45 per cento di quelli iscritti alla scuola primaria, il 19 per cento nella secondaria di primo grado e l’8 per cento nella scuola secondaria di secondo grado.
Questa differenza, qualitativamente molto importante, e che andrà molto probabilmente a crescere nei prossimi anni, a causa della stabilizzazione delle famiglie straniere, incide fortemente sulle politiche di integrazione e di contrasto all’abbandono da mettere in atto. Nel caso degli alunni neo-arrivati, infatti, le politiche prevalenti sono state improntate a creare un’integrazione principalmente sul piano dell’italiano «lingua 2». Altro è il caso degli studenti nati e cresciuti in Italia, che presentano ugualmente risultati inferiori, per i quali va realizzato un piano di contrasto allo svantaggio di tipo socio-economico e di prevenzione della dispersione scolastica, ispirato all’insegnamento dell’»italiano-per-lo-studio» e a maggiori competenze di apprendimento.
Tuttavia, la differenza nel periodo di arrivo non costituisce il solo fattore per determinare lo svantaggio. Contano anche le aree di provenienza, le barriere culturali, le aspettative delle famiglie, e, soprattutto, le caratteristiche sociali e culturali dei genitori. Le loro difficoltà di inserimento e il trascorso migratorio si ripercuotono sui figli, in modo relativo anche se nati in Italia. Tuttavia, le ricerche internazionali mostrano che lo svantaggio va riducendosi con il tempo, e che, a parità Pag. 159di origini sociali, il divario tra le seconde generazioni e i nativi va ulteriormente a ridursi.
Le difficoltà scolastiche e i minori risultati dello svantaggio degli studenti stranieri costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per il sistema formativo italiano. Questo svantaggio scolastico rischia di tradursi in disuguaglianze sociali ed occupazionali. Esso si accompagna a fenomeni di segregazione sociale e alla caratterizzazione di alcune scuole, maggiormente frequentate da stranieri. Vi sono, inoltre, ancora forti differenze tra aree del Paese, province e quartieri. Il 90 per cento delle scuole del centro-nord accoglie studenti stranieri, a differenza del sud e delle isole. Nonostante l’impianto tradizionalmente universalistico ed inclusivo della scuola italiana, e allo sforzo di integrazione da essa compiuto – spesso «contro corrente» rispetto a politiche «securitarie» e di controllo segregativo dell’immigrazione – essa rischia di non poter arginare lo svantaggio dei figli degli immigrati, se non verrà supportata da decise azioni politiche e adeguate risorse economiche e professionali. Si presenta particolarmente a rischio la fascia degli adolescenti giunti in Italia da poco tempo, che vivono, spesso, una povertà relazionale e la tendenza a vivere in reti in base all’origine nazionale dei genitori.

Azioni di contrasto

Per contrastare la dispersione, il modello adottato dalla scuola italiana ruota intorno all’obiettivo dell’inclusione, così come dichiarato nella legge n. 53 del 2003, a partire dall’innalzamento dell’obbligo di istruzione/formazione a 16 anni (legge n. 296 del 2006) e dal diritto-dovere di istruzione e formazione. Si ricorda, infatti, che nell’attuale ordinamento italiano l’obbligo di istruzione riguarda la fascia di età compresa tra i 6 ed i 16 anni e viene assolto con la frequenza del primo ciclo di istruzione e dei primi due anni di scuola secondaria di secondo grado o, in alternativa, con percorsi di formazione professionale sviluppati dalle Regioni o dagli Istituti professionali.
Dopo i 16 anni sussiste l’obbligo formativo, come definito dal decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, all’articolo 1, concepito come «diritto-dovere all’istruzione e alla formazione sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età». L’obbligo formativo può essere assolto terminando la scuola superiore fino al conseguimento del diploma, frequentando, dopo il primo biennio di scuola superiore, un corso professionale per il raggiungimento della qualifica e, infine, lavorando con un contratto di apprendistato o altro tipo di contratto che preveda comunque la frequenza di attività formative esterne all’azienda, come indicato dal decreto legislativo n. 167 del 14 settembre 2011 (Testo unico dell’apprendistato).
Il citato decreto legislativo n. 76 del 2005, in merito al diritto-dovere all’istruzione e formazione, recava – all’articolo 4 – norme «per la realizzazione di piani di intervento per l’orientamento, la prevenzione ed il recupero degli abbandoni, al fine di assicurare la piena realizzazione del diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione, nel rispetto delle competenze attribuite alla regione e agli enti locali per tali attività e per la programmazione dei servizi scolastici e formativi».
Per quanto riguarda l’integrazione degli immigrati, le linee di indirizzo sono contenute sia nelle «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri» (Circolare ministeriale n. 24 del 2006) sia nel Documento del MIUR «La via italiana per la scuola interculturale e integrazione degli alunni stranieri» del 2007 in cui sono stati individuati i principi e le strategie per l’inclusione.
Sono stati messi in atto, inoltre, interventi specifici diretti alla scolarizzazione di alunni e studenti immigrati, rom e sinti (fondi per le aree a forte processo migratorio), nonché scuole in carcere o in ospedale.
Tuttavia, la scuola italiana investe poco e in modo residuale contro la dispersione. Il 90 per cento del bilancio è speso in Pag. 160risorse correnti (in particolare retribuzione del personale) e non in innovazione. Il problema centrale non è stato affrontato dalle azioni di contrasto, spesso episodiche e settoriali, oltre che intraprese con scarse risorse.
I principali interventi di carattere generale – di carattere sistemico – svolti contro l’abbandono scolastico negli ultimi anni sono stati realizzati con i Piani Operativi Nazionali (PON). Dal 2002 al 2006 il PON «La scuola per lo sviluppo» ha svolto diverse Azioni contro la dispersione. Nel 2007-2013, nell’ambito dei PON – Obiettivo specifico F – Promuovere il successo scolastico, le pari opportunità e l’inclusione sociale – sono stati investiti 270 milioni di euro (5700 progetti, 450.000 partecipazioni) per le 4 Regioni dell’Area Convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). Nell’ambito del PAC – Piano di Azione Coesione – Priorità Istruzione dal 2012 è in svolgimento l’AZIONE 3 (circolare 11666 del 31.7.2012) recante «Realizzazione di prototipi di azione educativa in aree di grave esclusione sociale e culturale», dedicata al recupero dei soggetti in difficoltà (42,9 MEuro). La prima tranche del programma ha interessato 30 province e quasi 400 istituti di scuola secondaria di primo e secondo grado. Gli interventi sono finalizzati alla promozione di «esperienze positive di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica e formativa, che potranno essere diffusi come modello di intervento, prototipi, per tutte le istituzioni scolastiche.» Oltre al metodo per prototipi, la misura si caratterizza per l’approccio «multi-attore», cioè reti di scuole e privato sociale.
Elemento distintivo dell’azione dei PON è la costituzione di reti, nelle quali operano, in una logica sinergica e di integrazione, «i diversi attori presenti nei singoli territori, rappresentati non solo dalle scuole, ma anche da altre agenzie educative e sociali che partecipano attivamente alla realizzazione del progetto come «comunità educante».
È evidente come sia necessario seguire e valutare tali ingenti misure di sostegno. A questo scopo, sono stati istituiti presso il MIUR il Comitato di coordinamento e supporto delle reti scolastiche, ed è stato avviata la procedura per la valutazione indipendente delle attività realizzate.
Una valutazione sui rendimenti dei partecipanti ai PON, svolta nel 2007 (MIUR, La ricerca continua. La dispersione scolastica nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia: l’esperienza dei PON, 2007) ha, però, dato risultati non all’altezza delle aspettative sia per i dati sulle promozioni, che sulle votazioni e sulle assenze, dimostrando che sono necessari tempi lunghi e cambiamenti profondi per vedere effetti delle azioni intraprese, spesso estemporanee e frammentarie. Appare prioritario, quindi, acquisire una puntuale e specifica valutazione degli interventi già svolti per verificarne l’impatto, individuare le migliori pratiche e i punti di forza delle azioni messe in atto.
Nell’ambito dell’autonomia delle scuole, inoltre, gli istituti possono organizzare, all’interno della quota «libera» del curricolo, iniziative di sostegno, recupero e orientamento, oltre che programmi e interventi da finanziare con il Fondo permanente per il Miglioramento dell’Offerta Formativa. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, il predetto MOF e il FIS – Fondo di istituto sono diminuiti (si veda, ad esempio, il problema del pagamento degli scatti stipendiali degli insegnanti attraverso il MOF).
Nella XVII legislatura, nell’ambito di attuazione di politiche in linea con le predette raccomandazioni europee, il Parlamento ha approvato la conversione del decreto-legge 12 settembre 2013, n.104 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013), contenente misure di spesa per 15 milioni di euro (3,6 milioni per il 2013 e 11,4 milioni per il 2014), volte a prevenire la dispersione scolastica. L’articolo 7 del predetto decreto-legge prevede un programma di didattica integrativa che contempla, tra l’altro, ove possibile, il prolungamento dell’orario scolastico per gruppi di studenti, il rafforzamento delle competenze di base e l’individualizzazione dei percorsi. Il programma è rivolto a scuole di ogni ordine e grado, nella prospettiva Pag. 161della prevenzione degli abbandoni, concentrati soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado.
Il relativo decreto ministeriale attuativo prot. 87 del 7 febbraio 2014, in attuazione del citato articolo 7, recante misure in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica, ha avviato i bandi per le reti di scuole che intendono partecipare al progetto. I moduli base prevedono due modalità di intervento: azioni per piccoli gruppi di studenti cui dedicare percorsi di recupero, individuati in base a indicatori di rischio di evasione, e laboratori/attività per tutto l’istituto, di tipo artistico, culturale e ricreativo.
Per quanto riguarda l’inclusione e l’integrazione dei figli degli immigrati, si sono messi in atto – in questi anni – numerosi interventi e soluzioni adottate per ridurre il gap linguistico e culturale. Anche di queste misure andrebbero valutati gli esiti e gli effetti, che consistono nell’utilizzo di personale specializzato nell’insegnamento della cosiddetta L2, uso di mediatori, didattiche integrative, progetti interculturali e laboratori linguistici di transizione. Occorre, però, distinguere tra interventi volti a prevenire lo svantaggio tra i minori arrivati dall’estero e quelli di seconda generazione, che non sono interamente sovrapponibili. In ogni caso, la scuola italiana necessita di misure strutturali e continue, al di là dell’emergenza e del «fai-da-te» operato dalle singole scuole.

Prospettive di intervento

In sintesi, nonostante le numerose iniziative avviate, il problema della mancata valorizzazione di quell’immenso capitale umano, che è la formazione dei giovani, risente di una carenza di decisione e progettualità da parte delle forze politiche e dell’istituzione, oltre che una forte resistenza a mettere in questione il modello curricolare tradizionale e gli stili professionali consolidati. Si pone la necessità, quindi, di sviluppare strategie che consentano di intercettare il disagio, e che riescano a ri-orientare lo studente verso percorsi di istruzione e formazione idonei alle proprie attitudini, prevenendo, così, sia la dispersione scolastica che l’insuccesso nell’età universitaria e migliorando sensibilmente la capacità di ingresso nel mondo del lavoro.
Gli indirizzi forniti dall’Amministrazione del MIUR per abbattere la dispersione scolastica (audizione del sottosegretario Marco Rossi Doria del 22 gennaio 2014), in diminuzione nel tempo, ma non in misura sufficiente, consistono in tre linee di azione:
a) costanza nel tempo delle azioni e coordinamento tra i promotori delle politiche, nonché valutazione dei risultati;
b) approccio basato sulle competenze di base e personalizzazione degli apprendimenti;
c) alleanze tra scuola, territorio, famiglia, agenzie educative.

L’indagine conoscitiva che si intende avviare ha lo scopo di verificare se i processi avviati dalle istituzioni e le stesse azioni previste dal citato decreto-legge n. 104 del 2013 (nonché dal decreto ministeriale n. 87 del 2014), corrispondano a tali indirizzi e indicatori di qualità, assumendo, in particolare, la prevenzione e il recupero della dispersione come obiettivo specifico; è infatti evidente il rischio che i finanziamenti per azioni mirate alla dispersione vengano, invece, utilizzati per azioni di carattere generale, di finanziamento alle attività ordinarie, nonché estemporanee.
In questo quadro, due sono i princìpi ispiratori delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica da considerare con attenzione. Il primo è la prevenzione precoce degli abbandoni; il secondo è un approccio integrato che considera la scuola all’interno di un insieme di reti, quali la famiglia, l’associazionismo, il mondo del lavoro.
Per quanto riguarda il primo, occorre migliorare i dati e le informazioni utili per intervenire tempestivamente sul capitale Pag. 162umano del nostro Paese; in questo senso, un elemento importante di contrasto riguarda l’integrazione dell’anagrafe nazionale degli studenti (istituita con il decreto legislativo n. 76 del 2005) con le anagrafi regionali nel sistema nazionale delle anagrafi studentesche (già prevista dalla normativa vigente, in base alla legge n. 221 del 2012, di conversione del decreto-legge n. 179 del 2012, ma non ancora attuata) prevista dall’articolo 13 del decreto-legge n. 104 del 2013.
Emerge come particolarmente utile la costituzione presso gli USR (uffici scolastici regionali) di gruppi di controllo e monitoraggio del fenomeno delle assenze saltuarie. Si tratta di rendere obbligatoria la rilevazione delle assenze, con conseguente comunicazione periodica al gruppo di ricerca come strumento fondamentale per la prevenzione.
Al fine di avere una conoscenza tempestiva della situazione sulla dispersione scolastica ed il rischio di abbandono degli studi, è necessario proseguire in tale lavoro di miglioramento del sistema Anagrafe nazionale degli studenti, che non fornisce una mera elencazione degli alunni frequentanti, ma – per ogni singola istituzione scolastica – presenta l’esatta composizione delle classi, con l’indicazione nominativa degli alunni frequentanti; indicando inoltre il tempo scuola presente e l’indirizzo di studio, con il relativo carico orario settimanale per ciascun percorso di scuola secondaria di secondo grado.
La suddetta Anagrafe nazionale degli studenti costituisce un efficace strumento di contrasto alla dispersione scolastica fino al compimento dei 14 anni, età nella quale è possibile per lo studente iniziare un percorso formativo professionale. Si tratta di una vera e propria banca dati, che permette di intervenire tempestivamente sul fenomeno dell’abbandono degli studi, in quanto le scuole sono chiamate ad intervenire in tempo reale sull’anagrafe, segnalando la reale frequenza o l’abbandono dei ragazzi iscritti nel proprio istituto. In questo quadro assume una particolare importanza la scuola dell’infanzia, come luogo di formazione precoce che permette di acquisire le competenze di base necessarie per il successivo successo formativo. La frequenza regolare, la diffusione (e l’eventuale considerazione dell’obbligo di tale opportunità formativa) vanno inquadrati nell’ambito della prevenzione dello svantaggio scolastico.
Va inoltre analizzato e approfondito il coordinamento tra tali tipi di misure e quelle previste dalla recente normativa sui cosiddetti BES – Bisogni educativi speciali (Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 »Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica»). Accanto ai disturbi di apprendimento specifici e alla disabilità, i BES comprendono anche «lo svantaggio sociale e culturale e le difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse». Si indica, così, una vasta area di alunni per i quali va applicato in modo particolare il principio della personalizzazione dell’insegnamento, sancito dalla legge n. 53 del 2003, e che rientrano tra gli alunni/studenti a rischio di dispersione. È evidente che i due campi di azione dovrebbero essere coordinati anziché procedere in modo parallelo.
Un approccio integrato alla dispersione deve permettere di potenziare tutte le forme di prevenzione del disagio e di sperimentazioni di innovazioni didattiche che riavvicinino i giovani alla scuola. In questo senso sono da valorizzare i partenariati e le collaborazioni tra gli enti locali e le istituzioni scolastiche a tutti i livelli, in una cooperazione anche con il mondo del terzo settore e del volontariato, che possano rendere efficace un comune sforzo nell’aiutare le giovani generazioni a portare a termine – con successo – il loro percorso formativo.
Le sperimentazioni più efficaci nascono dalla consapevolezza che la scuola, da sola, non basta ad affrontare il fenomeno, sia per la scarsità di risorse in continuo calo, sia per le cause esterne alla scuola stessa. Un nuovo modello di governo riguarda il livello territoriale, come avviene in varie regioni come la Lombardia, dove Pag. 163cooperano le province, i Centri di formazione professionale, i Centri per l’impiego e così via.

Temi delle audizioni

L’attenzione al tema, da parte della Commissione, ha portato, anzitutto, ad una preliminare audizione dell’allora sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria, sul fenomeno della dispersione scolastica, nella quale sono stati presentati dati e informazioni sul tema.
A partire da tale puntuale presentazione, si ritiene che occorra approfondire la problematica –a diversi livelli – nel corso di una indagine conoscitiva, per individuare le migliori strategie ed interventi per contrastare e prevenire la dispersione scolastica, sotto i seguenti punti di vista:
1. Livello normativo-organizzativo (PON, autonomia, sistemi di anagrafe, valutazione, utilizzo dei fondi, diffusione scuola infanzia)
2. Livello innovazione didattica (sperimentazioni, rapporto BES, buone pratiche)
3. Livello collaborazione scuola-territorio (Enti locali, famiglia, terzo settore, educatori)
4. Livello inclusione di alunni di cittadinanza non italiana e rom-sinti.

A questo scopo si ritiene che debbano essere auditi i seguenti soggetti:
a) rappresentanti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e degli Uffici scolastici regionali;
b) rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
c) esperti del settore;
d) organizzazioni sindacali;
e) dirigenti scolastici di istituti impegnati nei progetti contro la dispersione;
f) fondazioni e cooperative impegnate nel campo della lotta alla dispersione scolastica; rappresentanti di educatori-pedagogisti;
g) associazioni di volontariato, organismi per l’integrazione e l’inclusione;
h) associazioni studentesche e degli insegnanti.

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

CAMERA DEI DEPUTATI
7a Commissione Cultura, scienza e istruzione

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Premessa
1. ANALISI DEL PROBLEMA
1.1. Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno.
1.2. I fattori decisivi del rischio dispersione.
1.3. Le risorse.

2. LIVELLI DI INTERVENTO
3. STRATEGIE DI AZIONE
3.1. Il nodo del primo biennio della scuola secondaria.
3.2. Un’autonomia compiuta.
3.3. L’Istruzione e Formazione Professionale.
3.4 Scuola aperta e partnership con il territorio.
3.5 Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi.
3.6 Gli studenti di cittadinanza non italiana.
3.7 Nuovi ambienti di apprendimento.
3.8 Il riordino dei cicli.
3.9. L’anagrafe degli studenti.

4. CONCLUSIONI: UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE
4.1. Obiettivo 10 per cento.
4.2. Azioni prioritarie.
4.2.1. Anagrafe e monitoraggio.
4.2.2. Prevenzione nell’infanzia.
4.2.3. Interventi nella scuola secondaria e IEFP.
4.2.4. La seconda chance.
4.3. Due strumenti per la realizzazione delle azioni.
4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l’autonomia delle scuole.
4.3.2. Una «unità di crisi».

Premessa

Nell’ambito delle politiche del Governo che pongono la scuola e la formazione al centro dello sviluppo del Paese, la prevenzione e il contrasto alla dispersione scolastica assumono oggi una rilevanza senza precedenti. Non c’è crescita o ripartenza se rimangono irrisolti nodi storici del nostro sistema di istruzione e di formazione, già oggetto, peraltro, nel 2000, di attenzione da parte della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati. Eppure, la perdita di un’enorme massa di studenti che abbandona la scuola rimane un luogo comune accettato quasi con rassegnazione, dimenticando che in questa zona d’ombra si nascondono non solo i destini individuali di ragazzi e ragazze ma anche le prospettive di crescita del nostro Paese.
Rispetto al passato non è più tempo di descrizioni e diagnosi. Non c’è alcun bisogno di ripetere ritualmente la litania dell’abbandono scolastico o ricamare il tema con un restauro conservativo dei modi di vedere la questione, dominanti negli ultimi decenni. Ai livelli insostenibili di dispersione e alla perdita di attrazione della scuola occorre contrapporre un approccio strategico e operativo, orientato dal coraggio di una visione rivolta al futuro.
Accanto alle criticità accumulate negli anni dell’edilizia scolastica e alla quota di occupazione precaria nella scuola, la dispersione è uno degli ostacoli storici alla qualità del nostro sistema di istruzione e di formazione. Riconquistare i giovani alla scuola, e ridurre ritardi e uscite precoci, è una sfida decisiva per decisori, amministratori, insegnanti e famiglie, non solo per evitare la dissipazione delle risorse comunque investite ma, anche e soprattutto, per ridare all’educazione e alla formazione il ruolo di spinta per l’avvenire del Paese.
Per un’azione efficace non basta una generica intenzione di miglioramento, ma occorre mettere in campo tutte le energie in una strategia nazionale multi-livello che, attraverso la definizione di precise misure e traguardi da raggiungere, reinventi l’azione didattica, ridisegni gli ambienti di apprendimento, rimotivi gli studenti e riconosca il lavoro dei docenti.
Per migliorare la comprensione del fenomeno e, quindi, definire più efficaci strategie di intervento, la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati ha ritenuto opportuno lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sull’insieme dei processi che caratterizzano la dispersione scolastica (abbandoni, ritardi, ripetenze, evasione), e sulle strategie per contrastarla, concentrandosi, in particolare, sulla prevenzione del fenomeno e sugli aspetti relativi all’inclusione. Il contrasto alla dispersione, infatti, rappresenta uno dei 5 obiettivi proposti dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, richiedendo uno specifico impegno da parte del Parlamento e del Governo.
Gli indirizzi forniti dall’Amministrazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per abbattere la dispersione scolastica (indicati nel corso dell’audizione di Marco Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione del Governo Letta il 22 gennaio 2014) consistono in tre linee di azione: costanza nel tempo delle azioni e coordinamento tra i promotori delle politiche, nonché valutazione dei risultati; approccio basato sulle competenze di base e personalizzazione degli apprendimenti; alleanze tra scuola, territorio, famiglia, agenzie educative.
Scopo dell’indagine conoscitiva è stato verificare se i processi avviati dalle istituzioni e le stesse azioni previste dal decreto-legge n. 104 del 2013, in particolare dall’articolo 7, che ha stanziato complessivi 15 milioni di euro per il biennio 2013-2014 (nonché dal decreto ministeriale di attuazione n. 87 del 2014), corrispondano ai suddetti indirizzi e indicatori di qualità, assumendo, in particolare, la prevenzione e il recupero della dispersione come obiettivo specifico, evitando di dirottare i finanziamenti per azioni mirate alla dispersione per azioni di carattere generale, di finanziamento alle attività ordinarie, nonché estemporanee.
L’indagine si è dunque svolta dal 23 aprile 2014 al 10 giugno 2014 con lo svolgimento di 6 sedute dedicate alle audizioni, durante le quali sono stati sentiti, oltre a soggetti istituzionali competenti in materia (rappresentanti del MIUR, dell’INVALSI e dell’ISFOL), dirigenti scolastici, insegnanti, docenti universitari, rappresentanti di associazioni, fondazioni e testate editoriali attivi nello studio e nel contrasto alla dispersione scolastica e esperti del settore provenienti da diverse esperienze. I rappresentanti di molti Uffici scolastici regionali, su richiesta della Commissione, hanno inoltre trasmesso loro memorie ove, oltre all’effettuazione di analisi concernenti il fenomeno a livello di singola regione, sono state descritte le azioni svolte dai singoli U.S.R. per il contrasto alla dispersione scolastica.
Ciascun soggetto audito – cui va il ringraziamento sentito dei componenti della VII Commissione – ha portato la propria esperienza, spesso integrata dal deposito di documentazione appositamente predisposta: gli esiti di questa indagine e la sintesi delle diverse le indicazioni emerse nel corso delle varie audizioni vengono di seguito riportate.

  1. ANALISI DEL PROBLEMA

1.1. Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno.

Le diagnosi sulla dispersione scolastica permettono oggi una visione approfondita dei processi, delle dimensioni tradizionali e nuove del fenomeno e delle politiche d’intervento.
Gli indicatori tradizionali (bocciature, ripetenze, abbandoni…) che per anni sono stati oggetto di studio, rimangono importanti, anche se registrano solo una parte del fenomeno, visto il contenimento delle bocciature nel primo ciclo e la grande inflazione nel secondo.
Per anni abbiamo misurato il totale dei dispersi facendo una semplice sottrazione, cioè prendendo il totale della popolazione in età dai 14 ai 17 anni, sottraendo quelli iscritti a scuola, quelli assunti in apprendistato, quelli iscritti alla Istruzione e formazione professionale (IeFP) e, dopo questa sottrazione, quello che rimaneva era probabilmente la quota dei dispersi. Parliamo di un numero assoluto mai variato negli anni. Sempre con questo metodo di stima, quindi con tutte le cautele del caso, circa 110-115.000 ragazzi compresi fra i 14 ed i 17 anni, ogni anno, si trovano fuori dai percorsi formativi e scolastici. Essi sono concentrati al sud per il 42 per cento circa; la quota più grande è attribuibile alla regione Campania, che da sola rappresenta il 20 per cento del fenomeno. Anche la Lombardia ha una quota molto grande, ma semplicemente perché in quel territorio c’è più popolazione in età. In ogni caso, generalmente è un fenomeno caratteristico delle isole e del sud Italia ma si presenta «a macchia di leopardo» in tutto il paese.
Più recentemente, si è puntata l’attenzione sulla differenza tra il numero di iscritti al I anno di scuola superiore e i diplomati al V anno cogliendo indicatori dell’inefficienza del sistema scolastico. Tale differenza, ad oggi del 29,7 per cento con variazioni tra le diverse tipologie di istituto, misura la quota di studenti che, per ragioni varie, denunciano limiti nei processi di orientamento e di scelta del percorso e del perdurare di un modello di espulsione non più compatibile con l’obiettivo di assicurare un percorso completo a ogni studente e a ogni studentessa.
In questa ottica l’indicatore, correntemente utilizzato a livello comunitario, degli Early school leavers – ESL (giovani dai 18 ai 24 anni che non dispongono di titolo di studio o qualifica superiore a quello ottenuto a conclusione del primo ciclo di istruzione e non attualmente in formazione) misura l’inefficienza del sistema formativo. Le indicazioni europee si riferiscono a coloro che non hanno conseguito un titolo di studio superiore alla scuola secondaria di primo grado e che, inoltre, nelle quattro settimane precedenti l’intervista, non abbiano svolto attività di istruzione e di formazione.
La diminuzione al di sotto del 10 per cento della quota degli ESL è il traguardo indicato per il 2020 dall’Unione. Per l’Italia il raggiungimento di tale traguardo è a portata di mano per le regioni del Nord; richiede, invece, una robusta azione mirata per le altre regioni. Il conseguimento di un diploma o di una qualifica, considerati come condizioni per l’ingresso nel mercato del lavoro, sono obiettivi standard nelle politiche dell’istruzione e della formazione, da perseguire specificamente e da monitorare sistematicamente.
Un ulteriore criterio di definizione del fenomeno della dispersione è stato elaborato ed utilizzato in alcune esperienze concrete. In particolare, l’Osservatorio regionale sulla dispersione scolastica, nato in Sicilia nel 1989, utilizza un criterio che affronta il problema conteggiando tutti gli aspetti diversi della dispersione scolastica. Per ognuna delle circa ottocento scuole siciliane vengono raccolti – anno per anno – i dati relativi all’evasione dall’obbligo scolastico, agli abbandoni in corso d’anno e all’istruzione parentale.
Le definizioni di dispersione e di abbandono sono basate sul conseguimento – o meno – di un certo titolo di studio. La disponibilità di informazioni sulle performance degli studenti obbliga tuttavia ad andare oltre il mero dato del conseguimento di un diploma per includere anche una valutazione circa l’acquisizione di competenze adeguate; anzi, i dati OCSE Pisa mostrano che i livelli di competenze variano sensibilmente tra gli studenti della stessa età. Sulla base dei test di apprendimento, sappiamo che, spesso, allo stesso titolo di studio possono corrispondere livelli di competenze molto diversi. Pertanto, si dovrebbe mirare a una definizione basata non tanto sul conseguimento – o meno – della qualifica o del diploma, bensì sul grado di competenze raggiunte a una determinata età.
In questo senso, ci fa da battistrada l’impostazione dell’indagine OCSE-PISA, che dà livelli insufficienti del 30 per cento nelle regioni meridionali, toccando punte del 38 per cento nelle isole. L’obiettivo della Strategia Europa 2020, che pone al 10 per cento – come tetto massimo – il numero di giovani collocabili tra i predetti early school leavers (attualmente l’Italia sta – nel 2013 – al 17 per cento), seppure il dato sia in miglioramento, è un’impresa decisamente impegnativa, soprattutto per alcune aree del Paese. Oggi, nelle quattro regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), abbiamo infatti un tasso del 21 per cento.
In ogni caso, per una comprensione allargata dei processi di dispersione è indispensabile fare riferimento ai NEET (Not in Education, Employment or Training), la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 non occupati e non iscritti a un percorso di formazione precisa. Da questo punto di vista l’Italia è in una situazione molto difficile: secondo Eurostat ha una percentuale di NEET di oltre il 25. Naturalmente nella valutazione di questo dato entrano in gioco altre variabili, che riguardano l’andamento dell’occupazione, le opportunità di lavoro, le opportunità professionali.
Come ulteriore aspetto bisogna valutare l’assenteismo degli studenti, un fenomeno ben più vasto di quello che normalmente si percepisce.
In questa prospettiva non si può dimenticare l’achievement gap, cioè quel divario che separa, spesso e in profondità, i risultati scolastici e le attese relative alle competenze profonde ormai richieste nel XXI secolo.
Allo stesso tempo la necessità di formare gli innovatori di domani denuncia una criticità prospettica che può rallentare i sistemi di istruzione e di formazione. Il divario che preoccupa va oltre i risultati di scuola, riguarda le condizioni di capitale, umano, sociale e professionale, per garantire al nostro Paese un ritorno alla crescita.

1.2. I fattori decisivi del rischio dispersione.
I soggetti che sono più a rischio di abbandono scolastico sono, tipicamente, soggetti maschi, spesso di origine straniera, con un background familiare fragile e, soprattutto, con una storia e un percorso educativo molto frastagliato, che parte dalle scuole medie. Questi sono i ragazzi che hanno la più alta probabilità di non arrivare al completamento della scuola secondaria, ovvero al raggiungimento di un diploma. Lo zoccolo duro della dispersione, quello dovuto ad abbandoni ed evasioni, è di tipo socio-economico, ma, utilizzando i valori che ci forniscono Eurostat o l’Istat, regione per regione, scopriamo che tra dispersione e grado di povertà c’è una correlazione moderata: la povertà influisce sulla dispersione scolastica, ma non è il fattore determinante. Ciò che influisce di più sono le scarse competenze: correlando le competenze che scaturiscono dai test INVALSI e la dispersione, scopriamo che la correlazione è molto forte. Questo significa che, in linea con l’approccio analitico, ciò che occorre combattere è la dispersione dovuta ai fallimenti pregressi nella scuola e alle bocciature.
Dal punto di vista della distribuzione geografica, è importante sottolineare come la media del 17,6 per cento di early school leavers attuale presenti differenze assai significative tra le diverse Regioni. Alcune Regioni registrano percentuali vicino a quella media europea, che è del 12,8 per cento (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Abruzzo); mentre il Molise presenta un valore del 9,9 per cento. Altre, come la Toscana sono in linea con la media nazionale (17,6 per cento), altre ancora come la Valle D’Aosta, hanno un tasso del 21,5 per cento di giovani tra i 18 e i 24 anni che non riescono a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore. La situazione nel Mezzogiorno appare generalmente peggiore rispetto al resto d’Italia, registrandosi un tasso del 25,8 per cento in Sardegna, del 25 per cento in Sicilia, del 21,8 per cento in Campania e del 19,8 per cento in Puglia (dati del MIUR aggiornati al giugno 2013), pur dovendosi ricordare che, in quest’ultima regione, il tasso di early school leavers, nel 2006, era di ben il 27 per cento. È anche vero che la Calabria, con il 17,2 per cento è in linea con la media nazionale, mentre la Basilicata, con il 13,8 per cento, è ben sotto la media nazionale. Le differenze «a macchia di leopardo», inoltre, valgono anche all’interno delle singole Regioni.
Accanto alla collocazione territoriale, un importante fattore di rischio è rappresentato dalla tipologia di scuola. La dispersione è maggiore negli istituti tecnici e negli istituti professionali. Secondo lo studio di Tuttoscuola, la dispersione scolastica negli istituti statali, misurata come differenza tra il numero degli iscritti all’ultimo anno nel 2013-2014 rispetto agli iscritti al primo anno cinque anni prima, cioè nel 2009-2010, è inferiore alle 170.000 unità di studenti dispersi, pari al 27,9 per cento. L’anno scolastico 2012-2013, sempre secondo la comparazione quinquennale, erano stati 10.000 in più, pari al 29,7 per cento. Secondo il medesimo studio la dispersione è risultata concentrata negli istituti professionali, dove raggiunge il 38 per cento, ma, dieci anni, fa arrivava al 50 per cento. Negli istituti tecnici la percentuale di dispersi arriva al 28 per cento Lo sviluppo del sistema di istruzione e formazione è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. Nel momento in cui l’offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea tale fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell’istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell’offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
Gli abbandoni della scuola avvengono prevalentemente nel primo biennio della superiore in genere a seguito di una bocciatura. Questo dato è omogeneo su tutto il territorio nazionale; ciò porta a concentrare l’attenzione sull’orientamento degli studenti che, se mal gestito, porta a scelte a volte irreversibili. Vari esperti osservano che le bocciature all’inizio del corso di studi superiore si rivela spesso decisiva per la scelta di abbandonare la classe. Altrettanto importante è portare l’attenzione sul fenomeno delle assenze saltuarie frequenti, elemento predittivo dell’insuccesso seguente, soprattutto nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale.
Il mancato potenziamento delle misure sul diritto allo studio ha un effetto diretto e indiretto sull’abbandono scolastico, specie nelle aree più deprivate; va poi ricordato, tra le ricadute il gravissimo fenomeno dell’analfabetismo di ritorno tra gli adulti.
Accanto a questi fattori di ordine generale, ve ne sono poi alcuni che riguardano alcune specifiche categorie di ragazzi. Qualche anno fa, una ricerca in termini sia previsionali sia longitudinali, pubblicata sul sito lavoce.info, spiegava che l’esperienza di coorti di ragazzi osservati nel loro percorso scolastico longitudinale, a partire dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia, era ben differente rispetto all’esperienza di ragazzi che non avevano avuto la possibilità di partecipare a un percorso di apprendimento in età prescolare e dai 3 ai 6 anni. Si tratta di un fattore previsivo dei probabili abbandoni, in età da scuola media e nel corso del primo biennio della scuola superiore.
Per affrontare seriamente il tema della dispersione scolastica, non si può non tener conto del dello svantaggio educativo, cioè le difficoltà e il disagio di cui sono carichi questi ragazzi e ragazze (che ovviamente non hanno una certificazione di disabilità, una patologia certificata). Si tratta di alunni e studenti indicati nella terza fattispecie dei BES (Bisogni educativi speciali), che presentano non una certificazione di disturbo di apprendimento o una patologia, ma difficoltà di apprendimento o inserimento. Attribuire la responsabilità del disagio solo all’ambiente o alla famiglia porterebbe fuori strada. È la scuola stessa che può diventare una causa di disagio o – viceversa – una risposta. La sfida educativa per «stare bene a scuola» si gioca nella competenza relazionale degli insegnanti, la capacità di «leggere» e comprendere le singole situazioni, e la necessità di un rapporto strutturato con le agenzie educative. Il rapporto con le famiglie diventa centrale, mentre a volte vengono percepite come «cause» delle difficoltà o elementi di «disturbo» nello svolgimento del lavoro didattico. Lo svantaggio rappresenta un fenomeno multidimensionale e come tale va compreso. La famiglia fa parte del quadro, e deve essere coinvolta attivamente nelle strategie educative della scuola, senza concorrenza o conflitto.
Uno specifico punto di sofferenza riguarda i bambini e ragazzi Rom e Sinti. Il quadro del rapporto tra bambini Rom e scuola, con particolare attenzione ai nodi critici e alle possibili strategie di intervento, si basa su due livelli: quello organizzativo e quello della professionalità dei docenti. In Italia, il 19,2 per cento dei minori Rom è analfabeta. Oltre agli sgomberi dei loro insediamenti che fanno cambiare scuola più volte ai ragazzi Rom, c’è uno svantaggio sociale di base dove i genitori spesso sono analfabeti: c’è una difficoltà, da parte dei genitori, ad affrontare l’iscrizione stessa alle scuole, in assenza di un mediatore che aiuti in questo senso Quasi nessuno dei ragazzi delle baraccopoli frequenta la scuola superiore. In Europa, lo fa il 10 per cento dei ragazzi, mentre in Italia la percentuale è molto più bassa. Pochi di loro terminano la terza media: l’esito drammatico è che non possono accedere ai livelli di istruzione successiva, cioè ai corsi professionalizzanti, alle scuole bottega, perché non ne hanno diritto, pur avendo età da istruzione obbligatoria, non avendo ancora la licenza media. Siamo di fronte a una dispersione molto alta nel passaggio dalla scuola media al biennio delle scuole secondarie superiori e ad un ritardo italiano che va colmato con strategie spcifiche.
Oltre ai fattori socio-economici facilitanti la dispersione, ne esistono varie prodotte dal sistema d’istruzione stesso. In particolare, il focus va posto nella scuola secondaria di secondo grado, particolarmente nel primo biennio, che è d’istruzione obbligatoria, in quanto l’istruzione scolastica obbligatoria è stata innalzata a 16 anni. Occorre in particolare concentrarsi sulla questione della qualità dell’orientamento e il tema della precocità della scelta, cui si aggiunge quello della sua reversibilità: la scelta può anche essere non precoce ma, nel momento in cui per la rigidità del sistema quella scelta risulta irreversibile, è molto facile che, laddove si riveli sbagliata, generi l’abbandono scolastico. Risulta quindi necessario l’orientamento nella scuola secondaria di primo grado e il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro. Desta poi preoccupazione il dato di abbandono dei ragazzi al primo anno di istruzione secondaria di secondo grado, omogeneo su tutto il territorio nazionale. Tale fenomeno fa emergere l’esigenza di interventi che riguardino l’orientamento degli studenti, che, probabilmente, nella scelta del ciclo secondario, o per mancanza di conoscenza o per influenze diverse, scelgono un corso di studi sbagliato.
L’abbandono scolastico più che la dispersione, che esplode durante i primi due anni della scuola superiore, ha inoltre le sue profonde radici nelle assenze saltuarie che caratterizzano la frequenza scolastica degli alunni del primo ciclo di istruzione, soprattutto in quelle scuole situate nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale. Molti studenti che abbandonano la scuola mostrano segnali di pericolo per mesi, se non per anni, a scuola e al di fuori della scuola. Tali ragazzi si trovano ad affrontare sin da piccoli sfide personali, sociali ed emotive che devono essere colte dalla scuola.
Altro tema fondamentale è quello degli studenti di cittadinanza non italiana, nella scuola secondaria superiore circa il 7 per cento, ossia circa 175.000 studenti. È un tema che funziona come cartina di tornasole per tutte le situazioni di svantaggio sociale, con la differenza che sugli alunni stranieri abbiamo una ricchezza notevole di dati, perché il fenomeno è molto studiato. Sulle infinite varianti dello svantaggio sociale è più complicato avere dati controllabili, ma per approssimazione possiamo dire che alcuni aspetti, caratteristici della popolazione giovanile straniera in età scolare, sono estendibili, per analogia, anche ad altri tipi di svantaggio sociale. I bisogni della popolazione di cittadinanza non italiana in età scolare sono diversi. Per i neo-arrivati è necessario continuare a sostenere misure di insegnamento dell’Italiano L2. Gli stranieri di seconda generazione invece presentano problemi legati all’Italiano-per-lo-studio. L’80 per cento di questi ragazzi frequenta gli istituti tecnici e gli istituti professionali e ciò indica che per loro si va creando una sorta di segregazione formativa nell’istruzione tecnica e professionale.
I fenomeni di dispersione scolastica non riguardano però unicamente i ragazzi che presentano un livello di competenze insufficiente. Vi è anche un fenomeno opposto, forse meno visibile, ma anch’esso importante, quello degli iperdotati. Alcuni degli studenti che abbandonano la scuola, in realtà, andavano benissimo a scuola. Molti di loro, probabilmente, hanno avuto una buona carriera alla scuola elementare, o nei primi anni della scuola media, quindi teoricamente non c’era nessun segnale che potesse far pensare a un possibile fallimento, a un abbandono scolastico. Questi studenti presentano alcune caratteristiche, per quanto riguarda i fattori di rischio, comuni alla popolazione generale, cioè il problema socioeconomico, il basso livello culturale della famiglia, il sesso (l’abbandono è più alto tra i maschi). Nella scuola superiore si trovano senza strategie di studio o sfide cognitive adeguate alle loro capacità e aspettative.
Esistono poi i low achievers, che hanno un basso rendimento scolastico: questo è dovuto alla presenza di quella che viene definita la twice exceptional, che potrebbe essere un DSA (disturbo specifico di apprendimento), come la dislessia, la discalculia e così via: in questa popolazione particolare tali disturbi, molto spesso, sono riconosciuti tardivamente. L’intelligenza, aiutandoli a compensare, li nasconde. La presenza di ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) e una serie di altre situazioni in comorbilità portano ad avere, invece, proprio un abbassamento del rendimento e dell’autostima.

1.3. Le risorse.
Il nodo delle risorse finanziarie è naturalmente una questione di carattere politico, che coinvolge la scelta su quante risorse il Paese vuole dedicare alla scuola. Ma pur non essendo una questione di natura tecnica, presenta un aspetto tecnico relativo ai criteri ed alla modalità di utilizzo. Il precedente Governo ha stanziato 15 milioni di euro – all’articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l’anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l’anno 2014 – per la lotta alla dispersione scolastica: cifra certamente insufficiente. Queste risorse sono state stanziate operativamente attraverso il decreto ministeriale n. 87 del 7 febbraio 2014. Questi finanziamenti, unitamente anche ad altri, come quelli legati all’articolo 9 del contratto collettivo nazionale di lavoro (Area a rischio e a forte processo immigratorio), non sono riusciti a costruire un sistema consolidato nel tempo di lotta alle assenze saltuarie e al conseguente abbandono scolastico.
Anche per i Piani operativi nazionali (PON), soprattutto per quanto riguarda le regioni dell’Obiettivo Convergenza (Sicilia, Puglia, Calabria e Campania), non si può parlare di successo, perché, misurando lo scarto fra il punto di partenza e il punto di arrivo, ci si accorge che i livelli raggiunti – in termini di incremento di successo formativo – non sono molto rilevanti. Sappiamo che sono state impiegate risorse molto ingenti ma i risultati in termini di contrasto sono stati differenti. Regioni che hanno ricevuto anche molti fondi, ad esempio, non hanno visto migliorare in modo corrispondente le loro percentuali. Si ribadisce quindi la necessità di rendicontare gli esiti dei finanziamenti e dei progetti relativi. Soprattutto, i PON hanno creato progetti a termine anche validi, ma che purtroppo restano estemporanei non avendo modificato la routine scolastica.
Con riferimento alle risorse impiegate, comprese quelle dei PON si rileva che molti progetti non hanno prodotto routine. La questione della dispersione, come altre, si risolve nel momento in cui è la scuola «normale» ad agire in un certo modo. Quindici milioni di euro stanziati per il 2013-2014 possono anche essere risorse interessanti, nel momento in cui riguardano un biennio: succede però che si alimentano dei progetti, probabilmente anche ben fatti, alcune pratiche, effettivamente, producono qualche risultato nel biennio in cui il progetto è in corso, ma tutto questo non è in grado di modificare la routine scolastica. Quello che manca davvero è la capacità di avere uno standard in grado di affrontare il problema. Bisogna piuttosto pensare a progetti integrati, organici, di sistema, capaci di incidere sulla qualità dell’organizzazione della didattica e, quindi, di elevarne la qualità: progetti che diventino dunque stabili e non estemporanei.
Con riferimento alle risorse finanziarie, occorre considerare come sino ad oggi gli interventi siano stati finanziati prevalentemente attraverso risorse comunitarie, in particolare del Fondo sociale, del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo di coesione. Naturalmente occorre che le esperienze valide riescano a passare a sistema. È pur vero, però, che in questi anni il MIUR non ha avuto molte risorse di bilancio per poter realizzare questa operazione. Ad esempio nella formazione degli insegnanti, si è intervenuti sulle competenze di base degli stessi con cinque progetti nazionali molto consistenti, anche da un punto di vista della partecipazione degli insegnanti, ma non c’erano risorse sufficienti in bilancio. Ma, evidentemente, per passare a sistema occorre trovare fonti finanziarie ordinarie e stabili.
In merito al nodo risorse occorre però fare uno sforzo per comprendere come la lotta alla dispersione scolastica da un lato comporti adeguati investimenti ma dall’altro possa determinare significativi risparmi, o quantomeno riduzione nello spreco di risorse pubbliche. Circa 472.000 alunni che, ogni anno, vanno incontro all’insuccesso scolastico, perché abbandonano gli studi, vengono bocciati oppure si ritirano senza più dare notizie di sé. Sappiamo benissimo che gli organici della scuola vengono conteggiati anche in base agli studenti ripetenti. Se un ragazzo viene bocciato, la scuola ritiene che rifrequenterà le lezioni. Basta moltiplicare – è un calcolo che serve solo per avere un ordine di grandezza del fenomeno – gli 8.646 dollari che l’OCSE stima siano il costo annuale di uno studente per la scuola media e gli 8.607 dollari per la scuola secondaria superiore e arriviamo a qualcosa come 3,5 miliardi di euro che, ogni anno, siamo costretti a spendere in più per sostenere l’insuccesso scolastico.
Anche la questione degli asili nido rimanda al nodo delle risorse disponibili e, quindi, delle possibilità operative degli enti locali e di altri soggetti. La dispersione si contrasta a partire dai primissimi anni di età, essendo ormai acquisito che coloro che non hanno frequentato la scuola dell’infanzia hanno maggior probabilità di non continuare proficuamente gli studi superiori. La possibilità di frequentare la scuola già dai 3 ai 6 anni diminuisce le percentuali di probabilità dell’abbandono (www.lavoce.info). In realtà abbiamo oggi ancora 40.000 bambini che non frequentano, specie nelle regioni del sud a più alto rischio di dispersione.
È essenziale far frequentare la scuola dell’infanzia a soggetti particolarmente a rischio come i bambini rom. Bisogna che le scuole comincino a segnalare ai servizi sociali o al tribunale dei minori i casi di evasione scolastica, considerato che le frequenti assenze spesso sono tollerate dalle scuole. La scuola è un diritto e mandare i bambini a scuola è un dovere che bisogna far rispettare. Va data quindi, in questo senso, un’attenzione particolare alle famiglie dei minori rom, spesso costretti a frequenti sgomberi che impediscono di frequentare la scuola, per attivare misure di diritto allo studio e attività di integrazione.

  1. LIVELLI DI INTERVENTO

Un’efficace azione di contrasto alla dispersione scolastica richiede una pluralità di azioni collocate su piano diversi e coordinate in una visione di insieme. Nel corso delle audizioni sono state prospettate diverse azioni che potrebbero, se utilmente inserite in una strategia organica, far fare un salto di qualità al nostro sistema scolastico,
Il Thematic Workgroup on early school leaving della Commissione Europea, nel Rapporto finale Reducing early school leaving: key messages and policy support del novembre 2013 sugli abbandoni precoci nella scuola, ha indicato che le azioni contro la dispersione scolastica vanno collocate a tre livelli e cioè azioni di prevenzione, azioni dirette e misure di recupero.
Sulla base di tale documento, è possibile individuare le seguenti cinque priorità che dovrebbero caratterizzare una efficace strategia di lotta alla dispersione scolastica in Italia:
1) l’incremento dell’accesso agli asili nido e alla scuola dell’infanzia, soprattutto nelle regioni del Sud d’Italia e nelle Isole;
2) la qualificazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, con l’applicazione rigorosa in ogni regione italiana dell’ordinamento relativo all’ampliamento dell’offerta formativa;
3) la creazione di idonei ambienti di apprendimento, (non solo una questione di allestimenti) con la realizzazione di un piano di formazione dei docenti in servizio e di sperimentazione di princìpi educativi e pratiche didattiche centrati sui fattori d’influenza dell’apprendimento;
4) l’organizzazione e la strutturazione di un sistema di monitoraggio, con un’anagrafe nazionale dello studente basata sui dati delle rilevazioni del Sistema nazionale di valutazione (che si avvale dell’attività dell’INVALSI), per valutare un rischio basso, medio o alto di abbandono precoce degli studi;
5) interventi in molteplici dimensioni nei confronti delle famiglie degli studenti a rischio, potenziandone i compiti e le capacità educative.

Per quanto riguarda i livelli di intervento di carattere generale, vengono individuati a) la prevenzione, b) intervento e c) compensazione.
In ambito europeo, per misure di prevenzione, si intendono azioni o misure o interventi che anticipano l’insorgenza conclamata di segni di abbandono precoce dei percorsi scolastici o formativi. Le misure investono molto sugli ambienti di apprendimento, i curricoli, la formazione dei docenti e i sistemi di connessione anticipata del mondo scolastico con il mondo del lavoro e della produzione: ciò in modo tale che il contatto con il mondo produttivo possa essere, esso stesso, un’opportunità di apprendimento e un modo per organizzare la propria carriera scolastica o le proprie scelte future.
Per quanto riguarda le misure di intervento, queste sono definite come misure a contrasto, non appena i primi segni dell’abbandono scolastico si manifestano. Queste misure sono indirizzate agli studenti, agli insegnanti e ai genitori. Anche in questo caso, l’attenzione è posta sui percorsi e sui curricoli.
L’ultimo livello di questo quadro generale di contrasto degli abbandoni precoci e della dispersione scolastica viene definito di compensazione. L’Unione europea, in questo caso, fa riferimento ai percorsi cosiddetti «formativi di seconda occasione», rivolti sostanzialmente ai ragazzi che hanno perso ogni connessione con la scuola e la formazione professionale, ma possono essere recuperati a seguito di un ripensamento o del sostegno di servizi territoriali, il cui scopo principale sia quello di reintegrare i giovani nei contesti scolastici e formativi.

  1. STRATEGIE DI AZIONE

Le strategie di azione qui di seguito enucleate sulla base delle audizioni non sono presentate in ordine di priorità, bensì compongono un quadro di azioni parallele, da sviluppare in modo convergente.

3.1. Il nodo del primo biennio della scuola secondaria.
Un punto importante per contrastare la dispersione riguarda il potenziamento dell’orientamento nel primo biennio della scuola secondaria. Da tempo la scuola media non è più la fine del percorso dell’obbligo. Abbiamo quindi bisogno di sviluppare l’orientamento di tipo formativo non solo nella scuola media ma soprattutto nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: ciò sarebbe fondamentale e permetterebbe allo studente i passaggi da un indirizzo all’altro. Il sistema della scuola secondaria di secondo grado è organizzato a canne d’organo –licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale – sistemi che non dialogano tra loro e non sono integrati. Al contrario, gli ultimi provvedimenti normativi approvati hanno irrigidito i modelli e non permettono i passaggi da un indirizzo all’altro. Questo rappresenta una fonte di dispersione.
Importante è anche una decisa azione di contenimento delle bocciature, che sono l’anticamera dell’abbandono scolastico, contrasto da attuare – in particolare – nei primi due anni della scuola secondaria superiore, dove le bocciature sono stimate in circa 185.000, attraverso piani di studio più flessibili e personalizzati.
Si potrebbe considerare la possibilità di passare nel primo biennio delle superiori a una valutazione biennale anziché annuale, ai fini dell’ammissione alla classe successiva. Si potrebbe riprendere questa norma per il biennio iniziale della scuola secondaria superiore, prevedendo la bocciatura nel primo anno di corso solo come evento eccezionale, puntando a garantire una soglia di equivalenza, di abilità e conoscenza a tutti gli studenti, dei licei, dei tecnici, dei professionali, della formazione professionale.

3.2. Un’autonomia compiuta.
Nell’ottica dell’organizzazione della scuola come comunità di apprendimento per superare l’insuccesso scolastico, occorre pensare come coinvolgere nel processo di apprendimento tutti gli agenti che influenzano l’educazione. È importante coniugare strettamente la questione della dispersione scolastica con l’autonomia scolastica compiuta, come era stata inizialmente introdotta e solo teorizzata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, che consentirebbe di disegnare un progetto di scuola adatta al territorio. Pur rispettando i termini generali di un sistema di istruzione nazionale, dovrebbe e potrebbe essere capace di far diventare la scuola come il luogo che sa interpretare le domande delle famiglie di quel territorio, che sa disegnare davvero percorsi personalizzati, può prendersi cura di ciascuno, progettare, utilizzando risorse umane ed economiche per mettere in campo azioni di sistema che innestino processi culturali ed educativi.
L’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, concernente le norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, nel momento in cui in Italia si parlava dell’autonomia, sembrava dovesse diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di tutto il sistema formativo italiano. All’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica citato si fa riferimento alla possibilità per le scuole di associarsi in reti o consorzi, utile per affrontare il tema della ricerca educativa e della rappresentanza delle istituzioni scolastiche, nonché dell’approfondimento di tutte le questioni relative al rapporto tra scuola e territorio.
Evidentemente, nella tradizione scolastica italiana, all’autonomia hanno creduto in molti, ma rispetto allo sviluppo della stessa hanno operato solo pochissime persone. Al contrario, le scelte sono state prevalentemente orientate ad attenuare tutte le possibilità offerte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. La rappresentanza delle scuole viene percepita in modo non corretto. Le scuole sono rappresentate dall’amministrazione, dall’Ufficio scolastico regionale, ma questo tipo di rappresentanza amministrativa è effettivamente distante dall’idea della scuola autonoma e, quindi, dalla possibilità per le scuole di affrontare in modo complesso e diretto le problematiche. In questa prospettiva è interessante l’esperienza del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) in cui sono presenti i presidi e gli insegnanti che lavorano nelle azioni di ricerca e nei progetti europei.

3.3. L’Istruzione e Formazione Professionale.
Un efficace strumento antidispersione in questi anni è rappresentato dallo sviluppo dei percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, percorsi triennali che portano a 22 qualifiche, diplomi quadriennali, anno integrativo per l’esame di Stato e alta formazione tecnico-professionale. Si possono seguire percorsi triennali di questo tipo sia presso le agenzie formative accreditate sia presso gli istituti professionali di Stato in regime di sussidiarietà integrativa o complementare a seconda dei casi. Il sistema di istruzione e formazione professionale in Italia è finanziato dal Ministero del lavoro con 189 milioni di euro l’anno. Questo significa che, siccome l’ultimo monitoraggio indica 300.000 giovani sui percorsi, parliamo di 630 euro all’anno per corso utente, effettivamente molto scarsi. Se il costo medio di un giovane a scuola è circa 7.000 euro l’anno, 630 euro l’anno di investimento da parte del Paese su un percorso professionalizzante antidispersione sono decisamente insufficienti.
Lo sviluppo del sistema di Istruzione e Formazione Professionale è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. È evidente che, nel momento in cui l’offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea questo fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell’Istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell’offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
Risulta imprescindibile l’obiettivo di valorizzare questo sistema, ed in particolare l’apprendistato (anche dagli ultimi due anni delle superiori), le esperienze di scuola-lavoro, gli stage in azienda, i tirocini formativi, ormai parte integrante del sistema di istruzione che costituiscono uno degli strumenti più efficaci nella lotta alla dispersione. Dare pieno diritto alla formazione professionale e all’apprendistato, stabilizzandola e rendendola di uguale qualità nelle diverse Regioni, rappresenta la base di partenza per una strategia articolata.
Un altro tema da affrontare riguarda la professionalità del corpo docente, che deve essere sviluppata in modo specifico per quanto riguarda gli Istituti professionali. Infatti, la personalizzazione degli insegnamenti, che rappresenta in teoria una risposta molto efficace al problema della dispersione, è in concreto assai complessa da realizzare. La strategia migliore per avvicinarsi all’obiettivo è rappresentata dall’articolazione dei profili all’interno della scuola. Il tutor, il mentore, l’insegnante che progetta, l’integrazione della scuola con il territorio rappresentano strumenti per fornire risposte alla personalizzazione.

3.4. Scuola aperta e partnership con il territorio.
Si potrebbero prevenire i rischi di bocciatura anche attraverso corsi di recupero obbligatori pomeridiani ed estivi, che consentano agli studenti un più adeguato recupero delle lacune accumulate e che, al contempo, rendano più facile incontrare e accogliere il disagio che questi ragazzi si trovano spesso a vivere. Sarebbe da seguire l’approccio metodologico, utilizzato con successo nelle esperienze di integrazione, di un’esplicita personalizzazione degli obiettivi formativi, valorizzando le attitudini e le potenzialità individuali e registrando a verbale, senza negarle e occultarle, le limitate performance raggiunte dallo studente in una o più discipline.
Una più ampia apertura delle scuole potrebbe essere sia orizzontale, nel periodo di giugno-luglio, sia verticale, cioè allungando gli orari di funzionamento degli istituti nei giorni di lezione. Ciò non significa però perpetuare la distinzione tra saperi e discipline «ufficiali» di tipo teorici e le attività «pratiche» – in un certo senso «extra-scolastiche – in subordine. Le attività non possono essere messe in gerarchia, ma tutte devono concorrere alla qualità del modello pedagogico-didattico.
La scuola, allungando i suoi tempi, deve rendere ordinario ciò che ora è frutto di esperienze casuali, soprattutto nelle zone ad elevata esclusione sociale. Sul punto, peraltro, vi sono diversità di opinioni fra gli esperti: secondo alcuni, infatti, non è detto che migliori la situazione allungare la giornata scolastica, aumentare le ore di lezione – soprattutto nel caso di insegnanti che contribuiscono ad alimentare il disagio – perché il tempo scolastico è una variabile che influisce nella misura in cui si traduce, poi, in un tempo di apprendimento, di concentrazione e di studio. Occorre però considerare che almeno nelle zone a rischio di emarginazione socio-economica un prolungato orario scolastico permetterebbe ai giovani socialmente svantaggiati di poter far riferimento nella scuola come centro di formazione e aggregazione sociale.
In questo senso non si può immaginare che il contrasto alla dispersione possa essere realizzato unicamente all’interno del sistema scolastico. Bisogna avvalersi di contributi diversi. Non si pensi, infatti, che i recuperi possano essere realizzati soltanto dai docenti di scuola. Se si vuole davvero fronteggiare la dispersione, sia in fase preventiva, sia nel recupero, occorre che vi sia un’alleanza fra la scuola e tutti i soggetti di un sistema formativo veramente integrato. Si tratta dell’associazionismo, del volontariato, delle cooperative e dei soggetti portatori delle altre risorse professionali necessarie, come gli educatori professionali o gli psicologi.
L’educazione alla cittadinanza va potenziata in tutti gli aspetti: formazione alla responsabilità, alla partecipazione, ai diritti/doveri, al volontariato; ciò può essere promosso non solo con un insegnamento dei saperi teorici, ma attraverso una cittadinanza vissuta e aperta, in collaborazione con ciò che è fuori della scuola.
È necessaria la trasformazione della scuola in un centro di riferimento culturale e sociale del territorio: la scuola deve diventare ancor più, nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale, una potente macchina di attacco alla disgregazione sociale e anche alla conseguente diffusione della criminalità organizzata. Lo Stato anche e soprattutto attraverso la scuola, può e deve interamente e profondamente riappropriarsi dei territori occupati da qualcun altro. È altresì necessaria la costituzione, presso tutti gli Uffici scolastici regionali, di un gruppo di lavoro, così come è stato fatto in Campania, per la prevenzione e il contrasto all’abbandono scolastico e al disagio giovanile, con il compito, tra gli altri, di ricercare sistemi di allerta che permettano di individuare precocemente gli studenti a rischio di abbandono scolastico. È fondamentale, inoltre, assicurare la stabilità del corpo docente. Il continuo cambio dei docenti è spesso vissuto dagli alunni come un’altra occasione di abbandono. Il rapporto costruito tra docente e bambino, fondamentale nel processo di crescita e di apprendimento, quel legame empatico che si instaura tra gli alunni e gli insegnanti, diventa un patrimonio che viene disperso, a tutto svantaggio del bambino.
Un’esperienza interessante è rappresentata dalle «scuole di seconda occasione»: una rete di sei esperienze che si articolano in molte città italiane. Uno dei limiti fondamentali di queste esperienze è il fatto che sono esperienze che vanno riprodotte di anno in anno, poiché vengono garantite dall’accesso ai fondi europei, quindi bisogna fare nuovi progetti. Un altro tema è quello della seconda opportunità. Oggi, quasi il 20 per cento degli stranieri iscritti ai CTP ha un’età inferiore ai diciannove anni. Questo ci dice chiaramente che l’istruzione pensata per gli adulti ha, in realtà, una domanda forte di seconda opportunità, cioè di ragazzi che sono stati espulsi dal sistema scolastico normale e che tentano di riprendere gli studi.

3.5. Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi.
Una delle chiavi della strategia deve essere la formazione degli insegnanti, in direzione di un rinnovamento della didattica auspicato da tutti a parole ma in realtà raramente realizzato. Se si vuole investire urgentemente risorse sui cosiddetti processi educativi un elemento determinante, per farlo, è avere chiari i dieci fattori di influenza che producono alti livelli di apprendimento. A tale proposito elementi interessanti possono essere rintracciati in una ricerca evidence-based, centrata sui dati meta-analitici – pubblicati tra il 2009 e il 2012 – di circa ottocento studi sperimentali curati da un professore australiano dell’Università di Melbourne, John Hattie. Secondo tale ricerca, i dieci fattori sono i seguenti: aspettative degli studenti; credibilità del docente agli occhi degli alunni; fornire ai docenti un supporto e una valutazione formativa; valutazione degli studenti basata sul feedback educativo; insegnamento reciproco tra pari; programmi per lo sviluppo di abilità cognitive; programmi di arricchimento lessicale; competenza di lettura-comprensione; relazione tra insegnante e studente; organizzatori grafici della conoscenza. Si noti che al secondo e terzo posto vi sono fattori legati alla credibilità e all’aggiornamento continuo del docente.
Sul versante della professionalità docente, dunque, vi sono ampi spazi di intervento. La qualità della didattica dipende per molti aspetti dal contesto professionale più ricco e opportunità di formazione per gli insegnanti in servizio, soprattutto in alcuni campi specifici necessari alla lotta alla dispersione: innovazione didattica, competenze psicopedagogiche e relazionali, tecniche di lavoro di gruppo, competenze di educazione alla cittadinanza, insegnamento Italiano L2, cura dei disturbi di apprendimento.
A livello di formazione iniziale, occorrerebbe instaurare una più stretta collaborazione con i Corsi di laurea in Scienze della formazione e con la formazione universitaria dei docenti delle scuole superiori. Il nodo centrale è rappresentato dalla qualità del Tirocinio, con il ruolo centrale del supervisore come insegnante esperto che aiuta gli studenti a fare sintesi tra esperienza e saperi disciplinari, riflessione e esplicitazione della didattica, studi e deontologia professionale. Nel momento del reclutamento, bisognerebbe infatti valutare anche le competenze relazionali degli insegnanti, i fattori di personalità, la capacità di lavorare in gruppo e in rete e la conoscenza delle questioni etiche e normative.
Si deve puntare sulla formazione dei docenti, ma occorre anche che un certo numero di docenti sia sistematicamente dedicato. Per ottenere ciò bisogna che una quota di docenti sia rimotivata e, sicuramente, ri-professionalizzata in tale direzione. Serve un organico funzionale di istituto che non ha niente a che vedere con l’organico «piatto» che abbiamo oggi. Dobbiamo avere risorse in più, ma anche capire dove recuperare risorse professionali.

3.6. Gli studenti di cittadinanza non italiana.
Gli alunni e studenti di cittadinanza non italiana costituiscono una fascia a rischio di dispersione. La questione va però affrontata distinguendo tra chi arriva in Italia dal paese d’origine senza adeguate conoscenze e gli studenti (ormai quasi la metà del totale) considerati «di seconda generazione perché nati o cresciuti qui. Le strategie devono essere quindi molto diverse. Anzitutto i corsi intensivi di Italiano L2 sia in alcuni periodi sia per tutto l’anno, i laboratori pomeridiani a fianco della classe (e non separati), i corsi per disciplina devono essere strutturati nel sistema scolastico anziché estemporanei, impiegando risorse professionali con un alto livello di specializzazione.
Inoltre, con riferimento alla questione dei ritardi, la normativa dello Stato (articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999) stabilisce che lo straniero che si iscrive in una scuola debba essere inserito nella classe della sua età, salvo deroghe. In questo caso si inseriscono i ragazzi di origine immigrata in classi inferiori. Queste deroghe – pur decise dal collegio dei docenti e dal consiglio d’istituto allo scopo di facilitare l’apprendimento della lingua – raramente sono utili al successo scolastico, come è dimostrato da dati empirici. Ci sono anzi indici di correlazione fra ritardi e ripetenza. Sulle deroghe esiste, quindi, un problema. Anche se non si può imporre per legge la rinuncia, prevista dalla legislazione, occorre ripensare lo strumento della deroga creando altri tipo di sostegno e facilitazione all’apprendimento dei neo-arrivati o di chi non conosce la lingua italiana.
In generale, un approccio interculturale a livello delle discipline e delle relazioni, che rispetti ma non amplifichi la diversità, diviene indispensabile per gestire la complessità delle culture e delle lingue presenti in classe.

3.7. Nuovi ambienti di apprendimento.
È necessario un approccio globale al curricolo. Non si può progettare solo la formazione, ma un intero ambiente di apprendimento per creare una scuola nuova, più aperta e coinvolgente, cooperativa e «senza zaino». L’innovazione didattica è al centro della lotta alla dispersione.
Occorre a questo proposito considerare sia l’hardware sia il software. Da un lato si parla dell’ architettura scolastica, con tutte le problematiche legate all’edilizia carente, la distribuzione degli spazi, l’organizzazione degli arredi sino all’interno dell’aula, le dotazioni digitali. Si vuole però sottolineare soprattutto la dimensione corporea e tattile, sensoriale. Se i bambini e i ragazzi sin dall’infanzia non si abituano alla dimensione manuale, corporea, saranno adulti nel mondo del lavoro incapaci di avere una visione a 360 gradi.
Le aule devono diventare ambienti strutturati come aree organizzate di lavoro, con attrezzature tecnologiche adeguate, attraverso investimenti nella didattica 2.0 e nella banda larga per compensare il digital divide tra le diverse aree del paese.
Per i ragazzi (in particolare quelli a rischio) la scuola può e deve preparare percorsi personalizzati e individualizzati, costruendo ambienti di apprendimento attivi, adatti e stimolanti, trasformando l’aula in laboratorio. Oggi, invece, la struttura tradizionale dell’insegnamento contraddice tutto ciò che la ricerca scientifica ormai da più di un secolo ha scoperto sulle modalità cognitive con cui si impara: rende passivi bambini e ragazzi curiosi, ignora l’importanza della corporeità nell’apprendimento, stimola la competitività e non il lavoro di gruppo, ricorre quasi esclusivamente a modalità frontali di insegnamento, separa le materie di studio anziché lavorare per centri di interesse, crea un fossato tra lo studio scolastico e il sapere digitale, sottovaluta la pluralità delle intelligenze trascurando la creatività, impone tempi rigidi quando si dovrebbe lasciare spazio allo spirito di ricerca e adattarvi luoghi e orari della scuola. Lo dimostra il disagio anche degli studenti dotati che non trovano interesse nella scuola.

3.8. Il riordino dei cicli.
Nella lotta alla dispersione si possono prendere in considerazione anche le diverse ipotesi di riordino dei cicli (compreso il progetto di un anno in meno del sistema formativo). Per trovare risposte obiettive a tali ipotesi di intervento (da attuare nel primo o secondo ciclo) è utile tra l’altro riferirsi alle attuali sperimentazioni della scuola secondaria di secondo grado in quattro anni.

3.9. L’anagrafe degli studenti.
Naturalmente, per implementare un’efficace strategia di contrasto alla dispersione scolastica è essenziale poter disporre dei dati e delle misurazioni che consentano di dare il giusto peso ai problemi e di orientare per programmare iniziative mirate alla loro soluzione. Pensare di dover raccogliere i dati, scuola per scuola, potrebbe sembrare un intervento complicato, ma in realtà si tratta di dati già in possesso delle banche dati del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR). Eccezion fatta per l’evasione, il MIUR conosce il dato degli abbandoni, delle interruzioni non comunicate e delle bocciature e sarebbe in grado di censire il fenomeno in maniera analitica scuola per scuola e – forse – plesso per plesso. Interfacciando questi dati con quelli provenienti dalla banca dati INVALSI, le scuole potrebbero conoscere le competenze dei ragazzi che entrano nelle stesse, per intervenire con azioni – quasi individuali – volte a evitare le bocciature.
Oggi noi non abbiamo ancora un’Anagrafe degli studenti che ci consenta di dire per quella classe di età dove siano gli studenti. Abbiamo tutti dei pezzi della realtà, ma non dialogano tra di loro. L’Anagrafe degli studenti riguarda solo quelli del sistema dell’istruzione: non c’è un collegamento con le Anagrafi regionali della formazione ed è quindi necessaria un’integrazione dei dati tra l’Anagrafe nazionale degli studenti del Ministero dell’istruzione e le altre anagrafi, come i dati degli uffici scolastici regionali. L’altro tema, legato alle anagrafi, è che – da qualche anno – non si registra più o non si verifica più quando le iscrizioni avvengono. Prima dell’inizio dell’anno scolastico, tutte le anagrafi dei municipi non inviano più – come invece avveniva in passato – alle scuole il registro dei residenti per verificare se siano stati iscritti, o meno, a scuola. È stato segnalato nel corso dell’indagine conoscitiva che per i bambini stranieri questo rappresenta un problema molto serio.
Con riferimento all’integrazione delle varie banche dati, occorre puntare ad un’informazione dettagliata, mirata e quasi microscopica sui casi singoli (scuola per scuola e plesso per plesso) e sulle caratteristiche della dispersione scolastica, degli abbandoni precoci, delle ripetenze, dei ritardi – soprattutto per quanto riguarda i ritardi degli studenti stranieri che non sono ammessi nella classe della propria coorte di età. Sono tutti dati ovviamente essenziali, a patto però che siano rispettate due condizioni. La prima condizione è che la direzione sia biunivoca. Il fatto di implementare una banca dati, straordinariamente efficiente nella capacità di distillare i dati anche nelle loro caratteristiche microscopiche, senza però un ritorno di questi dati alle scuole stesse, che ne sono i principali fornitori, è un’operazione che rischia di essere un eccellente patrimonio di dati utili per gli uffici studi e le analisi, ma non per gli interventi. È quindi essenziale pensare a come garantire, nel meccanismo di fornitura delle informazioni, l’andare e il ritornare dei dati. I dati entrano grezzi e devono uscire, invece, con un commento, cioè con una qualità di lettura che consenta alle singole scuole, ai territori, agli uffici scolastici regionali, alle regioni, ai comuni – non cito più le province per ovvi motivi – di orientare le proprie politiche di aggressione nei confronti del fenomeno. In secondo luogo, in una logica sussidiaria, i Comuni dovranno fare quello che lo Stato non è in grado di fare, perché lo Stato accentra i dati e può analizzarli e fornirli. Il Comune, in sinergia con gli uffici e i centri per l’impiego, dovrà creare piuttosto un’anagrafe dei dispersi. A livello di territorio, abbiamo bisogno di una capacità di lettura del fenomeno che intercetti i casi singoli e sia in grado di recuperare storie e vicende, in modo che il territorio sia messo in condizione, sia nelle cause della dispersione sia negli effetti, di recuperare le persone attraverso strategie «multi-attoriali», che coinvolgano non soltanto il pubblico, ma anche il privato sociale, l’associazionismo e il volontariato specializzato nella cosiddetta «seconda opportunità».

4. CONCLUSIONI: UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE

4.1. Obiettivo 10 per cento.
L’obiettivo ultimo di una strategia nazionale che acceleri il contrasto alla dispersione scolastica è portare la quota percentuale degli early school leavers al 10 per cento dal 17,6 per cento attuale.
Tale obiettivo è stato enunciato come condizione anche nel parere che la VII Commissione della Camera ha espresso il 2 luglio 2013, al termine dell’esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati (COM(2012)629 final), del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell’Unione europea per il periodo 1o gennaio 2013-30 giugno 2014 (17426/12) e della relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, relativa all’anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1). Esso appare ambizioso, ma raggiungibile (attualmente è a portata di mano solo per alcune regioni) se si comincia immediatamente ad operare sui ragazzi che oggi hanno 12-14 anni.
Infatti, in base ai dati PISA del 2012, il sistema dell’istruzione italiana si è rimesso in moto per la prima volta dopo un decennio di stallo. Anche nella lotta alla dispersione si registrano notevoli progressi poiché nel 2000 superava il 25 per cento ed oggi la quota media si attesta al 17,6 per cento. Nelle 4 regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) il dato si pone intorno al 21 per cento. Con gradualità questa percentuale potrebbe continuare a diminuire, ma troppo lentamente. La sfida è oggi l’accelerazione dei processi, da cui dipende la possibilità per l’Italia di ricominciare a crescere, fornire una qualificazione adeguata ai giovani e contrastare la disoccupazione.
È superfluo ribadire che i costi dell’ignoranza sono pesanti per un sistema formativo che assorbe il 20 per cento della spesa pubblica. Si calcola che abbattere la dispersione potrebbe far «risparmiare» alla collettività fino al 6 per cento del PIL. Tuttavia, la lotta agli abbandoni e la scelta di far concludere al maggior numero possibile di ragazzi la carriera scolastica e formativa non possono avere soltanto un scopo funzionale. La cultura e l’apprendimento sono beni in sé che permettono di sviluppare il capitale umano di ciascuno. Apertura alla cultura e passione per la conoscenza sono il bene più prezioso che la scuola può lasciare in eredità alle nuove generazioni. Dal mancato apprendimento nasce una minore capacità di comprendere la complessità del mondo attuale e quindi un deficit di cittadinanza, una contrazione della possibilità di costruire il futuro.
Le policy options per il contrasto alla dispersione sono oggetto di una vasta letteratura e oggetto di molteplici documenti strategici. Per il contesto del nostro Paese alcuni criteri di azione vanno considerati prioritariamente, in modo mirato rispetto alle diverse dimensioni del fenomeno. In ogni caso, appare necessario che le strategie e le azioni concrete considerino adeguatamente i differenti contesti territoriali ai quali si applicherà e che, semmai, punti, prendere in prestito e disseminare nelle diverse aree del Paese tutte le esperienze e le buone pratiche maturate nel territorio nazionale.
Si potrebbe elencare a lungo lo spreco di intelligenza, interesse e talento compiuto dalla scuola italiana, mentre molti altri paesi europei stanno modificando e innovando i loro metodi di insegnamento/apprendimento. Lo confermano anche le esperienze del mondo non profit che recuperano ragazzi a rischio o che hanno lasciato la scuola con la rimotivazione, la responsabilizzazione, le competenze relazionali. La centralità dell’istituzione scolastica non deve far dimenticare, infatti, che il contrasto alla dispersione richiede un lavoro di partenariato e coordinamento tra scuola e territorio, Enti locali, associazionismo. Senza una forte sinergia la scuola si troverebbe sola e impari al compito.
Il contrasto alla dispersione scolastica parte dalla coscienza di dover rendere nuovamente protagonisti gli studenti e non solo i bisogni degli adulti, della società e degli insegnanti. Lo sviluppo di un paese dipende infatti dalla capacità di coinvolgere le nuove generazioni. Il rapporto scuola/lavoro assume, in questo senso, un’importanza determinante per la sua valenza di apprendimento attivo, legato alla realtà, motivante e di tipo pratico. Troppo a lungo in Italia si è avvalorata la gerarchia tra i saperi di tipo teorico e quelli di tipo pratico dimenticando che essi costituiscono le due facce speculari dell’apprendimento, che deve essere sempre di tipo laboratoriale anziché trasmissivo.
Vanno in questa direzione le misure prese dai recenti governi, in particolare lo stanziamento di 15 milioni di euro – disposto per la lotta alla dispersione scolastica dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l’anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l’anno 2014. Va segnalato inoltre il programma europeo Garanzia per i giovani, di cui alla raccomandazione 2013/C120/01 del Consiglio, del 22 aprile 2013, richiamato dall’articolo 8 del medesimo decreto-legge n. 104 del 2013: questo articolo, al comma 2, ha autorizzato la spesa di euro 1,6 milioni per l’anno 2013 e di euro 5 milioni a decorrere dall’anno 2014, quale contributo per le spese di organizzazione, programmazione e realizzazione delle attività di orientamento per gli studenti iscritti alle scuole secondarie, al fine di facilitare una scelta consapevole del percorso di studio e di favorire la conoscenza delle opportunità e degli sbocchi occupazionali.
Nel presente documento conclusivo vengono quindi proposte le seguenti azioni prioritarie di carattere generale.

4.2. Azioni prioritarie.

4.2.1. Anagrafe e monitoraggio.
Il primo passo urgente consiste nella realizzazione e nel completamento di Anagrafi integrate che permettano di acquisire dati certi. Si è cercato di affrontare il problema grazie alle disposizioni contenute all’articolo 13 del citato decreto-legge n. 104 del 2013, il quale prevede, in particolare, che al fine di realizzare la piena e immediata operatività e l’integrazione delle anagrafi di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 76 del 2005, entro l’anno scolastico 2013/2014 le anagrafi regionali degli studenti e l’anagrafe nazionale degli studenti siano integrate nel sistema nazionale delle anagrafi degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione. Un aspetto che evidenzia l’importanza di avere a disposizione dati utili sui ragazzi che frequentano le nostre scuole è dimostrata dalla previsione del comma 2-ter del suddetto articolo 13, introdotto nel corso della conversione del decreto-legge n. 104, il quale prevede che, al fine di consentire il costante miglioramento dell’integrazione scolastica degli alunni disabili mediante l’assegnazione del personale docente di sostegno, le istituzioni scolastiche trasmettono per via telematica alla banca dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti le diagnosi funzionali di cui al comma 5 dell’articolo 12 della legge n. 104 del 1992, prive di elementi identificativi degli alunni.
Un monitoraggio regolare del fenomeno andrebbe effettuato sulla base dei seguenti indicatori:
A. Early school leavers 18-24 che non hanno diploma o qualifica superiore e non sono in formazione;
B. Percentuale tra quelli che iniziano e che finiscono fatte salve le scelte diverse dal punto di vista formativo (come indicatore della capacità di continuità di percorso della scuola). A tali dati devono far riferimento le scuole nei loro piani di miglioramento.
C. Numero di studenti che acquisiscono una qualifica o un diploma nella formazione professionale anche nell’ottica di disporre di una visione integrata del sistema complessivo di diplomi e qualifiche (qualifiche triennali, diplomi quadriennali, diploma di esame di stato,…) da far entrare come informazione statistica corrente negli annuari ISTAT.
D. Preparazione studenti su dati OCSE Pisa e Invalsi.

Ogni USR deve effettuare una precisa diagnosi del fenomeno a livello regionale sulla base di tali indicatori, definire gli specifici obiettivi e fare un piano di azione nel quadro di cooperazione inter-istituzionale. Il Miur può incrociare questi dati con quelli Invalsi per effettuare censimento analitico scuola per scuola del fenomeno, condizione sine qua non di una lotta rigorosa.

4.2.2. Prevenzione nell’infanzia.
Una strategia preventiva riferita alla fase dell’infanzia, dovrebbe basarsi sui seguenti punti.
1. Incrementare l’accesso agli asili nido specie nelle Regioni meridionali. Come dimostrato da numerosi studi del settore, un fattore che fa la differenza è l’arricchimento educativo precoce a partire già dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia.
2. Valorizzare e rafforzare in funzione preventiva la scuola dell’infanzia all’interno del sistema integrato di istruzione, incrementando la scuola statale dell’infanzia e facilitando l’accesso delle scuole dell’infanzia paritarie al finanziamento europeo.
3. Implementare il sistema di allarme precoce sulle assenze frequenti, ai sensi della raccomandazione del Consiglio del 28 giugno 2011 sulle politiche di riduzione dell’abbandono scolastico (2011/C 191/01) e della Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2012 dell’Italia, formulando un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2015.
4. Incrementare l’individuazione precoce dei problemi e difficoltà di apprendimento a livello della scuola dell’infanzia e primaria.

4.2.3. Interventi nella scuola secondaria e IEFP.
Per quanto riguarda gli interventi relativi alla scuola secondaria ed alla formazione professionale, la strategia dovrebbe includere i seguenti interventi.
1. Prevedere un riordino dei cicli e la revisione della loro scansione in funzione della diffusione di un nuovo modello pedagogico-didattico mirato al contrasto alla dispersione (personalizzazione, tutoring, didattica attiva). La riallocazione delle risorse risparmiate abbreviando e ridisegnando il percorso (nella secondaria inferiore o superiore) permetterebbe di qualificare il sistema e giungere ad un organico funzionale. In questa direzione va vista l’eventualità di un riordino dei cicli o la sperimentazione di riforma del ciclo della secondaria di 4 anni, non solo per adeguarsi all’Europa ma soprattutto per ricavare risorse da destinare alla lotta all’insuccesso e alla dispersione scolastica. Ciò permetterebbe di creare figure di tutor e docenti dedicati.
2. Le bocciature sono l’anticamera della dispersione, specie nel I anno di scuola media e nei primi due anni della scuola superiore dove sono stimate in circa 185.000. Il 70 per cento dei bocciati lascia la scuola. Intervenire sulle bocciature prevedendo ad esempio una valutazione biennale (lasciando la bocciatura al I anno come evento eccezionale) nel quadro di un complessivo rinnovamento della didattica. Rendere più flessibile e orientativo il primo biennio superiore.
3. Migliorare l’orientamento alla scelta del percorso scolastico dopo il primo ciclo. È indispensabile un’azione nazionale dedicata, soprattutto attraverso l’utilizzo di figure di specialisti nel campo e tutor.
4. Realizzare il miglioramento delle competenze linguistiche degli alunni di cittadinanza non italiana anzi tutto all’interno dell’orario nonché con corsi intensivi estivi, ad esempio prima dell’inizio dell’anno scolastico. Nella scuola secondaria di secondo grado gli alunni di cittadinanza non italiana sono il 6,6 per cento degli iscritti e di questi circa 175 mila studenti stranieri che frequentano tale ciclo scolastico, quelli «a rischio di abbandono» sono pari al 2,42 per cento degli iscritti, contro l’1,16 per cento degli alunni italiani.
5. I corsi triennali di IeFP che portano ad una qualifica (attualmente le qualifiche sono 22) si sono rivelati un efficace investimento contro NEET (dati Isfol) Oggi, il Ministero del lavoro li finanzia con 189 milioni l’anno. Per 300.000 giovani, sono 630 euro l’anno a studente, una cifra largamente inadeguata, specie se si pensa che il costo di uno studente è circa di 7000 euro). L’allocazione delle risorse deve quindi privilegiare questo segmento di formazione per rinforzarlo, stabilizzarlo e riordinarlo, coinvolgendo la Conferenza Stato-Regioni, e omogeneizzando gli interventi tra Regioni che oggi spendono in modo diverso.
Allo stesso tempo, va valorizzata l’Istruzione Tecnica, e l’utilizzo di una didattica di tipo laboratoriale e tutte le forme di alternanza scuola-lavoro, attraverso un corretto rapporto scuole-imprese.
6. Realizzazione di un Piano di formazione straordinaria dei docenti in servizio su temi chiave come l’innovazione didattica, i problemi di motivazione degli studenti, la personalizzazione dell’insegnamento, la gestione delle classi eterogenee. La modalità didattica standard della scuola deve passare da trasmissione di conoscenze a attivazione di competenze. Per fare questo occorre una formazione specifica degli insegnanti in servizio, svolta anche a livello regionale in modalità di laboratori e gruppi auto generativi di competenze, in collaborazione con l’Università.
7. Creare ambienti di apprendimento adeguati, classi destrutturate, trasformate in laboratorio e digitalizzate. L’architettura scolastica va interamente ripensata nell’organizzazione degli arredi, anche tecnologici, per creare una scuola accogliente dove la dimensione corporea e sensoriale sia messa in primo piano.

4.2.4. La seconda chance.
Monitorare il programma di didattica integrativa previsto dal DM 87 del 7.2.14 in attuazione dell’art. 7 del DL 104 convertito con modifiche nella Legge 128/2013. Il decreto prevede misure di apertura delle scuole e progettualità nel campo della prevenzione della dispersione stanziando un totale di 15 milioni di cui 11,4 nel 2014: una cifra largamente insufficiente.
Altrettanto necessario è la valutazione dei fondi utilizzati per i PON (programmi operativi nazionali) nelle Regioni convergenza a seguito dei quali non appaiono rilevanti i risultati nel ridurre la dispersione, e i finanziamenti legati all’articolo9 del CCNL (Aree a rischio e a forte processo migratorio) passando dalla logica dell’estemporaneità a quella di lungo periodo.
Per le attività di recupero e di «seconda occasione» occorre valorizzare le risorse esterne alla scuola, le esperienze delle associazioni, cooperative e terzo settore e le professionalità di tipo pedagogico (educatori professionali) e psicosociali. Il partenariato con l’associazionismo non può limitarsi a un mero prolungamento del tempo-scuola ma deve promuovere un’integrazione di queste risorse nel sistema scolastico.

4.3. Due strumenti per la realizzazione delle azioni.
Molti insuccessi registrati in passato nonostante le diagnosi puntuali e tempestive vanno ricondotti alla carenza di strumenti di implementazione delle decisioni e degli orientamenti. Per le azioni di rilievo prioritario indicate alla luce degli indicatori e dei criteri di azione occorre una strategia efficace di implementazione che per il periodo 2014-2020 dovrebbe avere due capisaldi: il potenziamento della capacità di iniziativa delle singole scuole, da un lato, e la regia di una unità di crisi capace di creare le necessarie condizioni favorevoli dall’altro.
Per realizzare in modo efficace tali indirizzi strategici occorre dotarsi di due strumenti fondamentali:

4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l’autonomia delle scuole.
Le esperienze positive e le ipotesi di lavoro nella lotta alla dispersione potrebbero essere verificate con una sperimentazione a livello nazionale (con adesione volontaria degli istituti). La sperimentazione deve permettere di ampliare l’autonomia degli istituti all’insegna della flessibilità.

4.3.2. Una «unità di crisi».
Dato il carattere di una emergenza nazionale è indispensabile un forte pilotaggio a livello nazionale, in grado di creare le indispensabili sinergie tra i soggetti in campo e di mantenere nell’arco dei cinque anni la rotta intrapresa. A questo scopo si raccomanda la costituzione di una Unità di crisi presso la Presidenza del Consiglio che coordini gli interventi in corso 2014-20 e coinvolga tutti gli attori (Miur, Ministeri interessati, Conferenza Stato Regioni, Invalsi, USR etc.) su obiettivi precisi e mirati e promuova la messa in rete delle scuole e degli USR nel conseguimento di tali obiettivi.

 

La dispersione Scolastica nei quartieri più critici di Napoli e Palermo

La dispersione Scolastica nei quartieri più critici di Napoli e Palermo:
quando l’istruzione può rappresentare la cura al suo stesso malessere

di VIOLA TOFANI

INTRODUZIONE

La dispersione scolastica è un fenomeno complesso, che comprende in sé aspetti diversi e che investe l’intero contesto scolastico-formativo: riassume l’insieme della bocciature, delle ripetizioni e degli abbandoni e pertanto descrive la discontinuità dei percorsi rispetto alla regolarità prevista dagli ordinamenti e dai curricula. La dispersione scolastica mette pertanto in luce l’insuccesso scolastico e, più nello specifico, sottolinea l’intrecciasi di due problematiche: quella che riguarda il soggetto che si disperde e quella relativo al sistema che produce dispersione.
L’Italia si situa agli ultimi posti in Europa in base alla percentuale di early school leavers e l’Istat parla del 17,6 % di minori italiani fuori dall’istruzione o con gravi ritardi nel concludere un percorso scolastico, che vivono situazioni di disagio scolastico o, addirittura, in condizioni di semianalfabetismo.
Le regioni che detengono il triste primato di “dispersi” sono le regioni cosiddette “dell’obiettivo convergenza”: Sardegna, Calabria, Puglia, Sicilia e Campania. La tesi di ricerca ha posto l’attenzione in particolare sui capoluoghi di Sicilia e Campania.

OBIETTIVO

L’obiettivo di questo elaborato è stato quello di indagare due realtà geograficamente diverse ma estremamente simili in quanto a caratteristiche sociali, e cioè Napoli e Palermo, e quindi analizzarne le analogie riguardo ad uno degli indicatori più immediati dell’esclusione giovanile, piaga sociale enorme in entrambi i capoluoghi, e cioè la “dispersione scolastica”, considerata come la lente d’ingrandimento attraverso cui indagare tutto il percorso intrapreso dai minori che abbandonano i banchi di scuola per la difficile vita di strada e la connivenza in attività illecite.
Ulteriore obiettivo è stato quello di dimostrare che l’istruzione e i servizi sociali, come anche le forme di educazione non convenzionale e laboratoriale adottate da associazioni radicate sul territorio, sono la “cura” stessa al problema della dispersione scolastica perchè mostrano che, se con un’adeguata progettualità e capacità d’intervento, sono in grado di porre il minore nella condizione di poter scegliere valide alternative alla vita di strada.

METODO

Il metodo utilizzato nell’ambito della ricerca è stato quello sperimentale. Sono stati primariamente individuati i numerosi progetti di partnership tra associazioni del terzo settore locale campano e siciliano e le fondazioni nazionali e sono stati analizzati i più idonei, volti a contrastare la dispersione scolastica mediante l’utilizzo di metodologie innovative e di didattica non convenzionale.
Sono state poi svolte le interviste in loco, rivolte a due tipologie di campione (il campione popolazione composto da minori in età scolare – dagli 8 ai 18 anni- nel numero di 10 per capoluogo; il campione testimoni privilegiati composto da esperti del settore, operatori, educatori, docenti, nel numero di 10 per Napoli e 13 per Palermo), per un totale di 43 interviste svolte tra Napoli e Palermo. Le interviste sono state poi analizzate e comparate con la bibliografia esistente in materia.

CONCLUSIONI

Quanto emerso dalla ricerca svolta sul campo completa e conferma perfettamente le ipotesi poste all’origine della tesi e, anzi, consolida ancora di più l’idea che per contrastare il fenomeno della “dispersione scolastica” sia necessaria la collaborazione delle istituzioni con le associazioni del terzo settore operanti in loco e che sia fondamentale l’utilizzo di una didattica di tipo non convenzionale per poter trattenere i minori tra i banchi di scuola e interessarli maggiormente al percorso scolastico.
Durante la ricerca è anche emersa chiaramente la “solitudine” avvertita dai soggetti che operano quotidianamente in realtà critiche come Napoli e Palermo. Infatti, mentre gli insegnanti lavorano ogni giorno in “scuole di frontiera” prive di ogni risorsa, impegnati nella gestione di classi composte da alunni estremamente problematici, spesse volte accusati di incapacità di fare il loro mestiere e delegittimati nell’importante ruolo educativo dai genitori dei loro alunni, gli operatori del sociale non lavorano in condizioni migliori: alla frustrazione per la precarietà lavorativa si aggiunge, infatti, quella dovuta alla scarsa considerazione che il ruolo che ricoprono ha presso le Istituzioni, il corpo docente e la società, e quella da attribuirsi ad un impegno continuo che però non sempre incontra i risultati sperati. Non da meno sono i minori e le famiglie, ai margini della società e, talvolta, della comunità stessa, incapaci, perché manchevoli degli strumenti adeguati, di far fronte a tutta una serie di problemi quotidiani come i rapporti intra-familiari e quelli con le istituzioni.
Dalle interviste effettuate si è dunque giunti alla consapevolezza che una possibile soluzione al problema della dispersione scolastica sia da individuarsi in una maggior presenza statale nei territori interessati da alti tassi del fenomeno e maggiori incentivi al lavoro di “rete” tra istituzioni e terzo settore sociale.

INDICE

Introduzione p. 7

CAPITOLO I
“La Dispersione Scolastica”
1.1. Definire la “dispersione scolastica” p. 12
1.2. Le componenti della dispersione p. 16
1.3. Le cause del fenomeno p. 20
1.4. Il profilo del drop out p. 26
1.5. Le conseguenze p. 27
1.6. I dati e la diffusione sul territorio nazionale p. 32

CAPITOLO II
“Il diritto all’educazione e gli impegni assunti dall’Europa per contrastare la dispersione scolastica”
2.1. Il diritto all’educazione come diritto umano p. 37
2.2. L’Unione Europea garante del diritto all’istruzione e la Strategia di Lisbona 2020 p. 44
2.3. Il diritto all’educazione in Italia e la sua attuazione nel sistema scolastico p. 48
2.4. L’Italia nel quadro Europeo: piano di azione e coesione, i progetti e i risultati raggiunti p. 57
2.5. Progetti di rete finanziati dall’UE nel meridione italiano: Pas, Scuole Aperte, Ingrana la Settima p. 63
2.6. L’Italia “insegna” all’Europa: Progetto Chance p. 65
2.7. Fondazione con il Sud: progetto “Crescere al Sud”, perchè investire in istruzione p. 72

CAPITOLO III
“Il progetto di ricerca e le testimonianze”
3.1. Motivazioni e obiettivi che si prefigge il progetto di ricerca p. 77
3.2. Quali strumenti adottati p. 80
3.3. Come si è operato per svolgere le interviste p. 85
3.4. Le interviste a Napoli e a Palermo: analisi del campione in oggetto p. 87
3.5. Le criticità incontrate p. 89

CAPITOLO IV
“Napoli e Palermo”
4.1. due realtà diverse ma con caratteristiche estremamente simili: perchè ho scelto di analizzare queste due aree p. 92
4.1.1. Napoli p. 93
4.1.2. Palermo p. 98
4.2. Partenariato Scuola-ExtraScuola: l’importanza di lavorare “in rete” p. 103
4.3. Il ruolo della famiglia, della società e del territorio p. 108
4.4. La diffusione del fenomeno di dispersione scolastica legata alla devianza giovanile nelle periferie delle due metropoli, cause e conseguenze p. 112
4.5. Le associazioni criminose e il loro ruolo in sostituzione dell’istituzione scolastica e dello Stato nei quartieri più difficili delle due città p. 115

CAPITOLO V
“Riportare i ragazzi tra i banchi di scuola”
5.1. Quali progetti in corso nelle periferie di Napoli e Palermo contro la devianza giovanile e la dispersione scolastica p. 119
5.1.1. Napoli p. 119
5.1.2. Palermo p. 121
5.2. Il progetto “Discobull” nell’ambito del Pon Sicurezza per lo Sviluppo-Obiettivo Convergenza 2007-2013 p. 122
5.3. L’educazione “non convenzionale” nei progetti ad opera delle associazioni radicate sul territorio: “Una vela per sperare” de L’Altra Napoli e il progetto sulla “PartecipAzione” di Lievito p. 124
5.3.1. “Una vela per sperare” p. 127
5.3.1. “PartecipAzione” p. 130
5.4. Progetti di rete inter-regionale: “Restare in gioco alla Zisa di Palermo…e alla Sanità di Napoli” e “Non uno di meno ma ognuno a suo modo” p. 132
5.4.1. “Restare in gioco…” p. 132
5.4.2. “Non uno di meno…” p. 139
5.5. Il “circo pedagogico” che insegna la legalità ai “figli della camorra” nel quartiere di Barra a Napoli: l’esperimento del “Tappeto di Iqbal” p. 146
5.6. Costruire consapevolezza di sé ed educare alla legalità tra i banchi di scuola: il progetto multi-livello de “Il Villaggio delle Idee” con USSM, AddioPizzo e altri partners. p. 150

CAPITOLO VI
“I risultati della ricerca condotta”
6.1. I risultati emersi dalle interviste: uguaglianze e diversità p. 155
6.1.1. Popolazione: uguaglianze e diversità p. 155
6.1.2. Testimoni Privilegiati: uguaglianze e diversità p. 159
6.2. Le aree tematiche individuate dai raffronti tra le varie testimonianze p. 160
6.2.1. La Popolazione p. 160
6.2.3. I Testimoni Privilegiati p. 161
6.3. I riscontri in letteratura p. 163
6.4. Cosa dicono i ragazzi intervistati p. 169
6.4.1. Scuola p. 169
6.4.2. Famiglia p. 178
6.4.3. Il soggetto e il progetto p. 182
6.4.4. La città, il quartiere e la criminalità organizzata p. 188
6.5. Cosa dicono gli esperti del settore e gli operatori intervistati p. 196
6.5.1. Scuola e famiglia p. 196
6.5.2. L’associazione e il progetto p. 205
6.5.3. Il quartiere e la criminalità organizzata p. 209

Considerazioni Conclusive p. 214

Allegati

Bibliografia

Sitografia

Nota 21 febbraio 2014, AOODGSC Prot. n. 1077

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Ai dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado

Nota 21 febbraio 2014, AOODGSC Prot. n. 1077

OGGETTO: Nota prot. n. 0001014 del 18.02.2014 “Avvio procedura per la selezione e il finanziamento di progetti in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica in attuazione dell’ art. 7 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104”. Risposta a quesiti.

Nota 18 febbraio 2014, AOODGSC Prot. n. 1014

Ministero dell’Istruzione dell’Università e, della Ricerca
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Ai dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado

Nota 18 febbraio 2014, AOODGSC Prot. n. 1014

OGGETTO: Avvio procedura per la selezione e il finanziamento di progetti in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica in attuazione dell’ art. 7 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104.

12 febbraio Dispersione in 7a Camera

Il 22 gennaio ed il 12 febbraio si svolge nella 7a Commissione della Camera l’audizione del sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca, Marco Rossi Doria, in materia di dispersione scolastica

Dispersione Scolastica – Relazione MIUR

(7a Camera, 22.1.14) MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca.

Prima di illustrare la relazione che il ministero ha predisposto, vorrei personalmente ricordare, per un attimo, Alessandra Siragusa.
Su questa materia, molti anni fa, prima che lei diventasse deputato, e io sottosegretario, ci soffermavamo a discutere e a cercare di capire cosa fare tra Napoli, la Campania e la Sicilia, che sono tra le regioni più colpite dalla tenacia della dispersione scolastica (la voglio chiamare così). In questo momento mi trovo qui, dove ho ritrovato – dopo tanti anni – Alessandra, con cui ho avuto un rapporto anche complesso: aveva pepe, Alessandra, come si ricorderanno i membri della Commissione che erano allora presenti. Ci tengo, quindi, moltissimo a ricordarla in questo momento.
Ringrazio la Commissione per questa opportunità e ringrazio il ministro per avermi dato la possibilità di essere io qui. Ho dedicato molto tempo a questa questione e, quindi, non nascondo e non voglio nascondere di esservi anche personalmente implicato. Come diceva don Lorenzo Milani, con una considerazione che purtroppo – e sottolineo purtroppo – è ancora attuale, il principale problema della scuola italiana sono i ragazzi che perde: è questa la questione fondamentale da cui voglio partire.
Ha fatto bene il Ministro Maria Chiara Carrozza a sottolinearlo, a più riprese, e a iniziare quest’anno scolastico, l’anno scolastico in corso, a Casal di Principe, su questo tema. L’ha ripreso anche recentemente. C’è, quindi, una forte consapevolezza, una forte presenza del ministero, che ovviamente mi spinge a fare di più.
La relazione che ho predisposto, d’accordo con gli uffici, che ringrazio formalmente anche qui per il lavoro fatto, è il risultato di un confronto anche metodologico su come presentare correttamente, come Governo, alla Commissione, un lavoro completo che possa essere utilizzato anche in seguito. Io sono disponibile a rispondere a domande e ad avere con voi momenti di approfondimento sull’insieme, o anche su uno qualsiasi dei temi.
La relazione consta di molte pagine. Le illustrerò piuttosto brevemente.
Come primo tema, tutta la letteratura ci conferma importanti correlazioni tra tassi di scolarità bassi e alcune grandi questioni della nostra società. La prima è la povertà.
Sia nel mondo in generale, sia in Italia c’è una forte correlazione con tutte le diverse manifestazioni della povertà, non solo quella infantile e adolescenziale, ovviamente, ma anche quella per il corso della vita. La mancata scolarità, l’insuccesso formativo, è, quindi, correlato anche a tutte le questioni che aumentano con la povertà, quali l’illegalità, la minore attesa di vita, la maggiore possibilità di cadere nelle dipendenze, ricorrenti problemi di salute. Naturalmente, non bisogna mai in questo, come in altri campi, fare automatismi: non è necessariamente così, ma c’è una maggiore probabilità.
La povertà è fortemente correlata anche con la mancanza di lavoro, con l’incertezza del lavoro, con la disoccupazione. Anche le aree – non solo gli individui – di un Paese dove c’è massima concentrazione della dispersione scolastica sono, in modo biunivoco, legate alla difficoltà della crescita e dello sviluppo e alla stasi nel mercato del lavoro. «Biunivoco» significa che c’è una correlazione nelle due direzioni.
Inoltre, la povertà è correlata, sempre sia in Italia sia nel mondo, con i tassi di partecipazione democratica, anche questa nelle sue diverse forme, non solo politica, ma anche di tipo associativo, legato alla difesa e alla propugnazione dei diritti e via elencando. Su tutto questo non c’è una differenza di posizioni ideologiche o di pensiero. Le scuole socialdemocratiche, liberali o di altro tipo nel pensiero economico e sociale convengono, per la grande evidenza di dati, su queste correlazioni.
Per battere la dispersione scolastica nelle politiche pubbliche, in Italia come nel mondo, sono necessarie alcune costanze di policy, di politiche pubbliche: innanzitutto, un forte coordinamento di queste politiche; una rigorosa valutazione dei risultati; un’ottimizzazione delle iniziative e delle risorse tra il decisore nazionale e – nel caso italiano – le scuole autonome e gli enti locali; uno sviluppo della scolarità precoce, almeno a partire dai tre anni, ma anche prima; un’attenta cura dell’apprendimento di ciascun bambino e ragazzo a scuola e fuori scuola.
Nel mondo, come in Italia, uno degli elementi di contrasto di maggior successo alla dispersione scolastica è imparare presto e bene le competenze e le conoscenze cosiddette «irrinunciabili». Occorre dedicare una particolare attenzione proprio a queste nella scuola di base.
Si aggiunge un sostegno a iniziative di sviluppo locale, perché c’è una forte correlazione tra lo sviluppo locale che funziona nelle zone di dispersione scolastica e la battaglia contro la dispersione scolastica. Noi possiamo avere efficaci politiche delle scuole autonome in una zona di forte dispersione scolastica, senza però altri significativi elementi di sviluppo locale. Se, finita la terza media, anche proficuamente, non c’è lavoro, non ci sono politiche per la legalità, non ci sono politiche di implementazione urbana – e potrei continuare –, ovviamente vengono non dico azzerati, ma messi in discussione anche i passi in avanti fatti dalle scuole o dagli altri attori educativi di un determinato territorio.
Ci vuole un sostegno ai percorsi tra scuola e lavoro. Anche questo è molto importante. Nell’esperienza di tutte le scuole che hanno lavorato in questo campo c’è l’evidenza che, a un certo punto, bisogna avere una via di uscita legata all’integrazione con il mondo del lavoro. Stiamo parlando del periodo a valle della lotta alla dispersione scolastica vera e propria, ma noi abbiamo fortissima evidenza che le politiche attive contro la dispersione scolastica, negli ultimi 20-30 anni, funzionano meglio laddove ci sono, nei contesti dati – penso a determinate regioni o province – politiche forti di formazione professionale legate anche all’interazione con le imprese, in cui si continui ad apprendere e in cui, quindi, non ci sia l’allenamento solo al lavoro, ma anche il lavoro legato all’apprendimento per gli anni successivi alla scolarità vera e propria.
Occorre anche un’alleanza territoriale tra tutte le agenzie educative e formative. Anche su questo abbiamo forte evidenza, in tutta la ricchissima interazione che c’è tra le scuole autonome, il privato sociale e il volontariato, che proprio l’alleanza tra scuole, privato sociale, centri sportivi, volontariato, parrocchie e le altre molteplici agenzie formative e le stesse imprese porti a risultati maggiori. Detto un po’ brutalmente, tale approccio, basato su una risposta multidimensionale ben articolata e coordinata nel tempo, non ha caratterizzato, francamente, il caso italiano. La persistenza della dispersione scolastica deriva, almeno in parte, proprio dal fatto che alcune stagioni della nostra vita pubblica, negli ultimi 20-30 anni, e i territori nei quali è prevalsa la buona politica su questo tema si sono alternati con anni peggiori e politiche locali peggiori.
Abbiamo poi voluto sottolineare la questione di come viene calcolato – leggerete con cura il rapporto – il tasso di dispersione scolastica e i problemi di rilevazione che noi abbiamo avuto e che continuiamo ad avere.
Non è una questione banale. Tenete conto che, nell’esaminare il fallimento formativo, è molto importante che i diversi organi siano d’accordo. Per esempio, nel nostro caso, noi siamo in una situazione di grande complessità. La persona che nel codice civile è responsabile dell’obbligo scolastico è il sindaco, o un suo delegato. Dal punto di vista delle politiche di offerta formativa, sono responsabili le scuole autonome, ma anche le province e le regioni, per quanto riguarda i percorsi di formazione professionale. Le forme complesse e di controllo di che fine faccia un ragazzino, quando non segue né l’una né l’altra strada, sono facili a dirsi, ma difficili a farsi.
Anche la misurazione della relazione diretta tra lo stato di origine di una persona in crescita, cioè l’origine familiare – quello che don Milani chiamava il «carattere di classe» della dispersione scolastica – quello che tutti riconoscono, ossia che, se tu vieni da una famiglia con pochi mezzi, con poca istruzione e con poco lavoro, hai molte più possibilità di non terminare la scuola, è molto difficile da realizzare effettivamente in maniera dettagliata e scientificamente fondata, territorio per territorio.
Uno dei motivi – lo segnalo anche per sollecitare tutti noi – per cui questa misurazione è particolarmente difficile in Italia, è dato dal fatto che c’è stata un’interpretazione delle norme sulla privacy tale per cui non si possono chiedere ai genitori, quando si iscrivono a scuola i bambini, che lavoro fanno e qual è il loro grado di istruzione, a differenza di tutti gli altri Paesi europei. Noi ci troviamo, peraltro, in difficoltà anche quando dobbiamo rispondere su alcuni indicatori che ci vengono utilmente richiesti dai Fondi sociali europei su questo tema. Ci sarebbe una riflessione istituzionale da fare.
Si stanno trovando altri modi e forme di misurazione. Alcune province e regioni sono più avanti. Cito per tutte la provincia di Pisa, la quale ha approntato, da molto tempo, un sistema che, attraverso la Conferenza Stato-regioni, si sta diffondendo e che io menziono in questa relazione. Continuiamo ad avere comunque problemi, che stiamo, però, affrontando. Gli uffici del ministero – lo voglio sottolineare – sono molto migliorati, come vedrete dalle tabelle allegate, che sono alquanto dettagliate.Andando rapidamente al secondo capitolo della relazione, la notizia relativamente buona – tengo a sottolineare il «relativamente» – è che la dispersione è un fenomeno, come ho detto, persistente, oltre che multidimensionale e complesso, ma è anche un fenomeno in lento, ma continuo calo. Stiamo migliorando, come vedrete dalle tabelle, anche se stiamo migliorando troppo lentamente.
L’indicatore che utilizziamo – su cui voglio dire qualcosa – è, in sigla, l’ESL, che vuol dire early school leavers, ossia, potrei tradurre, coloro che lasciano la scuola prima del tempo. Questo è già un punto di approdo al quale l’Italia ha partecipato insieme ai partner europei. Il sistema di scolarità europea, infatti, aveva Stati con il diritto, Stati con il diritto-dovere e Stati, come il nostro, con il vero e proprio obbligo. Inoltre, c’era una differenza di età in cui l’indicatore veniva misurato: in alcuni Stati a 13 anni, in altri a 14, in altri a 15, in altri a 18 e via elencando. Alcuni indicavano all’interno dell’obbligo la formazione professionale anche di tipo vocational, cioè l’allenamento al lavoro puro e semplice; altri, invece, il misto con la scolarità. In sostanza, era molto difficile dirimere questa matassa e arrivare a una comparabilità continentale su questo tema.
Siamo arrivati a questa comparabilità con una rivoluzione che è avvenuta, metodologicamente parlando, circa sei o sette anni fa, in maniera definitiva: noi misuriamo a valle, misuriamo cioè i ventiquattrenni dei nostri Paesi. Quando una persona entra nei venticinque anni, e non ha in tasca né un diploma di scuola superiore, né un attestato di formazione professionale che la abiliti a entrare in una dimensione professionale nel mercato legale del lavoro, almeno triennale, allora questa persona è un early school leaver. Quando voi vedete scritto 16 per cento, 15 per cento o 21 per cento nelle tabelle allegate, è di quello che stiamo parlando.
Naturalmente, dovete tener conto che questo è vero fino a un certo anno. Quando si guardano con più attenzione queste tabelle, se andate indietro, e vedete il 2001, il 2002 e il 2003, sappiate che non era stata ancora consolidata questa convenzione europea cui noi ci stiamo, invece, ora attenendo.
C’è un’altra questione su cui vi voglio avvertire in merito alle tabelle: esistono eventi in un Paese, come spesso avviene nelle statistiche, che determinano dati strani nelle tabelle. Quando vedrete le tabelle, anche dettagliate per regione, sulla dispersione scolastica, noterete che a un certo punto c’è una drastica riduzione – intorno agli anni 2004, 2005, 2006 o 2007; ora non ricordo – seguita, di nuovo, da un brusco aumento. Questo è dovuto al fatto che durante il periodo di Governo col Ministro dell’istruzione Moratti, ci fu un calo di un anno dell’obbligo scolastico, da 16 a 15 anni, dopo un periodo in cui l’obbligo scolastico fu portato a 16 anni che durò meno di due anni. Ciò ha implicato il fatto che, quando si sono raccolti i dati, i sedicenni ovviamente erano inclusi e c’è stato un ulteriore rialzo. Poi c’è stato un abbassamento, perché questi andavano a scuola e poi c’è stato ancora un rialzo. Ci sono anche altri esempi di queste stranezze statistiche.
Nel secondo capitolo della documentazione depositata noi mostriamo anche i quadri di significativo miglioramento e alcuni livelli di equità superiori alla media OCSE. Sottolineiamo, inoltre, le questioni, più volte riportate dalla stampa, sulle differenze di genere nella performance.
In generale, in questo rapporto, che rappresenta un primo momento per poter creare, io auspico, una tradizione di riflessione su questo, che è il principale problema del nostro Paese – come più volte ho sentito giustamente dire da molti membri di questa Commissione – c’è un tentativo di correlare il grado di scolarità e il successo, cioè quello che si apprende veramente, quello che si impara.
È lapalissiano che i bambini e i ragazzi che imparano meglio hanno meno tendenza ad andarsene dalla scuola. Sistemi scolastici meno standardizzati, meno rigidi e più capaci di includere tutti, ma anche ciascuno, sono più capaci anche di tenere «dentro» gli studenti. Nell’andare fuori dalla scuola c’è la parte dovuta alle condizioni di partenza, ma ci sono anche le parti legate agli individui. Una scuola più capace di intercettare le differenze, pur dentro un frame di equità e di eguaglianza, è un sistema, come ci insegnano anche la letteratura e l’esperienza internazionale, più capace di attuare il contrasto alla dispersione scolastica.
Più successo abbiamo negli apprendimenti fondamentali – quelli che, lo ripeto, sono irrinunciabili, per esempio le competenze di lettura, di scrittura, di matematica, ma anche di orientamento nel tempo e nello spazio, ossia storia e geografia, intese non in senso banale e nozionistico, ovviamente; oggi si aggiungono anche le competenze digitali, legate ai contenuti e non semplicemente all’operatività digitale – più noi abbiamo competenze consolidate presto e bene e monitorate nel tempo, e meno probabilità sussiste che vi sia dispersione scolastica.
Ormai in tutto il mondo, non solo in Italia, quando decidiamo una politica – vi dirò poi quali politiche abbiamo messo in essere nei prossimi capitoli in questo momento – noi continuiamo a vedere come molto importante la sorveglianza sugli apprendimenti di conoscenze e competenze. Queste sono fondamentali dal punto di vista del contrasto alla dispersione scolastica.Arriviamo brevemente, senza entrare troppo nel dettaglio, al terzo capitolo della relazione. Ci sono alcuni sottocapitoli che trattano le politiche pubbliche, in particolare quelle del MIUR. Tengo a sottolineare e a precisare che le politiche pubbliche sono, però, più complesse rispetto a quelle che espongo come sottosegretario del ministero. Le politiche pubbliche sono infatti anche quelle dei comuni, delle province e delle regioni. C’è anche la responsabilità di coordinamento di politiche comuni.
Partendo dall’implementazione dell’anagrafe degli studenti, ho detto quali sono i problemi e le criticità su cui insieme dovremo lavorare, ma ci sono anche passi in avanti, su cui qui relaziono.
Si aggiungono l’aumento della durata dell’obbligo scolastico e la grande attenzione alle conoscenze e alle competenze, a partire dalla scuola di base. Questa è una grande questione ancora aperta. Non c’è un automatismo per il quale andare a scuola più a lungo batte la dispersione scolastica. Essa dipende sicuramente dalla lunghezza degli studi, ma, al contempo – questo è un fatto piuttosto importante e anche questo è vero un po’ in tutto il mondo – da che tipo di studi si propone. Se l’obbligo è molto lungo, ma molto standardizzato, non è detto che si abbiano altrettanti risultati di quelli che si hanno con consolidati e lunghi periodi di studio durante l’adolescenza, ma con un’offerta più articolata.
In generale, da questo punto di vista, un’idea di equità più ricca non è la soluzione, ma sicuramente un indirizzo importante che aiuta moltissimo. L’idea di fornire a tutti la stessa offerta, nello stesso momento, non è detto che sia la migliore. Ferme restando alcune attività che devono evidentemente esistere per tutti, è molto importante offrirne altre che consentano a ognuno di curare le proprie parti deboli e anche le proprie parti forti, nonché di scoprire le proprie parti sconosciute. Ciò ferma restando l’importanza delle competenze – ripeto e sottolineo – irrinunciabili.
La didattica integrativa e un’apertura straordinaria delle scuole sono una politica che funziona a patto che ci sia una vera integrazione tra quello che si fa nella parte integrativa e quello che si fa a scuola. Su questo noi abbiamo una grande esperienza e io voglio, qui, fare una prima serena riflessione.
Fare molti progetti che si affiancano senza sapersi integrare con la scuola di tutti i giorni non è detto che funzioni. D’altra parte, una scuola completamente separata dal territorio e dalle altre agenzie educative non è una scuola che funziona. Tutte le esperienze che hanno la capacità di integrarsi con altre esperienze educative del territorio in maniera ricca, ma anche di farle ricadere nella scuola di ogni giorno, senza dividere la scuola ordinaria dalla scuola «straordinaria», sono quelle che meglio funzionano. Noi abbiamo fatto una serie di esperienze sia in bene, sia in male, con criticità, ma anche con punti di forza, su questo punto.
Ci sono poi altre questioni. Ve le elenco. Ho cercato di enumerare anche le cifre fornite. Il problema nostro – dico «nostro» volutamente, perché è un problema sia del potere esecutivo, sia del potere legislativo – sussiste nel fatto che sono stati spesi tanti soldi e che, sebbene i risultati ci siano – lo ripeto – sono ancora troppo lenti e poco consolidati. Pensiamo agli interventi ex articolo 9 CCNL Comparto scuola sulle cosiddette aree a rischio e al Piano nazionale di orientamento. Sono tutte cose che voi conoscete e che avete spesso nominato in questa Commissione. Pensiamo anche al Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini Rom, Sinti e Caminanti, che però è solo all’avvio e che ha rappresentato la risposta del nostro Paese a ingiunzioni da parte dell’Unione europea e a infrazioni in questo campo. C’è poi la formazione del personale scolastico e anche dei dirigenti.
Il quarto capitolo della relazione consegnata parla dell’utilizzo dei soldi PON (Programmi operativi nazionali) in generale. Voi sapete che i fondi europei vanno alle regioni per una parte e che poi vi è una quota parte che va al ministero. Su questi fondi PON, senza che io mi ci soffermi – intendo poi rispondere alle vostre domande – noi abbiamo diversi ambiti di intervento.
C’è una cosa da dire su questi fondi: sono massimamente concentrati, per la maggior parte delle quantità erogate, sulle regioni dell’Obiettivo convergenza, in cui effettivamente noi abbiamo i maggiori problemi. Non è vero, però, che i problemi della dispersione scolastica ci sono solo in queste zone. Per esempio, su questi fondi siamo intervenuti, come ministero, in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ci sono altre realtà, però – penso alla Sardegna in particolar modo – dove i tassi sono molto alti e, anche, in particolare, nelle zone metropolitane del centro e soprattutto del nord, in cui noi abbiamo problemi analoghi, ma non abbiamo fondi strutturali della stessa capacity.

  Su questo tema c’è una discussione in corso. In parte, l’articolo 7 del decreto-legge n. 104 del 2013, che voi avete utilmente dibattuto, dovrebbe intervenire. Ringrazio soprattutto la vostra collega Santerini, che mi ha più volte stimolato su questo punto. Si dovrebbe intervenire in qualche modo, non dico solo nelle altre regioni, ma sicuramente in questa dimensione.
Segnalo anche – bisognerà anche su questo attuare una politica comune – che l’obiettivo primario, condiviso tra l’Italia e i partner europei, della riprogrammazione dei fondi europei, tutti, anche quelli dati alle regioni per il 2014-2020, vede questo tema al centro. Nell’aprile scorso esso è stato discusso e accettato dalle parti a Bruxelles. Si sono già fatti tavoli comuni tra il Ministero dell’istruzione e quello del welfare, tra febbraio e marzo dell’anno scorso – anch’io personalmente vi ho partecipato – affinché potessero esserci fondi ulteriori – anche nelle altre regioni – su queste partite.
In particolare, al punto 5 della relazione, noi abbiamo avviato, insieme con le quattro regioni obiettivo – i dati poi vi faranno vedere che c’è una ragione perché queste regioni obiettivo rimangano tali, anche se, lo ripeto e sottolineo, ciò non è esaustivo del problema – la misura detta F3, o Azione 3, del Piano di Azione coesione, che è la priorità istruzione. Essa vede tutta una serie di interventi, tra cui alcuni prototipi, nelle zone di massima concentrazione della dispersione.
A tal proposito, a differenza della tradizione precedente dell’erogazione delle risorse «a pioggia», noi abbiamo deciso, a monte dell’erogazione dei soldi, di fare una piccola rivoluzione copernicana. Abbiamo deciso, cioè, di indicare dal ministero quali fossero le aree sulla base di alcuni indicatori, che erano quelli della dispersione scolastica, della disoccupazione, della disoccupazione giovanile e dei bassi livelli di apprendimento nella scuola di base e nel biennio delle superiori, soprattutto per le discipline considerate fondamentali e irrinunciabili.
Sulla base di questo, territorio per territorio, con grande fatica e perizia, quasi a livello di codice postale, ossia per microterritori, siamo riusciti a individuare le varie zone e, quindi, abbiamo emesso un bando. Tale bando si è poi accresciuto, perché abbiamo fatto, d’accordo con le quattro regioni, alcune economie, e siamo arrivati a 56 milioni di euro, che di questi tempi non sono pochi. Stiamo ora monitorando il processo. Ho voluto fortemente che i primi dati di monitoraggio del processo venissero immessi in questa relazione. Sono presenti, quindi, in questa relazione, ma gli uffici della Commissione hanno a disposizione – ho appena fornito la «pennetta» informatica – anche il dettaglio delle aree geografiche. Avete tutte le mappature a disposizione. Sia la fine del capitolo 5 che i progetti di cui alla specifica Azione 6, con le prime analisi, fanno parte del vero e proprio rapporto.
Infine, e concludo, ci sono gli allegati, che vi enumero. La prima tabella, che trovate a pagina 20 della documentazione consegnata, riporta, relativamente ai giovani che abbandonano prematuramente gli studi, i valori percentuali dal 2004 al 2012. Ho voluto anche aggiungere il target Italia del 2013 e il target Europa del 2020, per farvi capire come sia forte la divergenza territoriale.
Attenzione, la divergenza territoriale è forte – c’è il solito Nord e Sud e poi ci sono le regioni – però, tengo a precisare che molti studi ci dicono che sono altrettanto importanti e da tenere sotto un accurato controllo le divergenze nei territori e addirittura nei microterritori. Questo è dovuto a molti e diversi fattori.
A pagina 21 della relazione è riportato il grafico che mostra questa situazione per macroterritori.
A pagina 22 trovate il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori. Questo è un passaggio molto importante. La criticità fondamentale del nostro sistema, così come in altri Paesi del mondo (qui c’è il dettaglio molto attento dei dati regione per regione, sempre sulla base degli early school leavers) è appunto il passaggio dalle scuole cosiddette «medie» alle scuole superiori. A questo punto, infatti, noi abbiamo un tracollo.Un secondo tracollo lo abbiamo tra il biennio delle superiori e le annualità successive. Continuiamo ad avere un problema serio nell’interazione tra questi dati di crisi e il passaggio, anche semplicemente di monitoraggio – anche questa è una criticità che molto onestamente bisogna dirsi e che io intendo dire – alla formazione professionale. Tanto per essere brutali, non riusciamo veramente, in tutte le regioni, a sapere che, ad esempio, Pasqualino, che è stato bocciato nella prima superiore, in effetti sta andando alla formazione professionale e sta magari svolgendo un progetto proficuo triennale e che, anche nelle discipline non professionali, ha ripreso il corso: lo sappiamo meglio in alcune zone e in altre meno. Lo sappiamo bene in Toscana, laddove riusciamo addirittura a seguire ogni ragazzino tre volte l’anno (cito il primo esempio che mi viene in mente). Lo sappiamo, meglio oggi di ieri, in Puglia, dove c’è un sistema integrato molto simile. Lo sappiamo molto poco in Campania. Lo sappiamo molto poco nel Lazio. Lo sappiamo abbastanza bene in Piemonte o in Veneto. Insomma, è una situazione abbastanza differenziata.
Il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori, come trend generale, lo trovate a pagina 23 della relazione. Il resto lo vedrete da soli.
Per concludere, io penso che questa sia una grande questione nazionale. Non è una questione di parte politica, non è una questione di parte ideologica, o di scuola di pensiero sociale ed economico, come ho cercato di dire all’inizio.
Penso che in questo Parlamento, in particolare in questa Commissione, vi sia un partito, e alcuni di noi lo hanno detto stamattina in un convegno con le scuole autonome. Io l’ho visto durante la discussione sul citato decreto-legge sulla scuola e ne sono un piccolo testimone come sottosegretario all’istruzione: in questo Parlamento, e in questa Commissione in particolare, si è ricostituito ed esiste un partito per la scuola. Questa è la principale questione della scuola.
Penso che vi siano tutte le condizioni per riprendere, secondo le cose che sappiamo che funzionano, una grande politica pubblica su questo tema. Grazie, presidente.

Decreto Direttore Generale 7 febbraio 2014, Prot. n. AOODPIT.25

Ministero dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

Decreto Direttore Generale 7 febbraio 2014, Prot. n. AOODPIT.25

IL DIRETTORE GENERALE

VISTO il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, e in particolare l’articolo 7;
VISTO il decreto ministeriale 7 febbraio 2014, prot. n. 87 recante misure in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica in attuazione dell’articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca;
VISTO in particolare l’articolo 1, comma 4, del succitato decreto ministeriale che rinvia ad un apposito provvedimento della direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione, la comunicazione il compito di indire la procedura di selezione dei progetti secondo le finalità indicate allo stesso articolo 1 nel rispetto dei criteri e delle modalità di partecipazione indicati nello stesso decreto ministeriale e nei suoi allegati;
RAVVISATA LA NECESSITÀ di dar corso al più presto alle procedure di selezione dei progetti al fine di poter assicurare, già dal corrente anno scolastico, l’avvio delle iniziative didattiche;

DECRETA

Articolo 1
Oggetto

1. E’ indetta una procedura di selezione di progetti presentati dalle istituzioni scolastiche di ciascuna regione sulla base dei criteri stabiliti dal decreto ministeriale 7 febbraio 2014, prot n. 87, nei limiti delle risorse disponibili e secondo il riparto di cui all’allegato B del suddetto decreto.
2. La procedura di selezione dei progetti è affidata agli uffici scolastici regionali. I direttori generali degli stessi uffici provvedono alla nomina delle commissioni giudicatrici, come previsto dall’art.6 del dm 7 febbraio 2014, alla costituzione dello staff di accompagnamento a sostegno delle iniziative finanziate e alla valutazione conclusiva delle iniziative stesse, secondo il disposto dell’art. 8 del dm 7 febbraio 2014; nonché a dare pubblicità alla procedura di selezione.

Articolo 2
Termini per la presentazione delle domande

1. Le istituzioni scolastiche statali presentano le domande di partecipazione, utilizzando il modello allegato al presente decreto, corredate della documentazione richiesta e del progetto come stabilito dall’art.2 del dm 7 febbraio 2014, all’ufficio scolastico regionale territorialmente competente entro il 28 febbraio 2014.
Le modalità di invio delle domande di partecipazione sono stabilite dagli uffici scolastici regionali.
2. Le attività didattiche di cui ai progetti presentati dalle istituzioni scolastiche dovranno essere avviate nel corrente anno scolastico e proseguire nel successivo anno scolastico 2014-2015, fermo restando il vincolo di impegnare l’intero ammontare delle risorse entro il 31 dicembre 2014.

Articolo 3
Modalità e tempi di selezione dei progetti

1. Le commissioni giudicatrici nominate con decreto del direttore generale di ciascun ufficio scolastico regionale procedono all’esame dei progetti e all’attribuzione dei punteggi secondo quanto disposto dagli art. 6 e 7 e dall’allegato C del decreto ministeriale 7 febbraio 2014.
2. Le commissioni concludono la selezione entro il 10 marzo 2014.
3. Entro la stessa data le graduatorie dei progetti ammessi al finanziamento dovranno essere trasmesse alla direzione generale per la politica finanziaria e per il bilancio al seguente indirizzo di posta elettronica: segreterie.bilancio@istruzione.it e, per conoscenza, a: dgstudente.direttoregenerale@istruzione.it, pena la decadenza dal beneficio.

Articolo 4
Modalità di assegnazione dei fondi

1. La direzione per la politica finanziaria e di bilancio provvede all’assegnazione dei fondi, nel rispetto delle procedure contabili vigenti e nel rispetto delle risorse assegnate secondo il riparto di cui all’allegato B del d.m. 7 febbraio 2014, e alla loro effettiva erogazione a ciascuna delle istituzioni scolastiche selezionate in due rate:
– Un importo pari al 50% del finanziamento lordo richiesto all’avvio delle iniziative didattiche e, comunque, non oltre il 30 marzo 2014;
– Il restante 50% a conclusione del progetto e solo dopo aver ricevuto una dichiarazione formale da parte delle direzione per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione che, a sua volta, riceverà le relazioni finali dei direttori degli uffici scolastici regionali che attestino l’effettiva realizzazione di ciascun progetto sulla base della documentazione e delle attività di monitoraggio da questi assicurata.

Il presente decreto è inviato ai competenti Organi per i prescritti controlli.

IL DIRETTORE GENERALE
F.to Giovanna Boda

Allegato

7 febbraio 15 milioni contro la dispersione

Il decreto ministeriale 7 febbraio 2014, n. 87, in ragione di quanto previsto dall’art. 7 della Legge 8 novembre 2013, n. 128, finanzia con 15 milioni di euro gli istituti comprensivi ed i bienni delle scuole secondarie di secondo grado per attività integrative e pomeridiane contro la dispersione.

Scuola, al via bando per progetti didattici contro la dispersione
15 milioni di euro alle scuole per attività integrative e pomeridiane

(Roma, 10 febbraio 2014) Scuola, al via il Programma di didattica integrativa e innovativa per il contrasto della dispersione scolastica. Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, ha firmato, a seguito dell’accordo in Conferenza Unificata, il decreto ministeriale previsto dal decreto legge ‘L’Istruzione riparte’ (articolo 7) che punta a rafforzare gli strumenti a disposizione delle istituzioni scolastiche per diminuire il fenomeno degli abbandoni precoci dei percorsi di studio, a ridurre le ripetenze e i debiti formativi.

Le scuole potranno presentare la propria candidatura agli Uffici Scolastici Regionali entro il prossimo 28 febbraio. Apposite commissioni valutatrici selezioneranno i progetti migliori. Il finanziamento totale a disposizione è di 15 milioni di euro. Le attività didattiche proposte dovranno essere avviate nel corso di questo anno scolastico e proseguire nell’anno scolastico 2014-15. Le scuole – anche in rete fra loro – potranno proporre azioni finalizzate alla prevenzione del disagio causa di abbandoni scolastici precoci, al rafforzamento delle competenze di base, all’integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana. Una progettazione partecipata, anche in raccordo con il territorio e le famiglie, la predisposizione di percorsi personalizzati, incentrati sui bisogni e le potenzialità di ogni alunno, con particolare attenzione ai bisogni degli studenti di recente immigrazione e a quelli di seconda generazione, dovranno essere al centro dei progetti presentati.

Possono candidarsi tutti gli istituti comprensivi e le scuole secondarie di secondo grado (queste ultime per azioni rivolte alle classi del biennio iniziale). I progetti verranno selezionati sulla base dell’impatto previsto sugli indicatori del rischio di dispersione scolastica, del grado di innovazione didattica, della trasferibilità delle azioni proposte e della solidità delle partnership. Particolare attenzione verrà rivolta a quelle azioni che sono già state sperimentate con successo e che vedono il coinvolgimento diretto degli Enti Locali. I progetti selezionati riceveranno un finanziamento destinato alla realizzazione dipercorsi didattici personalizzati e per piccoli gruppi di studenti a rischio abbandono e ad attività integrative rivolte a tutti gli studenti, anche attraverso il prolungamento dell’orario scolastico. Gli Uffici Scolastici Regionali predisporranno staff di accompagnamento e monitoraggio dell’andamento dei progetti finanziati.