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Valutare senza misurare? Mah!

Valutare senza misurare? Mah!

di Maurizio Tiriticco

 

Nei principali documenti normativi relativi alla valutazione degli alunni – si vedano il decreto legge 137/2008, la legge 169/2008 e il dpr 122/2009 – si esprimono e si scrivono concetti molto interessanti a proposito della valutazione degli alunni. Copio fedelmente passim dal citato dpr: “La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva… La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni… Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell’offerta formativa… Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento…”. E si ribadisce, ormai da sempre, fin dai tempi dall’Unità nazionale. che la valutazione è espressa in decimi!

Ma… mai una parola sulla misurazione! Ma che cos’è la misurazione? L’ho detto e scritto mille volte, anche con gli esempi più banali! Vedo in vetrina una bella camicia o un bel paio di scarpe: vorrei acquistarle, ma… manca il mio “numero”!!! Quell’automobile è stupenda, non costa neanche molto, ma è piccola per la mia famiglia numerosa! Al supermercato si verificano le medesime situazioni: ottime arance di Sicilia, ma costano troppo! Per non dire poi della stagione dei saldi! Cappotti acquistati in piena primavera scontati del 50%! Insomma, MISURIAMO la qualità di un prodotto, quanto costa e quanto possiamo spendere in ordine al nostro bisogno e al nostro potere di acquisto e lo VALUTIAMO in ordine alla sua qualità, a volte anche debitamente certificata. In effetti, si tratta di operazioni oggettivamente distinte, ma che nel nostro pensare quotidiano sono sempre, se così di può dire, agglutinate.

Nella scuola si verificano quotidianamente analoghe situazioni! “Possibile neanche un errore in questo compito in classe? Da dove l’hai copiato?”. Oppure: “Mi aspettavo un compito migliore da te! Come mai tanti errori?” E così via! Si tratta di due semplici espressioni, che tradiscono due precisi atteggiamenti, quello del MISURARE – gli errori attesi o disattesi – e quello del VALUTARE… il compito e… la persona che l’ha eseguito. La misurazione, quindi, riguarda l’esito numerico – possiamo dire – del compito eseguito (in genere, gli “errori commessi”, qualunque sia il tipo di prova, orale, scritta, pratica); la valutazione il valore che gli viene attribuito. Altro esempio, banalissimo, ma sempre ricorrente alla fine di ogni anno scolastico: l’alunno Rossi ha buoni voti e una buona media, ma un cinque in una singola materia; il consiglio di classe discute se attribuirgli un debito oppure soprassedere; si opta per la seconda tesi e, nel momento in cui il cinque “passa a sei” – in genere si dice e si verbalizza così – si è passati “letteralmente” da un’operazione MISURATIVA (l’esito oggettivo è cinque) ad un’operazione VALUTATIVA (l’attribuzione concordata del sei).

Quindi misurare e valutare sono due operazioni assolutamente diverse, ma… il fatto è che, sia nella norma che nelle consuetudini degli insegnanti, le due operazioni spesso non vengono chiaramente identificate e distinte. Pertanto, va ribadito che “portare un cinque a un sei” – come in genere si dice, e non solo in sede di consiglio, ma anche nella quotidianità del lavoro di un insegnante – non è un “regalo”, ma l’esito di due operazioni mentali assolutamente diverse: la prima come esito di una misurazione oggettiva (l’esito della prova o di una serie di prove); la seconda come esito di una operazione valutativa (le operazioni “altre” che l’insegnante o il consiglio di classe fa in considerazione di fattori sempre “altri”). Le considerazioni sin qui condotte circa la distinzione concettuale che occorre sempre fare tra il MISURARE e il VALUTARE sono note al docimologo, ma non sono sufficientemente note al Miur quando legifera e non sempre agli insegnanti quando operano.

Altra considerazione riguarda i voti e la loro “media”, a cui ci richiama fermamente la norma… Ma, che senso ha la media a fronte di queste due sequenze di voti, 4, 5, 6, 7, 8 e 8, 7, 6, 5, 4? Ambedue le sequenze danno la media di 6, ma… mentre la prima sequenza dà conto di un alunno che – come si suol dire – “studia” e “migliora”, la seconda dà conto di un alunno che “non studia” e “peggiora”! E perché, allora, non considerare anche la mediana, la moda, il gamma, il sigma, il punto Z e il punto T? E’ semplice! Le operazioni misurative e valutative compiute dalle scuole e indicate dalla stessa amministrazione non vanno oltre la media e il cosiddetto buonsenso! Per cui hanno sempre un qualcosa di casereccio.

Va anche ricordato che la norma dice esplicitamente che all’inizio di ogni anno scolastico le istituzioni scolastiche “individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale” (dpr 275/99, art. 4, c. 2, punto 4). Il che significa che, tenuti fermi gli esiti delle operazioni misurative, sempre oggettive e indiscutibili, le operazioni valutative, soggettive, possono variare da scuola a scuola e di anno in anno! Eppure, penso che si possano contare sulla punta delle dita i collegi che all’inizio di ogni anno scolastico deliberano in materia di valutazione. Anche perché valutare in sede di istruzione obbligatoria è un conto; altro conto è valutare in sede di istruzione successiva, scelta dall’alunno! Pertanto, in assenza di una delibera collegiale, l’esercizio valutativo è eseguito da ciascun insegnante secondo il suo “buon senso”. Ma spesso il “buon senso” dell’uno non coincide con il “buon senso” dell’altro. Il che a volte comporta che in sede di scrutini, soprattutto finali, contino di più le considerazioni personali di ciascuno, pur debitamente motivate, che non le indicazioni di una delibera collegialmente adottata.

Tutte le considerazioni fin qui condotte sulla distinzione da fare tra il MISURARE e il VALUTARE assumono poi una particolare valenza quando, al termine di un periodo più o meno lungo di “interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana…” (dpr 275/99, art. 1, c. 2), occorre certificare le COMPETENZE raggiunte e acquisite dal soggetto in apprendimento. Pertanto, un conto sono gli apprendimenti via via acquisiti da un soggetto, debitamente misurati e valutati, altro conto sono le COMPETENZE da certificare, come esito di CONOSCENZE via via acquisite e relative ABILITA’ maturate.

Ma qui il discorso si complica! In effetti, MISURARE è relativamente facile, VALUTARE implica alcune difficoltà, ma il CERTIFICARE ci porta su un terreno assolutamente nuovo per la nostra scuola, per cui la confusione è tanta. In effetti, quando andiamo a leggere i “nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione”, di cui alla Cm n. 3 del 13 febbraio 2015, le perplessità sono maggiori delle certezze! Ed è un tema su cui occorrerà ritornare!

Di competenze e di certificazione…

Di competenze e di certificazione…
Conversando con Franco De Anna

di Maurizio Tiriticco

 

Caro Franco! Ci punzecchiamo sempre su FB, ma ci vogliamo sempre un gran bene! Il fatto è che le norme che governano – o dovrebbero – governare la scuola, prolificano pressoché quotidianamente e i pasticci commessi dall’amministrazione sono frequenti e non è sempre facile interpretarli per tradurli poi in atti. E quando io e te tentiamo di capirci qualcosa, allora le letture/interpretazioni si moltiplicano! In effetti io e te siamo come due condannati ad una sorta di girone infernale: io cammino per una strada cercando di rimuovere gli ostacoli che via via si frappongono e tu, diavoletto dispettoso, mi precedi in retromarcia e ti diverti a frapporre sempre altri nuovi ostacoli! E’ il destino di alcuni dannati in eterno! Pertanto, mi/ti spiego meglio! A proposito di “maturità” – vocabolo ormai da dimenticare – e dintorni.

Quando nel lontano ’97 con Luigi Berlinguer (ero già in pensione, ma per modo di dire!) con la legge 425 CANCELLAMMO (e pensavamo in via definitiva) quell’esame che ancora oggi tutti si ostinano a chiamare di maturità (e con ragione, come si comprenderà successivamente), scrivemmo chiaramente all’art. 6 (in effetti lo scrisse il Parlamento) che: “Il rilascio e il contenuto delle CERTIFICAZIONI di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Ti ho scritto in maiuscolo due vocaboli, certificazione e competenze.

Ma occorre una precisazione preliminare. Ancora non c’era l’EQF, l’European Qualifications Framework. Come sai, l’Accordo per la referenziazione del sistema italiano delle qualifiche al Quadro Europeo delle Qualifiche, EQF, di cui alla “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”, fu ratificato dal nostro governo il 20 dicembre 2012!!!. E l’EQF è importante perché riguarda anche quell’esame che tutti si ostinano a chiamare di maturità. Infatti, i livelli indicati e descritti dall’EQF sono otto e la conclusione del nostro secondo ciclo di istruzione coincide con il quarto livello. Chiusa la precisazione!

Poi, a partire dalla nuova edizione degli esami di Stato del 1999, per ben due anni “divulgammo” contenuti e procedure del nuovo esame con pubblicazioni, interventi nelle scuole, cd, nonché fortunate (penso) trasmissioni TV. Però, come sai, “le leggi son, ma chi pon mano ad esse”? E fu l’amministrazione, purtroppo, che allora ci pose mano!!! In effetti, l’amministrazione ministeriale, pigra e miope come sempre (non ti dico chi era DirGen all’epoca…), scrisse un regolamento (dpr 323/98) con cui l’innovazione normativa di fatto non venne evidenziata e tradotta in termini operativi, ma, a mio vedere, di fatto fu impasticciata ed elusa. In effetti, la “norma” che doveva essere “esplicitata” e “regolata”, fu semplicemente… riscritta!!! Ecco il testo: “art. 1, c.3 – L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”. E le COMPETENZE nella loro specificità? E le CERTIFICAZIONI? Mah! Ambedue, in effetti, vennero tutte ridotte a semplici adempimenti cartacei! Infatti, nel dm ad hoc n. 450/98 leggiamo testualmente: “Le certificazioni di cui all’art. 13 del D.P.R. 23 luglio 1998 n. 323 attestano: a) l’indirizzo e la durata del corso di studi, le materie di insegnamento comprese nel curricolo degli studi con l’indicazione della durata oraria complessiva a ciascuna destinata; b) la votazione complessiva assegnata, la somma dei punti attribuiti alle tre prove scritte, il voto assegnato al colloquio, l’eventuale punteggio aggiuntivo, il credito scolastico, i crediti formativi documentati; c) le ulteriori specificazioni valutative della Commissione, con riguardo anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo”. Ma questi sono forse contenuti afferenti a COMPETENZE? Assolutamente no! E tale testo, di fatto, pur con qualche lieve modifica, da allora viene reiterato anno dopo anno. In altri termini, con tale andazzo, si continua a certificare… che cosa? Il NULLA!!! E sono passati 18 anni, se non erro!

Occorre ricordare che in seguito, nel 2010, con i dpr 87 e 88 vennero varate le Linee guida per i bienni dei “nuovi” istituti professionali e tecnici. Le linee guida per i successivi tre anni vennero varate con le Direttive 4 e 5 del 2012. Con il dpr 89, sempre del 2010, vennero varate le Indicazioni nazionali relative agli interi cinque anni dei percorsi liceali. Per quanto concerne le competenze, nei documenti normativi relativi agli istituti tecnici e professionali, queste sono sempre indicate secondo il cosiddetto modello dolmen: l’architrave indica la competenza e i due piedritti le conoscenze e le abilità necessarie per acquisirla. Con il dpr n. 89, relativo ai licei, vengono indicati semplicemente i “risultati comuni a tutti i percorsi relativi a cinque aree: metodologica; logico-argomentativa; linguistica e comunicativa; storico-umanistica; scientifica, matematica e tecnologica”. Poi per ciascun percorso liceale vengono indicati obiettivi specifici di apprendimento relativi al “primo biennio e al “secondo biennio e quinto anno”. E le competenze? Mah!!!

Con tale amministrazione pasticciona è, quindi, normale che pubblica opinione, dirigenti scolastici, insegnanti e studenti non ci abbiano capito nulla, per cui ci si ostina a usare l’espressione “esami di maturità”. In realtà purtroppo – e l’ho scritto più volte – gli esami finali del secondo ciclo oggi non sono né di MATURITA’ (in effetti, valutare la maturità di un soggetto è un’impresa con cui non si cimenta neanche lo psicologo! E fu per questo che abolimmo esami finalizzati a valutare… il nulla) né di CERTIFICAZIONE DI COMPETENZE!

E’ una sorta di vuoto assoluto?! Mah! Penso di sì! Inoltre, se andiamo a leggere gli attuali provvedimenti di riforma dell’esame, si avverte un chiaro ritorno al passato! Cancellare la terza prova ex abrupto, che avrebbe dovuto essere quella più significativa del rinnovamento, significa tornare indietro, appunto, verso un obsoleto ma sempre vegeto e in agguato, esame di maturità.

Pertanto, ciò che infine conta non è un insieme di competenze raggiunte ed esplicitate, ma solo il punteggio raggiunto dal candidato “promosso”!. Un punteggio che vale quanto il due di briscola in Italia e in tutta l’UE. Ed ancora! Come sai, il processo valutativo nel “nuovo” esame di Stato prevedeva il superamento del VOTO che, com’è noto, è sempre generico e discutibile, e l’introduzione, invece, del PUNTEGGIO, saldamento ancorato agli “esiti oggettivi” rilevati dalla commissione d’esame nelle singole prove. Di qui, come sai, sono nate le mille griglie di misurazione, ed io stesso mi sono cimentato! Però, ecco ancora l’amministrazione a “fare casino”!!!. Nelle ordinanze ministeriali con cui annualmente si governano gli esami terminali del secondo ciclo si legge puntualmente: “La commissione dispone di 15 punti massimi per la valutazione di ciascuna prova scritta per un totale di 45 punti; a ciascuna delle prove scritte giudicata sufficiente non può essere attribuito un punteggio inferiore a 10”. Ciò significa che si àncora l’innovazione del punteggio con la consuetudine del voto!!! Quando, invece si tratta di due concezioni assolutamente diverse, se non opposte: quella di misurare una prova con un punteggio oggettivo e quella, invece, di valutarla con un voto soggettivo, o plurisoggettivo, dato il numero dei commissari d’esame! E allora, che cosa ci possiamo aspettare dai nostri commissari d’esame quando, a monte, dispongono di una serie di norme impasticciate ed equivoche? Per non dire poi della conduzione del colloquio pluridisciplinare, umiliato e offeso dalle interrogazioni di ogni singolo commissario su ogni singola disciplina!

Per quanto concerne poi la CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE acquisite dal candidato al termine del quinquennio secondario di istruzione, ricordo che con le Ordinanze Ministeriali relative agli esami di Stato del secondo ciclo di istruzione, reiterate ogni anno, di certificazione effettiva… non c’è neanche l’ombra! Eppure… se leggiamo le Linee guida degli istituti tecnici e quelle degli istituti professionali, le competenze sono indicate e descritte (forse aggiornabili? Non so!), anche se denominate “risultati di apprendimento”. Quindi, potrebbero costituire elementi da considerare per un’opportuna certificazione. Ma non è così! Il rito di sempre prevale sull’attualità… umiliata e offesa! Per quanto riguarda le Indicazioni nazionali per i licei, anche lì i “risultati di apprendimento” sono indicati e descritti, sia quelli comuni che quelli dei singoli percorsi (artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, delle scienze umane). Però, non so quanto questi risultati/obiettivi possano essere tenuti nel debito conto dagli insegnanti in fase di progettazione (ma si programma ancora nelle nostre scuole? Mah!) che in sede di valutazione intermedia formativa che finale sommativa.

Insomma, l’amministrazione mette insieme ogni anno tutto questo mix di norme e di procedure (come sai l’opuscolo pubblicato ogni anno dalla Tecnodid relativo agli esami di Stato del secondo ciclo di istruzione è sempre di circa 200 pagine) accompagnato da una OM chilometrica che disciplina contenuti e procedure per un esame in cui la ritualità sembra essere più importante dell’obiettivo finale. Questo, infatti, dovrebbe essere una vera e propria CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE acquisite dal candidato, la quale gli permetterebbe di proseguire gli studi qui o all’estero o di accedere al mondo del lavoro (a parte la crisi di questi tempi!): competenze che per altro si attesterebbero sul livello quarto dell’EQF, degli 8 previsti. Quindi, competenze di tutto rispetto!

Però, nulla di tutto questo accade! E la corsa è solo al voto finale! E alla lode, se è il caso! Un abbraccio, carissimo!

A proposito del RAV e del PdM

A proposito del RAV e del PdM nelle riflessioni di Pietro Boccia

di Maurizio Tiriticco

 

L’intervento di Pietro Boccia sul Rav, il Pdm et alias mi stimola ad ulteriori riflessioni. In primo luogo va detto che l’intervento di Boccia è interessante sia per le precisazioni che per gli approfondimenti nonché per le suggestioni operative di cui le scuole – penso – abbiano sempre bisogno, stante la complessità e il rigore che tali innovazioni sottendono e propongono.

Le mie considerazioni critiche, quindi, non riguardano lo scritto di Boccia, ma attendono al modello organizzativo – o ai modelli, se si vogliono considerare ordini e gradi – che sostanzia e “fa funzionare” le nostre scuole, o meglio le nostre “istituzioni scolastiche autonome”. In effetti si tratta di concetti, di denominazioni e di realtà operative ben diverse: le “unità scolastiche” sono le scuole attive prima dell’avvio del processo autonomistico, di cui alle legge delega 59/97 e al successivo regolamento operativo, di cui al dpr 275/99, strumenti che hanno comportato, appunto, la nascita delle ISA, cioè delle “istituzioni scolastiche autonome”. E si trattò allora di una vera e propria rivoluzione la quale, però, non so quanto e in quale misura sia stata percepita e poi concretamente sviluppata nel tempo.

In effetti, il ministero dell’istruzione (a prescindere dalla diverse denominazioni che ha avuto nel tempo) sarebbe dovuto “scomparire” o, per lo meno, avrebbe dovuto conservare poteri molto inferiori rispetto al passato nonché – è opportuno constatarlo – anche rispetto al presente! In effetti, il dlgs 300/99, concernente la “riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, all’art. 75 detta “disposizioni particolari per l’area dell’istruzione non universitaria”. E si tratta di un articolo abbastanza corposo che invito il lettore a rileggere… o a leggere. In effetti, si ipotizza un progressivo dimagrimento dell’apparato centrale accompagnato da un’altrettanto progressiva attribuzione di poteri ai livelli periferici. Si tratta di un dimagrimento che, sotto il profilo formale, è stato con il tempo realizzato, anche se parzialmente, ma che – almeno a mio parere – non ha dato luogo a modifiche veramente sostanziali! Per farla breve il ministero, oggi Miur, è sempre il ministero di sempre, e non solo nella percezione dei più. E ciò anche indipendentemente dal fatto che i programmi scolastici di un tempo non ci sono più e che sono stati sostituiti – com’è noto – da Indicazioni nazionali (primo ciclo e ciclo dei licei) e da Linee guida (istituti tecnici e istituti professionali), anche se – e questo intende sottolineare l’unità del “Sistema educativo nazionale di Istruzione” – finalità, obiettivi e competenze terminali degli studenti (quando descritte) sono sufficientemente definiti, anche se con maggiore puntualità per ciò che riguarda le Linee guida: in effetti l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale sono molto più mirate al cosiddetto saper fare che non le Linee guida del primo ciclo o quelle dei licei.

In tale scenario riformatore (occorrerebbe parlare anche delle innovazioni della legge 107, ma andremmo troppo oltre nell’argomentazione) sono spuntati come funghi – se mi è consentito – Rav e Pdm, ovvero Rapporti di autovalutazione e Piani di miglioramento. In effetti si tratta di parole molto grosse, concettose, direi. Ma vediamone le ragioni. In un qualsiasi complesso produttivo, a prescindere dalla distinzione dei beni prodotti, che possono essere fisici o culturali (un’azienda, una fabbrica o un museo, una scuola), un rapporto su ciò che si è prodotto è necessario ma utile al fine di considerare se apportare correttivi, miglioramenti o meno, per il futuro. Ma, in materia di istruzione e considerando com’è organizzato il nostro sistema scolastico, ciò che “si fa” in una scuola media o in un liceo di Torino non è molto dissimile di quanto avviene a Roma o a Napoli. E ciò si replica puntualmente anno dopo anno senza particolari variazioni di sorta. So che ci sono le dovute eccezioni, in atto ad esempio al “Majorana” di Brindisi o al “Pacioli” di Crema o al “Marco Polo“ di Bari, et al., ma i quadri orari delle nostre scuole sono sempre gli stessi, quelli di cui alle Indicazioni nazionali o alle Linee guida. Va, comunque considerato che negli istituti professionali e negli istituti tecnici, oltre agli indirizzi, sono stati individuate ulteriori articolazioni in opzioni e quindi le opportune variazioni orarie.

Ma si tratta pur sempre di articolazioni limitate a certi indirizzi di studio secondari e che non mettono in discussione i quadri nazionali di riferimento… dalle Alpi a Lilibeo! Pertanto, non credo che un Rav o un Pdm dell’istituto x siano molto diversi da quelli dell’istituto y, stante il fatto che l’assetto orario organizzativo delle “lezioni” (si chiamano ancora così! Poi ci si lamenta se sono lezioni cattedratiche! In effetti esistono anche le cattedre, fisiche e giuridiche!!!) è a tutti comune. E sono certo che, se andiamo a leggere una decina di Rav e Pdm di istituto omologhi scelti a caso, non troveremo differenze abissali! E non solo sull’asse spaziale, da scuola a scola, ma anche su quello temporale, di anno in anno.

Per concludere, cattedre e quadri orari – fatte salve alcune iniziative sperimentali – sono quelli di sempre e di tutti! E non credo che Rav e Pdm possano costituire strumenti atti a portare serie e profonde modifiche nei Piani dell’Offerta formativa, ora triennali, di un istituto dato. La rigidità delle cattedre orario è quella che è e non credo che gli spazi di manovra possano essere ampi ed infiniti, anche e soprattutto perché, alla fine di un percorso arriva l’esame di Stato, con tutte le incertezze delle prove che lo Stato amministra centralmente e che non tiene affatto conto delle differenze che possono correre tra i Rav e i Pdm che le scuole hanno prodotto con tanta fatica e la quasi certezza della loro vacuità! Non dico “inutilità”, perché sarebbe troppo forte!

Per concludere, non sono pochi gli insegnanti che lamentano il fatto che oltre alle loro 18 ore di cattedra, debbono trovarne altre e non poche per Rav, Pdm ed altre amenità! E forse sarebbe il caso che la nostra ministra sindacalista affrontasse questi adempimenti non solo per quanto riguarda i prodotti, ma anche e soprattutto le ore di produzione! Con gli stipendi degli insegnanti che sono tra i più bassi in Europa!

La Buona scuola! Buona perché?

La Buona scuola! Buona perché?

di Maurizio Tiriticco

 

Ho letto l’ultima edizione della cosiddetta Buona scuola… tutto come prima e come sempre, e poi… per quanto riguarda l’esame conclusivo degli studi secondari di secondo grado, ancora nulla di nuovo per una effettiva CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE, previste fin dal 1997: la legge 425/97 recita all’art. 6: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”.

Quindi il sostantivo maturità formalmente è stato cancellato da tempo, ma tutti si ostinano a chiamarli ancora e sempre esami di maturità (e non c’è nulla di meno misurabile e valutabile della maturità di un soggetto… largo allo psicologo!!!). Sono trascorsi 20 anni 20, ma di certificazione di competenze… nulla di nulla! I soliti esami di sempre, prove scritte e un COLLOQUIO, che non solo non è pluridisciplinare, ma che, come sempre e da sempre, consiste in tot interrogazioni separate quante sono le discipline d’esame! Altro che EQF! Ma che cos’è l’EQF? L’Europa può attendere! E i nostri ragazzi scappano!!!

Dimenticavo!!! La terza prova scritta, che doveva essere quella veramente innovativa, viene abolita! Perché gli insegnanti non le sanno predisporre! In effetti sono gli stessi insegnanti che aborrono le prove Invalsi, perché non le capiscono! L’ignoranza in materia docimologica é alle stelle! Caro Luigi (Berlinguer)! Abbiamo buttato via tempo e energie! La nostra scuola è sempre quella di Gentile, ma nessuno lo sa… e nessuno la vuole cambiare… lezione, compito, interrogazione… e poi, alla fine del quadrimestre: la “I”, sul registro (elettronico! Occorre rinnovarci!!!) come impreparato vale 1, o 2, o 3 o 4? E i righezzini intanto giocherellano con i cellulari… Dimenticavo!!! L’esame alla fine della terza media resiste da decenni, quando l’obbligo, invece, finisce due anni dopo…

Così le prossime ricerche internazionali continueranno a bacchettarci! Caro Tullio! Perché ci hai lasciato? Comunque, questi della Buona scuola non ascoltavano neanche te!!! E so bene quanto ci hai sofferto!!!

Fantozzi e i nuovi privilegiati

Fantozzi e i nuovi privilegiati*

di Pierluigi Tiriticco

Chi guarda un film di Fantozzi non pensa più a un oppresso dal potere capitalistico: oggi il personaggio di Fantozzi è un privilegiato. Come cambiano i tempi…

 

Vi ricordate il ragionier Fantozzi, oggetto del ludibrio, della compassione, delle prese in giro dell’Italia post boom economico, alle prese con la contestazione giovanile e con i primi focolai della strategia terroristica? A distanza di soli 40 anni e poco più è tutto cambiato, perché è cambiato drammaticamente anche il nostro paese ed il suo derelitto e anacronistico mercato del lavoro. Ebbene sì, dirlo a chiare lettere senza alcuna remora o tentennamento fa impressione, ma l’evidenza è chiara e lampante: Fantozzi nel 2016 è un privilegiato, roba da far invidia al 25enne laureato con lode o al 40/50enne che va avanti con contratti semestrali e che lo chiamano “professionista” a fronte di parcelle che lo rendono sì un professionista, ma del tirare a campare.

Facciamo allora due conti in tasca al “tragico” ragioniere anni ’70 ed il nuovo lavoratore del nuovo radioso millennio: mettiamo il primo a confronto coi nuovi “socialisti a partita iva” (quelli che si sono malgrado loro beccati il peggio dell’economia di piano – tutti uguali – ed il peggio dell’economia capitalista –tutti sfruttati-). Da una parte 12 mensilità, 13ma, straordinari e super festivi, indennizzi vari, malattia, ferie pagate e 104 cumulabili (per parenti lontani anche 500 chilometri); dall’altra parte… nulla. Chi mai oggi in queste condizioni farebbe a cambio con il nostro ragioniere o col suo collega di squallidissime scorribande, geometra Filini? Direi nessuno, le risate rimangono, ma l’amarezza sale…

Non c’è sberleffo della Signorina Silvani od umiliazione da parte del Mega-direttore-galattico che tenga, Fantozzi dà una pista a tutti. C’è da giurare che il genio di un Luciano Salce, regista della saga, e dello stesso Villaggio che ha inventato il personaggio, non avrebbe cercato il grottesco bersaglio, rappresentativo dell’ultimo gradino della decenza sociale, in un ambito pubblico, ma nelle migliaia di studi professionali dove trionfa il precariato giovanile a colpi di partita iva e versamenti inps al 27% che mai rivedranno nella loro, auguriamoci lunga, vita.

* da laleggepertutti.it

Ricordando Tullio!!!

Ricordando Tullio!!!

di Maurizio Tiriticco

Mi piace rendere pubblici alcuni scambi epistolari intercorsi tra me e l’amico Tullio De Mauro che ci ha lasciati molto prematuramente. In effetti, delle sue ricerche e delle sue considerazioni sulla nostra scuola e sul nostro Paese abbiamo avuto sempre bisogno!

Ci mancherai, Tullio!


06/10/2016 14:51

Caro Tullio! Ti allego una lettera aperta per te e per tutti gli italici (esistono gli italiani?). Un abbraccio! Maurizio

Questo è il link della lettera aperta: https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=84609

Caro Maurizio,

hai ragione a denunciarmi e chiamarmi in causa dinnanzi al tribunale dell’amicizia. Ma ai giurati cercherò di dire: ognuno si azzoppa come capita. Io, signori giurati, mi azzoppo accettando troppi impegni. Così, a parte qulche problema familiare che qui non voglio metter davanti a scusante, vedete la mia agenda, vedete i fogli dove annotto i lavori da fare, le mail cui rispondere, guardate anche i lavori smaltiti negli ultimi mesi, e capirete come e perché il lungo silenzio di un amico caro e poi finalmente nella sua riapparizione, in cui mi dava notizia del suo azzoppamento, siano cose rimaste snza una mia apparente reazione. La reazione c’era, in realtà, ma solo mentale ed emotiva, senza che si manifestasse in cenni scritti o orali. E anche ora, mannaggia, signori giurati, Maurizio mi pone problemi intorno a cui si arrovellano da cinquanta anni e più una parte dei miei lavori di studio e due, tre, anzi almeno quattro libri di apparenz diversa, ma che al fondo anche in superficie tematizzano proprio le questioni che lo arrovellano, e arrovellano anche me, e dovrei rispondegli con una lettera di pari spessore, ma vedete, voi che avete accesso al mio PC e alla mia agenda, che devo finire uno dietro l’altro prima della prossima settimana tre o quattro diversi lavori, forse insignificanti, ma impegnativi per me, impegnativi, come Gramsci insegnava, anche fisicamente, muscolarmente. E il tempo per scrievre queste righe lo sto sottraendo a una cosa che devo assolutamente finire in serata, per mandarla a un amico a Tokyo, che deve tradurla appunto entro la prossima settimana. E, guarda caso, parlandovisi di Italia linguistica nell’Europa linguistica, sfiora proprio i problemi di Maurizio.

Signori giurati, facciamo così: prima di condannarmi per inadempienza amicale, reato che considero gravissimo, datemi un altro pò di tempo per rispondere adeguatamente al mio Amico Azzoppato. Consentitemi di dire che io sono d’accordo con quello che dice, ma non sono d’accordo, se così posso dire, con quelloo che non dice, ossia per quello che tace. E quel che lui tace non è in contrasto con quanto lui dice, è in contrasto con le cose di cui lui dice, è una sequela di contraddizioni oggettive che tessono la storia del nostro paese, del paese che, attenzione, è già un signum contradictionis, chiamiamo ininterrottamnte Italia dal terzo secolo avanti Cristo (solo per qualche decennio provarono a chiamarlo Longobardia, ma sono spariti, poi). Come mai? Come mai se gli abitanti si sono chiamati per secoli in tanti modi diversi prima di cominciare a sentirsi chyiamare italiani dagli intellettuali, che avevano sì una lingua comune ma facvano giri di parole per non chiamarla italiana? E però la usavano, costo di non farsi capire. Sicuro? Quasi sicuro, perché poi coime mai i poveracci delle little Italies sparsi per il mondo (con i loro discendenti di seconda, terza generazione, 60 milioni, un’altra Italia piazzano, loro che intellettuali non erano, tra un salame importato di contrabbando e un pacco di pasta Voiello piazzavano un busto bruttissimo di Dante? Allora qulcosa arrivava?

Domande. Domande di uno scrivente affannato al caro Maurizio.
Un abbraccio, già da ora, Tullio

P.S. Per far prima, non rileggo e ti lascio i sadici piaceri dell’antico correttore di bozze che tu sei (e anch’io! fui).


26/11/2016 10:40

 

Caro Tullio! Non ti sento da tanto tempo e mi manchi! Io ormai sono azzoppato, ma il cervello – penso – ancora funziona! Ti allego questa cosa in difesa di Laura Boldrini pesantemente insultata da migliaia di italiani, ovviamente “maschietti”, sempre più illetterati! Che cosa possiamo fare per questo nostro povero Paese? Pare che l’ignoranza e l’inciviltà aumentino paurosamente!
Maurizio ti abbraccia!

Maurizio, scusami per i troppi silenzi, ma sono soffocato da troppi lavori in ritardo e impegni vari. Spero presto di uscirne e corrispondere meglio alle tue sollecitazioni sempre preziose.
Un abbraccio, Tullio

Carissimo Tullio, il tuo tempo è prezioso e ne ho rispetto! Non vedo l’ora che siano pubblicati gli esiti della ricerca Timms Pirls il prossimo 6 dicembre! Che ne sarà della nostra bella lingua? Buon lavoro, Tullio! Anche se non ti sento, so che lavori… anche per me!
Un abbraccio! Maurizio

Conversando con due cari amici!

Conversando con due cari amici!

di Maurizio Tiriticco

Facebook, appena lo apro, mi chiede sempre a cosa penso! Ora sto pensando al fatto che… c’era una volta l’Italia!!! Negli anni trenta alle scuole elementari studiavo: cento anni fa l’Italia era divisa in tanti piccoli staterelli… oggi invece, dopo tre guerre di indipendenza e dopo una guerra mondiale, l’Italia è finalmente unita ed è un Regno guidato da un Re di quella Casa Savoia che tanto si è adoperata nel secolo scorso per giungere a quell’Unità nazionale, proclamata il 17 marzo del 1861. E poi c’è anche un Duce che, dopo la rivoluzione fascista, sta facendo il nostro Paese ancora più bello e più grande, come ai tempi della Roma dei Cesari.

Poi le vicende sono note, due guerre e una dittatura! Poi la Resistenza e la Repubblica! Grandi eventi!!! E una Costituzione, che è tra le più belle del mondo!

Ma oggi? Mah! Da Est e, soprattutto, da Sud si sta consumando una lenta ma inarrestabile invasione, tra l’altro favorita anche dal nostro governo in nome dell’accoglienza, della solidarietà e via dicendo… ma… mi domando: se l’ingresso nel nostro Paese di persone che – come si suol dire – fuggono dalla guerra e dalla miseria, continua con questo ritmo, che sarà da qui a dieci anni? Mi hanno insegnato che i “sacri confini della Patria” vanno sempre difesi! Nessuno mi ha insegnato, invece, che i sacri confini possono essere varcati da chiunque, ormai convinto che questo è il Paese di Bengodi! E l’invasione procede massiccia! Migliaia, giorno dopo giorno! E non sono solo persone altre, sono lingue altre, costumi altri, religioni altre! E in larga maggioranza sono bei giovanottoni neri neri, soli soli – i nuclei famigliari, che sarebbero veramente bisognosi, sono pochissimi – certi che qui trovano la pacchia, i 35 euro al giorno, la libertà di bighellonare per l’intera giornata per poi dormire tra Caritas, panchine, stazioni ferroviarie se non in palazzine od hotel dismessi e a loro assegnati con l’assenso, ovviamente, delle Autorità! E la viva preoccupazione di tanti nostri connazionali.

Nelle grandi città il fenomeno, pur visibile, non provoca – per ora – particolari allarmi! L’allarme si ha invece nei piccoli centri, dove il fenomeno diventa una vera e propria invasione quotidiana! Abitanti, pochi, “ospiti” molti!!! Il che crea seri squilibri per quello che è l’identità stessa degli abitanti. Ciò che stupisce è che agli allarmi dei nostri concittadini il governo non dà risposte, troppo occupato ad accogliere chiunque passi quei Sacri Confini della Patria, per i quali migliaia di nostri ragazzi sono morti nel corso di due guerre mondiali! Insomma, lo straniero ci sta occupando – in Pace – giorno dopo giorno. Mi chiedo: che penserà il nostro Milite Ignoto? Ad ogni ricorrenza le autorità portano corone di fiori, ma nessuno può ascoltare il suo accorato lamento: “Che sono morto a fare”? Questa, oggi, è l’Italia… anzi, forse non è più Italia…

Caro Luigi! Tu mi critichi e mi accusi di essere vittima di una “deriva leghista”! No, mio caro! Mi conosci troppo bene e da tanti anni… ricordi? All’Università due seminari annuali sulla pedagogia cattolica e sulla pedagogia marxista!!! E poi tutti i lavori al ministero PI, alla Formazione Professionale e all’Istruzione Tecnica!!! La mia formazione intellettuale e politica (che poi, in parte, è anche la tua, penso) è troppo rigorosa perché io possa cadere in derive leghiste! Invece, mi sento un po’ come la compianta Oriana Fallaci, quando parlava di una prossima “Eurabia”, e nessuno le credeva, neanch’io!!! Lei profeta disarmata? Disarmata da noi, anche da me, allora!

Caro Giaime! Paese di passaggio? Lo dicono loro furbescamente e lo diciamo anche noi ingenuamente! E come le scimmiette, chiudiamo occhi, orecchie e bocca! Ma poi ai confini nessun Paese europeo li vuole, a meno che il numero degli accessi non sia stato programmato! L’Italia ormai è un ponte dove passano tutti, via mare, da Sud e da Est, ma poi si fermano a Nord dove le frontiere terrestri francesi, svizzere e austriache non sono un colabrodo come le nostre frontiere marine.

Le vicende di ieri nei campi non sono incidenti casuali, sono segnali preoccupanti! E non solo per me, ma anche per tutti quei nostri concittadini che hanno i campi a qualche centinaio di metri! Noi cittadini del centro di Roma non viviamo fenomeni di questo tipo! Ma l’Italia minore, quella dei piccoli centri è in larga misura in sofferenza! Chi ci governa chiude gli occhi sul fenomeno, perché di fatto è incapace di governarlo. La politica dell’accoglienza!!! Il discorso di Capodanno del Presidente!!! Per la nostra ingenua o colpevole o complice politica, si tratta di accoglienza! Per coloro che “accogliamo” si tratta di ben altro! Ne riparleremo tra dieci anni! O meglio ne riparlerete voi, perché io non ci sarò!

Ricordi di tempi peggiori

Ricordi di tempi peggiori in attesa di tempi migliori

di Maurizio Tiriticco

Stamane, approfittando del bel tempo e delle strade sgombre dopo la notte magica, ho deciso – io mezzo azzoppato – di fare un po’ di passi per le strade del quartiere. Sono rimasto di sasso! Marciapiedi sconnessi e strade piene di buche! Sporcizia dappertutto, pure cacche di cani… insomma una città che non riconoscevo e che non mi aspettavo. Strisce bianche a zebra per attreversare le strade, nulla o poco meno. Strisce azzurre e gialle, tutte sbiaditissime. Cassonetti fatiscenti, “monnezza” sparsa qua e là! Vabbè!!! Noi romani semo zozzi e poi ci sono pure gli extracomunitari e i turisti… buttala come ti pare, ma… ho ricordato le belle strade di Parigi – che gelo a Natale – o di Berlino… tutto pulito… per non dire del verde delle aiuole (la parola con tutte le vocali!) o meglio del non verde romano. Le aiuole di Porta Maggiore? Assoluta schifezza! Insomma, che fa ‘sta sindaca Raggi? Certo! Roma è una città complessa, non è un Comune, è una Città metropolitana! Anche con il fascismo il Comune venne trasformato in… Governatorato!!! La capitale del Regno e del Fascismo… le maiuscole sono d’obbligo… allora i Sette Colli fatali di Roma erano stupendi!

“Sole che sorgi libero e giocondo, sui colli nostri i tuoi cavalli doma!” Salite oggi a Colle Oppio! Non solo è zozzo, ma è anche pericoloso! Non l’ho visto, ma lo so! E poi la Via dell’Impero, oggi più modestamente… via dei fori imperiali! E poi la Via Imperiale, oggi più modestamente… via Cristoforo Colombo! La Via Ostiense (il fascismo la raddoppiò: fu la prima autostrada italiana) portava ad Ostia, ma la Via Imperiale portava al Lido di Roma!!! C’era poco da scherzare!!! Io non ero un bambino, ma un balilla, prima escursionista, poi moschettiere, poi tamburino, poi trombettiere, poi mazziere!!! E guai a farla cadere per terra la mazza dopo averla lanciata in aria per farle fare mille piroette! Il Duce inaugurò la Via Imperiale sia al suo inizio, che al suo termine, al Lido di Roma! Dire Ostia era riduttivo! Quanta emozione per me, balilla certo del suo Duce e del giuramento rinnovato ogni 28 ottobre, inizio dell’anno dell’Era fascista, coniugato con l’anno dell’Era cristiana!

“Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze, e se è necessario col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista”. Noi alunni sui compiti indicavamo sempre nella data l’anno dell’Era cristiana e quello dell’Era fascista! E il Duce, con tanto di maiuscola, mi passò davanti e le mie braccia, sempre irrigidite quando facevo il presentatarm (con il moschetto modello 91 adattato per i balilla), tremarono come due foglie… e il moschetto anche! Poi il Duce si fermò… la sua posizione classica, sull’attenti… mani sui fianchi… pancia in dentro… mento in alto! Ve lo immaginate il nostro Gentiloni in posizione mussoliniana??? La tensione era a mille… ma poi fu attenuata dalla voce stentorea del comandante: “AAA…tttentiii!!! Camicie nere! Balilla! Salutate nel Duce il fondatore dell’Impero! Eia eia eia”! E noi un unico grido: “Alalà!” E poi tutti in coro, prima Giovinezza, poi l’Inno al Re!!! “Salve o Re, Imperator! Nuova legge il Duce die’ al mondo e a Roma il nuovo Imper! Fecondato dal lavor! Legionario orgoglio avrai del tuo Imper! Popolo fedel, col sangue lo creò! Credere, obbedir, combattere saprà! Vittoriose leverà fulgide le insegne della patria al sol!” Ma poi le cose andarono molto diversamente… e il povero balilla un altro po’ moriva di fame… come cadevano a pezzo le illusioni… Ma il domani fu anche per lui e per tutti noi… un altro giorno!!!

La sterzata della Fedeli!

La sterzata della Fedeli!

di Maurizio Tiriticco

“Una sterzata radicale”: così Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi 31 dicembre definisce la politica della ministra Fedeli. E non posso non essere d’accordo, io che levai molte critiche quando alla Fedeli venne affidato un incarico che, a mio giudizio, era ed è uno dei più rischiosi e dei più difficili da affrontare: il governo del Sistema educativo nazionale di istruzione. E scrissi due articoli molto critici: “Ancora un ministro a cui occorrerà insegnare tutto” e “Un ministro dell’Istruzione molto sui generis”. Articoli che forse sono stati troppo tempestivi, forse giustificati dal fatto della “laurea non laurea”, o dalla “teoria del gender” o dalla “nessuna esperienza di scuola” della neoministra. Mi chiedevo: era forse sufficiente la lunga esperienza sindacale a darmi/darci qualche sicurezza? Un interrogativo, quindi, per certi versi anche giustificato.

In seguito, il fatto che io sia stato, giorno dopo giorno, smentito, mi ha dato un grande piacere. Già mi stupirono positivamente gli esiti degli incontri della Ministra con i sindacati, nei quali ha sempre assunto un atteggiamento di grande ascolto e di molte domande: cosa inconsueta, in genere, per un ministro, il cui atteggiamento in genere è sempre quello del “sottuttoio”! E poi, ciò che più conta sono i provvedimenti che in pochi giorni la Fedeli ha preso e che stanno rovesciando come un calzino uno ad uno quei funesti commi dell’articolo uno della legge 107, una delle leggi più punitive della scuola e dei suoi insegnanti. In effetti, la 107 è una legge che apriva ad una vera e propria privatizzazione del sistema scolastico pubblico, creando situazioni in cui si sarebbero create “per legge” scuole di serie A e scuole serie B (e l’ho scritto più volte): il dirigente che chiama chi vuole lui; l’insegnante che deve “farsi bello” verso l'”autorità”, più che far valere i titoli acquisiti… ma non al dirigente, al sociale! Solo per citare i pericoli più evidenti legittimati, per altro, proprio dalla 107!

Non replico le iniziative assunte dalla Fedeli in pochi giorni, volte a risanare le situazioni assurde che la 107 legittima o legittimerebbe. Comunque, svuotare o sforbiciare le indicazioni più pericolose della 107 è stata ed è una bella cosa! Avremo più in là, ben oltre il mese di gennaio, i nove decreti delegati, con i quali si potranno ammorbidire le disposizioni più pericolose della 107. La Fedeli ha assunto una iniziativa politica di lungo respiro e con finalità ben precise. E di questo i sindacati hanno preso atto: forse perché, in effetti, al tavolo hanno trovato di fronte una di loro! E ciò ci incoraggia per quanto avverrà nella scuola nell’anno 2017! Comunque, tanti saluti alla Professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica e Rettora dell’Università per stranieri di Perugia. Due culture a confronto: una che viene dal mondo del lavoro e dalle lotte sindacali: l’altra che viene dal mondo della ricerca finalizzata alla carriera, con tutto il rispetto che si deve alla ricerca… quella vera! E sto pensando al nostro compianto Umberto Veronesi! Grande ricercatore e attore!

Apprendere per competenze nello scenario europeo

Apprendere per competenze nello scenario europeo

di Maurizio Tiriticco

 

  1. Misurare, valutare, certificare

Quando si parla di valutazione, in genere si pensa subito e solo alla scuola, quando, invece, non è affatto così. Ciascuno di noi “valuta” quotidianamente, anche se non ne ha piena consapevolezza. Quando al supermercato indugiamo a ricercare quel prodotto, di quella marca, ne consideriamo peso e prezzo e, magari, andiamo anche a leggere per intero le note illustrative e la scadenza, non facciamo altro che valutare. E alla fine acquisteremo quel prodotto che corrisponde alle nostre scelte valutative. E va anche considerato che un altro acquirente scarta il prodotto da noi scelto e acquista quello che noi abbiamo scartato. Così va il mercato! Così va anche la nostra giornata. Quale camicia indosso oggi? E quale cravatta? No! Questa non è adatta! Troppo seria! E’ una cena tra amici; non debbo tenere una conferenza!

E non solo valutiamo, ma, senza neanche rendercene conto, misuriamo anche e… “certifichiamo”! E MISURARE, VALUTARE e CERTIFICARE sono operazioni tipiche anche di un’attività scolastica, dove sono anche fortemente formalizzate.

Ricorriamo a qualche esempio, tratto dalla vita reale. Devo acquistare una camicia… bellissima quella che ho visto in vetrina, un po’ cara, però è quella che voglio. Entro e la chiedo al commesso. La risposta del commesso è in genere questa: Quale MISURA le occorre? E io rispondo: Dodici e mezzo. E il commesso: Mi dispiace, signore, ma di quella misura le abbiamo terminate. Perdiana! La mia VALUTAZIONE positiva viene tristemente a cadere. Il commesso mi presenterà camicie della misura da me richiesta, ma a me “non piacciono”. La MISURAZIONE è quella che è, ma la mia VALUTAZIONE è negativa. Sto per andarmene, ma il commesso tenta di trattenermi: Guardi, signore, che la camicia che le ho offerta è di Armani, una garanzia! Vede, c’è anche il CERTIFICATO. Le stesse operazioni si ripetono per l’acquisto di un paio di scarpe. Se non sono di Nero Giardini, una vera e propria CERTIFICAZIONE di garanzia, niente da fare!!! E che dire di un anello di fidanzamento? Posso VALUTARLO bello e di grande valore, ma se non è della MISURA dell’anulare della fidanzata, niente da fare, anche se il CERTIFICATO di garanzia ne attesta origine e valore. La stessa cosa accade per l’acquisto dell’automobile: quella marca è di per sé un CERTIFICATO di garanzia, ma quel colore non mi piace, quindi la mia VALUTAZIONE è negativa; finalmente trovo il colore che mi piace, ma… è troppo lunga per il mio box: MISURAZIONE!

Ebbene, la stessa triade di concetti riguarda ANCHE la scuola, quindi NON SOLO la scuola. Correggo un compito di italiano! Quanti errori di grammatica – MISURAZIONE – eppure è molto interessante, ricco di idee originali, VALUTAZIONE. Oppure mi imbatto nel caso contrario. Non c’è un errore di grammatica: quindi le sue tre componenti, ortografia, morfologia e sintassi, sono completamente soddisfatte, ma… il contenuto è di una tale banalità! Va anche aggiunto che, quando SI MISURA, si “contano” gli errori e l’operazione effettuata è oggettiva; quando SI VALUTA, l’operazione è soggettiva. E’ più che noto che lo stesso tema può dar luogo a VALUTAZIONI diverse, anche se sugli errori di grammatica non c’è, né potrebbe esserci, discussione alcuna: quella “scuadra” scritta con la C, o quella squola con la Q sono errori, se non “orrori”, oggettivi.

Misurare e valutare, quindi, sono operazioni diverse e richiederebbero, quindi, diverse procedure. Eppure nella nostra scuola ambedue si esprimono sempre con un voto da uno a dieci. Dieci voti a disposizione sono tanti e, per legge, vanno espressi sempre per intero, ma… E’ più che noto il ricorso ai più, ai meno, ai meno meno, ai mezzi… mancano solo i terzi! E c’è anche chi assegna uno zero spaccato! E lo zero, per norma, non esiste. La “fantasia” degli insegnanti è collaudata da sempre! Ma questa “fantasia” è di fatto obbligata: infatti, è difficile attribuire un voto intero che racchiuda due operazioni diverse, misurare e valutare. E lo scarto tra misurare e valutare è frequentissimo,anche se non ce ne rendiamo conto. Quando, in sede di scrutinio, in matematica “portiamo un cinque a sei” – come si suol dire – perché l’alunno Rossi ha otto in tutte le altre materie, non facciamo altro che passare dall’esito di una MISURAZIONE – in genere la media dei voti riportati dall’alunno in quella data disciplina – ad una VALUTAZIONE. E si tratta di un’operazione che va debitamente verbalizzata con un articolato e motivato giudizio. Si noti che l’esito del misurare è un numero; l’esito del valutare è un giudizio, anche se poi si esprime con un numero.

Per decenni e decenni nella nostra scuola si è valutato con voti e/o con relativi giudizi sintetici: ad esempio il 6 equivaleva alla sufficienza, il 10 al lodevole. Poi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, soprattutto in forza dell’avvio della scuola media obbligatoria ottonnale (il primo anno scolastico fu il 1963/64), ci si rese conto che la semplice conta dei voti era insufficiente ad accompagnare una riforma che in quegli anni fu addirittura epocale. Basti ricordare le polemiche sul “latino sì o latino no”, quelle sulle bocciature, su cui intervenne saggiamente la “Lettera a una professoressa” di Don Milani. Le discussioni sul merito e il fine dell’istruzione obbligatoria ottonnale furono infinite e accese. E finalmente con le indicazioni normative “rivoluzionarie” della legge 517 del 1977 si abolirono i voti nella scuola dell’obbligo e furono sostituiti dai giudizi verbali.

La stagione che si aprì avrebbe dovuto essere veramente rivoluzionaria, ma in effetti passare dal VOTO al GIUDIZIO non fu cosa semplice, anche perché implicava e richiedeva anche modi diversi di insegnare e di apprendere. Ma anche e soprattutto perché non fu mai chiaro all’amministrazione né chiarito agli insegnanti che il passaggio dal numero al giudizio implicava che fosse affrontata fino in fondo la profonda differenza che corre tra il MISURARE e il VALUTARE. In assenza di questa chiarezza, squisitamente docimologica – la docimologia è una disciplina, come lo è la fisica o la filosofia [1] – la stagione dei giudizi ha sempre avuto vita grama, finché, con il dpr 122/2009 (ministro pro tempore Mariastella Gelmini) si è tornati ai voti. Si è fatto così, a giudizio di chi scrive, un passo indietro in materia. Ed è per questo che, di fatto, a tutt’oggi il problema della valutazione è quello che maggiormente assilla scuole, dirigenti e insegnanti.

 

  1. La difficoltà di giungere a un concetto condiviso di competenza

In questa situazione “valutativa” oggettivamente non molto chiara, si è aggiunta poi un’altra stagione, quella delle COMPETENZE e della loro CERTIFICAZIONE. Sotto il profilo normativo, la certificazione delle competenze è stata introdotta dalla legge di riforma dell’esame di maturità, la 425/1997. In questa legge, all’articolo 6 leggiamo testualmente: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Nel regolamento che ha reso applicativo la legge, il dpr 323/1998, su tale materia leggiamo testualmente: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”. E’ evidente che una definizione di questo tipo è estremamente povera rispetto al fine che si dovrebbe perseguire. Di fatto il ministero di allora dimostrò di avere una scarsa competenza in materia di… COMPETENZE, nonché in materia di… CERTIFICAZIONE. Infatti, il modello di certificazione allora adottato – e ancora oggi in vigore, salvo leggerissime modifiche – non certificava un bel nulla. Comunque, si trattava di un modello che avrebbe dovuto avere la durata di soli due anni, il periodo che il ministero si dava per legiferare in merito in modo compiuto sia sotto il profilo operativo che sotto quello formale.

I due anni trascorsero, ma invano. E a tutt’oggi, nonostante con l’anno scolastico 2014/15 siano andate a regime le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali varate nel 2010 dall’amministrazione Gelmini, di certificazione delle competenze… ancora nulla! E non è un caso che tra i decreti delegati al Governo, di cui all’articolo 1, comma 181 della legge 107/2015, figura anche “la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89”. Speriamo che – come si suol dire – sia questa la volta buona!

La difficoltà che il ministero incontrò in materia di certificazione di competenze alla fine degli anni Novanta non era, però, casuale. Il fatto è che proprio su tale materia mancava in quel periodo una visione condivisa dalle scuole dei diversi Paesi dell’UE. Il problema era, ed è, quello di varare certificazioni in una dimensione transnazionale, “leggibili” e comparabili in tutti i Paesi membri. Pertanto, quando in materia di interpretazione e definizione di determinati termini/concetti come conoscenze, capacità, abilità e competenze c’è confusione, è difficile giungere a provvedimenti normativi chiari. In effetti, anche nella stessa Unione europea si è giunti passo passo e in tempi non brevi a dare definizioni certe e definitive rispetto a tale materia.

 

  1. La parola all’Europa!

In materia di competenze l’Unione europea è intervenuta con due importanti Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio europeo in data 18 dicembre 2006 e 23 aprile 2008 [2].

La prima Raccomandazione riguarda le competenze chiave di cittadinanza necessarie per l’apprendimento permanente. La seconda Raccomandazione riguarda le competenze culturali e professionalizzanti. La differenza è chiara: si tratta di due aree ben diverse della persona, quella del “comportarsi” in quanto cittadini e quella del “conoscere” a fini professionali. In effetti, si può essere buoni cittadini, anche se modesti sotto il profilo professionale; oppure ottimi professionisti, ma… a servizio della malavita, quindi pessimi cittadini!

Le competenze chiave di cittadinanza di cui alla Raccomandazione del 2006 sono le seguenti: 1) comunicazione nella madre lingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologie; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. Sono competenze che nella Raccomandazione, a cui si rinvia, sono puntualmente specificate e dettagliate.

La prima Raccomandazione è stata di fatto e di diritto recepita dal nostro Paese in occasione dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione da 8 anni a 10 [3], che ha avuto il suo primo avvio nell’anno scolastico 2007/2008. Nell’allegato 2 al dm 139/2007 le otto competenze chiave sono state così curvate alle esigenze del nostro sistema di istruzione: “L’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale”. Le sottolineature sono nostre e aiutano a comprendere le sottolineature che seguono in parentesi nel successivo periodo. Le competenze di cittadinanza sono le seguenti: 1) imparare ad imparare; 2) Progettare (finalizzate alla costruzione del Sé); 3) Comunicare 4) Collaborare e partecipare; 5) Agire in modo autonomo e responsabile (finalizzate a costruire le relazioni del Sé con gli Altri); 6) Risolvere problemi; 7) Individuare collegamenti e relazioni; 8) Acquisire e interpretare l’informazione (finalizzate a costruire il Sé e l’interazione con la realtà naturale e sociale).

Con la seconda Raccomandazione viene definito e descritto il Quadro Europeo delle Qualifiche, “European Qualifications Framework” (EQF). Si tratta di un sistema che permette di confrontare i titoli di studio e le qualifiche professionali dei cittadini dei paesi europei. I risultati di apprendimento sono definiti in termini di Conoscenze, Abilità e Competenze. Tali risultati sono stati identificati in otto livelli. Con l’EQF si definisce in modo chiaro e trasparente il livello di apprendimento e di competenza raggiunto da un soggetto in un certo ambito di istruzione o formazione. Ecco l’elenco degli otto livelli del Quadro Europeo delle Qualifiche. Si sottolinea che ciascun livello di COMPETENZA è la risultante dell’acquisizione di date CONOSCENZE e date ABILITA’ che nell’elenco che segue non riportiamo:

Livello 1 – lavorare o studiare sotto supervisione diretta in un contesto strutturato. NB – si sottolinea che nel caso italiano si lavora solo dopo i 15 anni

Livello 2 – lavorare o studiare sotto supervisione diretta con una certa autonomia

Livello 3 – assumersi la responsabilità dello svolgimento di compiti nel lavoro e nello studio; adattare il proprio comportamento alle circostanze per risolvere problemi

Livello 4 – autogestirsi all’interno di linee guida in contesti di lavoro o di studio solitamente prevedibili, ma soggetti al cambiamento; supervisionare il lavoro di routine di altre persone, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento delle attività di lavoro e di studio

Livello 5 – gestire e supervisionare in contesti di attività di lavoro o di studio soggetti a cambiamenti imprevedibili; valutare e migliorare le prestazioni di se stessi e degli altri

Livelli 6 – gestire attività o progetti tecnici o professionali complessi, assumendosi la responsabilità della presa di decisioni in contesti di lavoro o di studio imprevedibili; assumersi la responsabilità di gestire lo sviluppo professionale di singoli individui e di gruppi:

Livello 7 – gestire e trasformare contesti di lavoro e di studio complessi e imprevedibili, che richiedono approcci strategici nuovi; assumersi la responsabilità di contribuire alle conoscenze e alla pratiche professionali e/o di valutare le prestazioni strategiche di gruppi

Livello 8 – dimostrare un grado elevato di autorità, innovazione, autonomia, integrità scientifica e professionale, e un impegno sostenuto verso lo sviluppo di nuove idee o processi all’avanguardia in contesti di lavoro o di studio, tra cui la ricerca

Per quanto riguarda il nostro Sistema nazionale di istruzione generalista statale e paritario e di formazione professionale regionale, è stata operata la seguente scelta: il livello 1 corrisponde all’esame dei licenza media; il livello 2 corrisponde al conseguimento dell’obbligo di istruzione (fine del primo biennio degli studi secondari di secondo grado); il livello 3 corrisponde alle qualifiche triennali rilasciate dal sistema di istruzione e formazione professionale regionale; il livello 4 corrisponde all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione e al diploma di tecnico professionale quadriennale regionale; il livello 5 corrisponde al diploma di Istruzione Tecnica Superiore; il livello 6 corrisponde alla laurea triennale; il livello 7 corrisponde alla laurea magistrale e ai master di primo livello; il livello 8 corrisponde al dottorato e ai master di secondo livello.

 

  1. Per una definizione condivisa di competenza

La seconda Raccomandazione è stata da noi recepita formalmente in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano dall’“Accordo sulla referenziazione del sistema scolastico italiano delle qualificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (European Qualifications Framework, EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”. Tale accordo è stato sancito nella seduta del 20 dicembre 2012.

E’ estremamente importante vedere la definizione che l’Ue con le sue Raccomandazioni adotta per definire il concetto di competenza, in quanto differisce dalla definizione data dal Regolamento degli esami di Stato del secondo ciclo di istruzione, di cui al dpr 323/1998 e riportata in un precedente capitolo. Le definizioni che seguono dei termini/concetti di conoscenza, di capacità e abilità sono di chi scrive, ma congruenti con la definizione di competenza data dalle Raccomandazioni Ue.

Conoscenze – insieme organizzato di DATI e INFORMAZIONI relative a oggetti, eventi, tecniche, regole, principi, teorie, che il soggetto ap-prende, com-prende, archivia e utilizza in situazioni operative quotidiane procedurali e problematiche [4]

Capacità/Abilità – atti concreti singoli che il soggetto compie utilizzando date conoscenze e dati strumenti; di fatto un’abilità è un segmento di competenza [5].

Competenza – “la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini (atteggiamenti) personali (il Sé), sociali (il Sé e gli Altri) e/o metodologiche (il Sé e le Cose) in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia”.

Quest’ultima costituisce una sottolineatura molto importante. Un soggetto è autonomo quando è in grado di compiere un atto (dar luogo a un’abilità e/o a più abilità che, coordinate insieme, danno luogo a una competenza); lo stesso soggetto è responsabile, quando è consapevole dell’obiettivo che persegue e quale impegno assume nei confronti di altri soggetti.

Per dar luogo a una competenza occorre quindi il concorso di conoscenze e abilità. Un pianista conosce le note musicali, il funzionamento di un pianoforte, sa leggere uno spartito, ha occhi, mani e piedi abili per “agire” con il pianoforte. Un chirurgo conosce la parte del corpo umano su cui deve intervenire, ha occhi e mani abili per l’operazione da condurre. Non c’è mestiere o professione, semplici o complessi che siano, che non si concretizzino nella sequenza conoscenze, abilità, competenze.

A questo punto è assolutamente opportuno notare che la formulazione della Raccomandazione introduce anche il concetto di attitudine: e non è cosa da poco. E’ ovvio che il pianista e il chirurgo dei due esempi sopra riportati non sono dei robot, e che due pianisti e due chirurghi, ovviamente al di là dei protocolli che ne caratterizzano la professionalità di base, non opereranno mai nello stesso modo. Il che significa che una competenza comporta anche una forte dose di “personalizzazione”. Le attitudini sono personali (il pianista esegue il suo pezzo dandone una sua personale interpretazione; due chirurghi, a fronte del medesimo caso, opereranno con strumenti e modi diversi), sociali (nel senso ampio del termine: il pianista che deve suonare con un’orchestra non può fare a meno di “socializzare”, sintonizzarsi con la bacchetta del direttore; il chirurgo non può non interagire più che correttamente con l’équipe che lo assiste), metodologiche (“quel” pianista interpreta quel pezzo di Beethoven diversamente da un altro; quel “chirurgo” opera secondo strategie e approcci che lo differenziano da un altro.

Le precisazioni operate dalla Raccomandazione sono chiarissime. Quindi nella realtà operativa non c’è mai una competenza eguale a un’altra: in effetti al di là dei fondamenti di protocollo, il tasso di personalizzazione è sempre molto forte. Negli studi di due medici figurano i diplomi di laurea con 110 e lode – che potremmo definire i protocolli di competenza – ma, nella professione quotidiana i due potranno dare indicazioni diverse a fronte di un medesimo caso: è la personalizzazione della competenza [6]. E’ un discorso che va fatto nei confronti di tutti coloro che per competenza intendono operazioni standardizzate se non addirittura ripetitive.

 

  1. Le competenze nel nostro sistema di istruzione

Insegnare e apprendere per competenze è una scelta che è stata operata anche nel nostro sistema di istruzione. Ovviamente parlare di competenze nel campo professionale è un conto (un idraulico, un medico, un odontotecnico, un avvocato); altro conto è parlare di competenze in ambito scolastico e, soprattutto, quando si ha a che fare con percorsi che riguardano l’età evolutiva. Comunque l’insegnare per competenze, quindi sempre con l’obiettivo che l’alunno sappia “usare concretamente” quanto va imparando in itinere, costituisce una finalità che riguarda la conclusione di un percorso di istruzione che potremmo definire “concluso”. E ciò riguarda sia la scuola per l’infanzia, l’istruzione primaria, l’istruzione secondaria di primo grado, la conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, la conclusione dei tre percorsi secondari di secondo grado.

A questo proposito nella parte relativa all’organizzazione del curricolo delle “Indicazioni nazionali per l’infanzia e il primo ciclo di istruzione” [7], a proposito della “certificazione delle competenze” leggiamo testualmente: “Con le Indicazioni nazionali s’intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza. Per l’insegnamento della Religione Cattolica, disciplinata dagli accordi concordatari, i traguardi di sviluppo delle competenze e gli obiettivi di apprendimento sono definiti d’intesa con l’autorità ecclesiastica (decreto del Presidente della Repubblica dell’11 febbraio 2010)”.

E, a seguire: “La scuola finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo, fondamentali per la crescita personale e per la partecipazione sociale, e che saranno oggetto di certificazione. Sulla base dei traguardi fissati a livello nazionale, spetta all’autonomia didattica delle comunità professionali progettare percorsi per la promozione, la rilevazione e la valutazione delle competenze. Particolare attenzione sarà posta a come ciascuno studente mobilita e orchestra le proprie risorse – conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni – per affrontare efficacemente le situazioni che la realtà quotidianamente propone, in relazione alle proprie potenzialità e attitudini. Solo a seguito di una regolare osservazione, documentazione e valutazione delle competenze è possibile la loro certificazione, al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, attraverso i modelli che verranno adottati a livello nazionale. Le certificazioni nel primo ciclo descrivono e attestano la padronanza delle competenze progressivamente acquisite, sostenendo e orientando gli studenti verso la scuola del secondo ciclo”.

Nelle suddette Indicazioni nazionali, al termine di ciascuno dei tre percorsi, infanzia, primaria e media, non vengono indicate pertanto precise competenze, ma – in relazione ad attività per l’infanzia e alle singole discipline per la primaria e la media – “traguardi per lo sviluppo della competenza”.

Successivamente, con la cm 13 febbraio 2015, n. 3 si è deciso di procedere sperimentalmente alla certificazione delle competenze a conclusione della scuola primaria e della scuola media. Alla circolare sono allegate le opportune linee guida e due schede di certificazione, una relativa al termine della scuola primaria, la seconda relativa al termine della scuola media.

L’operazione avviata è di particolare importanza, in quanto il passaggio da processi di istruzione che generalmente si fondano su contenuti disciplinari e su apprendimenti di carattere cognitivo (la scuola del conoscere) a processi finalizzati, invece, a certificare competenze (la scuola del fare), non è affatto un’impresa semplice. In effetti si tratta di una “rivoluzione culturale” – se ci è è permessa l’espressione – che riguarda tutte le scuole dei Paesi ad alto sviluppo. Ed è anche vero che parlare di competenze a tutto tondo per adolescenti di 11 e di 14 anni non è affatto cosa facile, a meno che non si tratti di bambini prodigio, quali Mozart, Gauss, Pascal, Gauss, e forse anche Giotto e Leopardi, o di bambine, Maria Gaetana Agnesi! Comunque, è anche vero che è quanto mai necessario che insegnanti e alunni siano consapevoli di questo incremento che si sta verificando nei processi di insegnamento/apprendimento. Ed è per questa ragioni che le Indicazioni nazionali del primo ciclo non parlano mai di competenze a tutto tondo, ma di “traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e”. Analogamente accade per il modello di certificazione relativo agli undicenni e ai quattordicenni, in cui si indicano “profili di competenza”.

Nella citata cm 3, infatti, una scelta di questo tipo viene ampiamente giustificata. Ne riportiamo un passo significativo in tal senso, intitolato, appunto, “Il significato della certificazione”.

“La certificazione delle competenze assume, nelle scuole del primo ciclo, una prevalente funzione educativa, di attestazione delle competenze in fase di acquisizione, capace di accompagnare le tappe più significative (quinta classe primaria, terza classe secondaria di I grado per i soli alunni che superano l’esame di Stato) di un percorso formativo di base che oggi, partendo dall’età di 3 anni, si estende fino ai 16 anni. Non a caso, anche al termine di questo ciclo scolastico è previsto il rilascio obbligatorio di una certificazione delle competenze acquisite in relazione all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, al 16° anno di età (DM n. 9/2010). Analoga prescrizione riguarda la conclusione del percorso di studi del secondo ciclo.

“È da notare che le quattro tipologie di certificazioni previste dal nostro ordinamento (al termine della quinta classe primaria, della terza classe secondaria di I grado, della seconda classe secondaria di Il grado, della quinta classe secondaria di II grado) si caratterizzano, al momento, per diversità di impianto culturale e di formato amministrativo. Si rende quindi necessaria una loro armonizzazione, che ne consenta una chiara leggibilità da parte dei fruitori del servizio scolastico, in una ottica di comparabilità europea, rispettando le diverse finalità che la legge attribuisce alla certificazione delle competenze ai vari livelli di età.

“L’introduzione di modelli nazionali sperimentali nel primo ciclo risponde quindi all’esigenza di avviare questo processo di armonizzazione, molto atteso dalle scuole. La certificazione delle competenze non è sostitutiva delle attuali modalità di valutazione e attestazione giuridica dei risultati scolastici (ammissione alla classe successiva, rilascio di un titolo di studio finale, ecc.), ma accompagna e integra tali strumenti normativi, accentuando il carattere informativo e descrittivo del quadro delle competenze acquisite dagli allievi, ancorate a precisi indicatori dei risultati di apprendimento attesi.

“La certificazione si riferisce a conoscenze, abilità e competenze, in sintonia con i dispositivi previsti a livello di Unione Europea per le “competenze chiave per l’apprendimento permanente” (2006) e per le qualificazioni (EQF, 2008) recepite nell’ordinamento giuridico italiano. Questo ampio ancoraggio ne assicura una più sicura spendibilità nel campo della prosecuzione degli studi, della frequenza di attività formative diversificate e in alternanza, di inserimento nel mondo del lavoro anche attraverso forme di apprendistato formativo”.

Le schede relative alla certificazione, sia per la scuola primaria che per la media, pur diverse nei contenuti, presentano la medesima struttura: quattro colonne relative a: 1) profilo delle competenze; 2) competenze chiave; 3) discipline coinvolte; 4) livello di raggiungimento da parte dell’alunno. I livelli sono quattro: a) avanzato; b) intermedio; c) base; d) iniziale. La sperimentazione è inizialmente facoltativa e obbligatoria per il secondo anno. Si prevede che con il terzo anno scolastico, 1917, la scheda sia quella definitiva.

Va anche considerato il fatto che – come si suol dire – una competenza c’è o non c’è: abbiamo già fatto l’esempio di un idraulico, un medico, un odontotecnico, un avvocato. Tuttavia, è anche possibile indicare livelli di competenza, in genere tre, da un livello di base a un livello alto; ad esempio: essenziale, esperto, eccellente. La scelta operata per la certificazione al termine del primo ciclo è la seguente: A – Avanzato: L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi complessi, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità; propone e sostiene le proprie opinioni e assume in modo responsabile decisioni consapevoli; B – Intermedio: L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi in situazioni nuove, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite; C) – Base: L’alunno/a svolge compiti semplici anche in situazioni nuove, mostrando di possedere conoscenze e abilità fondamentali e di saper applicare basilari regole e procedure apprese; D – Iniziale: L’alunno/a, se opportunamente guidato/a,svolge compiti semplici in situazioni note.

Per quanto riguarda la conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, si rinvia alla cm 139/07 contenente il Regolamento e quattro allegati: 1) il documento tecnico, esplicativo del contesto in cui operare e del metodo da seguire; 2) un allegato contente quattro assi culturali pluridisciplinari: dei linguaggi; matematico; scientifico-tecnologico; storico-sociale; in ciascun asse sono descritte le competenze da conseguire in ordine a date conoscenze e capacità/abilità; 3) un allegato contenente le competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria: 4) un allegato contenente la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Va detto che le competenze relative ai quattro assi culturali costituiscono una rielaborazione delle competenze europee, operata per curvarle alla realtà del nostro sistema di istruzione. Va sottolineato che il certificato che le scuole avrebbero dovuto adottare per attendere alla certificazione è stato pubblicato tre anni più tardi con la cm 9 del 27 gennaio 2010 Così, per due anni scolastici i Consigli di classe hanno dovuto operare Inventando e sperimentando modelli di certificazione… faidate!

Per quanto riguarda la fine del secondo ciclo di istruzione, come abbiamo già detto in un precedente capitolo, si è in attesa che con un provvedimento ministeriale ad hoc sia proposto alle commissioni di esame un modello di certificazione delle competenze che di fatto attendiamo dall’anno scolastico 1998/99, primo anno della riforma degli esami di maturità. Alla fine del secolo scorso si è deciso correttamente quanto fosse vago e soggettivo elaborare un giudizio di maturità e quanto, invece, potesse essere produttivo certificare concretamente quali competenze il candidato avesse raggiunto, ma… com’è noto, l’attuale modello non certifica nulla se non punteggi raggiunti. Com’è noto, con il commi 180 e 181 della legge 107 il Miur è tenuto a varare un decreto legislativo che contenga l’atteso modello di certificazione [8]… anche perché – come si suol dire – ce lo chiede anche l’Europa, stante un mercato delle competenze e del lavoro che ormai va ben otre i confini del nostro Paese.

 

  1. Le competenze nella pratica scolastica

6.1- Curricolo e programmazione – si rinvia all’allegato “Per un curricolo verticale”

La metafora dei “verbi a colori”

E’ un dato di fatto che tra i concetti di conoscenza, capacità, abilità e competenza corrono profonde differenze. Il conoscere implica operazioni mentali; l’essere capaci implica potenzialità psicologiche, psicofisiche ed essenzialmente fisiche (ad esempio, curiosità, interesse, volontà a misurarsi; e, come si suol dire, possedere cuore, polmoni, mani e piedi ben funzionanti) c; quando poi tali potenzialità si esprimono correttamente e sono finalizzate a determinate operazioni, entriamo nel mondo delle abilità (manipolare correttamente, camminare, saltare, ecc.). Una competenza è infine l’esito di tutta una serie di operazioni pregresse che implicano, appunto conoscenze, capacità pro abilità nonché attitudini, voglia di fare, di misurarsi, di confrontarsi con i pari, ecc. assolutamente personali.

I nostri insegnanti sono abituati da anni alla programmazione per obiettivi e la raccomandazione che sempre si è fatta è che un obiettivo deve sempre indicare un’azione precisa e circoscritta, quindi misurabile e valutabile. Sostenere che l’obiettivo assegnato a Marco e da lui perseguito è quello di conoscere la prima guerra punica o il quadrato del binomio o la differenza che corre tra preposizione e congiunzione ha senso, ma in effetti molto limitato. La questione è un’altra: che cosa Marco deve concretamente fare per dimostrare di possedere quella data conoscenza? Per quanto riguarda la guerra punica, gli si potrebbe proporre un test di 20 item a quattro uscite ciascuno. In tale caso l’insegnante intende rilevare se Marco conosce circostanze, fatti, luoghi persone, ecc. di quella guerra, indipendentemente da un giudizio che su tale vicenda potrebbe esprimere e che è rilevabile con altri tipi di prova (ad es. una breve riflessione scritta, un saggio breve, un colloquio mirato). Per non dire delle abilità linguistiche e aritmetiche: fare la spesa al supermercato per la mamma ammalata! Esempi banali, ma la banalità è anche condizione essenziale per una futura complessità: il nostro alunno da grande potrebbe magari dirigere un supermercato!

Tutto ciò significa che, quando si propongono agli alunni obiettivi da raggiungere, è necessario preventivamente conoscere quali sono le operazioni che dovrà compiere, quindi i verbi da utilizzare, e quali tipi di reazione provocano nell’operazione che l’alunno è chiamato a svolgere.

Di qui la metafora dei verbi a colori. Possiamo distinguere, tra tutti i verbi del vocabolario, tre categorie: quella del conoscere, o delle operazioni cognitive; quella del sentire, o delle operazioni emotive, e quella del fare o delle operazioni concrete, visibili.

Il conoscere è un’operazione fredda, a tutti comune. Esempi: tre per tre è eguale a nove, per tutti; Dante ha scritto la Divina Commedia, per tutti; il Presidente della Repubblica oggi è Mattarella, per tutti. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un colore freddo, il blu. E’ la metafora delle operazioni del “cervello sinistro”: le successioni lineari, discrete, sequenziali (razionale, pratico, logico, lineare, analitico, aritmetico): ad esempio, quelle compiute da un orologio o da un contachilometri o da un termometro digitali.

Il sentire è un’operazione calda e differisce da persona a persona. Esempi: Dante non mi piace; la Commedia è un’opera meravigliosa! No, è un’opera oscura. Mattarella non mi piace! A me piace tantissimo. Antonio si innamora di Maria, che a Filippo non piace affatto. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un colore caldo, il rosso. E’ la metafora delle operazioni del “cervello destro”: spaziali, reticolari, continue (emotivo, creativo, immaginativo, intuitivo, olistico, allargato); le relazioni spaziali continue: ad esempio, un orologio con le lancette, un termometro al mercurio: il numero non appare sul display e dobbiamo ricavarlo dalla posizione assunta dalla lancetta o dal mercurio.

Il fare è un’operazione fisica visibile: camminare, mangiare, scrivere, correre, afferrare, lanciare. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un terzo colore, tipicamente naturale, il verde.

Ne consegue che le centinaia di verbi del nostro vocabolario possono essere allocati ciascuno nella sua propria categoria. Nel caso scolastico, ogni operazione effettuata da un alunno rientra in una delle tre categorie (contare = blu; immaginare = rosso; saltare = verde).

Ricorriamo ad alcuni esempi.

Rientrano nei verbi blu: discriminare, associare, ordinare, classificare, seriare, indurre, dedurre, elencare, estrapolare, eseguire procedure, applicare regole, misurare, sommare, sottrarre, dividere, analizzare…

Rientrano nei verbi rossi: intuire, immaginare, inferire, costruire mappe concettuali, relazioni, sistemi, amare, odiare, presentire, sognare, valutare, amare, odiare, annoiarsi, preferire, scegliere…

Rientrano nei verbi verdi: toccare, afferrare, maneggiare, camminare, correre, saltare, mangiare, bere, nuotare, spingere, evitare, aprire, chiudere, salire, scendere, accendere…

Si tratta di verbi non utilizzabili al fine di definire una competenza, che implica sempre il concorso di più operazioni insieme coniugate, cognitive, emotive, fattuali. Pertanto, sempre per rimanere nella metafora dei verbi a colori, potremmo dire che, perché una competenza si manifesti pienamente, occorrono azioni complesse, in cui figurino verbi che ne implichino altri e che potremmo definire tricolori.

Ecco qualche esempio molto casuale e non necessariamente scolastico; si noti come ciascun verbo implichi la presenza attiva di altri verbi “colorati”: cantare, aggiustare uno strumento complesso, suonare uno strumento, guidare un aereo, dipingere, costruire, dirigere una banca, cucinare, guidare un’automobile (la patente rilasciata non è altro che la certificazione di una competenza accertata), leggere (ovviamente non strumentalmente), scrivere (ovviamente non copiando), insegnare, progettare un ponte. Seguono alcune chiarificazioni: la lettura ad alta voce implica una conoscenza (il puro e semplice riconoscimento delle lettere che compongono le singole parole), un’abilità fonica (se hai mal di gola, la voce non funziona); insegnare implica la conoscenza corretta del contenuto che gli alunni devono apprendere nonché le abilità di parlare, scrivere, usare le Tic.

Comunque, se si vogliono esempi più mirati, si vedano le Linee guida degli istituti tecnici e professionali, soprattutto per quanto concerne la fine del quinto anno di studi. Ogni competenza opportunamente descritta si raggiunge a condizione che il soggetto abbia acquisito date conoscenze e date abilità. Va sottolineato che si tratta di competenze in genere disciplinari (il nostro sistema di istruzione è tuttora organizzato per discipline e relative classi di concorso), quando, in effetti una competenza implica sempre il concorso di più discipline.

Per quanto riguarda la valutazione di un competenza, onde evitare confusione con la valutazione degli apprendimenti, è sempre bene parlare di procedure da adottare per l’ACCERTAMENTO e di procedure per la CERTIFICAZIONE. Si possono immaginare due strade per la certificazione. La prima è la risultante di una serie di continue attenzioni, sollecitazioni, correzioni, valorizzazioni ecc. esercitata da uno o più insegnanti su un determinato allievo: la condizione primaria è che l’insegnamento condotto anche e soprattutto in tempi lunghi (nel caso dell’istruzione superiore si ha a disposizione un interro quinquennio) sia finalizzato a promuovere reali competenze e non si limiti a valutare solo l’acquisizione di conoscenze; la seconda si ha quando uno o più soggetti esterni sono chiamati ad esaminare, valutare e certificare l’avvenuto raggiungimento e consolidamento di un competenza data: ad esempio, la patente automobilistica. Nel nostro esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione concorrono le due modalità, rappresentate dai tre commissari interni e dai tre commissari esterni: il presidente è garante della correttezza delle operazioni svolte, delle valutazioni effettuate e della certificazione delle competenze che si sono accertate.

Per concludere, si pensi sempre che, mentre un compito scolastico può andare “bene” o “male” (e i voti sono graduati dall’uno al dieci, dal meno al più [9]), una competenza c’è o non c’è. Nella pratica scolastica, comunque, si è optato in genere per graduare tre livelli di successo: di base, intermedio e avanzato; nel caso del primo ciclo, come abbiamo visto. i livelli sono quattro. Ma si possono avere anche altre soluzioni: ad esempio il portfolio europeo delle lingue si sviluppa su tre livelli, ciascuno dei quali è poi diviso in due: quindi i livelli sono addirittura sei.

(*) estratto da Maurizio Tiriticco, Salvatore Pace, “Professione docente nel nuovo sistema di istruzione”, Tecnodid, Napoli, 2016


[1] Però chi insegna matematica o filosofia non sa nulla di docimologia. Manca nelle scuole una cultura della valutazione.

[2] Una Raccomandazione non è di per sé vincolante, ma consente alle istituzioni europee di rendere note le loro posizioni e di suggerire linee di azione senza imporre obblighi giuridici a carico dei destinatari. Nel nostro caso, le due Raccomandazioni costituiscono importanti linee d’azione per tutti i 28 sistemi nazionali europei di istruzione generalista e di formazione professionale.

[3] L’obbligo di istruzione fu innalzato da cinque a otto anni con la legge 1859 del 1962. L’innalzamento da otto a dieci anni è stato introdotto con l’articolo 1, comma 622 della legge 296 del 26 dicembre 2006, “finanziaria 2007”, e reso applicativo con i ddmm 139/2007 e 9/2010.

[4] Nella comunicazione interpersonale un dato è una singola parola, casa, il, tornare, nostro, Giuseppe, allora, amico, ecc. tra le migliaia che ritroviamo in un comune vocabolario. Si ha una informazione quando alcune parole sintagmaticamente organizzate esprimono un contenuto afferente a una data situazione. Ad esempio: il nostro amico Giuseppe è tornato a casa. Un soggetto ap-prende quando interiorizza dati e/o informazioni; com-prende quando è in grado di interiorizzarli unitariamente, elaborarle, estrapolarne altre e così via. In effetti, apprendo come si sommano più numeri; comprendo quando faccio la spesa al supermercato sapendo quanto posso spendere. Si opera proceduralmente quando apro la porta di casa, quando accendo la luce, metto in moto l’automobile. Si hanno invece situazioni problematiche, se ho perduto la chiave di casa, se la luce non si accende, se l’automobile non parte.

[5] La capacità è la possibilità che un soggetto ha di compiere un atto; l’abilità è il compimento dell’atto. Ho le gambe (capacità) e cammino (abilità). Ma, se mi si rompe una gamba, viene meno la capacità e, di conseguenza, non sono abile a camminare.

[6] Fa al nostro caso questa barzelletta. In un processo di omicidio un avvocato di grido e di grande esperienza lancia accuse terribili verso l’imputato. A un certo punto l’assistente comincia a tirarlo per la giacca più volte, ma l’avvocato continua imperterrito nella sua arringa. Al termine chiede all’assistente le ragioni di tanta insistenza: “Avvocato, ma noi siamo la difesa dell’imputato, non l’accusa”. L’avvocato con estrema disinvoltura riprende la parola ed esclama: “Questo è quello che avrebbe detto il mio avversario…ma noi che siamo la difesa…” e procede smontando tutte le accuse che prima aveva lanciato. Il massimo della personalizzazione della competenza!

[7] Si veda il relativo Regolamento pubblicato con decreto del Miur n. 254 del 16 novembre 2012.

[8] Testualmente leggiamo che necessita “la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87,88 e 89”.

[9] Nella nostra pratica valutativa, i dieci voti non consentono mai di individuare una soglia intermedia: i primi cinque indicano esiti negativi; i secondi cinque indicano esiti positivi. Nella scala quinaria internazionalmente adottata, invece, la posizione sufficiente è indicata dal numero tre. Quante discussioni si eviterebbero nei nostri consigli di casse finali, quando è sempre difficile decidere se un cinque debba essere “portato” a sei! Ma nella scuola italiana in effetti i voti non sono dieci: si pensi ai mezzi voti, ai più, ai meno meno, ecc. Eppure la norma è chiara. I voti sono i primi dieci numeri interi. Si vedano il dpr 122/2009 concernente il Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia e il dpr 80/2013 concernente il Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione.

Lettera aperta ai sindacalisti della scuola

Lettera aperta ai sindacalisti della scuola

di Maurizio Tiriticco

Cari amici dei sindacati della scuola!

So che i problemi della categoria sono tanti e che al PROSSIMO INCONTRO MIUR-SINDACATI non ci sarà tempo per porre sul tappeto altri problemi, i quali, poi, non sarebbero strettamente di natura sindacale, però… come sapete, ESISTONO ANCHE LE CONDIZIONI CON CUI GLI INSEGNANTI SVOLGONO IL LORO LAVORO nel vis à vis quotidiano con gli alunni, nonché le CONDIZIONI DI APPRENDIMENTO di questi ultimi.

Un problema – a mio vedere – grosso come una casa, è quello di cominciare a pensare VERAMENTE a realizzare quel CURRICULO verticale, unitario e progressivo che riguarda tutti i DIECI ANNI dell’istruzione obbligatoria, come previsto dalla normativa (L. 296/2006, art. 1, comma 622 e dm applicativo 139/2007). Attualmente, come sapete, i primi dieci anni di istruzione sono frammentati in tre tronconi, scuola primaria, scuola media, primo biennio; e questi, peraltro, MOLTO DIFFICILMENTE interagiscono tra loro! C’è poi quell’esame di terza media che non si può sopprimere perché conclude un ciclo di studi e la Costituzione prevede che al termine di ogni ciclo ci sia un ESAME DI STATO! Un esame che di fatto interrompe la progressività e la continuità di un percorso che dovrebbe essere invece, unitariamente, di “educazione, formazione e istruzione” (dpr 275/99, art. 1, c. 2).

Poi, ciò che accade nelle scuole è noto! I maestri fanno i maestri! I professori della media pensano solo all’esame finale! I professori del biennio pensano solo a non fare “brutta figura” con i colleghi del triennio e si lamentano dell’ignoranza dei nuovi arrivati. Il ritornello ricorrente è: “ma come hanno fatto a dare la licenzia media a questi somari”?

Insomma, il decennio obbligatorio, verticale, progressivo, ecc, come previsto dal dm 139/2007, concernente il “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” è sempre un’araba fenice! Obbligo, poi, che molti scorrettamente si ostinano a chiamare obbligo scolastico! In effetti, i nuovi nati non sono obbligati a frequentare la scuola, perché c’è anche l’istruzione parentale, ma ad essere istruiti per almeno dieci anni. Per non dire poi dell’obbligo formativo! “E’ assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età”. Così recita la legge 53/2003 all’articolo 2, c. 1, c. Purtroppo, è’ scontato! Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? In tutti i miei incontri con gli insegnanti del decennio obbligatorio, nessuno di loro – tranne qualche rara avis – ha percezione, contezza e conoscenza di ciò che comporta un ciclo DECENNALE OBBLIGATORIO di studi. In effetti, gli insegnanti dell’istruzione primaria, in larga maggioranza, non conoscono il citato dm 139/2007 né le OTTO COMPETENZE DI CITTADINANZA né le SEDICI COMPETENZE CULTURALI (esito di un progress di conoscenze e capacità/abilità, chiaramente definite dalla norma e distinte in quattro assi, dei LINGUAGGI, MATEMATICO, SCIENTIFICO-TECNOLOGICO, STORICO-SOCIALE), COMPETENZE che i loro alunni dovranno conseguire al termine dell’obbligo decennale di istruzione, ai 16 anni di età, salvo bocciature in itinere. Il che significa che le programmazioni educative e didattiche da loro formulate non vanno oltre l’ambito del ciclo primario di istruzione; né oltre la conclusione della scuola media; né oltre la conclusione dell’obbligo di istruzione! Una visione prospettica di insieme nel tempo è quindi assai carente!

Non dico nulla dell’EQF, European Qualifications Framework, ovvero del Quadro Europeo delle qualifiche e di qualsiasi altro titolo di studio! E neppure degli otto livelli in cui tale struttura è distinta! Quale insegnante italiano sa che la licenza media corrisponde al primo degli otto livelli dell’EQF? Che la certificazione dell’obbligo di istruzione corrisponde al secondo livello dell’EQF? Che l’esame conclusivo degli studi secondari di secondo grado (che gli ignoranti continuano a chiamare “esame di maturità”: chiaro segnale che non hanno neanche percepito la natura e il fine del cambiamento, di cui alla legge 425/1997) corrisponde al quarto livello dell’EQF? Insomma, noi italiani che abbiamo scritto quel famoso Manifesto di Ventotene, di Europa sappiamo poco o nulla! E ciò non solo mi fa molto pensare, ma mi infonde anche tanta amarezza!

Non abbiamo una scuola a DIMENSIONE EUROPEA! Abbiamo una scuola che si arrabatta, stretta OGGI dai tanti laccioli della 107… e dintorni! Comunque, entro gennaio dovremmo avere i nove decreti delegati!!! Che cosa mai combineranno i nostri eroi del Miur?

Confesso di essere veramente preoccupato!

Un ministro dell’Istruzione molto sui generis!

Un ministro dell’Istruzione molto sui generis!

di Maurizio Tiriticco

Ho letto il DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei senatori FEDELI, MARCUCCI, PUGLISI, LANZILLOTTA, BONFRISCO, DE PETRIS, DE PIETRO, BATTISTA, BOCCHINO, ALBANO, AMATI, BORIOLI, CANTINI, CUOMO, D’ADDA, DI GIORGI, FABBRI, FASIOLO, FERRARA, FAVERO, GIACOBBE, IDEM, LAI, LO GIUDICE, MANASSERO, MATTESINI, MATURANI, ORRÙ, PARENTE, PEZZOPANE, PUPPATO, RICCHIUTI, RUSSO, RUTA, SCALIA, SPILABOTTE, VACCARI, VALDINOSI, ZANONI e PIGNEDOLI.

Sessanta senatori, se non ho contato male, presentano una legge il cui contenuto è il seguente: “introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. Siamo alla pura follia! Il nostro “sistema educativo nazionale di istruzione e formazione” e, soprattutto, i nostri alunni hanno bisogno di una scuola che funzioni e che faccia crescere il livello culturale dell’intera popolazione, tra i più bassi in Europa e nel mondo. La cosiddetta “‘educazione di genere” è una invenzione balorda – è un aggettivo che non uso mai, ma purtroppo rende – che rischierebbe di far precipitare i nostri alunni maschietti e femminucce, fin dalla più tenera età a doversi chiedere: ma sono veramente maschio? Ma sono veramente femmina? Invece di imparare i fondamenti della nostra lingua e del nostro pensare matematico. Materie in cui siamo tra gli ultimi tra i Paesi dell’Ocse.

So benissimo che interrogativi di questo genere alcuni bambini/e e ragazzi/e se li pongono – e a volte anche drammaticamente – quando avvertono un non completo riconoscimento nella identità sessualità naturale; ma si tratta di casi rari che sarebbe semplicemente folle sollecitare presso gli alunni tutti di una data classe! Guai a proporre interrogativi ansiogeni di questo tipo. Leggere, scrivere e far di conto sono da sempre e devono continuare ad essere le attività e gli obiettivi fondanti della nostra scuola, anche e soprattutto in considerazione del fatto che noi italiani siamo tra gli ultimi in Europa a saper leggere e scrivere! E a far di conto! Si legga l’ultimo rapporto Ocse! C’è da piangere! Il nostro sistema di istruzione non eccelle!

Pertanto, cari senatori firmatari di questo disegno di legge assurdo, pensate, piuttosto, ai problemi reali della nostra scuola, non a queste paccottiglie subculturali! E sembrerebbe anche che si dovrebbero produrre libri di testo per i maschi e libri di testo per le femmine!!! E forse bisognerebbe anche tornare ai ferri da lana per le femminucce e ai cacciavite e martelli per i maschietti? Mi ricordano tanto le “applicazioni tecniche”, poi “educazione tecnica” nella scuola media di un tempo, con attività distinte per i maschi e per le femmine! Vogliamo veramente tornare indietro? Mah!!! Detto questo, insomma, chi ci salva dalla nostra ministra Valeria Fedeli? Che della teoria gender sembra una convinta fautrice? Ma di chi è stata l’idea di chiamare una persona di questo tipo a dirigere un ministero così difficile e complesso come il Miur? Ma il nostro panorama culturale è davvero così scarso? Non c’era un/a uomo/donna di un certo livello culturale che potesse ricoprire l’incarico di Ministro del Miur? La Giannini aveva tanti difetti, ma era glottologa, docente universitaria e rettore dell’Università per stranieri di Perugia. Certamente, non sono i titoli che contano! Mario Lodi, semplice maestro, sarebbe stato un buon ministro! E forse anche Don Lorenzo! Bè! Forse… No!

Cari sessanta Senatori sessanta! Non menate il can per l’aia! Non pestate l’acqua col mortaio! I problemi della nostra scuola non sono quelli del “sono maschio” e/o “sono femmina”!!! Sono ben altri! In parte vengono da lontano, in parte purtroppo sono provocati anche dall’applicazione di una legge infausta – la 107 con i suoi nove decreti applicativi, ancora da scrivere… entro gennaio… ci sarà da piangere – la quale, invece, li avrebbe dovuti risolvere.

Ora chiudo e debbo firmare! Santo cielo! Sono Maurizia o Maurizio Tiriticco? Mah! Che il/la nuovo/a ministro/a mi aiuti!

Ancora un ministro a cui occorrerà insegnare tutto!

Ancora un ministro a cui occorrerà insegnare tutto!

di Maurizio Tiriticco


Sono veramente indignato! Sto pensando al fatto che all’istruzione collocano sempre persone a cui bisogna “insegnare” tutto prima che facciano pasticci… Con tutta la stima che posso avere per la biografia della persona in questione! Indubbiamente eccellente, ma… che ci azzecca con la scuola? Mah!!! Bastaaa!!! Sono anni che all’istruzione sono nominati “incompetenti”, nel significato sostanziale del termine!!! E noi, invece, nelle scuole reali di competenze dobbiamo riempire le teste dei nostri insegnanti e dei nostri studenti!

Siamo alle solite. L’istruzione non la vuole nessuno, ed è solo uno scomodo scalino per volare più in alto… il primo gradino del cursus honorum! E poi non ci lamentiamo se le conoscenze – non voglio tirare in ballo competenze – in materia di literacy e di numeracy dei nostri studenti sono ai posti più bassi delle scale internazionali! Lo so! Il governo attuale avrà durata breve, per cui tanti pasticci la neoministra non avrà tempo per farli! Consolamose co’ l’aglietto! Come diciamo a Roma. Resta il fatto che l’istruzione non è un settore governato! Insomma dell’istruzione ai nostri politici non importa assolutamente nulla! Ma ci vuole solo un governo autoritario come quello fascista perché l’istruzione assuma una certa importanza? Anzi, non si trattava solo di istruzione, ma di “educazione nazionale” – libro e moschetto fascista perfetto… Era un regime dittatoriale, e tutto era più che giustificato! Ma anche il nostro è un Regime, un Regime democratico, garantito dalla nostra bella Costituzione! Pertanto, in un Regime Repubblicano e Democratico l’istruzione, l’educazione, l’istruzione e la fomazione sono – o devono essere – le tre leve che possono e debbono garantire il successo formativo di tutti i cittadini, nessuno escluso! E’ un impegno che abbiamo assunto con il varo dell’autonomia! In effetti, è solo un alto livello di istruzione, educazione e formazione che ci può difendere da una corruzione diffusa e da una malavita ormai più che dilagante, da nord a sud in tutti settori pubblici e privati.

Eppure, fino alla fine del secolo scorso alla scuola e al suo necessario rinnovamento ci credevamo, e come!!! Grandi riforme negli anni Settanta e Ottanta! E poi invece… con l’avvento del nuovo Millennio – che parola augurale! – uno stillicidio di ministri incompetenti e pasticcioni! E’ ormai maturato un quindicennio di mode, dalle UDA e dai portfolii fino ai RAV e ai PDM… e poi ogni ministro vuol dire la sua, ci sta poco ma una traccia la deve lasciare, qualunque essa sia… chi non vuole passare alla storia? C’è passato anche Mastro Titta con le sue centocinquanta teste e passa tagliate con il papato di Pio IX… I nostri ministri PI? Una serie di Mastro Titta… le teste si possono mozzare anche mandando la nostra scuola pubblica a ramengo! E i nostri insegnanti a correre di qua e di là per riempire carte su carte sempre nuove piene di adempimenti. Che tristezza!

Ed ora, dopo la 107, che cosa ci aspetta? La neoministra si darà un gran da fare – conosco i rituali – auscultazioni a non finire, sindacati, associazioni, autorevoli personaggi della cultura – se ci sarà tempo – perché gli scatolini – anche se ancora vuoti – sono davanti alle porte di tutti i ministeri… Caro Matteo! Saranno in tanti a seguirti… tra qualche tempo…un pellegrinaggio…

E poi e poi e poi, elezioni dopo elezioni avremo sempre nuovi ministri IUR, con tanto di curricoli uno “più migliore” di un altro, ma… forse un ministro semplicemente competente non lo avremo mai! Eppure, la competenza la pretenndiamo anche dai bambini della primaria… che strano Paese… un Paese proprio sbagliato, parafrasando Mario Lodi.

Cara Alessandra!

Cara Alessandra!

di Maurizio Tiriticco

 

Sono anni che ti conosco e sono anni che con l’ADI ti occupi di istruzione e di formazione anche a livello internazionale. Odio da sempre il fatto che i dicasteri siano ricoperti da politici e mai da esperti! Ai quali politici, poi, gli esperti debbono esprimere pareri, spesso inascoltati. E poi tocca a te, Alessandra, raccogliere i dati internazionali sull’istruzione e verificare che il nostro “Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione” – parole grosse e impegnative – va sempre peggio o quasi! Istituti all’avanguardia li abbiamo, ma sono pochi a fronte di un sistema che sistema non è affatto!!! Per cui, si continua come sempre! Le tre C che da sempre odio! Classe, Cattedra, Campanella! Che nessuno ha il coraggio di mettere in discussione e che irrigidiscono la nostra scuola. E’ inutile produrre pagine e pagine di Linee guida e di Indicazioni nazionali, quando poi la struttura organizzativa è quella di sempre!

Il dramma è anche costituito dal fatto che il dicastero dell’Istruzione non lo vuole nessuno, se non i principianti della politica che si debbono accontentare… sperando in un “futuro migliore”! Il Miur come trampolino di lancio! Per un certo Gentile, però, non fu così! Fu la scuola che venne rilanciata (a prescindere da giudizi di valore), non la persona! E poi arrivano i dati internazionali che tu commenti con tanta competenza! E sono decenni che andiamo avanti così… Un’altra constatazione: le prove Invalsi, odiate, temute, rigettate, sempre mal digerite!!! E’ ovvio che una scuola che non si adegua in materia di procedure misurative oggettive e che da sempre è abituata alle valutazioni caserecce… cinque più, sei meno, quattro e mezzo… non le capisce e le rifiuta come un’odiata annuale interferenza!!!

Insomma, è tutto risibile!!! Eppure si procede così da sempre!!! E poi vengono i dpr sulla valutazione, il 122/09, che non modifica e non innova nulla… e poi vengono i modelli di certificazione delle competenze alla fine della scuola primaria e della suola media! Li hai letti? Un monstrum!!! Competenze a proposito di bambini di 11 e di 14 anni??? Io e te abbiamo frequentato tante scuole, ma non siamo mai diventati “competenti”!!! Ma si sa che cosa è una competenza??? Se ne può parlare solo al termine del decennio di istruzione obbligatoria (dm 139/07)… prima è risibile… insomma possiamo dire che un bambino, quando riesce a mangiare la minestrina con il cucchiaio senza sbrodolarsi troppo è competente??? E i numerosi gradini precedenti di capacità/abilità dove li mettiamo? Insomma, si gioca con le parole, con il concetto di competenza e con quello di certificazione… e i poveri insegnanti attaccano il somaro dove vuole il padrone! E il che è gravissimo, perché operazioni che potrebbero essere interessanti e significative, sono solo noiosissimi adempimenti formali!

Carissima! A quando Alessandra ministra Miur? Ed io sarei un affettuoso “amico critico”! Crisi di governo!!! Vediamo che cosa ci regaleranno come Ministro/a all’IUR…

Lettera a Giancarlo Cerini

Lettera a Giancarlo Cerini

di Maurizio Tiriticco

Carissimo! Ecco il mio intervento all’evento del 12 dicembre, a Firenze, sul tema “Valutazione degli studenti, certificazione delle competenze”, di cui mi hai inviato l’invito.

Come sai, io sono molto critico riguardo a competenze raggiunte da minori alla fine della scuola primaria e della secondaria di primo grado. La competenza è una “cosa seria”! Non bisogna seguire la moda! Né giocherellarci! Altrimenti, anche a un bambino di due anni potremmo chiedere di aver raggiunto competenze! Che bello! Un bambino di 3/5 mesi “riesce ad afferrare oggetti, a scuoterli, a portarli alla bocca”. Ho copiato dal web! Ma questa sarebbe una competenza? E non, invece, l’esito di una serie di abilità, manifestate perché il bambino ha maturato e raggiunto le relative capacità? Capacità pro abilità! Comunque, ormai, avete prodotto quelle schede ignobili… per la primaria e la media… ovviamente perché gli asini si appendono dove vuole il padrone. Però, quando il padrone è una Giannini, occorrerebbe prendere le dovute distanze!

Io le presi anche da Berlinguer, quando nell’agosto del ’96 varò l’ennesima “nuova scheda di valutazione per la scuola dell’obbligo”, con la quale non ero affatto d’accordo! E non ero solo! Eppure siamo amici e parenti! Mah! Ormai, purtroppo, i giochi sono fatti! “Uno spettro si aggira” – non per l’Europa, fortunatamente – ma per tutte le scuole italiane: e non è il comunismo, ma la COMPETENZAAA!!! Che dire ormai? Avete voluto giocare con parole/concetti grossi e importanti e, purtroppo, dobbiamo far giocherellare anche i nostri insegnanti, i quali poi mi dicono sempre: “Ispettore, ma allora fino a ieri abbiamo insegnato male, non certificando competenze”?

Chissà se i nostri maestri, Mario Lodi, Gianni Rodari, Don Lorenzo, Bruno Ciari, Alberto Manzi, Alexander Neill (ti ricordi? Per lui non esistevano bambini difficili! Che cosa avrebbe detto ora dei nostri BES??? Che sono stati una bella invenzione di Dario Ianes).si sono mai preoccupati di certificare competenze! Ma neppure un Freinet, che pure faceva “lavorare” i suoi alunni di scuola elementare con una vera e propria tipografia! Hai voglia a competenze in questo caso! Ma erano tutti maestri veri, troppo seri perché potessero giocherellare con certificazione di competenze!!! In realtà, non dovremmo giocare con parole difficili e complesse con bambini che stanno crescendo! Altrimenti per le professionalità di un ingegnere o di un ragioniere o di un urologo di che dovremmo parlare? Competenze al quadrato? O alla terza? Mah! Comunque, se vi piace giocare…

Tu ed io, quando insegnavamo, non pensavamo affatto a competenze! Ciò significa che è bene non menare il can per l’aia ed essere seri. Le prime ed uniche competenze da certificare, di cittadinanza e culturali sono quelle di fine obbligo! Ma parliamo di sedicenni!!! Parlare di competenze prima di questa scadenza significa solo creare difficoltà ad alunni e insegnanti… però… se il Miur ci propone questa minestra, mangiamocela! E facciamola mangiare anche agli insegnanti, agli alunni e ai loro genitori!

Carissimo! Sono tutti cascami che stanno facendo a pezzi una scuola che, prima – sono stato ispettore anche per la scuola media – funzionava! Meglio? Non so, ma funzionava. Io e te abbiamo pure scritto un libro sulle “nuove schede di valutazione”… ti ricordi… ma poi ne sono arrivate altre… e la nostra fatica si è invecchiata nel giro di una notte! E da allora la scuola va a picco, e la 107 ne segna il de profundis! Comunque, tutte occasioni per convegni, attività di FORMIS, formazione in servizio, ora obbligatoria! Non cesserai mai, non cesserò mai, di girare scuola per scuola a spiegare il Verbo… oggi, quello della 107… ieri quello – certamente molto più serio e produttivo – dei “nuovi programmi” della scuola media del ’79 – benedetto Pedini – e della scuola primaria dell’85! Benedetta la Falcucci! Tuttavia, certi Verbi non vanno solo spiegati (che bello un convegno! Il tavolo della presidenza! Il relatore! Gli insegnanti pronti a prendere appunti… e giù applausi…), ma anche criticati! E ciò che fa questa ministra è solo criticabile! Era necessaria una 107? O sarebbe stato necessario, invece un serio riordino dei curricoli? Ma, che cos’è un curricolo? Eppure, quanto ha scritto in materia la nostra Clotilde Pontecorvo! Mah! Penseranno in tanti! Chi è costei?

Di qui, quindi da zero, occorrerebbe ripartire! Mah! Io non so come andrà a finire questa crisi di governo. Ma, se tu dovessi diventare ministro, nominami sottosegretario… e mi dirai: “Se sbaglio, mi corigerete”, come disse il Cardinale Wojtyla quando fu eletto Papa! Buon lavoro, Giancarlo! Con l’affetto – sempre critico – di sempre!

Maurizio