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Ma avrà ancora un senso la scuola?

Ma avrà ancora un senso la scuola?

di Maurizio Tiriticco

 

La scolarizzazione! In Italia fin dalla conquistata Unità occorreva fare gli Italiani, dopo aver fatto l’Italia! Quindi istruzione elementare – almeno per i primi due anni – obbligatoria! E obbligatoria, soprattutto, la leva militare! Caspita! I Savoia dovevano dimostrare all’’Europa di possedere finalmente dei “regnicoli” che sapessero leggere e scrivere e, soprattutto, combattere! Non potevano essere da meno! Dalle Alpi alla Sicilia, più con le cattive che con le buone, occorreva quindi educare, formare e istruire – con le buone o, più spesso, con le cattive – sudditi che sapessero leggere, scrivere e far di conto, ma, soprattutto, ubbidire! Dopo secoli l’Italia finalmente non sarebbe più stata né serva né di dolori ostello, tanto meno bordello! Così, tra rastrellamenti e fucilazioni e, soprattutto, plebisciti sapientemente addomesticati, l’Italia fu fatta! Mancava Roma, ma prima o poi…. e il poi venne dopo Sedan – addio Secondo Impero napoleonico – quando Napoleone III non poté più garantire a Pio IX l’integrità dello Stato pontificio.

Comunque, questa Unità gli “italianizzati per forza” la pagarono cara, soprattutto al Sud, dove i Savoia saccheggiarono, umiliarono, depredarono e distrussero uno dei regni, quello borbonico delle Due Sicilie, tra i più avanzati d’Europa! Napoli era la terza città europea, dopo Londra e Parigi! E Torino? Mai conosciuta! Ed inventarono anche quella Questione meridionale con cui avrebbero ricercato e ritrovato tutte le giustificazioni socioantropologiche alla violenza della loro occupazione manu militari dell’Italia meridionale.

In una situazione politica così complessa, l’esercito – e i bersaglieri in primo luogo, che non mancavano mai un bersaglio – ebbero un ruolo fondamentale. Ma occorreva qualcosa in più, l’istruzione, ovviamente quella elementare e patriottica, Iddio, il Re e la Patria, appunto, un trinomio perfetto! E risuonarono così i mille tamburi dei romanzi storici, Ettore Fieramosca, Marco Visconti, L’assedio di Firenze, per non dire delle Confessioni di un Italiano e… dei Promessi Sposi… una turris eburnea, il trinomio fondante di Dio, Patria e Famiglia! E, per i più piccoli, quel Libro Cuore che tanti giovinetti italici avrebbe fatto piangere, tra vedette lombarde e tamburini sardi, e soprattutto, “educante” al nuovo Verbo della Patria e, soprattutto del Regno d’Italia! E quel Pinocchio sbarazzino che solo dopo tante disubbidienze finalmente diventerà un bambino vero… se ci fosse stato il Duce, sarebbe diventato un Balilla! Libro e moschetto fascista perfetto!

Quanti ingredienti, quanti contenuti culturali per la nuova scuola del nuovo Stato italiano! Un Ministero tutto dedicato alla Pubblica Istruzione! Che poi in epoca fascista sarebbe diventato “dell’Educazione Nazionale”. Non solo istruire, dunque, ma anche educare agli ideali fascisti!

Ma non voglio tirarla troppo in lungo! Ho voluto sottolineare soltanto che la scuola è sempre stata centrale nella politica di ogni governo, perché istruire all’uso di certe discipline, formare persone, educare a certi valori sono operazioni più necessarie che utili! Ma…

Ecco il problema di oggi! Leggere, scrivere e far di conto – senza nulla togliere alla preziosa azione delle maestre (pare che i maestri non esistano più) – sono operazioni che il “sociale”, o meglio, i social oggi favoriscono e incrementano, a volte fino ad usurpare – se se può dir così – il naturale ruolo della scuola. La sofferenza di tanti alunni delle scuole superiori, fino ai 19 anni di età!!!, e dei loro insegnanti – tranne le dovute, ma rare eccezioni – non è un fenomeno di poco conto! In una società in cui le informazioni sovrabbondano e che sollecitano di fatto “conoscenze”, “abilità”, se non vere e proprie “competenze” nel leggere, scrivere e far di conto, il ruolo della scuola – per come è organizzata e per i fini che persegue – mi sembra fortemente aggredito.

La riduzione di un anno dei nostri studi secondaria è cosa necessaria, anche perché è ridicolo tenere sui banchi cittadini maggiorenni. Però, deve costituire la prima occasione per cominciare a ripensare a come è strutturato e organizzato OGGI l’intero “Sistema nazionale di Educazione, Formazione ed Istruzione”. Non sarebbe interessante riprendere alcune delle indicazioni dei descolarizzatori degli anni Settanta, allora ingenuamente avveniristiche, ma che oggi si inseriscono in una società in cui le strumentazioni cognitive di base sembrano allocate al sociale più che ad una istituzione ad hoc?

Ho sempre pensato e scritto che le tre C, a) la Campanella (i tempi predeterminati per ciascuna disciplina), b) la Classe di età (strumento creato per promuovere e bocciare, come se il tempo di uno studente si possa replicare, come siamo soliti rimettere gli orologi), c) la Cattedra oraria (due ore di inglese a settimana per dieci anni e più… ma nessuno dei nostri studenti parla inglese), o meglio l’organizzazione dei tempi della scuola è tale da limitare l’efficienza e l’efficacia di qualsiasi azione mirata all’apprendimento.

Per concludere, viene da chiedersi: la scuola, per come è organizzata, è una organizzazione che veramente Educa, Forma ed Istruisce come si vorrebbe, stante l’impegno che nel lontano ’99 abbiano assunto con il Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche? Se la sperimentazione dei quattro anni è un primo passo per sperimentazioni più coraggiose ed avanzate, ben venga! Purché investano il senso stesso che una “scuola” ha oggi in una società avanzata!

Les jeux sont faits!

Les jeux sont faits!

di Maurizio Tiriticco

 

Ebbene, sì! Les jeux sont faits! E’ una grida di manzoniana memoria! Questa sperimentazione s’ha da fare! Si veda il Decreto Ministeriale 7 agosto 2017, concernente il “Piano nazionale di innovazione ordinamentale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado”.

Si sperimenta A VALLE – e nessuno ne contesta la necessità – ma A MONTE si lascia tutto com’è! A quando, INVECE, la sperimentazione di un curricolo iniziale decennale obbligatorio verticale e, soprattutto, CONTINUO? E ciò al fine di liquidare lo spezzatino attuale di scuola primaria, media e primo biennio? Com’è noto, ciascuno dei tre percorsi ha una sua precisa identità! Si potrebbe dire che ciascuno è istituzionalmente chiuso in se stesso! Si pensi agli esami di terza media, esami di Stato, perché lo prevede la Costituzione per la fine di ogni ciclo di istruzione! Di fatto, una struttura istituzionale è sempre più forte della eventuale “buona volontà” degli insegnanti che pur vorrebbero garantire ai loro alunni uno sviluppo verticale unitario e, soprattutto, progressivo! Ma non possono farlo, perché la struttura costituzionale ed istituzionale è più forte della loro eventuale volontà. Una effettiva progressione decennale di studi iniziali obbligatori garantirebbe, invece, che lo studente che si iscrive al triennio di un istituto di secondo grado abbia veramente acquisito le COMPETENZE necessarie per accedere a studi ulteriori. E si tratterebbe di competenze che costituirebbero la rotta dell’intero percorso decennale!

E la maestra (pare che i maestri non esistano più! E ciò è molto grave!) di una prima classe primaria “lavorerebbe” considerando che il fine ultimo dell’apprendimento dei suoi alunni è quello di avere raggiunto quelle “determinate COMPETENZE” che concludono il decennio obbligatorio. Ma ciò in effetti difficilmente accade, in quanto ciascun insegnante è “costretto per norma” a – come si suol dire – coltivare il suo orticello!

La sperimentazione di un quadriennio secondario è indubbiamente una iniziativa coraggiosa e necessaria, anche perché in quasi tutti i Paesi dell’UE l’istruzione secondaria si conclude ai 18 anni di età, ma… perché non riflettere anche in primo luogo su ciò che accade “prima” dell’istruzione secondaria di secondo grado? E in effetti questo “prima” è quello che determina in larga misura – la ricerca pedagogica ce lo insegna – la maturazione di un adolescente. Il percorso/sviluppo che va dai 6 ai 16 anni di età – che nel nostro Paese coincide con l’istruzione obbligatoria – è quello che determina in larga misura la preparazione di base intellettuale e, per certi versi, anche emotivo/relazionale di un soggetto, Riuscire ad incidere su questa fascia di età con percorsi di educazione, formazione e istruzione (sono del resto tre parole/concetti che ritroviamo puntualmente all’articolo 1, comma 2 del dpr 275/99, con cui abbiamo varato l’autonomia delle istituzioni scolastiche) sarebbe un fatto vincente. Com’è noto, l’istruzione riguarda l’insieme delle conoscenze che il soggetto deve acquisire; la formazione riguarda lo sviluppo della persona, una e distinta dalle altre; l’educazione attiene alla socializzazione, alla convivenza civile, alla cittadinanza.

La Ministra Fedeli è senz’altro in grado di recepire il senso e la finalità dell’argomentazione fin qui condotta. Ovviamente, gli ultimi due anni del decennio obbligatorio dovrebbero essere strutturati ed organizzati anche e soprattutto ai fini di un produttivo “orientamento personalizzato” e finalizzato di ciascun alunno. Pertanto, penso che un successivo passo di riordino possa e debba andare nella direzione indicata! Un ripensamento dell’intero percorso decennale di studi obbligatori! Si tratterebbe di un passaggio utile e necessario!

Una occasione da non perdere!

Una occasione da non perdere!

 di Maurizio Tiriticco

 

ERA ORA! Finalmente si comincia a pensare che si possa uscire dalla scuola a 18 anni e non a 19, almeno dal prossimo anno scolastico nei licei sperimentali quadriennali! Una considerazione a monte: è una “cosa” tutta italica – tranne qualche rara eccezione – quella di “tenere sui banchi di scuola” alunni maggiorenni!!! E viene da chiedersi: a quando l’uscita generalizzata a 18 anni per tutti i percorsi di studio? Ma qui si pone un problema, che in molti in effetti rilevano: il fatto, cioè, di dovere “stringere” in quattro anni ciò che fino ad oggi “si fa” in cinque!

E di qui emerge una considerazione, affatto peregrina: perché, per quanto riguarda certe decisioni di politica scolastica, occorre pensare e fare sempre con criteri “frammentari” e mai con visioni più “generalizzate”? O meglio: se si deve pensare e decidere a proposito di un “frammento” dei nostri percorsi di studi, perché non inquadrarlo, per giungere ad una decisione costruttiva, nella “generalità” degli interi percorsi? Da quel dì che vado predicando che il nostro percorso di studi obbligatorio è ancora a tutt’oggi una sommatoria di scuola primaria, di scuola media e di primo biennio superiore: tre “pezzi”, ciascuno dei quali è attento più al suo ombelico che al “corpus” nella sua interezza. In effetti, le stesse norme che da sempre si succedono riguardano sempre un “pezzo” e mai – o molto raramente – l'”intero”. Mi chiedo: che senso ha sperimentare un quadriennio superiore, se a monte non “si risistemano” i dieci anni di studio obbligatori? In effetti, una “risistemazione” in tal senso permetterebbe non la sperimentazione di un percorso quadriennale successivo, ma una sua reale e necessaria “messa a regime”!

Ovviamente, non è una cosa semplice costruire un percorso decennale obbligatorio verticale e continuo! Occorre mettere in discussione strutture istituzionali e organizzative che vengono da lontano e che da questo “lontano” traggono la loro stessa ragion d’essere! Basti pensare allo status diverso del maestro – pardon! Forse dovevo dire “maestra”, perché penso che sia difficile oggi trovare nella nostra scuola primaria dei maestri – rispetto a quello del professore… a proposito: esistono ancora professori nella scuola media? E’ un’occasione per riflettere sul fatto che la professione dell’insegnante nel nostro Paese ha subìto nel corso degli anni una vera e propria débacle! Ricordo che al liceo “Giulio Cesare” di Roma ho avuto come “maestri” un Prestipino e un Nicolosi Roncati! Mia madre mi raccontava che un suo zio insegnava al “Massimo” – uno dei licei privati più prestigiosi di Roma allora e oggi – e andava a scuola “con le pacche”, cioè vestito come per le grandi occasioni!

Tutto ciò per dire che la professione insegnante oggi non gode di quel prestigio che, invece, le si dovrebbe! Era relativamente facile insegnare in una scuola per pochi! Ed è estremamente difficile insegnare oggi in una scuola per tutti! Considerando poi che i tutti sono più attratti da un mondo esterno straricco di informazioni e di sollecitazioni, con cui la scuola difficilmente riesce a tenere il passo! Le famose tre C, la Casse d’età, la Cattedra, la Campanella, i programmi di studio (pardon! Volevo dire Indicazioni nazionali e/o Linee guida) sono in effetti dei vincoli pesanti per una scuola in cui gli alunni sono “altra cosa” rispetto a quelli di un immaginario ormai purtroppo molto lontano!

Concludendo: licei quadriennali sì, ma… non dimentichiamo che la nostra scuola secondaria “non si salva” con questa pur necessaria e interessante sperimentazione! Anzi, non si salva la nostra scuola nella sua interezza! Sperimentare sì, ma in una chiave di progettazione di un futuro scolastico vivibile e produttivo! Penso di avere scritto cose che la Ministra Fedeli potrebbe condividere, per quello che sono la sua storia civile e la sua esperienza politica. E so anche che l’azione politica – quella vera, quella che “cambia veramente le cose” – richiede tempi lunghi! Quindi un augurio perché la Fedeli possa continuare a lungo il suo lavoro!

Ieri oggi domani

Ieri oggi domani
Maurizio e Sergio … tra passato e futuro…

di Maurizio Tiriticco e Sergio Bailetti

 

Maurizio – La mia Roma sta morendo! Emma Bonino recentemente ha detto: “Roma soffoca per la pessima qualità dei servizi. Sembra che nessuno si renda conto dell’effetto devastante che tutto questo ha nella vita delle persone”. Mi chiedo: che sarà di qui a dieci anni? Caro Sergio! Perché sono costretto a rimpiangere gli anni trenta?

Perché negli anni trenta, caro Maurizio, eri adolescente e, nonostante il fascismo, avevi la vita davanti a te e tutti i sogni ti facevano compagnia. Ora si dorme poco e si sogna di meno; però sei diventato grande, veramente grande….solo un po’ acciaccato, ma questa è un’altra storia. Sergio

Caro Sergio! Io non ci casco nella formula di “ai miei tempi”, tanto cara ai vecchietti, e CONFERMO FATTI VERI E POSITIVI… Il ’44 Roma libbberataaa… il pane BIANCO;, il ’45, la Liberazione; il ’46, Costituente e Referendum; il 27 dicembre ’47 (a memoria!!!) la Costituzione! Poi gli anni Cinquanta, che segnarono una svolta profonda e positiva nella nostra società! Il giorno successivo era sempre migliore di quello precedente. Le lotte contadine e operaie erano tante e la Celere di Scelba sparava pure, ma “si andava avanti” e questa percezione era diffusa non solo nei Tiriticco che nel 1953, a 25 anni FU IN GRADO di “mettere su famiglia”… di comprarsi la MACCHINAAA… gli amici mi venivano a trovare sorpresi del citofono e del frigorifero!!! Lavoravo a l’UNITA’, il “giornale dei lavoratori” e non mi pagavano, poi cominciai a insegnare – oggi sarebbe impossibile dire “domani insegno”…

Non ci casco nel giochetto che “ora sono vecchio e vedo tutto nero” e dico “ai miei tempi”. Ho tutti gli strumenti intellettuali – ancora oggi, domani non so – per sapere che ALLORA il domani lo costruivamo e che OGGI il domani non è più nelle nostre mani! Siamo passati da De Gasperi e Togliatti a Berlusconi e Renzi, per non dire dei Salvini che negli anni Cinquanta non potevano essere neanche immaginati! C’erano i missini e, in effetti, facevano tanta tenerezza! Anch’io, marxista, gramsciano e comunista di ferro, per certi versi, ero un “nostalgico”!!! Hai letto il mio BALILLA MOSCHETTIERE!!! Il dramma di oggi è che, tra i laccioli dell’UE e l’imposizione di sbarchi continui, non siamo più in grado di… non dico PROGETTARE il futuro, ma neanche di PROGRAMMARE il giorno dopo! L’incertezza e la paura sono estremamente diffuse! A Roma salire sulla metropolitana è un atto di coraggio!!! Uscire di casa la sera in periferia è rischioso! Il centro della città è un suk!!! Sono realtà! In parte saranno anche percezioni, lo so, ma hanno una loro origine e sono preoccupanti! Ed IO sono preoccupato, non per me, che tra poco me ne andrò!!! La Roma di Nicolini e di Petroselli – e di Cederna anche – ora è la Roma di Raggi e di Salvatore Romeo, Raffaele Marra, Renato Marra! E la ciliegina – pare pulita – di Luca Bergamo!!! Sembra che il “sole che sorge libero e giocondo” abbia deciso di non domare più i suoi cavalli sui “colli nostri” sennò gli extracomunitari se li mangiano! Sono vecchio, ma non rincoglionito… ancora! Domani non so! Mi chiederò: ma chi è questo Sergio Bailetti??? Chi lo conosce? Maurizio

Maurizio caro, abbiamo vissuto insieme su questa terra dal dopoguerra in poi (io parto da lì, per età). In quegli anni cenavo spesso con una tazza di latte e orzo, perché c’era solo quello; parecchi sono migrati via. Mio padre sindacalista con Di Vittorio organizzava le prime riunioni, ospitando nella nostra casa popolare i compagni venuti dalle fabbriche di tutt’Italia. Allora i pavimenti delle nostre due camere si riempivano di giacigli improvvisati e poi… via alle riunioni o alle manifestazioni. Poi il boom economico mi ha permesso di studiare e studiare ancora. La DC con la spinta del PCI ha consentito per molti della mia generazione una scalata sociale importante e quasi tutti abbiamo potuto scegliere quello che avremmo voluto fare. La prima 500, le prime vacanze in tenda, la possibilità di metter su famiglia presto, l’impegno sociale a 360°. A quei tempi la FIAT assumeva oltre 10.000 operai al mese, la pubblica amministrazione pure, la ricostruzione prima e il made in Italy poi avevano bisogno di braccia e cervelli. Ma, come dici tu, c’era una spinta ideale, un profondo anelito di libertà, di solidarietà, di fratellanza…di futuro. E c’erano persone che davano corpo e sostanza a questi ideali: nella cultura, nella politica, nel lavoro.

Mi hai portato in una discussione in cui non riesco a sintetizzare il mio pensiero come vorrei. Anche io non dico mai “ai miei tempi…”. Sono consapevole che nulla, o quasi nulla, è riproponibile della nostra esperienza, alla faccia dei Corsi e Ricorsi o della più moderna Teoria dei cicli. Credo, però, che il problema fondamentale è che non siamo in grado di leggere con occhi nuovi la situazione attuale per poterla interpretare e, magari, gestirla. Domina l’individualismo più sfrenato. Il capitalismo camaleonticamente ha assunto nuovi aspetti: quello finanziario. Mentre prima c’eravamo noi di qua e loro di là, ora il capitalismo finanziario non ha una vera e propria identità: “si svolgono milioni di transazioni finanziarie al secondo” che decidono le sorti di aziende e dei loro lavoratori, e mettono padroni e operai dalla stessa parte. Le dimensioni planetarie del nuovo capitalismo aumentano lo sfruttamento di popoli e classi sociali senza che, almeno apparentemente, si possa arginare la sua pandemia.

In Parlamento, tra Camera e Senato, ci sono 22 partiti. Le trattative per Alitalia o i taxi vedono decine di sigle sindacali che litigano tra loro. Moderni Orazi e Curiazi si fronteggiano trivialmente in tv, alimentando l’antipolitica oltre che l’audience dei volponi provocatori che conducono i talk show col fine di aumentare il budget pubblicitario. Ma ci rendiamo conto che le televisioni regalano centinaia di migliaia di euro a dei cretini che indovinano stronzate dentro un pacco e poi ci lamentiamo dei barconi e del suk a Roma?!. Partirei anche io per un Paese dove ci sono premi le cui briciole sono più grandi del reddito di una vita.

Le nuove generazioni crescono in questo brodo. Hanno visto nei film tante volte palazzi e grattaceli saltare in aria che le “Due torri” non fanno loro effetto. Ogni sera tutto il palinsesto televisivo è costellato di film che fanno scuola per nuovi Bataclan. Vogliamo parlare dei videogiochi? Quanto guadagni se ne ammazzi 1, 10, 1000 con spade, pistole, mitra? Falcone e Borsellino in quale film hanno lavorato?

La massificazione culturale, la quarta rivoluzione industriale, il mercato mondiale, la comunicazione planetaria condiziona come una nuova era geologica post-glaciale: ora è tutto liquido. Non ci sono più i blocchi di ghiaccio di riferimento, gli argini o i confini entro cui raccogliere, mantenere e rinforzare la propria identità, il proprio gruppo politico, il proprio sindacato, la comunità di appartenenza: oggi è tutto liquido. Nei liquidi, i fluidi, anche molto diversi, si confondono e si omogeneizzano e, soprattutto, prendono la forma di colui che li contiene (come dice Camilleri ne “La forma dell’acqua”).

Però c’è sempre chi la sa più degli altri e ci spiega la storia, passata e futura. Non ci sono più capi carismatici capaci di aggregare attorno ad un ideale, ma tanti capetti che si creano uno spazio personale (per poter essere magari eletti col sistema proporzionale). Enrico Berlinguer (ora in procinto di essere fatto Santo!!!) nel suo percorso,verso il Compromesso storico, oltre che dai Servizi segreti, fu “accompagnato” da puri e duri come: il Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Comunisti Rivoluzionari, Lotta Comunista, Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), Avanguardia Operaia, Movimento Studentesco, Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti), Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia, Cristiani per il Socialismo, Movimento Lavoratori per il Socialismo.

Più vicini ai nostri giorni ci sono altri duri e puri, tra cui spicca il “contributo” dato da Bertinotti con Rifondazione Comunista al nascente Ulivo, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, poi il Partito Comunista dei Lavoratori. E poi: Sinistra Ecologia Libertà, L’Altra Europa con Tsipras, Essere comunisti, i Verdi, l’Italia dei Valori, Rivoluzione Civile di Ingroia, gli Arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, di Pippo Civati, i gruppi di Futuro a Sinistra, di Stefano Fassina, Articolo1-MDP.

Tutti rivoluzionari! Qualcuno dei quali supera pure la fatidica soglia dei parenti e amici. Il nostro Paese è davanti ad un bivio, forse l’ultimo. Smettere di guardarsi l’ombelico e riformare, riformare, riformare la nostra società da un Paese a socialismo ir-reale ad un paese moderno dove domini la competenza nella politica, nel lavoro, nell’imprenditorialità, nella giustizia, nel welfare, nella burocrazia, nella diplomazia… Il percorso sarà lungo, non facile, e sarà possibile realizzarlo soltanto lavorando insieme, ricordando che l’Ottimo è nemico del Buono (come mi diceva spesso il nostro capo del tempo in cui io e te “eravamo in servizio”, P. Capo). Sergio

Vent’anni di “maturità”

Vent’anni di “maturità” (*)

di Maurizio Tiriticco

 

Il “nuovo esame di Stato”, di cui alla legge 425/1997, conteneva – e contiene – tutta una serie di innovazioni che, però, non hanno sortito un grande effetto! Il solo fatto che si continui a parlare e a scrivere di “esami di maturità” la dice lunga. L’innovazione prevista e attesa di fatto non è passata fino in fondo! E ciò che conta sui certificati finali sono i punteggi/voto più che le competenze che il candidato avrebbe dovuto acquisire. In effetti il cittadino europeo che volesse conoscere “che cosa sa fare” il candidato italiano che ha superato l’esame, non può farlo, perché ciò che conta sull’attestato, oggi anche plurilingue, è uno “strano numeretto” che dice poco o nulla circa il suo concreto “saper fare”.

La riforma Berlinguer degli esami di Stato

In quello scorcio di secolo ero in “servizio volontario” con il Ministro Berlinguer – in effetti ero in pensione dal 1995 – e, in servizio presso il Ministero, lavorai al dpr 323/1998, il decreto che ha reso operativa la legge sotto il profilo procedurale e amministrativo. Ricordo che ebbi molti problemi, nella mia interlocuzione con l’allora Direttore Generale, per mettere in atto quell’articolo 6 della legge e giungere a una corretta definizione dei nuovi termini “chiave” di conoscenze, capacità, abilità, competenze. Di fatto si trattava dei tre “concetti” nuovi per la nostra scuola e per la nostra legislazione scolastica, termini che dovevamo “mutuare” – se si può dir così – da quanto si andava legiferando in materia in sede di Unione Europea. Comunque, di fatto, la legge 425/1997 non era molto esplicita in materia. In effetti possiamo dire che il legislatore traccia il solco, e che poi sta all’amministrativo… fecondarlo!

Competenze, conoscenze e capacità

L’articolo 6 della legge così si esprimeva: “Certificazioni: 1. Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Un articolo abbastanza sibillino: che significa “dare trasparenza”? E in armonia con quali “nuove disposizioni”? Sappiamo come la nostra legislazione – non solo quella scolastica – è sempre molto puntigliosa, quando si tratta di rinviare a dati riferimenti normativi. In quel caso, invece, la genericità è stata somma! Per non dire poi che, a proposito di concetti assolutamente nuovi, quali quelli di competenza e capacità – dato per scontato che sul concetto di conoscenza ci fossero idee chiare – il silenzio era assordante! E le abilità? Il nulla!

Prove acerbe per definire concetti complessi

Forte della mia esperienza ispettiva, dei miei studi con Raffaele Laporta, delle mie esperienze a Bruxelles (Comitato per la DEI, Dimensione Europea dell’Istruzione), ritenevo che con il successivo dpr, cioè con il “regolamento applicativo”, si dovessero dare definizioni certe e chiare, ma il Direttore Generale non volle andare ultra crepidam e insistette sul fatto che il Regolamento dovesse essere coerente al massimo con la Legge! Quando invece – com’è noto – nella nostra legislazione un Regolamento è lo strumento che dovrebbe “regolare”, appunto, la Legge! Ebbene, l’articolo 1, comma 3 dell’attuale Regolamento – il dpr 323/1998 – di fatto non esplicita nulla! Ecco il testo: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”.

Un esame impasticciato

Si trattava di una indicazione assai generica, a fronte, invece, di una innovazione profonda, che avrebbe dovuto “stravolgere” i modi stessi dell’insegnare/apprendere nella nostra scuola secondaria superiore! Da quelle premesse normative non poteva che seguire un esame impasticciato! Nonché una terza prova pluridisciplinare che nessun insegnante è mai stato in grado di produrre correttamente!!! In effetti la prova in genere è sempre la somma di più quesiti disciplinari! Per non dire poi del colloquio, anch’esso… pluridisciplinare! Però nulla di più “falso”! La pluridisciplinarità i nostri insegnanti, rigidamente disciplinari per l’intero quinquennio (il dramma dei quadri orari difficilmente aggredibili), non la conoscono! Fatte salve, naturalmente, le dovute e apprezzabili eccezioni!

Insomma il “nuovo esame di Stato” non solo necessitava di un dpr più chiaro, ma anche di una governance ispettiva che però non c’è stata! In effetti anche i colleghi ispettori erano tutti disciplinari. E così, in quel primo anno del nuovo esame di Stato (1999), ipertesti diffusi nelle scuole, tre anni di trasmissioni televisive dalla sede Rai di Firenze pro Esame di Stato, sono serviti a poco, soprattutto poi dopo la “brutta fine” che fece il ministro Berlinguer, convinto invece della necessità e dell’importanza del “nuovo” esame di Stato! Pertanto tutta la spinta innovativa di un esame di Stato che avrebbe dovuto essere veramente nuovo e diverso, e produrre positive ricadute sull’intero ultimo triennio delle nostre scuole, è diventata polvere! Sono rimasti i crediti, che sono solo un inutile “appiccicaticcio”!!!

Verso la certificazione delle competenze

Successivamente, nel corso degli anni, anche con il conforto e il concorso della legislazione europea in materia, siamo riusciti a definire i concetti forti del nuovo esame di Stato! Ma non solo! In effetti, oggi, è tutta la nostra scuola che deve far proprie e vive le nuove frontiere dell’insegnare/apprendere, che non si limitano più ad erogare, far apprendere e valutare conoscenze, ma devono andare ben oltre! Di fatto la conoscenza è il primo gradino di una scala di operazioni, che si concludono infine con l’acquisizione e la certificazione di competenze.

Presentiamo ora la definizione dei concetti chiave delle operazioni che presiedono allo sviluppo/crescita e all’apprendimento, desunta anche dalle indicazioni europee. Si vedano al riguardo almeno: a) Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente; b) Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 relativa al Quadro Europeo delle Qualifiche.

Definizioni consolidate a livello europeo

Conoscenze – un insieme organizzato di dati (in effetti sono le parole del vocabolario del parlante; es.: Marco, amare, Maria) e informazioni (le parole organizzate secondo la grammatica del parlante; es: Marco ama Maria) relative a oggetti, eventi, tecniche, regole, principi, teorie (si noti il crescendo della complessità concettuale), che il soggetto ap-prende, com-prende, archivia e utilizza in situazioni operative quotidiane eccezionali procedurali o problematiche;

Capacità/Abilità – atti concreti singoli che il soggetto compie utilizzando date conoscenze e dati strumenti; di fatto un’abilità è un segmento di competenza;

Nota: la slash o barretta (/), da non confondere né con il trattino (-) né con la lineetta (–), sta ad indicare che il primo termine è in funzione del secondo. Nel nostro caso un alunno è capace quando possiede i prerequisiti per acquisire una data abilità. Un esempio più che banale, ma chiaro: un nuovo nato che possiede le gambe, ha la capacità di camminare, che poi diventerà abilità in seguito ad un corretto sviluppo/crescita e a ad un corretto apprendimento senso/motorio.

Competenza – la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare: le conoscenze, le abilità e le attitudini (atteggiamenti) personali (il Sé), sociali (il Sé e gli Altri) e/o metodologiche (il Sé e le Cose) in situazioni di lavoro o di studio, e nello sviluppo professionale e/o personale. NB – Nel Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e di autonomia.

Come si desume da quanto scritto, l’“armamentario” per una serie di innovazioni profonde c’era, ed era anche ricco e complesso, ma… in seguito la routine l’ha fatta da padrona, e il nostro esame, che dovrebbe accertare e certificare competenze, è ancora un “esame di maturità”!

La Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006

Il documento indica e descrive “otto competenze chiave per l’apprendimento permanente”. Di fatto sono competenze necessarie per l’esercizio della cittadinanza attiva e responsabile. Le otto competenze sono: 1. Comunicazione nella madrelingua; 2. Comunicazione nelle lingue straniere; 3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4. Competenza digitale; 5. Imparare a imparare; 6. Competenze sociali e civiche; 7. Spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8. Consapevolezza ed espressione culturale.

Per quanto riguarda la scuola italiana, le “competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria” (allegato 2 al dm 139/2007) sono otto: Imparare ad imparare; Progettare (afferiscono alla Persona in quanto tale); Comunicare; Collaborare e partecipare; Agire in modo autonomo e responsabile (afferiscono alla Persona nei suoi rapporti con gli Altri); Risolvere problemi; Individuare collegamenti e relazioni; Acquisire e interpretare l’informazione (afferiscono alla Persona nei suoi rapporti con le Cose, con il Fare).

La Raccomandazione europea del 23 aprile 2008

Il documento, recepito formalmente dall’Accordo Stato-Regioni del 20 dicembre 2012, riguarda l’European Qualifications Framework (EQF), il Quadro Europeo delle Qualifiche (e di qualsiasi altro titolo di studio). I livelli indicati sono otto. Per lo specifico, si rinvia direttamente al testo originale, reperibile al seguente link: https://ec.europa.eu/ploteus/sites/eac-eqf/files/leaflet_it.pdf. Per quanto riguarda la nostra scuola e i titoli da essa rilasciati, queste che seguono sono le relative corrispondenze con i livelli di cui all’EQF: 1. licenza media; 2. certificazione dell’obbligo di istruzione; 3. qualifica professionale triennale regionale; 4. ex “maturità” e diploma di qualifica professionale quadriennale regionale; 5. diploma di Istruzione Tecnica Superiore; 6. laurea triennale; 7. laurea magistrale e master di 1° livello; 8. dottorato e master di 2° livello.


(*) articolo apparso su Scuola7

Per un insegnante creativo

Per un insegnante creativo

di Maurizio Tiriticco

 

Benendetto Vertecchi conclude il suo “La professione degli insegnanti, n. 4. Fra creatività e adempimenti” con questa parole: “Tra i tormentoni che continuano a riproporsi nel dibattito sulla scuola c’è l’insistenza sulla formazione degli insegnanti. Ma di quali insegnanti? Di quelli che saranno impegnati in un lavoro proceduralizzato o di quelli che dall’analisi degli elementi di processo e di contesto saranno in grado di manifestare la loro capacità di rivolvere problemi? Nei casi migliori (degli altri è meglio non parlare), i percorsi ora previsti per l’accesso all’insegnamento appaiono funzionali a un impegno professionale proceduralizzato. Ed è proprio l’angustia temporale che si collega a pratiche composte da un certo numero di adempimenti discreti a destare le maggiori perplessità”.

In altre parole, siamo per un insegnante convergente e riproduttivo o per un insegnante divergente e creativo? Ovviamente per il secondo, soprattutto perché la società di oggi non vuole “sudditi obbedienti”, ma “cittadini creativi”! A questo punto si pone, però, una domanda: la nostra scuola su quali modelli organizzativi funziona? A mio vedere, su quelli di sempre, sia del Regno d’Italia (legge Casati et al.) sia della scuola fascista (riforma Bottai). Non dico che, con la Repubblica, non ci siano state riforme importanti, in primo luogo l’obbligo di istruzione, prima ottonnale (L. 1859/1962), poi decennale (L. 296/2006 e dm 139/2007), ma l’assetto organizzativo, che scherzosamente ho sempre chiamato delle “tre C”, Classe, Cattedra e Campanella, è quello di sempre! E allora, non dovremmo cominciare a pensare… o meglio, a ripensare, se non a rimuovere, in primo luogo, quelle tre C?

La Ministra Fedeli che, dopo le mie prime perplessità, sta dimostrando di essere uno dei migliori ministri PI del terzo millennio, un pensierino al proposito potrebbe e dovrebbe farlo! E che vada oltre la 107, una legge scritta da ignoti, che non innova, ma complica! In effetti, un insegnante creativo non può essere espresso da una scuola la cui organizzazione non è funzionale a un “comportamento insegnante” riproduttivo e creativo. Le eccezioni, ovviamente, ci sono, ma si contano sulla punta delle dita. Mi piace ricordare il Majorana, di Brindidi, il Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Volta di Perugia, il Savoia Benincasa di Ancona, il Marco Polo di Bari. Ed altri che non conosco! In questi istituti dirigenti e docenti hanno sconvolto la didattica tradizionale! E vi sono insegnanti che… non insegnano, ma…stimolano apprendimenti! E si tratta di realtà attuate anche a norma vigente! Quindi – 107 sì o no – certe iniziative è possibile avviarle e portarle a compimento. Sono le innovazioni intelligenti a proporre insegnamenti innovativi.

Lo spazio per innovare, quindi esiste, anche se non v’è innovazione che non imponga dei costi, e tra i costi sarebbe proprio il caso di rivedere l’assetto salariale di dirigenti e insegnanti. I prodotti di qualità costano! Ed è un principio che non vale solo per un paio di scarpe!

Un’alternanza che non alterna

Un’alternanza che non alterna

 di Maurizio Tiriticco

 

Ho sempre avuto molti dubbi sull’alternanza scuola-lavoro, ma non li ho mai espressi, un po’ perché forse non sarebbero stati tutti giustificati, un po’ per scaramanzia. Però, qualche dubbio mi viene confermato quando leggo su “la Repubblica” di oggi quanto segue: “Alternanza scuola-lavoro, due anni deludenti. Il 57% degli studenti confessa che non funziona… In effetti, secondo un monitoraggio condotto dall’Unione degli Studenti, su 15mila liceali di nove Regioni, oltre la metà dice di partecipare a percorsi non inerenti ai propri studi e 4 su 10 ammettono di non essere messi nelle condizioni di studiare”.

In effetti studiare in alternanza con il lavoro – che io preferirei chiamare continuità – non dovrebbe costituire un’eccezione, un’aggiunta a un quadro orario determinato, bensì parte determinante del quadro stesso. In effetti, la legge 107/2015 dedica molti commi dell’unico articolo 1 all’alternanza scuola-lavoro (dal 33 al 41), ma cade in una grave omissione, almeno a mio parere. Al comma 33 leggiamo testualmente: “Al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Le disposizioni del primo periodo si applicano a partire dalle classi terze attivate nell’anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. I percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell’offerta formativa”.

In effetti, risulta che le ore di alternanza sono semplicemente aggiunte agli orari “normali” delle lezioni, di cui alle Indicazioni nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali. Si tratta di orari annuali e settimanali già abbastanza pesanti! Ed è tale giustapposizione che, di fatto, rende poi difficile individuare ore aggiuntive da dedicare all’alternanza.

Oltre alla difficoltà suddetta, vanno considerate altre difficoltà. Il fatto è che da sempre la nostra scuola è “chiusa in se stessa”, potremmo dire. Tradizionalmente è un “luogo” a sé, separato e distinto da altri luoghi. In effetti tutti gli orari scolastici sono scanditi per materie, e rispondono ad un tetto annuale. Risulta pertanto molto difficile “inserire” o “aggiungere” in orari già “pieni” settimanalmente ore aggiuntive di alternanza scuola-lavoro, pur se la loro finalità si dimostra di un estremo interesse.

Insomma, le solite cose all’italiana, potremmo dire! Alternanza! Ottima iniziativa, ma… Copio dal testo citato: “Secondo il monitoraggio, il 57 per cento degli studenti intervistati ha partecipato a percorsi di alternanza scuola-lavoro non inerenti al proprio percorso di studi e 4 su dieci ammettono di essere caduti in situazioni in cui sono stati negati loro diritti, come quello di essere seguiti da un tutor o di non essere stati messi nelle condizioni di studiare.

E ancora: “In Sardegna o nel Molise – spiegano dall’Unione degli studenti – per mancanza di un tessuto produttivo sul territorio in grado di sopperire alla mole di studenti, le scuole si sono trovate costrette a far spostare gli alunni dalla Regione chiedendo a questi ultimi di sopperire alle spese per lo spostamento con somme che hanno raggiunto i 300-400 euro”. Per non dire che nell’87% dei casi le attività di alternanza sono state calate dall’alto senza alcun coinvolgimento dei diretti interessati. “Al Pacinotti di Taranto le studentesse e gli studenti hanno portato avanti il proprio percorso di alternanza scuola-lavoro all’Ilva, industria siderurgica famosa sul territorio per le gravi responsabilità di inquinamento ambientale. Per non dire poi di attività come quella che ha visto centinaia di studenti impegnati a prendere ordinazioni in una nota catena che vende panini con hamburger o impegnati a fare esperienza in una notissima catena di abbigliamento spagnola”. Di fatto gli studenti “hanno tralasciato lo studio delle materie scolastiche, sia di mattina sia nel pomeriggio. A confessarlo il 57 per cento dei 15mila entrati nel nuovo obbligo e per i quali il sindacato degli studenti spinge per uno Statuto a favore degli studenti in Alternanza scuola-lavoro”.

L’alternanza scuola lavoro non si inventa! Né si può aggiungere, giustapporre, intrecciare malamente con il “normale” orario delle lezioni. In effetti siamo di fronte a un vero e proprio vuoto normativo, che diventa poi un’imposizione. Vorrei solo ricordare che nell’Istruzione professionale con il “Progetto 92” – secolo scorso – figurava nel normale orario delle lezioni – se si può dir così – una cosiddetta Terza area, quella riconducibile appunto ad attività da realizzare in situazione di studio/lavoro debitamente concordato e attivato con imprese ad hoc, o per lo meno in larga misura corrispondenti per le loro attività produttive con gli indirizzi di studio.

Ho voluto ricordare questa esperienza, della quale occorrerebbe tenere il dovuto conto, per sottolineare che l’alternanza scuola-lavoro in primo luogo non si può attuare solo perché “lo dice la legge”! Perché in tal modo finisce solo con l’essere una iattura, come lo è nella larga maggioranza dei casi. In secondo luogo non si può “aggiungere” ad orari scolastici già di per sé abbastanza pesanti!

In conclusione, allora, alternanza sì, ma con juicio, parafrasando il nostro Manzoni… sempre saggio, come spesso non è il nostro Ministero!

Valutazione dei docenti: una proposta

Valutazione dei docenti: una proposta

di Maurizio Tiriticco

 

La valutazione di un docente, o meglio delle attività di docenza svolte in un dato periodo da un dato insegnante, non è affatto una operazione semplice. Occorre assolutamente evitare che un giudizio venga espresso sulla base di “impressioni”, di “considerazioni generiche”, che troppo spesso sono inficiate da personalismi assolutamente soggettivi. Ciò può valere quando ad esempio, conosciamo una persona in casa altrui, ad una festa, al ristorante, in viaggio, ecc. Valutare la condotta e l’operato di un professionista è altra cosa rispetto alla condotta dello stesso in quanto persona. In altri termini, Antonio può essere una persona assolutamente antipatica nei rapporti interpersonali, ma un ottimo avvocato! E Laura può essere una donna assolutamente cordiale ed affabile, ma assolutamente inaffidabile come commercialista. Pertanto, onde evitare di esprimere giudizi sommari, generici e scarsamente motivati a proposito di un/a professionista, è bene invece adottare dei criteri coerenti con l’attività che il soggetto svolge più che con la persona in quanto tale. Per quanto, nello specifico, riguarda le attività di insegnamento, è bene adottare dei criteri che permettano di esprimere giudizi che abbiano il massimo di quella oggettività che, comunque, non è sempre facile adottare.

La tabella che segue costituisce un esempio per quanto riguarda la valutazione di un docente. La scelta adottata è la seguente: si sono scelti dieci INDICATORI e, per ciascuno di essi, una SCALA DI VALUTAZIONE da uno a cinque punti, da un minimo a un massimo, con un valore intermedio di sufficienza.

Il tutto ha solo carattere di esempio. Ovviamente, sia gli indicatori che la scala dei punteggi possono essere assolutamente diversi rispetto alla concreta situazione in cui ci si trova ad operare.

 

Tabella per la valutazione/valorizzazione dei docenti (legge 107/2015, art. 1, c. 129)

 

da 1, nullo, a 3, sufficiente, a 5, eccellente

 

  indicatori 1 2 3 4 5
1 Contenuti della Progettazione Educativa e Didattica, PED: congruenza con le fonti normative, con le indicazioni della ricerca educativa, con le PED delle altre discipline; correttezza nello sviluppo temporale programmato          
2 Relazione educativa con gli alunni: conformità con quanto dettato dal Contratto formativo di cui alla Carta dei Servizi Scolastici (dpcm 7 giugno 1995)          
3 Modalità di gestione delle ore di lezione – informazione discendente, condivisa, partecipata, sollecitata          
4 Modalità della misurazione e della valutazione delle prove degli alunni (conformità con le norme e con quanto adottato dal CdD) – eventuali iniziative innovative (coinvolgimento/partecipazione degli alunni)          
5 Modalità con cui sono organizzate le attività di recupero, sostegno, anche in ordine a eventuali DSA e BES          
6 Relazioni con le famiglie degli alunni: conformità con quanto dettato dal Patto di Corresponsabilità dell’istituto          
7 Modalità di partecipazione ai CdC e ai CdD          
8 Proposte e iniziative per il costante miglioramento dell’attività didattica anche sotto il profilo della pluridisciplinarità e della collegialità          
9 Tenuta della documentazione scolastica: registro elettronico, verbali, altro          
10 Attività di formazione continua in ordine a competenze disciplinari e comportamento insegnante          
  TOTALI          

 

Minimo: 1 – Massimo: 50

 

Corrispondenza tra punteggi riportati e giudizi di valutazione

1-5       NULLO

6-10     PESSIMO

11-15   INSUFFICIENTE

16-20   SCADENTE

21-25   MEDIOCRE

26-30   SUFFICIENTE

31-35   BUONO

36-40   DISTINTO

41-45   OTTIMO

45-50   ECCELLENTE

 

Seguono voci che valgono solo per alcuni docenti e che, se fossero considerate per l’intero corpo docente, ne penalizzerebbero alcuni.

  • Impegni in attività altre (se rientra nel 10% che coadiuvano il DS in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica; dipartimenti; alternanza, tutoraggio, viaggi di istruzione ecc)
  • Ricerche, pubblicazioni
  • Altro

Una scheda che certifica cosa?

Una scheda che certifica cosa?

di Maurizio Tiriticco

 

Ottima – e ovviamente ineludibile – è stata la scelta a suo tempo operata dalla nostra amministrazione di “agganciare” le competenze da fare acquisire ai nostri alunni al termine del primo ciclo di istruzione (14 anni di età) e dell’obbligo di istruzione (16 anni di età) al primo e al secondo livello degli otto indicati dall’European Qualifications Framework, di cui alla “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio” del 18 dicembre 2006. Si tratta di una scelta con cui si sono volute modulare le finalità del nostro “sistema educativo nazionale di istruzione e formazione” con quelle degli altri Paesi membri dell’Unione europea, fatte salve, ovviamente, le nostre peculiarità nazionali.

Si vedano al proposito comparativamente sia la citata Raccomandazione che il dm 139 del 22 agosto 2007 e i due relativi allegati. Il primo riguarda gli “assi culturali” distinti in quattro ambiti: quello dei linguaggi; quello matematico; quello scientifico-tecnologico; quello storico-sociale. Il secondo indica e descrive le otto “competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria”.

Tali competenze riguardano lo sviluppo/crescita dell’alunno/persona – in relazione alle suddette otto competenze chiave europee indicate tra parentesi – in considerazione di:

  1. a) la costruzione del SE’, cioè della persona in quanto tale (imparare ad imparare; progettare), come esito dei processi di “formazione”;
  2. b) la costruzione di corrette e significative relazioni del SE’ con gli ALTRI anche in quanto cittadino (comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile), come esito dei processi di “educazione”;
  3. c) la costruzione di corretti rapporti con le COSE, con il FARE (risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni; acquisire e interpretare l’informazione), anche in quanto futuro lavoratore, come esito dei processi di “istruzione”.

E’ opportuno ricordare al proposito le finalità che ci siamo proposti quando, alla fine del secolo scorso, abbiamo varato il Regolamento relativo all’autonomia delle istituzioni scolastiche con il dpr 275/99. In effetti, il comma 2 dell’articolo 1 così recita (le maiuscole sono mie): “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati allo sviluppo della PERSONA UMANA, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il SUCCESSO FORMATIVO, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. Giova ancora sottolineare che: a) la FORMAZIONE afferisce alla persona; b) l’EDUCAZIONE afferisce al cittadino; c) l’ISTRUZIONE al soggetto che apprende in funzione di un significativo inserimento nel mondo del lavoro; tutti fattori che giustificano ed esigono il SUCCESSO FORMATIVO.

Tra parentesi, vorrei ricordare che con il regime fascista il Ministero della Pubblica Istruzione fu rinominato dell’Educazione nazionale. Le ragioni sono ovvie: un regime dittatoriale non può non investire anche il campo dell’EDUCAZIONE, ovviamente… a tutto tondo e a senso unico! Ricordo che gli alunni ogni anno, nella ricorrenza del 28 ottobre 1922, “marcia su Roma”, giuravano: «Nel nome di Dio e dell’Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se è necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione Fascista».

Questa lunga premessa mi consente di riconoscere che è senz’altro corretta la scelta operata dal Miur di proporre alle scuole del primo ciclo una “scheda di certificazione delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione” costruita e scandita sulle otto competenze chiave europee, di cui alla citata Raccomandazione del 18 dicembre 2006. Giova ricordare che anche le competenze da certificare al termine dell’obbligo di istruzione sono le medesime, ovviamente secondo una lettura e un peso maggiori.

Ciò che invece non mi convince del tutto è la declinazione – o meglio, la riscrittura – che viene operata dall’amministrazione, per quanto riguarda le competenze descritte, ricavate dal profilo dello studente di cui alle “indicazioni nazionali” relative al primo ciclo di istruzione (dm 254/2012). Mi sembra che si sia operata una sorta di dissoluzione delle materie di studio… o discipline – forse più elegante – in favore di un “saper fare” che delle discipline richiama solo e volutamente un’eco lontana! Rilevo quanto segue.

Fanno parte della stessa voce (n. 2 della scheda) le lingue straniere. Ma, se un alunno va “bene “ in inglese e “male” in una seconda lingua comunitaria, come la mettiamo? Non vengono distinte le competenze matematiche da quelle scientifico-tecnologiche (n. 3 della scheda): entrambi afferiscono, in effetti, a materie/discipline diverse. Non viene distinta la storia dalla geografia (n. 8 della scheda): in effetti, non è detto che un alunno “vada bene o male” in ambedue le discipline! Per non dire poi del fricandò che viene fatto per gli “ambiti motori, artistici e musicali”. Un alunno può saltare un metro e novanta, ma non sapere nulla di arte, e viceversa! Un altro può avere un gran talento nel disegnare e dipingere, ma non salta neanche trenta centimetri. Un altro ha un gran talento nella chitarra, ma non sa tenere un pennello in mano!

Insomma, che fine hanno fatto le materie di studio, o – se è più elegante – le discipline di apprendimento? Per non dire poi che, nella melassa che viene offerta – debitamente copiata dall’elenco delle “competenze chiave europee” – le tre competenze “imparare ad imparare”, “sociali e civiche” (esiste una disciplina che si chiama Educazione e Cittadinanza che però nella scheda non viene citata!!!), “spirito di iniziativa e imprenditorialità”, non si capisce che cosa “ci fanno” intercalate tra discipline di studio, anche se malamente!

Eppure, nelle Indicazioni nazionali relative al primo ciclo di istruzione, le materie di apprendimento figurano chiaramente indicate e le copio: Italiano; Lingua inglese e seconda lingua comunitaria; Storia; Geografia; Matematica; Scienze; Musica; Arte e Immagine; Educazione Fisica; Tecnologia (e ovviamente l’IRC). E gli insegnamenti, come prassi, sono distribuiti secondo determinate ore. E’ giustificato il fatto che un conto sono i tre anni scolastici di scuola media, altro conto il “termine del primo ciclo di istruzione”, ma non si comprende in quale misura le suddette discipline abbiano contribuito a far maturare competenze che appaiono mille mille lontane da ciò che i singoli insegnanti “hanno fatto” nelle loro quotidiane attività.

Il fatto è che una competenza ha sempre un carattere trasversale, non rigidamente disciplinare. Ed ancora: un conto è l’apprendimento per discipline, altro conto lo sviluppo e la maturazione di determinati “saper fare”, che passano ovviamente attraverso l’acquisizione di date conoscenze, la maturazione di date abilità operative: si tratta, quindi, quel sostrato operativo di conoscenze e abilità che costituiscono la condizione prima ed unica per l’acquisizione e la padronanza di competenze.

A conclusione delle considerazioni fin qui condotte, non sembra che la scheda proposta dal Miur possa riflettere a pieno ciò di cui un soggetto in età di apprendimento abbia veramente acquisito in materia di competenze al compimento dei 14 anni di età e di otto anni di istruzione obbligatoria. Non sarebbe, allora, il caso di procedere a una revisione e ad una riscrittura più puntuale e conforme della scheda di certificazione delle competenze maturate al termine del primo ciclo di istruzione?

25 aprile!

25 aprile!
Conversando con Norberto Bottani

di Maurizio Tiriticco

Oggi è il 25 aprile! Per molti – ed ovviamente anche per me – è un giorno di vacanza e di festa, come una bella domenica di primavera! Il sole è splendido e… via… fuori città, al mare o in campagna! Si mangia fuori casa, si è allegri! I vecchi come me, però, hanno vivo il ricordo di quei giorni… stupendi… anche… per altre ragioni! Vivevo a Roma, e Roma era stata liberata un anno prima, esattamente nella notte tra il 4 e il 5 giugno del 1944. Le forze alleate marciavano verso nord, i tedeschi resistevano, avevano costruito una linea difensiva sugli Appennini settentrionali, la Linea Gotica. E noi eravamo tutti impazienti! Eravamo ormai certi della sconfitta dei tedeschi. Ma questi, per ordine di Hitler, erano tenuti a vendere cara la pelle. per cui…. la guerra… continuava… inutilmente, perché ormai la vittoria alleata era certa!

Gli angloamericani stavano liberando la Francia e le truppe sovietiche marciavano verso ovest. Il famoso incontro sull’Elba tra le forze americane della 1° armata e le forze sovietiche della 5° avvenne lo stesso 25 aprile 1945. Ormai la vittoria alleata, la nostra vittoria, era certa! Ancora qualche settimana e… infatti il 7 maggio 1945 i sovietici entrano nel bunker di Hitler, morto suicida… Solo allora il generale Alfred Jodl firmò la resa incondizionata delle forze armate tedesche a Reims, di fronte ai rappresentanti militari degli Alleati occidentali. L’8 maggio 1945 Wilhelm Keitel firmò la resa definitiva della Wehrmacht a Berlino di fronte ai capi militari dell’Armata Rossa. La guerra in Europa era finalmente finita! Restava la guerra con il Giappone! Ma questa è un’altra storia! Ci vollero due bombe atomiche lanciate sul territorio giapponese e… solo allora fu la resa! E fu anche la pace… che ancora dura da 72 anni… un periodo lunghissimo! La prima volta, da quando ha avuto inizio la storia dell’uomo!

 

Grazie, Maurizio, per questo riassunto storico. La nostra generazione ha avuto la fortuna di evitare la guerra. Almeno qui in Europa. Ma tanti la sognano purtroppo e non si rendono conto delle sofferenze e dei sacrifici che la guerra, o le guerre, che la violenza bestiale arrecano. La pace di cui abbiamo fruito in Europa ( tranne che nei Balcani o in Irlanda del Nord) è dovuta anche all’UE che molti vorrebbero liquidare . E no, anche se l’opera è incompiuta e zeppa di difetti ! La guerra in Italia, anche tra italiani, fu quel che fu. Non proprio idilliaca come ha raccontato Fenoglio . La si vuole proprio riprodurre? Come si risolvono i problemi sociali? Con il ricorso alla violenza bellica e alla manifestazione di prove di forza più o meno virili? Norberto

 

Caro Norberto! Grazie per l’apprezzamento. Quel 25 aprile 1945 fu veramente di grande festa! Avevamo liquidato la dittatura, ci eravamo liberati dall’occupazione tedesca, che era stata più violenta che mai! Erano state numerose le stragi che i nazifascisti si lasciarono dietro con la ritirata! Avevano dato corpo alla follia nazista della razza superiore, che aveva in sommo disprezzo la razza inferiore quali noi italiani eravamo! Non “puramente ariani”!!! Noi eravamo tutti fortemente uniti nei Comitati di Liberazione Nazionale, composti da cattolici, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, azionisti, i militanti di quei partiti che dal 1922 (marcia su Roma) e/o dal 1925 (leggi speciali) si battevano contro la dittaura che, ineluttabilmente – in quanto dittatura – ci avrebbe portato alla rovina! Basta rileggere i discorsi del Duce! Un florilegio di farneticazioni! E il popolo, purtroppo, applaudiva!

Questo 25 aprile… ti confesso… mi preoccupa! Il nulla di nulla! Solo litigi a non finire tra gruppi dalle più strane estrazioni e nulla che sottolinei quanto avvenne in quel 25 aprile di 72 anni fa! Mi sembra che tutti stiano perdendo la memoria e, quando non c’è più memoria, non si è più padroni dell’avvenire!

Mi chiedo, ti chiedo e chiedo: come i nostri insegnanti fanno comprendere (non dico “insegnano”, perché non si insegna nulla, ma si motiva ad apprendere) il 25 aprile ai nostri studenti? E solo la triste fine di un “ponte primaverile”? In attesa del prossimo? Perché il 30 è domenica e poi viene il Primo maggio!!! Vorrei veramente sperare di no! Qualche insegnante me lo dica!

Un 25 aprile da non banalizzare!

Un 25 aprile da non banalizzare!

di Maurizio Tiriticco

 

Lunedì prossimo, 24 aprile, nelle scuole, se non… si “pontifica”, sarebbe opportuno e necessario… non che si celebrasse – le celebrazioni lasciamole alle Autorità della Repubblica – la ricorrenza del 25 aprile 1945, ma che, invece, si discutesse su quanto è accaduto in quei giorni, dopo anni di dittatura, di leggi antiebraiche e, soprattutto, di una delle guerre più inutili e sciagurate che l’umanità abbia vissuto. E non sarebbe difficile! Basterebbe fare ascoltare (si trova su youtube) l’incipit del discorso che Benito Mussolini… pardon, il Duce, tenne dal balcone di Palazzo Venezia! Ed io, balilla moschettiere, come tanti giovani e adulti, incantati dalla propaganda del regime, “bevevamo”, storditi da una sbronza di cui ormai soffrivamo da diciotto anni. E’ un incipit che mi piace trascrivere! Lettore!!! Non ridere!!! Dopo quel discorso, abbiamo pianto tanto, e in tanti!

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della Rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria! L’ora delle decisioni irrevocabili! La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia! Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato, l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità…”.

E via di questo passo! Sarebbe opportuno leggerlo per intero! Chissà se i Gasparri e le Meloni lo hanno mai letto! E si ricordi, però, che dopo anni di sonore sconfitte, quel re Pippetto (così lo chiamavamo per la sua bassa statura), che nel 1922 aveva “consegnato” l’Italia a Mussolini, la notte del 25 luglio 1943 lo fece “impacchettare” dai suoi carabinieri, l’arma fedelissima! E il resto è noto… o dovrebbe esserlo!

La guerra continuava e i nostri ragazzi, male armati ma esaltati da vent’anni di patriottismo becero e straccione, morivano, magari inneggiando al Duce e all’Italia, convinti di dare la vita per una causa nobile e giusta! E nel frattempo migliaia di ebrei, di rom, di uomini, donne e bambini di “razze”… aliene – in effetti esiste una sola razza, quella umana, distinta in tante etnie – rispetto alla pura “razza ariana”, venivano sistematicamente sterminati nelle camere a gas! Che sarebbe accaduto se Hitler avesse vinto? Tutti i “non ariani” sarebbero stati sterminati e forse anche molti di noi italici non decisamente biondi! Così l’intero pianeta sarebbe stato governato – si fa per dire – dall’unica razza degna di vivere e di governare!!!

L’umanità ha vissuto numerose sofferenze, guerre, invasioni, inquisizioni di tutti i tipi, malattie endemiche, ma, con l’avvento del nazifascismo ha toccato la punta estrema di questa follia!

Se tutto ciò che ho scritto finora è vero, com’è vero, è bene che non si guardi al 25 aprile solo come a un giorno di vacanza – che in effetti è – ma anche a un giorno in cui ricorre l’anniversario della nostra salvezza – e non esagero – quella di noi italiani! Altre popolazioni europee hanno dovuto aspettare l’8 e il 9 maggio 1945, quando finalmente la Germania si arrende agli Alleati, ed altre ancora non europee il 2 settembre quando si arrende anche il Giappone!

La seconda guerra mondiale ha costituto un incubo per quasi tutte le popolazioni del pianeta, e la sua fine, scandita dalle date sopra ricordate, ha significato l’inizio di un periodo di pace che dura ormai da 72 anni e che deve durare per sempre. Inutile sottolineare che oggi ci troviamo tutti di fronte a nuovi grandi emergenze, che dobbiamo affrontare e risolvere con tutta la fermezza e l’energia del caso. Problemi sempre nuovi richiedono strategie sempre nuove! E che gli insegnamenti dolorosi del passato illuminino gli attuali governanti del pianeta!

Scuola della 107 vs Pedagogia!

Scuola della 107 vs Pedagogia!
lettera a Giuseppe Bagni

di Maurizio Tiriticco

“Ingorgo normativo vs visione pedagogica!” Voi del Cidi ne parlerete il 21 aprile a Palermo, caro Beppe! In effetti, mi sembra che la ricerca pedagogica sia assolutamente latente oggi! E penso che ciò avvenga proprio perché la nostra scuola è afflitta oggi tra troppe incombenze che ricadono poi in maggior misura sugli insegnanti, i cui compiti ormai vanno ben oltre il semplice insegnare! La stessa testata della bella nostra rivista “Insegnare” dovrebbe essere arricchita, anzi appesantita, da tanti altri titoli! Tra RAV, PDM e alte diavolerie, gli adempimenti e le preoccupazioni dell’insegnante oggi sono numerosi e faticosi e implicano grosse difficoltà. Il solo fatto che, non appena assegna un voto, questo diventa pubblico, è già fortemente limitativo! Io e te abbiamo insegnato e quante volte i voti non hanno avuto un carattere sanzionatorio – nel bene e nel male – ma correttivo, esortativo! Insomma noi abbiamo “giocato” con i voti, come tutti i bravi insegnanti, considerandoli più come uno stimolo che non uno strumento per convalidare o sanzionare un compito.

La ricerca pedagogica urta fortemente oggi con una scuola che sembra più un quotidiano adempimento normativo che un laboratorio di ricerca e una palestra di idee. La “stretta” normativa oggi è forte… aggiungici anche le prove Invalsi, che gli insegnanti “leggono” e “vivono” più come un controllo che come un sostegno! Lo spazio per la ricerca pedagogica è, quindi, molto stretto, a meno che non si metta in piedi un progetto con tutti i crismi e le autorizzazioni del caso come, ad esempio si è verificato per “Nulla dies sine linea”, l’ottima ricerca condotta qualche tempo fa da Benedetto Vertecchi. Pertanto, compito primario degli “insegnanti democratici”, ovvero di tutti loro, oggi, è quello di riappropriarsi del loro ruolo e della loro professionalità, aggrediti e offesi ormai da anni!

Matteo Renzi nel suo primo discorso ufficiale, quando divenne Presidente del Consiglio, dedicò molto spazio alla scuola, cosa che in genere mai accade per un Presidente appena investito. E di fatto l’impegno lo ha portato a termine!!! Con la legge 107 PERO’, e lo scrivo GROSSO COSi’!!! Con il grosso limite che nessun vero insegnante ci ha messo le mani! Compito degli insegnanti, oggi, e delle loro associazioni – e in primo luogo del CIDI – è quello di rivendicare il loro ruolo primario per ciò che concerne il “fatto scuola”! I ponti li costruiscono gli ingegneri, gli aerei li guidano i piloti, le navi i marinai! Solo le scuole sembra che non debbano essere governate dagli insegnanti e dal dirigenti! So che la Ministra Fedeli, appena insediatasi, ha voluto “ascoltare” sindacati e associazioni, ma… un conto è “ascoltare”, altro conto è “operare” secondo quanto si è ascoltato! E mi auguro che a Palermo la visione pedagogica cominci seriamente a riassumere il suo ruolo, prima che l’ingorgo normativo diventi un tappo… di quelli di plastica… resistenti a qualsiasi cavatappi!

Insomma, occorre restituire alla scuola, agli insegnanti e agli alunni quegli spazi di cui hanno sempre goduto, pur all’interno, ovviamente di quel dllgs 297/94, meglio noto come “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione e successive modificazioni”, e di quel Regolamento dell’autonomia scolastica di cui al dpr 275/99. La Ministra dirà che gli spazi ci sono, ma la pioggia di adempimenti extra che con la 107 si è abbattuta su insegnanti e dirigenti di fatto costituisce un vincolo più che un’opportunità per una scuola in cui ricerca e sperimentazione pedagogiche e didattiche dovrebbero costituire, invece, un’occasione di sviluppo e di crescita.

Il Cidi parla di ingorgo normativo, proprio perché sono solo gli insegnanti nel loro quotidiano operare e in forza del loro associazionismo (oltre al Cidi ci sono l’Uciim, l’Aimc, la Fnism, l’Mce et al. oltre alle organizzazioni di estrazione sindacale quali l’Irase, Proteofaresapere, l’Irfed) ad apportare quotidianamente quel valore aggiunto tanto necessario perché l’apprendimento dei nostri alunni, in una società sempre più complessa e difficile, si arricchisca di strategie e di stimoli sempre nuovi. La ricerca pedagogica, molto attiva fino alla fine del secolo scorso, ora, tranne qualche rara eccezione, sembra davvero latitante. E il “faidaté” non è sempre una cosa facile per gli insegnanti, chiamati ad operare non solo con alunni e alunne sempre più curiosi e, per certi versi, anche sempre più problematici, ma anche con operazioni che con il semplice e doveroso insegnamento hanno poco a che fare!

Buon lavoro, a Palermo, caro Beppe! Dare risposte ai tanti bisogni dei nostri ragazzi e ragazze non è facile, oggi, in una società che a volte sembra sorda alle loro richieste di crescita, conoscenze, competenze e, soprattutto, lavoro! Ma gli amici del Cidi non mancheranno di provarci! E di riuscirci!

Le mode per la scuola… o una scuola à la carte?

Le mode per la scuola… o una scuola à la carte?

di Maurizio Tiriticco

Le mode!!! Una volta andavano di moda le materie (cascami o spezzoni di discipline adattate a soggetti in età evolutiva in apprendimento), poi vennero le discipline, più “dignitose”; poi ci siamo riempiti la bocca di pluri-, inter- e trans-disciplinarità (punti interrogativi grossi così…). E inventammo pure la codocenza, intesa come necessità di ricercare e assegnare un valore aggiunto alla semplice compresenza (si veda C. Scaglioso, M. Tiriticco, M. Bracci, “Dalla copresenza alla codocenza, una innovazione funzionale alla scuola dell’autonomia”, Miur, 2002). Tutti tentativi più o meno naufragati! In effetti, la distribuzione delle materie/discipline in cattedre e ore di lezione ben distinte dagli attesi od odiati suoni della campanella, è rimasta e permane sempre ben salda

Prima c’erano le pagelle, poi… una parola più gentile… le “schede”!!! E i dieci voti, senza i più e senza i meno – mi raccomando – però mai utilizzati né per intero né tutti! E infine, dulcis in fundo… o in cauda venenum, non so, ci siamo inventati le competenze! Ce lo chiede l’Europa? Chissà! Eppure – penso – non eravamo di già più che competenti, da sempre? E non lo siamo ancora? Un monito indelebile: “un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”… e senza virgole! Accidenti che popolo!!! Una scritta bella in alto sul Palazzo delle Esposizioni di Roma costruito, insieme a tanti altri manufatti, per l’Esposizione Universale Romana, EUR, del 1942! Rinviata, comunque, per via della guerra! Tutti competenti, dunque, fin dai tempi di Romolo e Remo e, per giunta, dall’Impero di Traiano, che… più vasto non si può! Dal Portogallo al Nordafrica e al Medioriente!

Però, siamo tutti… incompetenti – secondo una vulgata recente – perché abbiamo frequentato – e non tutti – una scuola fondata solo su materie e relative conoscenze!!! Quale disastro! E non ce ne siamo mai accorti! Marconi e i Ragazzi di Via Panisperna? Competenti per caso! Solo Don Lorenzo ha provato a metterci le mani e a dire qualcosa di concreto sul saper fare dei nostri adolescenti, ma non se l’è filato nessuno! O meglio, nessun ministro… forse qualche professoressa sì!

In effetti, che ci fai con le sole conoscenze se oggi, in una scuola totalmente rifondata – altro che i Casati e i Gentile! – non conquisti anche capacità/abilità che infine fioriscono come competenze? Che poi bisogna anche certificare! Insomma le carte non mancano e dalle pagelle e dalle schede siamo passati… ohibò, ai documenti di certificazione delle competenze!!! Parole parole parole… dice quella bella canzone scritta da Maurizio Costanzo e ottimamente cantata da Mina! Comunque, guai a non insegnare per competenze! Quanti corsi di formazione continua In Servizio (FormIS) per i nostri insegnanti, formazione che ora è pure obbligatoria!

Sull’onda delle tante parole e delle circolari sempre più chilometriche, il Miur procede instancabile con documenti chiacchieroni e sperimentazioni risibili scaricate sempre sugli insegnanti! Che, ovviamente, attaccano i buoi dove vuole il padrone… e, oltre alle schede d’obbligo… che devono pure sperimentare, scrivono pure inutili RAV e inutili PDM! E tentano di difendersi dai temporali primaverili delle prove Invalsi! Mah! Tanto da fare, ma… comunque, pare che i nostri studenti non sappiano distinguere un'”a” con l'”h” da un'”a” senza “h”! Per non dire di un “che” pronome e di un “che” congiunzione…. Perché i somari sono sempre salvi: rientrano nella categoria iniziale, indicata con la lettera d), delle schede di valutazione del primo ciclo di istruzione, dove sono definiti così: “l’alunno/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in situazioni note”. In gergo si direbbe che l’alunno/a va avanti a calcioni nel sedere! Comunque, ora siamo tutti in trepida attesa degli otto o nove regolamenti attuativi di una mostruosa 107, che si abbatteranno come una serie di temporali primaverili sulle nostre scuole… e sui nostri insegnanti e dirigenti.

Tuttavia, nonostante l’ottima volontà della nostra Amministrazione, l’ignoranza avanza… i nostri laureandi non sanno scrivere! E le nostre ministresse – si dirà così? – copiano e incollano le loro tesi di laurea! Così va il mondo… in Italia! E che sarà della prossima generazione dei professori universitari?

Questa povera scuola!

Questa povera scuola!

di Maurizio Tiriticco

 

Condivido in pieno il “festival dell’ipocrisia”, pubblicato a cura di “dirigentiscuola.di.s.conf.”, che lancia pesanti critiche contro l’attuale amministrazione della nostra scuola (si veda: https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=89263). QUESTA POVERA SCUOLA! Assediata, umiliata, offesa da mille carte inutili! Ormai quotidianamente leggiamo che i nostri studenti non sanno scrivere, che le tesi di laurea sono piene di errori, che la conoscenza di vocaboli che vanno un po’ più in là del quotidiano è fallimentare!

Non sono un rincoglionito passatista, però… ho insegnato per decenni in una scuola in cui non c’erano né Rav né Pdm… né altre diavolerie, però… gli insegnanti insegnavano, interrogavano, correggevano i compiti svolti in aula (non in classe, la quale è un’altra cosa) e si incontravano nelle naturali sedi di scrutinio. E qualche collegio dei docenti! C’erano le prove settembrine (prima esami e poi debiti da pagare) e c’erano pure le bocciature. C’era il CEDE, che ci ha sempre fornito dati interessanti sulle scuole europee e su ricerche comparate relative alle competenze degli studenti, un Centro che ancora non era diventato INVALSI (se l’è inventato la Moratti con la legge 53/2003), ora protagonista scomodo di mille prove “astruse” (so che non sono tali, ma per insegnanti che non sono soliti somministrare prove oggettive e che non sanno nulla di docimologia, sono soltanto astruse… appunto!). Comunque, i nostri alunni, usciti dagli istituti tecnici e professionali di allora, sono quelli che hanno permesso l’impetuoso sviluppo industriale del nostro Paese… in QUEGLI ANNI!

Non sono un passatista, ma… che i nostri studenti universitari, in larga maggioranza, non sappiano né leggere né scrivere è un dato!!! Ed è allarmante!!! E allora… basta con il FESTIVAL DELL’IPOCRISIA! Lasciate che gli insegnanti insegnino e che i dirigenti dirigano. Liberateli da quegli adempimenti inutili che vogliono solo scimmiottare ciò che si fa, e correttamente, in un’azienda! Eppure ci siamo battuti tutti contro i rischi di scivolare nella istituzione di una scuola azienda alla vigilia del varo dell’autonomia. Quel dpr che regola l’autonomia non è forse un gioiello, ma è un insieme di norme fortemente equilibrate che attribuiscono alla scuola una serie di poteri che prima erano solo del ministero!

Ebbene, oggi è il ministero stesso che da anni, e soprattutto con la 107 e derivati, sta attentando non solo all’autonomia, ma anche al funzionamento stesso della scuola, all’efficienza e all’efficacia delle sue operazioni. Cara ministra! Se hai dei trascorsi da compagna democratica e quadro responsabile della CGIL, desisti dall’infierire sulla nostra scuola! La scuola non ha bisogno dell’applicazione di quegli 8 o 9 regolamenti che incomberanno pesantemente sul suo funzionamento! Lo so! Purtroppo la legge è legge e bisogna applicarla! E, per di più, si tratta di una legge di cui non si conoscono gli estensori! Quella longa manus che incombe ormai da anni sulla nostra scuola andrebbe ritirata!

La scuola non vuole niente, se non di poter lavorare in vera autonomia E gli insegnanti vogliono solo insegnare! Anche e soprattutto perché i loro alunni sono letteralmente assediati da una società sempre più ignorante e cattiva Ma sembra che la scuola sia tenuta soltanto a produrre carte su carte… inutili!!! O meglio sono gli insegnanti che scrivono, scrivono, scrivono e, di fatto, insegnano sempre di meno!