Comunicato
Dopo la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale della legge 92/2019 (Introduzione dell’insegnamento scolastico
dell’educazione civica), sette docenti del Polo Liceale di Monopoli – IISS
Galilei – hanno deciso di scrivere una petizione da inviare al nuovo Ministro
dell’Istruzione per esporgli tutte le ragioni di perplessità sulla legge in
questione e chiederne una revisione. Con nostra grande sorpresa il 99 per cento
dei colleghi (85 docenti) del Polo Liceale ha condiviso i punti della petizione
e l’ha sottoscritta. Nelle prossime ore la invieremo al Ministro. Stiamo
invitando molte altre scuole a fare altrettanto. Riteniamo che sia importante
rimarcare con forza che la legge, della quale condividiamo lo spirito di fondo,
prevede però l’introduzione di una nuova disciplina con modalità discutibili,
chiedendo, ad esempio, ad ognuna delle altre discipline – con criteri non
facilmente individuabili, anche in virtù di linee guida ancor oggi al vaglio
del Consiglio superiore della pubblica istruzione – di fare un passo indietro
per ricavare le 33 ore annue che verrebbero destinate all’insegnamento
dell’educazione civica. Auspichiamo che la pubblicazione di questo comunicato
possa indurre altre scuole ad operare per ottenere una revisione della legge
nei suoi aspetti più problematici, così come essi sono descritti nella
petizione.
Infine teniamo a chiarire che quella che esponiamo non è la posizione “ufficiale” della nostra scuola, ma il parere corale dei docenti che hanno redatto e sottoscritto la petizione.
Petizione
La recente approvazione della legge 20 agosto 2019, n. 92 ha
introdotto l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole. Premettendo che
condividiamo l’idea di fondo che anima tale legge, riteniamo tuttavia opportuno
sottolineare con forza che l’applicazione della norma, così come essa è stata varata,
non permetterebbe il raggiungimento dei fini che essa si pone per i seguenti
motivi:
1) la legge obbliga le scuole
a dedicare 33 ore annue al suddetto insegnamento, senza però incrementare il
numero di ore settimanali; ciò significa che tali 33 ore dovranno essere
letteralmente sottratte a quelle che erano previste dal curricolo fino allo
scorso anno: non si tratta quindi di un’ora in più, ma di un’ora tolta alle
altre discipline;
2) l’art. 13 della suddetta
legge stabilisce che tale reintroduzione non deve comportare “nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica”: ciò di fatto significa che estensori e
firmatari della legge decidono che lo Stato non deve farsi carico di una
riforma giudicata così importante, non essendo prevista alcuna risorsa per
finanziarla (eccetto, come recita l’art. 6, una somma “destinata alla
formazione dei docenti sulle tematiche afferenti all’insegnamento trasversale
dell’educazione civica”, somma che però, chiarisce lo stesso articolo, è una
quota (10%) della spesa annua per la formazione già autorizzata con la legge
107/2015, non stanziata con la legge 92/2019): si proclama un cambiamento, ma non
si stanziano fondi per attuarlo. Francamente tutto ciò appare contraddittorio:
se si considera così imprescindibile questa svolta, come mai non si è disposti
ad investire per essa nemmeno un euro? Detto altrimenti: si chiede per
l’ennesima volta alla Scuola di fare di più con le stesse risorse e si scarica
sul docente il peso di far fronte a tale improba impresa. Questo atteggiamento,
già poco giustificabile sul piano della coerenza, appare manifestamente
offensivo per una categoria professionale già pesantemente marginalizzata nella
vita di questo Paese;
3) in genere l’insegnamento di
una disciplina è vincolato a una formazione specifica e al superamento di un
esame abilitante: in questo caso invece (e in particolare nella attuale,
concitata fase di applicazione emergenziale e “sperimentale” della legge)
disattendendo il dettato costituzionale per cui si accede ai ruoli pubblici per
concorso (ivi inclusi i percorsi abilitanti), gli insegnanti verrebbero investiti di una
nuova responsabilità didattica senza alcuna formazione preliminare e senza il
superamento di alcun concorso: per la prima volta in cattedra salirebbero
docenti non formati o abilitati; la confusione – lo ribadiamo, soprattutto nel
corrente anno scolastico – è facile a prevedersi e, in parte, si è già apertamente
palesata;
4) la legge, all’art. 3,
prevede un ventaglio di obiettivi di apprendimento troppo vasti ed eterogenei (laddove
non manifestamente estranei a ciò che si debba intendere con “educazione
civica”, a meno che non si voglia ampliare in modo vagamente onnicomprensivo il
significato di questa locuzione) perché se ne possa ricavare una trattazione organica
ed unitaria; tra gli altri, prevede la tutela “delle eccellenze territoriali e
agroalimentari”, “l’educazione stradale” e “l’educazione alla salute e al
benessere”; sottolineiamo ciò per rimarcare che non siamo affatto contrari alla
reintroduzione dell’insegnamento dell’educazione civica, ma decisamente
perplessi che quest’ultima possa includere, nelle modalità indicate dalla legge,
gli argomenti succitati;
5) l’art. 5 – il più esteso
della legge – si sofferma sulla cosiddetta “cittadinanza digitale”, dando per
scontato che l’incremento dell’utilizzo delle tecnologie digitali sia di per sé
sinonimo di potenziamento delle proprie competenze di cittadinanza, laddove
invece la letteratura scientifica (vedi su tutti i lavori di Manfred Spitzer
sugli effetti devastanti del digitale nel sistema scolastico tedesco) ha
chiaramente dimostrato che dovunque il digitale sia stato ampiamente utilizzato
ha peggiorato le capacità relazionali e cognitive dei ragazzi; la legge propone
il digitale come uno strumento irrinunciabile per “interagire”, “partecipare” e
promuovere “la crescita personale”: è sotto gli occhi di tutti quanto tutto ciò
non venga affatto stimolato dall’uso degli smartphone.
Chiediamo che:
1) l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica avvenga in
altri modi, innanzitutto senza l’utilizzo dello stesso monte orario previsto settimanalmente
fino allo scorso anno e che adesso la legge vorrebbe adoperato per insegnare
una disciplina in più: adempiere al dettato della legge significherebbe fare
sempre più cose, ma farle peggio, cioè più superficialmente, quindi
inutilmente. Dunque revisione degli articoli 2 e 13 della legge;
2) si intraprenda un percorso di seria riflessione sui danni del
digitale (rivedendo l’articolo 5 della legge), così da individuare vie
(legislative) per limitarne responsabilmente l’uso ipertrofico da parte degli
adolescenti, al fine di recuperare una dimensione conoscitiva, emotiva e
relazionale più confacente a quel che evolutivamente, psicologicamente,
antropologicamente siamo.
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