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Conversando con Alessandra

Conversando con Alessandra Cenerini, presidente dell’ADI

di Maurizio Tiriticco

Carissima!

Rispondendo alla tua bella lettera su curricolo e dintorni, voglio dirti che io il curriculum lo ripropongo da sempre quando vado nelle scuole, ma mi accorgo che in materia di curricolo e di progettazione educativa e didattica c’è una grande ignoranza! Per non dire poi di misurazione e valutazione… lascio perdere la certificazione delle competenze!!! Troppo complicata per la stragrande maggioranza degli insegnanti! Poi, per quanto riguarda gli esami di Stato finali della secondaria di secondo grado, nulla ancora in materia di certificazione… anche se dal ’99 (legge 425) la norma, all’articolo 6 prescrive che “il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”.

Quindi, la norma da 17 anni prescrive che siano certificate le competenze, ma quali? Le Linee guida degli istituti tecnici e degli istituti professionali, in una certa misura, si esprimono in materia, ma le Indicazioni nazionali per i licei le ignorano, fatto salvo quel passaggio, di cui all’Allegato A del dpr 89/10 in cui vengono indicati i “risultati di apprendimento comuni a tutti i percorsi liceali, distinti in cinque aree: 1) metodologica, 2) logico-argomentativa, 3) linguistica e comunicativa, 4) storico-umanistica, 5) scientifica, matematica e tecnologica”. Tra parentesi: hai mai assistito, in sede di esame di Stato, a un “colloquio pluridisciplinare”, come prescritto dalla legge? Nulla di fatto! Ciascun commissario “interroga” nella sua materia! Il fatto è che la concezione stessa di pluridisciplinarità è molto molto carente! In parte lo capisco: dopo tredici anni di insegnamenti sputatamente disciplinari – dalle 9 alle 10, italiano; dalle 10 alle 11 matematica e così via – è difficile anche il solo pensare alla pluridisciplinarità! E figuriamoci se dovessimo parlare di inter- o di trans-disciplinarità!!! Eppure, quando innaffi la tua pianticella nel vaso del tuo balcone… quante discipline entrano in campo!!! E non lo sai!!!

Quindi, non è non è un caso che tutti continuino a chiamarli esami di maturità!!! Di fatto sono un aborto! Non sono né di maturità né di certificazione delle competenze. Per non dire, poi, di quanto sia casareccia la certificazione delle competenze alla fine della scuola primaria (competenze a 11 anni? E’ solo risibile) e media (anche qui, risibile!!!). Hai letto i documenti certificativi dei primi due gradi di istruzione? Una presa in giro! Ma chi ha scritto queste ignobili cose? Le competenze sono una cosa seria! E ne possiamo parlare solo alla fine di un decennio di istruzione obbligatoria! Quando si compiono i 16 anni di età. Parlarne prima è solo risibile! Però, che cosa succede alla fine del biennio? Nulla di nullaaa!!! Nessun insegnante conosce il dm 139/07!!! Che tristezza!!! Europa? EQF? Misteri!!! Perciò la certificazione delle competenze sui riduce a un mero adempimento burocratico! Attacco il somaro dove vuole il padrone! Insomma, il Miur non ne capisce nulla e le scuole, sole, sono solo allo sbando. Poi arriva l’Ocse e ci bacchetta!!! E ci bacchetterà ancora!!! Di tutto questo la colpa, però, non è “solo” degli insegnanti! A mio vedere, è tutta la politica scolastica che è “strabica”e “stravagante”. Con La Buona scuola, gli anonimi redattori (non hanno avuto il coraggio di apporre ciascuno la propria firma?!) si sono inventati una scuola che non c’è, me che è passata come una schiacciasassi su quella scuola sulla quale persone come noi hanno tanto lavorato!!! La legge 107, poi, ha inviato dei messaggi distorti e ha proposto alle scuola dei savoir faire molto lambiccati e stravaganti. Tra RAV e PDM e carte varie, che ne esce fuori? Che gli insegnanti scrivono scrivono scrivono cose che nessuno legge! Ne risulta che tutti i decenni che abbiamo impiegato con le scuole sui temi della progettazione e della valutazione sono stati di fatto cancellati.

Le scuole le vedo alla sbando, per cui ciascun insegnante coltiva il proprio orticello. Consigli di classe? Non sono “gruppi di lavoro”! Sono incontri occasionali in cui ci si lamenta di Antonio o di Maria!!! E poi arrivano le prove Invalsi! Un dramma per gli insegnanti! Il fatto è che gli amici dell’Invalsi sanno tutto in materia di misurazione e valutazione, ma gli insegnanti nulla! Quando ho a che fare con loro, dico sempre che la valutazione è una disciplina come l’italiano, la matematica, ecc. per cui VA STUDIATA (ricordi il buon Gattullo, tra i primi a parlarne qui in Italia, investito e ucciso mentre andava in bicicletta?) e che non è una cosa che si inventa quando si corregge una prestazione (pardon! Interrogazione o compito in classe!) o quando si deve decidere una promozione o un recupero. L’insegnante italiano non è capace di produrre un test od una prova semistrutturata… sono tutte parolacce. Sono una perdita di tempo! E poi si tratta solo di crocette!!! Gli alunni se le copiano!!! Ecco perché si continua con la solita solfa: spiegazione, compito, ovviamente ora a casa, ora in aula (non in classe, che è un’altra cosa!), interrogazione. Ciò non toglie nulla, però, alle sperimentazioni interessanti e produttive che si effettuano in alcuni istituiti secondari superiori. Conosco ciò che fa Salvatore Giuliano a Brindisi! E ci sono poi tanti istituti e tanti insegnanti che conosco e che ce la mettono tutta! Ma, a fronte della realtà nazionale, sono rarae aves.

Carissima! Non so che dirti! I tempi per la nostra scuola sono OGGI tristissimi! Comunque, grazie per quanto fai da sempre con l’ADI e con tutti gli amici di questa bella organizzazione! Tieni duro! Teniamo duro! Il domani è sempre un altro giorno!

Un abbraccio! Maurizio

Una lingua in decadimento?

Una lingua in decadimento?

 di Maurizio Tiriticco

A tutti è noto che la competenza linguistica è costituita delle seguenti abilità: ascoltare, parlare, leggere, scrivere, tradurre (da una lingua a un’altra, da un dialetto a una lingua), transcodificare (tradurre in lingua messaggi non verbali). Un parlante normale, dalla nascita alla maturità, apprende nella misura in cui il “campo di comunicazione” glielo consente. Tale campo è dato dai parlanti che lo allevano fisicamente e lo “alimentano linguisticamente”, dalla madre e dal padre, nonché dal gruppo parentale e dal milieu socioculturale in cui il nuovo nato cresce, si sviluppa e apprende. Ad ambiente “povero” sotto il profilo della elaborazione linguistica corrisponde un apprendimento povero e viceversa.

Si tratta di studi ormai datati. Già negli anni Sessanta dello scorso secolo il ricercatore inglese Basil Bernstein aveva individuato essenzialmente due codici linguistici. Uno è il codice “elaborato”, ricco sia sotto il profilo del vocabolario (un alto numero di parole note e correttamente utilizzate) che della grammatica (un ampio uso soprattutto delle proposizioni subordinate); l’altro è il codice “ristretto” (un numero basso sia di parole che di legami sintattici). Per quanto riguarda un nuovo nato, questi è “fortunato”, se nel corso del suo apprendimento e sviluppo linguistici vive, cresce, opera e apprende in un ambiente socio-familiare linguisticamente ricco; altrimenti è dichiaratamente “sfortunato”. Occorre anche sottolineare che l’imprinting linguistico avviene nei primissimi mesi dopo la nascita. Pertanto ad un milieu sociofamiliare povero corrisponde uno sviluppo linguistico povero e viceversa.

Queste annotazioni le sto facendo perché negli ultimi tempi la televisione – grande veicolo di apprendimento linguistico per chi vede/ascolta; e, di fatto, anche di apprendimento comportamentale – ci espone sempre più ad una sorta di progressivo impoverimento linguistico. Ma non è stato sempre così. Tutti – proprio tutti, forse, no – ricordiamo la TV degli anni Cinquanta dello scorso secolo, quando il maestro Manzi con la pazienza tipica dell’insegnante elementare convinto del suo ruolo, insegnava a leggere, scrivere e far di conto, con tanto di gesso e di lavagna (ma usò anche la lavagna luminosa!!!) ai tanti italiani che non avevano fruito di un’istruzione di base efficace. Oggi un maestro Manzi sarebbe impensabile! Ormai tutti, proprio tutti, leggono, scrivono e fanno di conto, dato l’uso diffuso di tablet e cellulari (che, forse, indirettamente, insegnano più della scuola!!!). Ma c’è lingua e lingua! C’è una lingua che è strumento del pensiero, quindi di arricchimento culturale, e una lingua che, invece, è mero consumo del trito, se non addirittura del… nulla! C’è una competenza linguistica funzionale e c’è una competenza linguistica strumentale! Qui il discorso sarebbe complesso e lo lascio ai competenti in materia.

Tornando alla “vecchia” TV, ricordo anche che lo stesso Direttore generale Ettore Bernabei era molto attento al fatto che la televisione assumesse un ruolo indiretto di educazione linguistica e di educazione a dati valori! Questi ultimi, ovviamente, discutibili quanto si vuole! Comunque, altri tempi, certamente! Anche perché la TV era solo quella dello Stato e non aveva concorrenti! E fu una TV anche “educativa”! Va sottolineato che la transcodifica televisiva dei grandi romanzi fu un’operazione culturale di grande successo. Ricordo i Promessi Sposi, La Cittadella, di Cronin, Canne al vento, Cime tempestose, di Jane Eyre, Piccolo mondo antico, Francesco di Assisi. C’è anche da dire, forse, che la TV di allora era sì di Stato, e che lo Stato era – se così si può dire – di marca DC; ma qui il discorso si farebbe complesso e sarebbe fuori tema. Comunque, per almeno due decenni la TV di Stato fu una sorta di seconda maestra di lingua e, se vogliamo, anche di vita! Niente cosce al vento! Però, quando apparvero le gambe della sorelle Kessler… insomma, le polemiche non mancarono! Oggi farebbero solo sorridere! In seguito, negli anni Settanta è nata la TV cosiddetta commerciale: quindi niente canone, libera concorrenza, se no, spietata, pubblicità a iosa. E, soprattutto, la legge del mercato! Occorre dare al pubblico ciò che il pubblico vuole! Altrimenti questo cambia canale!!! Lo zapping: un’operazione monstrum da battere! Occorre inchiodare il pubblico a “quel” canale, comunque! Altri orizzonti, quindi, rispetto alla TV di Stato degli anni Cinquanta.

Inutile dire che la larga diffusione di una TV “libera” e “indipendente”, non “statale”, che dovesse andare incontro alle “attese del popolo” era garantita soltanto se queste attese fossero state soddisfatte. Insomma, è come se la maestra in una prima classe, invece di insistere sulla lingua italiana, avallasse tutti i dialetti e li promuovesse anche! Ne conseguirebbe una babele linguistica! Ebbene, questa babele è stata effettivamente avviata: ed è un fenomeno per ceti versi preoccupante! Fatta salva, ovviamente, la libertà di informazione. Non è un caso che la competenza linguistica degli italiani è una delle più basse a livello mondiale. Mi viene in mente quanto ci ricordava Don Milani: “È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui.” Certamente! Ma quale lingua rende uguali? La “lingua del maestro”, avrebbe aggiunto Don Milani! E come li bacchettava i suoi alunni se non si fossero impadronititi della lingua corretta, che era anche quella del padrone! Ma non è così, oggi! La lingua che si adotta è la “lingua dell’alunno”! E’ molto più facile raggiungere l’alunno con la sua lingua e convincerlo così a qualsiasi cosa! Quindi… ci troviamo davanti a una corsa sfrenata alla semplificazione, all’impoverimento sintattico e morfologico: poche frasi, pochi verbi, pochi sostantivi, soprattutto poche congiunzioni subordinate!

E un Salvini è un maestro in tale campo! Un Don Milani alla rovescia! Salvini è il primo della classe di un’intera scuola di politici dei giorni nostri! Addio ai funambulismi di un Aldo Moro o al parlar forbito di un Umberto Terracini! Si leggano i discorsi tenuti all’Assemblea Costituente! Tutti di alto profilo! Una lingua italiana corretta oltre misura. Come corretta oltre misura è la lingua di quella nostra Carta costituzionale che anche un bambino di scuola primaria può leggere e comprendere senza particolari difficoltà. Ma un conto è un “parlar semplice”, che nasce sempre da un pensare complesso! Altra cosa, invece, è un “parlar povero”, che nasce da un altrettanto “pensar povero”. E’ tempo di populismi! Di semplificazioni! Di imbarbarimenti linguistici! Uno spettro di aggira per l’Europa, diceva un Manifesto: quello del comunismo. Un nuovo spettro si aggira oggi, quello del populismo, del parlare povero, che non è il parlar semplice! E che è anche e soprattutto il pensar povero! E’ il tempo dei Salvini! E un Salvini ha mille alunni – linguisticamente parlando e, purtroppo, anche politicamente – pronti a seguirlo, perché lo capiscono, perché parla come loro.

E’ evidente che all’impoverimento della competenza linguistica corrisponde l’impoverimento culturale, e civico, anche! Anche perché tale impoverimento viene premiato da un lato da politici balbettanti, dall’atro da trasmissioni come la Zanzara in cui la parolaccia è il sostituto del pensar poco e pulito. Si tratta di fenomeni interessanti, che il buon De Mauro è in grado di comprendere e studiare con piena cognizione di causa! Fenomeni di decadimenti linguistici e culturali che io mi limito a registrare

Stavo per chiudere quando Alessandra Cenerini mi informa che dai recenti dati OCSE-PISA, snapsot of performance in science, reading and mathematics, l’Italia è ancora, come sempre, pressoché al palo: 35° posto, se non ho contato male (anch’io scarseggio in competenze di base). Il che significa che noi, Patria, con tanto di maiuscola, di illustri letterati come Dante e Manzoni, nonno e padre della nostra bella lingua, se si può dir così, ora, all’inizio di un nuovo millennio, che non farà sconti a nessuno, ci dobbiamo misurare con un impoverimento linguistico e culturale veramente preoccupante. Una sfida per la nostra scuola! Una sfida che non so se la legge 107 sia stata in grado di comprendere e raccogliere!

Comunque, per parafrasare un noto titolo, io speriamo che me la cavo!

Conversando con Aurelio

Conversando con Aurelio

di Maurizio Tiriticco

Aurelio Simone ha scritto su FB: “Viva la democrazia che nella sconfitta ci ha donato un leader, Matteo Renzi, autentico, umano, vero, nel senso più alto della politica che è a servizio per il bene comune dell’Italia e dell’Europa”. Inutile dire che un’affermazione del genere ha suscitato una tonnellata di commenti contrari. Forse occorrerebbe una riflessione maggiore, che tento di formulare! Ovviamente non voglio sostituirmi ad Aurelio! Ora in viaggio per la Germania! E poi in Grecia! Te beatum!

Caro Aurelio! Indubbiamente è un po’ esagerato scrivere che la democrazia nella sconfitta ci ha donato un leader, Matteo Renzi, autentico, umano, vero, nel senso più alto della politica che è servizio ecc. Abbiamo avuto politici di grande valore anche se militanti su fronti opposti! Questo è’ vero, ma… Renzi non è stato un dio, certamente! Mah!!! Non so! Comunque, questa cascata di insulti contro Renzi a cui oggi assistiamo non mi piace affatto! E non sono un renziano, ma… riconosco che Renzi ha avuto il coraggio di prendere nelle sue mani un Paese che i politici di ogni parte avevano fatto a pezzi, gli stessi che ora applaudono e gongolano! Chi ha dato il potere – se possiamo parlare in questi termini – a Renzi? Un Presidente della Repubblica che non aveva altra scelta! Tutti ricordiamo la nefasta esperienza di un Mario Monti! E quella non nefasta ma debole di un Enrico Letta! Anch’io ci ho creduto! Il primo, un uomo di cultura, di levatura politica, accreditato anche all’estero!!! Il secondo uno buono e intelligente, ma temebondo… anche della sua ombra! Due governi che hanno deluso l’intero Paese!

Dopodiché l’homo novus! Il giovane rottamatore pronto a ricostruire una macchina rottamata da altri! E adesso mezza Italia – insisto sulla mezza o poco meno – gli ha votato contro! Attenzione! Non è stato un plebiscito antirenzi! L’esito non è stato 90 contro 10!!! Pertanto, ora mi chiedo: che accadrà domani? Dopo l’ubriacatura della Vittoria? Dopo che il Paese si è liberato di un despota aspirante dittatore? Il panorama dei politici di destra e di sinistra è ampio, ma non ci offre nulla di significativo! Al di là dei “pezzi” prodotti da tutti gli antirenzi – dai Berlusconi ai Salvini ai Fassina ai Bersani e all’inossidabile D’Alema (4 dic. 2016: il giorno più bello della sua vita) – che ci resta di positivo, di produttivo, di utile per oggi 5 dicembre e domani e dopodomani? Tutti davanti a tutte le telecamere dalla notte al mattino e per tutti i giorni avvenire (menomale che il Bambinello ci farà pensare a cose più interessanti)!

E soprattutto tutti i vincitori presenti per dire ciascuno: C’ero anch’io quella notte su tutte le tv nazionali! C’ero anch’io con il piede sul cadavere del leone abbattuto! Insomma, una notte di San Bartolomeo all’italiana!!! Tutti i renziani gettati giù dagli schermi televisivi! I vincitori del NO! Ma chi sono? Che cosa pensano? Ovviamente al di là delle battute televisive! Sempre troppo facili!!! Io vorrei leggere un saggio – ma forse è troppo forte – uno scritto di qualche pagina di uno di questi funamboli televisivi! Hai voglia fare zapping! Sempre gli stessi volti su tutti i canali! Quanto piace il dibbbatttitooo! Accapigliarsi sul nulla… fa audience… e i conduttori si raccomandano sempre… Animate il dibattito (per non dire “litigate”), altrimenti il pubblico televisivo cambia canale!!! Litigate!!! Litigate!!! Che pacchia per Vespa!!! Non so! Tutti felici in questa “notte di San…Matteo”! Tutti defenestrati i renziani! Mah!

Non vorrei che la gioia di una notte fosse seguita dalle lacrime di una prossima notte! Tutti bravi a dare scacco al Re! Ora vi voglio a ricostruire la scacchiera per la prossima partita! E che San Sergio ci illumini! Il Re è solo! Speriamo che non sia nudo! Se vogliamo che la nostra generazione pianti gli alberi perché la successiva goda dell’ombra! E’ un proverbio cinese.

 

Roma, 5 dicembre 2016: giornata di GIOIA… o di LUTTO! Unicuique… sua dies!

Il superfluo e il necessario

Il superfluo e il necessario

di Maurizio Tiriticco

Ogni mattina, appena alzato, vado a vedere le news del Miur e, in effetti sono sempre numerose! Copio le prime di quelle odierne: 1) PNSD: dal 25 al 27 novembre tre giorni di eventi alla Reggia di Caserta per il primo anno del Piano Nazionale Scuola Digitale; 2) Carta del Docente, al via accesso per gli insegnanti sulla piattaforma. Già oltre 9.000 registrati fra enti di formazione, esercenti, scuole e musei; 3) Carta del Docente, al via accesso per gli insegnanti sulla piattaforma. Già oltre 9.000 registrati fra enti di formazione, esercenti, scuole e musei; 4) Carta del Docente, da oggi on line la piattaforma: al via la registrazione di esercenti ed enti di formazione. E così via! Poi vado a vedere le news della sola Istruzione. Copio le prime: 1) Domande di cessazione personale scuola – E’ fissato al 20 gennaio 2017 il termine per la presentazione, da parte del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliari; 2) Progetto Articolo 9 della Costituzione – Bandita la V edizione del progetto e concorso nazionale che vuole diffondere la conoscenza dell’articolo 9 della Costituzione per gli alunni delle scuole primarie e secondarie. Venerdì 2 dicembre 2016, nell’Aula del Senato, la cerimonia inaugurale… E così via!

Indubbiamente, sono tutte iniziative interessanti, ma… cui prodest? O, per lo meno, fino a che punto sono necessarie ai fini del saper fare quotidiano dell’insegnante? E’indubbio che l’insegnante necessita di informazioni frequenti e tempestive sull’operato del suo dicastero. Però, non necessiterebbe anche di indicazioni concrete relative al suo operare quotidiano in aula con la sua classe d’età? Ovviamente sì, anche se sappiano tutti benissimo che non è compito del Miur entrare nel merito della professionalità docente e del concreto comportamento insegnante in aula. Sutor! Ne ultra crepidam! Dicevano i latini e noi con loro.

Com’è noto, con la legge 107 si è fissato l’obbligo per la FORMIS, ovvero per quella FORMazione continua In Servizio che oggi, e ancor più domani – com’è noto – interessa tutti gli operatori di ogni ambito lavorativo, non solo quelli della scuola. La società della conoscenza e delle Tic impone quotidiani aggiornamenti perché sempre più numerose e veloci sono le trasformazioni nel mondo della produzione, delle conoscenze, della cultura, anzi, delle culture. Cambia rapidamente l’assetto sociale del nostro Paese – e non solo – e con esso le esigenze di apprendimento delle nuove generazioni! Un solo esempio: le classi colorate, multietniche e multilingua impongono problemi di socializzazione e modalità di apprendimento per nulla semplici. Mi chiedo: quante altre penne deve apporre la maestrina sul suo cappello, oltre a quella rossa?!

La FORMIS, quindi, è obbligatoria – non si tratta di un capriccio del principe – ed è sancita anche dal contratto di lavoro degli insegnanti. All’articolo 26 di detto contratto, relativo alla funzione docente, leggiamo testualmente: “La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione. La funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio”.

E le attività di formazione in servizio sono molteplici e in atto pressoché quotidianamente. Enti a ciò deputati sono numerosi, sia di estrazione sindacale (ProteoFareSapere; Irase, ovvero, Istituto per la ricerca accademica, sociale ed educativa; Irsef-Irfed,Istituto per la Ricerca e lo Studio sull’Educazione e la Famiglia) che non sindacale. Qualche esempio! L’Associazione Docenti Italiani svolge da anni un’attività validissima in materia di FORMIS. Per non dire delle attività svolte dall’ANDIS, Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici; dal’ANP, Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola; dall’AND, Associazione Nazionale Docenti; e da altre associazioni: il CIDI, Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti; l’UCIIM, Unione Cattolica Italiana Insegnanti, Dirigenti, Formatori; l’MCE, Movimento per la Cooperazione Educativa; l’AIMC, Associazione Italiana Maestri Cattolici; e numerosi altri! Per non dire poi delle attività svolte anni fa dagli Irrsae (Istituti di ricerca regionali di sperimentazione e aggiornamento educativi), poi Irre (Istituti di ricerca regionali per la ricerca educativa), e poi ancora Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa).

E’ importante sottolineare quali sono le tematiche più importanti da affrontare nei percorsi di Formis, come indicati dal Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019: 1 Autonomia organizzativa e didattica; 2 Didattica per competenze, innovazione metodologica e competenze di base; 3 Competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento; 4. Competenze di lingua straniera; .5 Inclusione e disabilità; 6 Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile globale;.7 Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale; 8 Scuola e Lavoro; 9 Valutazione e miglioramento. Ho già osservato in un altro scritto che manca uno dei temi fondamentali della professionalità docente e del concreto comportamento insegnante in aula – a meno che non sia riconducibile alle indicazioni generali di cui sopra. Ma che sarebbe sempre bene sottolineare ed evidenziare con forza. Alludo alla didattica innovativa, alla didattica laboratoriale, alle flipped room, alla scuola senza compiti a casa, all’ “insegnante muto”, all’ “insegnante attore”, all’insegnante animatore – voglio ricordare il mio “Programmazione come animazione”, edito dalla Tecnodid alcuni anni fa – all’aula come laboratorio di ricerca, e così via!

Per non dire poi della non necessità di attribuire un voto ogni qual volta un alunno apre bocca… quel voto scritto sul registro e che poi dovrebbe “fare media” con gli altri. Attenzione! Per quanto riguarda un atleta di salto e o di corsa od altro, la prestazione che vale è quella migliore! Non esiste la media delle sue prestazioni!. Perché un alunno deve essere perseguitato per un intero anno scolastico da un due in storia quando, alla fine dell’anno, dimostra di conoscere e di avere compreso a livelli ottimali la storia di cui all’intero programma? E perché sin deve fare la media di sequenze come le seguenti: 3,4,5,6,7 e 7,6,5,4,3? Comunque non è così, e fortunatamente, in “tutte le scuola del Regno”, perché le eccezioni esistono ed è opportuno ricordarle: E’ sufficiente cliccare i link di queste scuole: l’Istituto Superiore “Majorana”, di Brindisi; il “Pacioli” di Crema, il “Fermi” di Mantova, il “Volta” di Perugia, il “Savoia Benincasa” di Ancona, il “Marco Polo” di Bari. Ed altri che non so, ma che esistono! Basta cercarli! Ebbene: in questi istituti dirigenti e docenti hanno sconvolto la didattica tradizionale! E vi sono insegnanti che… addirittura “non insegnano”! Sembra abnorme, ma si tratta di realtà attuate anche a norma vigente! Quindi, iniziative innovative è possibile avviarle e portale a compimento!

Per concludere, sarebbe bene, se non opportuno, che tra le news dell’Istruzione (non tanto dell’intero Miur) comparissero indicazioni, riquadri e link che aiutino dirigenti, insegnanti, alunni, genitori a trovare subito e facilmente quelle informazioni relative a quelle tante innovazioni che costituiscono le prime tessere di quel mosaico di scuole all’avanguardia quali tutte le nostre scuole devono essere.

Comunque, siamo in trepida attesa della pubblicazione dei dati relativi alle indagini internazionali TIMSS e OCSE PISA 2015, previste per il prossimo 6 dicembre. Chi vivrà, vedrà! Io… ci provo!!!

La scuola “a gran dispitto”

La scuola “a gran dispitto”

di Maurizio Tiriticco

Com’è noto, Farinata degli Uberti non soffriva per la pena infernale, anzi “avea l’inferno a gran dispitto”: insomma, era troppo arrabbiato per avvertire il dolore delle fiamme. E sembra proprio che l’istruzione oggi per alcuni genitori – e forse un po’ troppi – sia più una pena a cui i figli sono sottoposti e obbligati che un diritto/dovere di ciascun cittadino. In effetti, sono sempre più frequenti le notizie che riguardano genitori che picchiano insegnanti e dirigenti, rei soltanto di chiedere ed esigere dai loro figli il rispetto di quelle regole che governano una istituzione, una struttura organizzata quale un istituto scolastico autonomo è. In effetti, per alcuni genitori – speriamo non troppi – i dieci anni di istruzione obbligatoria sembrano più un letto di Procuste o una pena di Sisifo che non quel percorso in cui ciascun nuovo nato, da qualsiasi lingua, cultura e religione provenga, viene Educato come cittadino, Formato come persona, Istruito come futuro lavoratore; in effetti, l’Educazione, l’Istruzione e la Formazione – le maiuscole sono mie – costituiscono non a caso quei tre concetti forti di cui all’articolo 1, comma 2 del dpr 275/99. Si tratta delle tre modalità, le tre linee strategiche con cui si progettano e si realizzano percorsi che devono garantire a ciascun alunno/cittadino il conseguimento del suo personale “successo formativo”. Un successo che non è una somma di nozioni, ma un insieme coordinato di conoscenze e di competenze che permettono l’ingresso in quella società complessa qual è quella dei nostri giorni.

E non solo! La scuola ormai in un’Europa unita ha assunto anche una dimensione transnazionale per quanto concerne sia i saperi minimi essenziali che un cittadino europeo deve raggiungere che quelle otto competenze chiave di cittadinanza che dovrebbero costituire una delle fondamentali finalità educative comuni a tutti i cittadini dei 27 Paesi dell’Unione europea. E siamo tutti in trepida attesa per la pubblicazione degli ultimi risultati TIMSS & PIRLS. Com’è noto non solo la nostra popolazione scolastica, ma la popolazione adulta del nostro Paese occupa uno degli ultimi posti per ciò che riguarda le competenze linguistiche e quelle matematiche.

Indubbiamente, però, in una società sempre più incattivita e, per certi versi, sempre più disonesta e violenta – sono le cronache quotidiane a fornirci esempi a iosa in materia – non è facile far crescere un bambino come quell’Émile che Rousseau educò passo dopo passo immerso in una natura in cui eterne primavere rappresentano il mondo come una felice isola che, purtroppo, invece non c’è! Un gran trattato di pedagogia l’Émile! Certamente! Era il secolo dei Lumi! E la Ragione avrebbe, appunto, illuminato gli uomini – dopo secoli di ignoranza imposta dalle mille fedi religiose – perché costruissero finalmente una società giusta senza differenze di classe. Basta con le ingiustizie sociali avallate da credi religiosi! Avanti per costruire una nuova umanità! Così si sentenziava! E i motti sono noti: Libertè, Egalitè, Fraternitè! L’istruzione e la scuola assunsero in quell’epoca e in alcuni Paesi europei una grande importanza. In effetti, l’Illuminismo fece breccia anche nei sistemai scolastici. Sono note le riforme che in materia avviarono sia un Federico II di Prussia che una Maria Teresa d’Austria. In seguito, dopo la Rivoluzione, Napoleone, il Congresso di Vienna fu cura di tutti i governi europei occuparsi di istruzione e aprire scuole che educassero, istruissero e formassero le nuove generazioni, pur con diversi assunti, obiettivi e finalità.

Questa operosa costruzione di una scuola aperta sempre più a tutti giorno dopo giorno – e “dalla culla alla tomba” – è, oggi più di ieri, e domani più di oggi, un’assoluta necessità. Ed è inutile ricordare che siamo nella società della conoscenza. Istruirsi è un diritto/dovere a cui nessuno può più sottrarsi. Nel nostro Paese, fin dal 1974 – l’anno dei famosi “decreti delegati” – abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere anche le famiglie e le istituzioni locali nel “lavoro scolastico”, tradizionalmente delegato ai soli insegnanti. E ciò lo abbiamo fatto nella convinzione che la scuola non è una “cosa” che riguarda l’alunno e l’insegnante per un determinato periodo, ma un percorso di cui l’alunno è il destinatario privilegiato, ma che il cosiddetto “sociale” non può e non deve ignorare. Un essere umano cresce e apprende in più ambiti, anche se quelli della famiglia e della scuola sono indubbiamente i più significativi. L’obbligo di istruzione – oggi di durata decennale – di fatto però ha una durata che riguarda l’intero arco della vita. In un simile scenario, il rispetto che di deve ai diretti responsabili dell’istruzione è uno dei pilastri della necessaria collaborazione scuola/famiglia. E quella famiglia, quel genitore che vede nella scuola una “cosa altra”, soltanto da subire, indubbiamente cade in un grossolano errore. Quando poi si giunge a menar le mani perché si ritiene che la scuola travalichi compiti e finalità, l’errore diventa un crimine.

Ma la cosa che più deve preoccupare non è tanto l’atto in sé, ma ciò che è a monte di quell’atto e ciò che provoca nello stesso alunno. Questi interiorizza che la scuola è una sorta di prigione, che ciò che vi si deve apprendere non serve a nulla, che gli insegnanti sono degli aguzzini che lo sottopongono a delle torture, solo per il piacere di vederlo soffrire. So bene, sappiamo tutti, che la violenza contro gli insegnanti costituisce casi rari, ma che comunque devono essere denunciati e bollati.

Ed è pur sempre un malessere che va denunciato sempre e tenuto sotto controllo. Già nelle nostre scuola ci dobbiamo misurare con il bullismo di certi alunni: un fenomeno che ci impegna in ricerche, incontri, interventi mirati. Non vorrei che domani ci si debba occupare del bullismo dei genitori!

La mia didattica laboratoriale

La mia didattica laboratoriale *

di Patricia Tozzi

Il mio progetto di didattica laboratoriale nasce nell’anno scolastico 2003/04, quando a scuola si prefigurava un percorso di autonomia scolastica, di cui al dpr 275/99. Venivo da una scuola di provincia, molto vivace culturalmente e ben organizzata, piena di laboratori tematici che sperimentavano, recuperavano, potenziavano gli apprendimenti degli alunni grazie proprio alle possibilità offerte dall’autonomia, con l’utilizzazione del 15% del curricolo (oggi 20%) senza aggiungere un’ora all’orario degli alunni e dei docenti. Ho quindi pensato, arrivando in questa bella nuova scuola molto più tradizionale, adeguata comunque al suo contesto socio-economico territoriale, di cominciare un percorso di innovazione della didattica, chiamandolo appunto “Tutto a scuola”.

Da allora ogni anno progetto un percorso diverso ma sempre laboratoriale, che prevede una didattica,che io amo chiamare “rovesciata”. Cerco di mettere al centro l’alunno ed il suo apprendimento; le attività sono svolte tutte a scuola senza compiti aggiuntivi oltre l’orario scolastico. Si lavora in gruppo, l’apprendimento è fortemente cooperativo e condiviso e i miei interventi si intrecciano fortemente con l’operatività degli alunni.

L’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, cioè al processo del “far apprendere facendo”. Il mio progetto è molto diverso dalle ormai famose FLIPPED CLASSROOM e da tutti quei metodi che prevedono che sia il docente a preparare e mettere on-line il materiale che poi gli alunni debbano studiare a casa. Io non preparo materiali. Conduco un brainstorming iniziale, fornisco brevi spiegazioni, costruisco con gli alunni una mappa concettuale, organizzo l’uso di strumenti e documenti e li guido nella ricerca che dovranno fare.

L’ambiente in cui si opera può essere semplicemente l’aula, se l’attività non richiede particolari attrezzature (ad esempio, per ripetere, correggere, rielaborare), ma può essere qualsiasi laboratorio attrezzato (aula Lim, laboratorio multimediale, laboratorio scientifico, biblioteca ecc.). Il laboratorio diventa così una modalità di lavoro, dentro o fuori da un’ aula, prevede l’uso di Lim, computer, cartelloni colorati da riempire, libri della biblioteca. Nella mia esperienza tutte le ricerche vengono fatte a scuola, nel laboratorio informatico, dove vengono anche letti libri, articoli di giornale, sintetizzati concetti, per cui il confronto fra gli alunni e il docente è continuo. L’approccio ad internet è fortemente controllato, programmato, guidato e procede per gruppi che accedono un quarto d’ora ciascuno secondo regole precise.

Le attività sono decisamente personalizzate, ma anche condivise nel gruppo, consentendo a ciascun allievo di acquisire un metodo di lavoro personale e di utilizzare le sue attitudini e la sua intelligenza. La motivazione, la curiosità, il metodo della ricerca, l’uso di uno stile cognitivo piuttosto che un altro permettono, infatti, agli alunni di costruire un percorso individuale originale, fortemente creativo e personale con conseguente ricaduta straordinaria sull’apprendimento di ciascuno. Questo significa promuovere una didattica laboratoriale.

Nella mia carriera non ho mai dato ricerche da fare a casa: le ritengo inutili, fuorvianti e distraenti; se invece fatte in laboratorio informatico o alla Lim, generano curiosità, motivazione e apprendimento e non sono sicuramente il solito copia-incolla, perché necessitano di rielaborazione e sintesi fortemente controllate a scuola! Il lavoro svolto viene salvato su chiavette usb che rimangono sempre a scuola. Promuovere una didattica laboratoriale significa che tutti gli studenti sono protagonisti. Tutti i prodotti, che sono il risultato di un anno di apprendimento e sui quali sono state condotte verifiche orali e scritte, alla fine dell’anno vengono illustrati ai genitori che possono fare domande, per cui ascoltano e vedono per la prima volta i loro figli parlare di un dato argomento.

I genitori, che non hanno mai visto studiare a casa i propri figli, rimangono strabiliati dalle loro capacità di comunicare, argomentare, confrontare e rielaborare, e soprattutto dalla loro creatività, sintetizzata in power point straordinari o in progetti di ricerca sul territorio elaborati con la statistica e spiegati in quel contesto.

Tutti i lavori svolti a scuola sono diventati:

  • un bellissimo libro di testo, con i contenuti essenziali relativi al programma di quell’anno;
  • un testo divulgativo e creativo,divertente ed originale,sulla storia della matematica e delle scienze;
  • un percorso statistico di ricerca sul territorio.

Questa attività di didattica laboratoriale l’ho pensata anche per motivare gli alunni con particolari difficoltà’. La riorganizzazione della didattica in termini di spazio, tempo, modalità di raggruppamento degli allievi, impiego delle risorse professionali è oggi più che mai necessaria e, secondo me, l’organico dell’autonomia può darci una mano.

In matematica dopo l’inevitabile spiegazione lavorano in gruppi eterogenei, anche fuori dall’aula (se un alunno si assenta, ha un quarto d’ora di recupero della attività svolta nelle lezioni precedenti da parte di un compagno) e questo favorisce il peer-tutoring perché gli alunni più motivati fanno da guida a quelli con intelligenze di tipo diverso. E i risultati sono sempre estremamente positivi.

 

* pubblicato in Tuttoscuolacom – cantiere della didattica

Conversando con Aurelio

Conversando con Aurelio Simone

di Maurizio Tiriticco

Caro Aurelio! Io sono azzoppato e mezzo rincoglionito! Pertanto una quindicina di giorni fa mi ero espresso su FB per il NO al referendum, forse sull’onda di tutti questi antirenziani, come se Renzi fosse una sorta di castigodiddio scagliato su questa povera Italia. Con il susseguirsi dei giorni mi sono venuto convincendo che il NO sarebbe solo un voto di pancia a fronte di tutto ciò che sta succedendo nel nostro povero Paese! In primis questa lenta invasione alla quale non solo il nostro governo non si oppone ma che addirittura facilita. Il problema, in effetti, è enorme! O salviamo i fuggitivi o spariamo loro prima che tocchino terra.

Quante cose sono cambiate nel corso della storia! I nostri fanti nella guerra 1914/18 si battevano al NORD per respingere la calata austroungarica! Ora i nostri marinai fanno a gara per accogliere al SUD migliaia di disperati. Io non so se sono clandestini o meno! So solo che chi sta bene a casa sua non avverte il bisogno di scappare. Quanti di noi sono “scappati” per le Americhe o più recentemente per l’Europa del Nord! Insomma accadono fenomeni a fronte dei quali forse non abbiamo le categorie adatte per una loro corretta interpretazione. Tornando a Renzi, forse non è un Cavour o un Giolitti! E quanti oppositori, comunque, anche loro hanno avuto! Il primo servo dei Savoia, l’altro il ministro della malavita! Comunque Renzi – votato o non votato che sia – è un “qualcosa” che abbiamo espresso come Paese. Forse perché è stato così bravo da rottamare tutto e tutti, forse anche lo stesso PD, di cui rimane una sbiadita sigla tricolore. Ed io invece ricordo quella bella falce e martello della bandiera rossa del PCI! E la bella traga della storica Sezione di Via dei Giubbonari: sparita… come sparisce la storia, una volta che è passata!

Per tutte queste ragioni, ho deciso di votare SI’! Comunque, senza turarmi il naso e sapendo che non ci sono alternative. Eventuali oppositori o li ha rottamati Renzi o si sono autorottamati. Forse, tra una ventina d’anni i libri di storia potranno meglio inquadrare il fenomeno Renzi. Comunque, a tutti coloro che votano NO chiedo: cui prodest? Esiste un’alternativa? Quella dei Salvini populisti o quella dei Grillini ignoranti e incapaci? Se il loro testo di base sono le scemenze di un Casaleggio – ti sei mai imbattuto con Gaia: il futuro della politica? – è chiaro che produrranno Virginie Raggi a non finire!!! Certamente Raggi di lune calanti! Ci sono alternative a Renzi? Assolutamente no, per ora! Domani chissà! La storia corre oggi molto più rapidamente della nostra capacità di comprenderla! Per il contadino di un tempo la storia neanche esisteva! C’era solo il ripetersi delle stagioni – la circolarità del tempo – a cui ci si doveva adeguare, e basta! Ma! Forse sbaglio, non so! Ma mi si dia un motivo valido per votare NO e per svoltare pagina! Per ora mi sembra solo di vedere una porta aperta sul vuoto! Dove un inossidabile D’Alema aspetta che la ruota giri a suo vantaggio! Ma il carro della storia va avanti e non aspetta nessuno! I Magni della storia, Alessandro e Carlo sono lì… statue dall’incerta attribuzione e pagine e pagine sui libri di storia per i nostri ragazzi! Oggetti di noiose interrogazioni, da parte di insegnanti che dei Magni sanno solo ciò che c’è scritto sui manuali.

O tempora o mores! Nell’epoca dei selfie c’è poco spazio per rivangare il passato! Historia magistra vitae, ci ha insegnato Cicerone nel De Oratore! Ma sarà proprio così? Proprio ieri è scomparso Fidel (hai letto il mio scritto?)! Ma ha saputo far tesoro della Rivoluzione di Ottobre? La Storia è una grande attrice che non replica mai le commedie in cui tutti noi siamo coinvolti, un po’ come attori (anche se condannati a migliaia di “Ei fu”), e un po’ come comparse mal pagate! E in questa desolante verità con la V minuscola prendersela con Renzi è troppo facile! Ha mille difetti, ma – come dice lui stesso – ci mette sempre la faccia… e che questa sia come il culo, come diciamo a Roma, può essere anche vero, ma… ci sono altri disposti a metterci la faccia? Se mi dici di un Salvini o di una Meloni o di un Silvio – bravissimo ad aver trovato un carrozziere che lo ha risanato dagli esiti di cento rottamazioni (in effetti, si è rottamato da solo!) – allora capisco che vuoi scherzare! Come scherzano tutti i campioni della nostra politica attuale saltando da un canale all’atro! Che tristezza! Repetita iuvant, dicevano i latini, ma nell’Italia di oggi, le ripetizioni annoiano! Quanto parlano e straparlano! Mai nessuno che prende penna e calamaio – come si suol dire – e scrive un paio di paginette convincenti. Mah! Così va il mondo? No! Così va l’Italietta di oggi!

Un abbraccio! Maurizio

Il socialismo di Fidel: sogno o utopia?

Il socialismo di Fidel: sogno o utopia?

di Maurizio Tiriticco

cheyfidelI sogni a volte si avverano! Le utopie, mai! L’utopia è il “non luogo”, di cui all’opera omonima di Tommaso Moro: un luogo che non c’è e che non ci sarà mai! La scomparsa di Fidel ci riconduce a riflettere sull’esperienza castrista di costruire, nel cuore del Continente americano, il primo Paese a regime socialista, ma… I “ma” sono moltissimi e, fin dai primi anni della rivoluzione castrista, i dubbi non hanno mai cessato di proporci interrogativi a non finire. E sono proprio le incertezze sulle cose da fare in situazioni prerivoluzionarie, se poi si deve scegliere di andare oltre e dar vita a rivoluzioni vincenti. E proprio il “Che fare”, appunto, fu quell’aureo libretto con cui Lenin, nel 1902, analizzava i problemi organizzativi e strategici che un partito rivoluzionario doveva proporsi e analizzare per avviare e condurre una rivoluzione vittoriosa. E sono gli stessi problemi che nei successivi anni venti si proposero allo stesso Lenin, a Trotsky, a Zinoviev, a Bucharin, al giovane Stalin e a tutti i protagonisti della rivoluzione russa, poi sovietica!

Il gran dilemma a cui si trovarono di fronte i dirigenti dei soviet bolscevichi fin dall’assunzione del potere e fino ai primi anni Venti era proprio quello del “che fare”. In effetti, la visione marxista prevedeva una rivoluzione a livello mondiale al fine di distruggere per sempre il sistema capitalistico e le sue appendici colonialiste ed instaurare così un nuovo ordine mondiale! Tra parentesi, anche il nazifascismo si propose l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale! Ed è sempre dei visionari – se vogliamo tirare in ballo anche due notissimi Magni, Alessandro e Carlo – sognare e costruire, o tentare di farlo, ordini mondiali sempre nuovi e sempre definitivi! Come se la storia degli uomini potesse avere un fine: cosa che non è e che mai sarà. E i cicli continueranno a svolgersi all’infinito, e sempre diversi, così come Vico intuì tre secoli fa: la “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”.

I primi anni Venti non furono affatto facili per i nuovi dirigenti sovietici. Da un lato occorreva costruire il nuovo Stato socialista, dall’altro occorreva fare i conti con la prospettiva rivoluzionaria che avrebbe dovuto aggredire il sistema capitalistico nella sua interezza mondiale. In effetti, la Rivoluzione, quella socialista, non sarebbe mai stata tale e definitiva, se non avesse coinvolto l’intero pianeta. Così predicavano i “sacri testi” del marxismo e così occorreva operare! E questa era la posizione di Trotsky. Ma Stalin, com’è noto, non ne volle assolutamente sapere! Per un sano realismo? Non so! Comunque, ciò che era stato realizzato nella Russia ormai sovietica, o meglio nell’URSS, nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, era per lui più che sufficiente. E bisognava consolidare i risultati della rivoluzione là dove era stata vittoriosa. E tale posizione venne ufficializzata – se si può dir così – con la teoria del “socialismo in un solo Paese”. Una tesi che i “sacri testi” di Marx ed Engels in effetti non avevano considerato! Una tesi che, ovviamente, vide del tutto contraria la corrente guidata da Trotsky, che, invece, sosteneva che la rivoluzione socialista, il cui motto era “a ciascuno secondo, il suo lavoro”, sarebbe stata tale solo a condizione che andasse oltre i confini dell’URSS e coinvolgesse l’intero pianeta. E solo allora il comunismo, come fase ulteriore e definitiva, avrebbe potuto dare “a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

Si scontrarono così nei primi anni Venti il realismo di uno Stalin e l’utopia di un Trotsky: la teoria del “socialismo in un solo Paese” e la teoria della “rivoluzione permanente”. E al congresso del PCUS del 1923 la tesi di Stalin ebbe ragione su quella di Trotsky. Ciò che accadde dopo è noto. Trotsky fu costretto ad emigrare e scrisse quell’aureo libretto, “La rivoluzione tradita” – tradita da Stalin, ovviamente – pubblicato nel 1936, quattro anni prima della sua morte… annunciata! Com’è noto, fu aggredito nella sua abitazione a Coyocan, in Messico, da un inviato di Stalin che gli sfondò il cranio con un colpo di piccozza. Con la sua morte, les jeux sont faits, come si suol dire e l’URSS staliniana si va sempre più consolidando. Basti ricordare i processi farsa e le grandi purghe del 1936/39. Ormai Stalin aveva liquidato tutti i suoi oppositori e nella famosa “Storia del partito comunista (bolscevico) dell’URSS: breve corso”, tradotto poi da tutti i partiti comunisti del mondo (ovviamente staliniani) fece scrivere, ovviamente a modo suo, l’intera storia della rivoluzione bolscevica.

Il lettore si chiederà: che cosa c’entra questo lungo excursus con la Cuba socialista di Fidel Castro? E con la sua morte? Ricordiamo in primo luogo che la rivoluzione socialista di Fidel ebbe la durata di 3 anni, dal 1956 al 1959. Stalin era morto nel 1953, quindi non poté prendere posizione nei confronti della prima repubblica socialista nel cuore del Continente americano. Eravamo in pieno regime di guerra fredda e l’Urss era divisa tra due poli: da un lato la nascita di un Paese socialista in Centroamerica; dall’altro i problemi che a livello internazionale ne sarebbero insorti, a mettere in crisi quello status quo che bene o male garantiva uno straccio di pace mondiale. Giova ricordare che allora la minaccia di una guerra atomica spaventava allo stesso modo sia popoli che governi. I dirigenti dell’Urss da un lato non potevano non plaudire alla nascita di una Repubblica socialista proprio in un continente che si sapeva controllato dagli Stati Uniti; dall’altro non potevano non considerare che certi equilibri non scritti ma di fatto esistenti tra due Potenze mondiali potevano essere messi in discussione. Per non dire che nel 1949 era nata quella Repubblica Popolare Cinese sotto la guida del “grande timoniere” Mao Tzè Tung. Così, quasi tre quarti del Continente asiatico erano di fatto sotto un regime comunista. E il cosiddetto mondo libero, quello che si trovava ad ovest della Cortina di ferro doveva fare i conti con un comunismo montante.

In uno scenario così incerto, quella piccola Repubblica socialista nel cuore delle Americhe da un lato sollecitò mille speranze: una rivoluzione socialista era quindi possibile, nonostante un assetto internazionale governato, pur sempre in precario equilibrio, dalle due superpotenze mondiali di allora! Da un altro lato diede luogo a mille preoccupazioni! In effetti – come tutti ricordiamo – la “crisi del missili” del 1962 portò il mondo intero sull’orlo di una guerra nucleare che sarebbe stata senza ritorno. E non so se fu più saggio un Kennedy o un Krusciov, i due leader mondiali da cui dipendevano le sorti del Pianeta. Fidel dovette di fatto accettare le decisioni di Krusciov, tese a restaurare una situazioni di pace: o di stallo?. Più tardi, nel 1967, uno dei compagni di lotta di Fidel, Ernesto Che Guevara, insofferente per lo stallo della rivoluzione castrista, forte del suo motto “Hasta la victoria siempre”, parte per la Bolivia con la certezza di sostenere una nuova rivoluzione e condurla alla vittoria! Ma viene catturato e ucciso dalle truppe governative.

Fidel tenne duro nel suo Paese, convinto che la Repubblica socialista cubana dovesse resistere, in attesa che maturassero tempi migliori per una ripresa rivoluzionaria. Ma nel corso degli anni il prezzo da pagare fu alto: restrizioni economiche e sociali all’interno, fuga di cittadini cubani negli Stati Uniti. Insomma, il sogno castrista di costituire in pieno Centroamerica una realtà socialista, che potesse essere da stimolo e da guida per rivoluzioni ulteriori, si è venuto mano a mano dissolvendo. Le ragioni di questo arretramento? Non è facile analizzarle: da un lato, il lungo embargo imposto dagli Stati Uniti e che solo un Obama lo scorso anno ha pensato bene di cancellare; dall’altro, l’incapacità del gruppo dirigente cubano di costruire veramente una società socialista. E ciò, forse, per “mancanza di dottrina” da parte dei governanti! E ancora, la scomparsa dell’Unione sovietica sembra aver convinto i dirigenti “marxisti” cubani che in effetti la costruzione di uno Stato socialista, da solo, è impossibile. Torniamo, quindi, all’impossibilità oggettiva di costruire il socialismo in un Paese solo? E qui ritorna – forse – l’attualità del pensiero trotskysta, secondo cui una rivoluzione socialista, se circoscritta e priva di una prospettiva mondiale, è sempre condannata al fallimento. Torniamo anche alla felice, ma desolante, intuizione che Trotsky ebbe, quando, nel lontano 1936 scrisse, appunto “La rivoluzione tradita”: una rivoluzione socialista o è planetaria o è condannata al fallimento.

E torniamo infine all’interrogativo del titolo: fu sogno o utopia la creazione di uno Stato socialista a Cuba? Fu un sogno per Fidel e i suoi compagni – tra i primi un Che Guevara – ma un’utopia per la storia! Perché in effetti, il paradiso, non quello dell’Eden, ma quello con la “p” minuscola non è di questa terra!

Lettera aperta a Laura Boldrini

Lettera aperta a Laura Boldrini

di Maurizio Tiriticco

 

Cara Laura!

Solidarizzo con te! Mi addolora il fatto che tanti nostri concittadini oggi siano capaci di pensare e scrivere tutte quelle sconcezze che leggiamo quotidianamente nei tuoi confronti! Come mai siamo caduti così in basso? E’ il fallimento della scuola? E’ il fallimento della convivenza democratica? E’ il fallimento di quella Carta costituzionale che, a detta di esperti non solo italiani, è una delle più belle del mondo? Nonché semplice e di facile lettura! E’ una constatazione di Tullio De Mauro!

Che cosa sta accadendo nel tessuto civile e culturale del nostro Paese? Sono vecchio e ricordo gli anni meravigliosi della Resistenza, della Ricostruzione, della restaurazione della democrazia, di quel referendum monarchia o repubblica che vide la partecipazione dell’89,08% degli aventi diritto! Il novanta per cento degli italiani corse alle urne! La prima volta dopo il fascismo e la guerra! E la sete di democrazia e di libertà era fortissima! Eravamo molto poveri, dopo la tragedia del fascismo e di una guerra perduta. Ma guardavamo in avanti e ricostruimmo un Paese, anche se le lotte politiche e sindacali erano vivacissime. La Celere – la polizia con le jeep – picchiava! A volte sparò e ci furono anche dei morti, ma… si trattò di dolorose eccezioni, comunque da tutti condannate, in un Paese che in effetti voleva solo liberarsi al più presto di un passato tristissimo e costruire un avvenire! Però, mai l’insulto! O la parolaccia! O la denigrazione dell’avversario! Anche se, nella vivacità dello scontro politico, Togliatti una volta promise a De Gasperi che avrebbe comprato un paio di scarponi chiodati per dargli un calcio nel sedere. Un’espressione indubbiamente goffa, ma risibile, per certi versi.

Il dibattito politico era vivacissimo in quegli anni. Gli articoli di fondo sui giornali politici, sempre argomentati e con firme autorevoli, suscitavano discussioni e dibattiti accesi nelle sezioni dei partiti, nelle case e nelle piazze. Ricordo come a Roma sotto la galleria Colonna – oggi Albero Sordi – i capannelli di discussione erano quotidiani! E notturni anche! La passione politica era forte, ma mai insulti, scazzottate, aggressioni! E la passione politica era anche una passione ideale! Si sognavano nuovi mondi! Si leggevano Gobetti, Calamandrei, Salvemini, Don Sturzo, accanto ai “pezzi” pressoché quotidiani dei leader della DC, del PCI, dei socialisti, dei repubblicani, dei liberali sui rispettivi giornali di partito. E si trattava di partiti con storie diverse e posizioni diverse! E con prospettive diverse! Oggi la passione politica sembra spenta. In effetti gli interventi di un Salvini, di un Grillo, e di un Renzi o di una Boschi, sembrano “poca cosa” a fronte degli interventi di politici di altra statura! Forse perché venivano dal carcere o dall’estero, carichi di sogni vagheggiati per un ventennio e che dovevano realizzarsi al più presto!

Cara Laura! So bene che è proprio dei vecchi rimpiangere gli anni passati, ma… in effetti, quando assisto alla povertà dell’attuale confronto politico, capisco che non è casuale! Infatti, per quanto riguarda la “competenza alfabetica”, noi italiani non siamo affatto tra i primi posti nel mondo. Certamente, ormai tutti leggono e scrivono, anche in forza dei cellulari che tutti posseggono! Ma si tratta di operazioni strumentali, non funzionali, per dirla con i linguisti. Eppure ormai tutti, o quasi, la licenza della scuola media la posseggono. Autorevoli ricerche internazionali, quelle dell’OCSE, ad esempio, che tu conosci meglio di me, ci penalizzano, ma… i nostri concittadini – in larga maggioranza – non le conoscono affatto!

La “cultura” del calcio, dell’insulto e della parolaccia sembra quella dominante! E in tale contesto, prendersela con la Presidentessa della Camera dei deputati e delle deputate sembra uno sport nazionale! E’ bella e “bona” e pretende pure di essere intelligente? Sempre femmina è! Pensasse a cucinare e a riassettare la casa. La sua carica è da maschi, non da femmine! Insomma, chi spara più insulti? Chi spara più parolacce? Ormai fanno a gara! Tanto che cosa rischiano? Da noi non ci sono né Mussolini né Hitler né Erdogan né Putin – e non sappiamo che cosa ci riserva Trump! Cara Laura, sono con te, uno dei pochi maschi “buoni”… perché penso che siano in gran maggioranza maschietti quelli che ti lanciano gli insulti più feroci!

Mah! Parafrasando Manzoni, così va spesso il mondo…, così va… nel primo secolo del secondo millennio! Un abbraccio solidale, oltre che, ovviamente, affettuoso!

Il cittadino Maurizio Tiriticco

L’italiano della Zanzara

L’italiano della Zanzara

di Maurizio Tiriticco

Le ultime conclusioni relative ad una serie di indagini sulle competenze linguistiche degli Italiani risalgono a un paio di anni fa. Si tratta dell’inchiesta sulle competenze degli adulti svolta dall’OCSE nel quadro del suo Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC, 2008-2013). Questa indagine, complementare della più nota ricerca PISA sugli studenti quindicenni, ha riguardato, nella fase 2008-2013, ventiquattro Paesi ed ha avuto come oggetto l’analisi delle “facoltà cognitive e competenze nel mondo del lavoro che sono giudicate necessarie affinché gli individui evolvano con successo nella società e che sono essenziali per la prosperità economica”. Dall’indagine emerge una situazione molto sconfortante per quanto riguarda il nostro Paese.

“L’inchiesta sulle competenze degli adulti (PIAAC) pone l’Italia all’ultimo posto nella graduatoria dei paesi partecipanti rispetto alla percentuale degli individui intervistati che ottengono un punteggio al livello intermedio (3) o superiore (4 o 5) nella scala delle competenze linguistiche. In particolare, solo il 3.3% degli adulti Italiani raggiunge livelli di competenza linguistica 4 o 5 – i più alti – contro l’11.8% nella media dei 24 paesi partecipanti e il 22.6% in Giappone, il paese in testa alla classifica. Inoltre, solo il 26.4% raggiunge il livello 3 di competenza linguistica”.

La finalità della ricerca è stata quella di aiutare i paesi a “meglio comprendere come i sistemi educativi e di formazione permettono di far evolvere queste competenze”. Destinatari dei risultati sono, quindi, gli insegnanti in primo luogo, ma anche e soprattutto i politici e gli economisti, a cui spetta il compito di adottare iniziative politiche, economiche, educative e sociali che siano tali da promuovere il miglioramento delle competenze dell’intera popolazione. Gli esiti delle suddette indagini sono importanti, in quanto dimostrano che la situazione culturale e linguistica degli Italiani non è affatto delle più rosee. In effetti, gli Italiani, pur eredi di Dante e di Manzoni, si collocano, tra i Paesi dell’Ocse, al ventiduesimo posto in materia di competenza linguistica ed anche molto al di sotto della media. Si tratta di un vero e proprio disastro linguistico e, di conseguenza, anche culturale e civile.

Tuttavia, di tale fenomeno non ce ne rendiamo conto in modo compiuto come si dovrebbe, in quanto ciascuno di noi è esposto al linguaggio formale – in genere corretto sotto il profilo della grammatica, (fonologia, morfologia e sintassi) – della televisione, dei giornali, dei manifesti, dei film e degli spettacoli, in cui la lingua italiana utilizzata è quella, in genere, “corretta”. E non solo! In genere quasi tutti gli interventi del pubblico, via etere, radio o televisione, sono in genere corretti sotto il profilo della formalizzazione! Il fatto è che, se qualcuno ha qualcosa da dire e che ritiene importante, cerca sempre di dirlo al meglio! Forse, dire “sempre” è esagerato! In effetti non voglio soffermarmi su fenomeni particolari – ad esempio, Facebook – in forza dei quali, invece, avviene di tutto e di più… errori grammaticali a iosa, parolacce quante ne vuoi,offese e liti a non finire… ed anche un suicidio (è il caso dello scorso 13 settembre nel Napoletano), situazioni che richiederebbero riflessioni particolari e mirate.

Tuttavia, in genere siamo tutti esposti dai vari strumenti di comunicazione a un italiano generalmente e genericamente corretto. Ma… ed eccoci ad un “ma” grosso così! Esiste una trasmissione, anche molto seguita, sul canale radio de “Il Sole 24 ore”, dalle 18,30 alle 20,30, se non erro. – fatta esclusione della domenica – il cui conduttore è Giuseppe Cruciani, supportato da David Parenzo. Si tratta, come si evince dal sommario, de “La Zanzara, l’attualità senza tabù, senza censure, senza tagli alle vostre opinioni. Alla fine della giornata, con i titoli dei telegiornali in diretta, inchieste, voci catturate dalle tv di tutto il mondo e ospiti che non avete mai sentito, La Zanzara diventa la zona franca degli ascoltatori, uno spazio nemico della banalità, l’arena dove il primo comandamento è parlare chiaro”.

Ebbene, in forza di tale assunto, il conduttore adotta un italiano che potremmo definire molto disinvolto, se non di più, a volte un dialetto un po’ romanesco e, soprattutto, ricco di una serie di quelle parole di troppo che in genere si definiscono “parolacce”, e che a volte nel linguaggio parlato quotidiano, in effetti, costituiscono un valore aggiunto di rara efficacia! Un valore che sembra valere per tutti. Quanti politici, pulitissimi, sono stati incastrati dai “fuori onda”! In effetti, nessun conduttore, radiofonico o televisivo, userebbe un simile linguaggio! Anzi! I nostri conduttori sono in genere tutti molto attenti all’uso di un italiano corretto, semplice, non troppo ricco di vocaboli specialistici, perché il pubblico medio che ascolta, vede e segue, va da Bolzano a Siracusa. E si tratta anche dell’italiano cosiddetto standard, quello che – a volte disperatamente – si cerca di insegnare nei dieci anni di istruzione obbligatoria, e che viene utilizzato da tutti i conduttori o giornalisti che siano.

EBBENE! La Zanzara rompe questo schema. La lingua adottata è quella del pubblico di strada – se si può dir così – non quello delle situazioni che potremmo definire formali. EBBENE! Un input di questo tipo sollecita output analoghi. Pertanto, per tutta la trasmissione, è la cosiddetta “parolaccia” che la fa da padrona! In effetti né un Plauto né uno Shakespeare se ne adonterebbero, ma… ormai i grandi media pubblici e privati cercano di adottare un italiano standard corretto grammaticalmente e semanticamente non complesso, in modo che tutti lo possano comprendere. Nel caso della Zanzara, è interessante notare che alle sollecitazioni molto “libere” del conduttore, si hanno reazioni altrettanto “libere”. Pertanto un ascoltatore che non si sognerebbe mai di intervenire in una trasmissione radiofonica o televisiva, in genere molto paludata sotto il profilo della forma linguistica, nel caso della Zanzara si scatena! La grammatica è ignorata e l’eloquio è sempre da caserma, come si suol dire. Intervengono quindi ascoltatori che di lingua italiana ne masticano molto molto poco! Quindi, proprio quei soggetti individuati e “bollati” dalle indagini PIAAC.

Sono soggetti che non interverrebbero mai in trasmissioni come quelle condotte da un Vespa, che sembra esigere sempre una lingua italiana tutto punto e virgola, pulitissima più che mai. Ma che si sentono “autorizzati” a dire la loro, con quella spontaneità linguistica e culturale che è solo loro e non di altri. Si hanno così interventi in cui nessuno si preoccupa di ordinare un discorso con soggetto, predicato e complemento! Ognuno parla “come gli viene” e secondo i pensieri “che gli vengono”. Pertanto, si ha uno spaccato autentico di quella che possiamo definire la cultura degli Italiani, quella vera, autentica, fatta purtroppo più di pancia che di cervello.

Ascoltando la Zanzara, ciascuno di noi può toccare con mano la veridicità e l’autenticità degli esiti di quelle ricerche dell’OCSE sulla competenza linguistica – la literacy – dei nostri connazionali. Lo stesso nostro De Mauro lamenta da sempre la diffusa incompetenza linguistica dei nostri connazionali. Lo so! Le ricerche dell’OCSE sono documenti lunghi, complessi, ricchi di dati e di tabelle, a volte di non facile lettura, ma… la Zanzara è di un facile e semplicissimo ascolto. E’ la traduzione in pillole degli esiti drammatici delle ricerche internazionali.

Concludendo! Non ascoltate la Zanzara se non volete piangere sulla nostra diffusa ignoranza. Comunque, un grazie grosso così a Giuseppe Cruciani che ogni sera ci permette di piangere sulle nostre sciagure linguistiche… e culturali… e civiche, purtroppo! E allora, diamoci una mossa! Possibile che in dieci anni di obbligo di istruzione non si riesca a far parlare gli Italiani semplicemente in italiano?

La penna e la tastiera

La penna e la tastiera

di Maurizio Tiriticco

Da un po’ di anni la tastiera si dà tante arie! Non era così una volta, quando nacque alla fine del 1800 quando un tale inventò la macchina per scrivere! Ora queste macchine non ci sono più, ma per molti anni hanno fatto la loro bella figura in tutti gli uffici! E qualcuno l’aveva pure in casa, uno scrittore, ad esempio. E c’erano anche quelle portatili, più leggére, che un giornalista portava sempre con sé per scrivere i suoi articoli.

A quei tempi la maggior parte di noi scriveva con la penna e con la carta. Anche a scuola la maestra ci insegnava a tenere bene la penna in mano… la destra, sempre, altrimenti erano bacchettate… perché potessimo scrivere nel modo più chiaro possibile!

– Perché poi – ci diceva – c’è un’altra persona che deve leggere e, se non si scrivono chiaramente tutte le letterine, chi legge fa una fatica bestiale!

A quei tempi la tastiera era molto modesta! Sapeva che era solo uno strumento che scriveva letterine tutte eguali e invidiava la penna perché era sempre maneggiata con cura e ogni letterina scritta era sempre diversa da un’altra! E con la penna poi si facevano disegni, scarabocchi e tante altre cose ancora, e la tastiera moriva di invidia! Non era capace di tanto!

Ma poi qualcuno nel secolo scorso ha inventato un’altra macchina, più potente e più veloce, il computer. Sa fare tante cose e sa anche scrivere… ma come? Sempre con una tastiera! Così diversa dalla prima! Sa scegliere i caratteri, anche tutti diversi tra loro, li sa fare piccoli e grandi, anche a colori! E con la tastiera si può anche disegnare, navigare, in quel mondo meraviglioso che si nasconde dietro il video!

E questa tastiera, così rinnovata e perfezionata ha messo su una gran boria! E prende in giro la penna!

– Cara penna! Ora la pianterai di darti tante arie! Io so fare mille cose e tu no! E i bambini imparano presto ad usarmi! Ormai fin da piccoli sono armati di cellulari e di Ipad e con un colpo di polpastrello scrivono tutto quello che vogliono! E tu? Rimani sempre chiusa al buio dentro un astuccio e ne esci solo quando qualche maestra si ricorda che esisti, insieme con matite e pennarelli! Una volta i bambini si macchiavano con l’inchiostro! Era una disperazione per le maestre e per le mamme! Ora non più! Io sono pulita e tu? Sei la porcacciona di sempre! Fanno bene a metterti da parte!

– Hai proprio ragione, piagnucolò la penna! Nessuno più mi cerca! Non ho più futuro! Io ho a che fare solo raramente per qualche appuntino e tu, invece, navighi in ogni parte del mondo! Sai fare mille cose! Sono molto triste!

Ma un foglio bianco che stava lì vicino intervenne un po’ arrabbiato!

– Ma quale tristezza! La tastiera è solo una macchina! E si dà tante arie! Ce l’ha con le penne e anche con me! Vuoi sapere come mi trattano? Mi infilano in una risma appiccicato con centinaia di altri disgraziati come me! Poi ci infilano tutti insieme dentro un’altra macchina, che si chiama stampante: entro bianco e in un attimo esco tutto nero di inchiostro e non capisco nulla di quello che c’è scritto! E così per tutti gli altri disgraziati come me! Che bello, invece, quando ero scelto da una mano, poggiato su una scrivania, carezzato da te, penna mia! Mi scrivevi, mi cancellavi, poi riscrivevi e facevi pure qualche scarabocchio, qualche disegnino e mi divertivo tanto a giocherellare con te! Insomma io e te parlavamo, ci confidavamo! Io ti dicevo quando eri giunta alla fine della pagina e quando dovevi prendere una mia sorellina per continuare il tuo lavoro! Era bello, penna mia! Era bello! E sempre con tanta leggerezza! Ora sono tutto impacchettato con altri fogli e sapessi che dolore poi quando mi stracciano e mi buttano via! Se la tastiera ha sbagliato o la stampante è impazzita! Bei tempi, penna mia, quando ci carezzavamo io e te con tanta delicatezza!

– Allora, posso essere serena! Mi stai rincuorando! Non è finito il mio tempo!

– Non pensarci neanche! Non morirai mai! E sarai ricercata come una cosa rara e preziosa! Vedo già una bambina che ti cerca… ecco… ti prende leggermente tra le dita… comincia a scrivere! Che bello! Tra poco ogni parola, ogni lettera saranno carezze per me! Attenta però, bambina mia, quando metti i punti! A volte fanno male! Preferisco il solletico delle virgole!

La penna… per imparare a scrivere… e a pensare!

Divagazioni un po’ folli, ma non troppo!

Divagazioni un po’ folli, ma non troppo!

di Maurizio Tiriticco

 

Noi veniamo forse da un pianeta di pazzi? O un dio pazzo ha costruito dal nulla questo mondo in cui ciascun vivente, se vuole sopravvivere, vive solo della morte altrui? Eppure da piccolo mi hanno insegnato che “Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra”. Ma non poteva creare una terra un po’ meno cattivella? E poi che ci facciamo con il libero arbitrio? Niente, perché l’uomo – il maschio soprattutto – è l’animale più cattivo di tutti! E lui lassù che guarda e si diverte?! E ci dice pure: colpa vostra! Io vi ho detto di non mangiare la mela! Ma Adamo ed Eva… nun se potevano magnà ‘na pera? O un grappolo d’uva? Insomma, sembra che sia meglio un supermercato che un giardino dell’Eden! Solo mele? O magni ‘sta minestra, o te butti dalla finestra! Come diciamo a Roma. Ma i nostri progenitori, secondo il creatore tanto tanto tanto buono che dovevano fare? Morire di fame? Certamente no, sennò come si faceva ad inventare questa cosa che si chiama religione? Allora, niente mele!

Ma leggetevi ‘sto libro! Si chiama Bibbia, tutto ispirato da Dio, quello Vero, ovviamente! E in altre parti del mondo ciascuno si costruiva il suo dio unico e solo! E si scriveva il suo libro sacro! Ma se questo dio è così buono, come dicono le religioni tutte, perché permette che ciascuno di noi sopravviva solo mangiando un altro vivente? Mi fanno ridere i vegani! Niente ciccia, tutta erba! Ma credono che una bella insalatina non abbia sofferto, a modo suo, quando è stata tagliata e ben condita? Troppo facile credere in un “aldilà” salvifico! Ai cattolici spetta un empireo con tutti i cori angelici! Sai che palle! E per l’eternità! Forse il Purgatorio, o meglio il “fuoco purgatorio”, è più vivacetto! Menomale che qualcuno lo ha inventato! Pare nel Concilio di Lione del 1274. Altrimenti o Paradiso o Inferno! O magni ‘sta minestra o ti butti dalla finestra!

Poi un papa si è inventato che un peccatore, se voleva andare in Paradiso, poteva acquistare l’indulgenza divina! Il papa era Leone X, un Medici! Quelli sì che di quattrini se ne intendevano! Erano i banchieri di tutta Europa! Che pacchia per la chiesa di Roma! Ne nacque un vero e proprio supermercato! Venivano da tutta Europa a comprarsi l’indulgenza! “Chissà se ho i soldi sufficienti! Ho scannato mia moglie! Ma tu, questa indulgenza quanto l’hai pagata?”. “Io ho ammazzato mio padre per pigliarmi l’eredità! Chissà quanto costa l’indulgenza per questo peccato!”. Che festa per papa Leone X! Quel pecca fortiter, sed crede fortius di S. Agostino divenne un passpartout per tutti i peccatori europei! Facevano la fila a Roma, e gli abitanti di Borgo tutti felici! Da tutta Europa portavano scudi, ducati, zecchini, dovevano dormire, dovevano mangiare! Tutta Roma viveva sempre delle invenzioni dei suoi papi! Ma l’invenzione di un papa Medici fu tra le più azzeccate. Indubbiamente Dante l’avrebbe infilato all’inferno tra i più cattivi dei cattivi! Comunque, allora fu una gran festa! Che Chiesa! Che Papi! Ma… forse… non va meglio per i mussulmani? Se mi faccio esplodere, mi attendono tante vergini vogliose di essere scopate!

E diciamocelo… le religioni monoteiste sono state una grande fregatura! Hai voglio a litigà!!! Quante Crociate!!! Otto o nove, non ricordo, dal 1095 al 1274!!! Insomma, per 180 anni – quasi due secoli – in Europa non si pensava ad altro! Altro che i campionati di calcio europei!!! E tutti facevano a gara per liberare i Luoghi Santi dal dominio turco… mussulmani! Infedeli… per i cristiani… e, ovviamente, viceversa! Figlio mio, che farai da grande? Il crociato! Figlio mio, che farai da grande? L’anticrociato! Insomma, quello dei crociati pro o contra era diventato un mestiere! Ora… copio da google, come sempre: “In effetti dietro il motivo religioso si nascondevano anche altri interessi: il desiderio di controllare il proficuo commercio con l’Oriente e la volontà della Chiesa di pacificare l’Europa, soggetta a continue lotte tra le case regnanti”.

E giù botte! Il Vero Dio, con tanto di maiuscole, è quello mio! No! Quello Vero è il mio! E giù a sbudellarsi! Che bello ammazzare un infedele e morire per il Mio Dio, quello Vero!!! Ma non era meglio il paganesimo politesita? Almeno dei e dee vivevano dei nostri stessi sentimenti… e come parteggiavano per Ulisse o per Achille! E Giove quante ne ha inventate per farsi le donne più belle della terra? Non gli bastava Giunone, la sposa ufficiale… mah! Faccio un po’ di conti: Danae, Antiopo, Callisto, Ganimede… ma questo è un maschietto… che importa? Meglio! Bel mondo quello pagano! Bel mondo quello del politeismo! Che orrore un solo dio. Quante guerre di religione abbiamo conosciuto? E che dire poi del Cuius regio, eius religio? Quando intere popolazioni dovevano passare da una religione a un’altra a seconda dei capricci del principe. No! Che dio ci salvi dalle religioni!!! Per la miseria! Ci sono caduto anch’io! Ho invocato dio!

Insomma, pare proprio che il sentir religioso faccia parte della nostra natura! Mah!? Io ci capisco poco! Chi mi illumina?

 

Roma, 21 novembre 2016 – Ricorrenze: Maria viene presentata al Tempio; Sant’ Agapio di Cesarea, martire; San Gelasio I, papa; San Mauro di Cesena, vescovo; San Mauro di Parenzo, vescovo e martire; San Rufo.

 

Maurizio Tiriticco… più martire che vergine!

La bambina di Clusone

La bambina di Clusone

di Maurizio Tiriticco

 

La scuola di una volta era molto meglio di quella di oggi. Almeno secondo il professor Enrico Galiano, che ha analizzato il tema di una bambina di Clusone che frequentava la quinta elementare nel 1944

 

Perché stupirci tanto del tema composto da una bambina di Clusone, un piccolo Comune lombardo della Valle Seriana, nel 1944, quando frequentava la quinta elementare? Settantadue anni fa! Ed era pure un anno di guerra! Oggi invece, dopo anni e anni di studio, indubbiamente né matto né disperatissimo, i nostri alunni, piccoli e grandi, danno un gran da fare agli insegnanti! Per non dire poi dei nostri laureandi! Tesi da riscrivere più e più volte! Fortunatamente c’è sempre una Cepu pronta a darti una mano, o meglio una tastiera e… rien ne va plus, les jeux sont faits! Forse la scuola fascista funzionava meglio della scuola repubblicana? Non so, ma i fatti sono fatti! E la bambina di Clusone non era affatto un’eccezione.

La mia scuola elementare (frequentata dal 1933 al 1938, in pieno regime fascista) non aveva alcuna presunzione di essere una scuola primaria, qual è quella di oggi, che prevede una secondarietà e che, quindi, non è tenuta a “fornirti” di tutti gli strumenti cognitivi, operativi e culturali che consentano un ingresso consapevole e responsabile in una società, qualunque sia il suo livello di complessità. Però, ti forniva gli strumenti necessari per una “sopravvivenza”, chiamiamola così, certa e responsabile, sotto il profilo civile e culturale, in una società che era quella che era! In altre parole, ad una società semplice di allora – e la nostra non lo è affatto – corrispondeva un’istruzione elementare quinquennale altrettanto semplice e, per certi versi, esaustiva rispetto alle necessità future dei suoi alunni. La bambina di Clusone non era, quindi, eccezionalmente “brava”, rispetto alle sue compagne e compagni di classe, i cui temi, con molta probabilità, non erano molto diversi dai suoi. Quindi, ogni stupore è assolutamente fuori luogo.

Ora nel primo ciclo di istruzione le materie di studio abbondano: italiano, lingua inglese e seconda lingua comunitaria, storia, geografia, matematica, scienze, musica, arte e immagine, educazione fisica, tecnologia. Ciò è comprensibile! Oggi i saperi si sono moltiplicati rispetto a un passato ormai lontano, ma… Non so! Questa pioggia di discipline non rischia di distrarre i nostri alunni – ed anche i nostri insegnanti – da quel nucleo di saperi minimi strumentali, elementari, appunto, che consentono di leggere, scrivere e far di conto… senza altre pretese di sorta? Si suole dire che nel più c’è il meno! E infatti, sembra proprio che oggi sia così! Forse si studiava meglio quando si studiava di meno? Non so! Occorrerebbe considerare un’infinità di variabili che è anche difficile individuare

Ma il problema rinvia a problematiche più importanti, se si può dir così. Leggere, scrivere e far di conto ormai è assicurato a tutti, ma… se guardiamo indietro nel tempo, le cose erano veramente drammatiche! Con la costituzione dell’Unità nazionale l’analfabetismo raggiungeva quote altissime. I piccoli Stati postunitari – tranne qualche rarissima eccezione – non si erano mai fatto carico di una cultura e di una scuola diffuse. Nel 1860 il nostro Paese poteva contare su di un pugno di acculturati, mentre il 78% della popolazione era costituita di analfabeti! E con punte del 90% nelle regioni meridionali! I primi programmi scolastici del 1860 furono un importante punto di partenza. comprendevano grammatica italiana, aritmetica, elementi dei diritti e doveri dell’uomo, storia, geografia, scienze, religione. Com’è noto, i rapporti tra il Papato e il Re d’Italia non erano tra i migliori (Roma, prima o poi, sarebbe stata “liberata”) e Vittorio Emanuele II, il re “galantuomo” – dalla cintola in su, come volevano i malevoli – salito al trono nel 1861, volle adoperarsi per dimostrare che la religione cattolica costituiva una materia di insegnamento come le altre. A questo proposito, va detto che il carteggio privato tra Pio IX e Vittorio Emanuele II è estremamente interessante per ciò che concerne i rapporti tra Chiesa e Stato! Uno Stato nuovo e di fatto pericoloso per lo Stato pontificio! Ma in effetti un illustre rappresentate del regno savoiardo, Camillo Benso conte di Cavour, si era sempre espresso per una Libera Chiesa in un Libero Stato.

In tale scenario, la lotta contro l’analfabetismo costituiva una delle chiavi per fare dell’Italia un Regno considerato a livello europeo. Giova una considerazione. Per analfabetismo si intende l’incompetenza nel leggere e nello scrivere. Ciò non significa che la popolazione tutta – a livelli diversi di competenza – non sapesse allora ascoltare e parlare. Com’è noto c’è un tradizione ricchissima per ciò che riguarda la competenza alfabetica del parlare/ascoltare. Basta pensare sia all’opera di Dario Fo, preziosissima in materia – soprattutto il suo Mistero Buffo – che alla ricerca di Carlo Salinari: si veda la sua Storia popolare della letteratura italiana, del 1962.

Ciò che accadde dopo il 1860 è noto! Vennero istituite due leve obbligatorie: quella scolastica e quella militare! E occorreva anche far presto, se ci si voleva misurare con quegli Stati europei convinti da sempre che l’Italia fosse ancora un Paese da costruire dalle sue fondamenta, tante erano le lingue, tanti i livelli – o i dislivelli – di cultura e di civiltà. E quanto suonava male alle orecchie dei nuovi governanti italiani, sia della destra che della sinistra storica, quello sprezzante giudizio del Principe di Metternich pronunciato in una della tante riunioni del Congresso di Vienna: “La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”. Si trattava di un giudizio per nulla buttato lì, ma largamente condiviso da tutte le cancellerie europee. Uno dei tanti pregiudizi che bisognava assolutamente spazzare via e al più presto! La coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini, ovviamente di sesso maschile, fu sancita nel 1875. E nel 1877, con la legge Coppino, la durata delle scuole elementari venne portata a cinque anni e il primo triennio venne reso obbligatorio.

L’istruzione pubblica apparve subito come una drammatica questione nazionale. La prima legge organica sulla pubblica istruzione in Italia fu la legge Casati del 1859. Essa affermava l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione pubblica. L’istruzione elementare era distinta in due cicli di cui solo il primo era obbligatorio, mentre il secondo lo era solo per i Comuni con più di 4.000 abitanti. In seguito, con la legge Coppino, del 1877, l’obbligo di istruzione venne elevato da due a tre anni. Materie di insegnamento erano italiano, matematica, doveri dell’uomo e del cittadino, materie scientifiche. L’insegnamento della religione non era previsto.

Per farla breve, l’alternarsi dei governi ora della destra, ora della sinistra storica e le puntuali polemiche con la Chiesa di Pio IX interessarono tutto lo scorcio del secolo. Con l’era giolittiana e con la prima guerra mondiale la scuola non ebbe particolari e significative innovazioni. E poi la guerra e poi ancora il fascismo e la Riforma Gentile! Per non dire dei Patti Lateranensi del 1929! La nostra scuola elementare non conobbe più particolari sussulti: la guerra e l’immediato dopoguerra costrinsero i nostri governanti ad attendere ad altri problemi. La Liberazione dell’Alt’Italia si ebbe nel ’45 e nello stesso anno – era più che necessario “liberare” la nostra scuola da tutte quelle incrostazioni imposte per un ventennio dal Ministero dell’Educazione Nazionale – vennero varati quei “nuovi programmi della scuola elementare”, di chiara ispirazione deweiana, redatti con il concorso di Carleton Washburne e orientati ai principi della “scuola attiva”.

Mi sono dilungato anche troppo in considerazioni che, però, dovrebbero dare il senso dello spessore culturale e pedagogico della nostra scuola elementare che, dall’Unità nazionale in poi è sempre stata all’attenzione dei nostri governi. La stessa istituzione di una sorta di ministero della Pubblica Istruzione, avvenuta nel 1847 per iniziativa del Re Carlo Alberto col nome di Segreteria di Stato per la Pubblica Istruzione dimostra come il problema di una diffusione del’istruzione e della cultura fosse un’occasione preziosa per la crescita e lo sviluppo di un popolo e di un regno… e più trardi, di una Nazione!

E qui mi fermo! Insomma, se la nostra “bambina di Clusone” ha scritto “quel” tema, e nel 1944, nel pieno di una guerra terribile, ciò non è avvenuto per caso. L’eredità di una lunga storia relativa alla diffusione dell’istruzione e della cultura è fortemente presente nel suo scritto. E non vorrei che le tante traversie di questi ultimi decenni rischino di spazzare via decenni e decenni di impegno per riaffermare costantemente e sempre il penso della nostra cultura che viene da lontano! E che è stata in grado di ispirare anche una bambina di quinta elementare… di tanti anni fa.

Conversando con Francesca

Conversando con Francesca

di Maurizio Tiriticco

 

“L’Italia è un paese dove non si conversa o si discute pacatamente, ma si schernisce l’interlocutore; un paese in cui non si gareggia per l’onore, e da uomini di onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue. L’Italia è una terra dove non c’è convivenza civile, ma forzata; una società in cui ci si sbrana anziché collaborare al bene comune; un paese senza amor patrio, dove lo scherno dell’avversario prevale su tutto”. L’autore vede ben al di là dei facili patriottismi e delle euforie.

Grazie, Francesca, non solo della citazione di cui sopra, ma di tutti i tuoi scritti e commenti – i cosiddetti post… che brutta parola: viene da “postare”, appiccicare un qualcosa, qualunque sia il contenuto – sempre documentati e puntuali. Sei un raro esempio di come può essere utilizzato FB! Sai come me quanto è difficile navigare in una mare di sciocchezze o di info inutili! Come se ciascuno provasse soltanto il piacere di vedere il suo nome stampato girare e letto da tutti. Un’emozione che comprendo! Anch’io, quando vidi il mio primo articolo firmato pubblicato su “Pattuglia”, il settimanale dei giovani socialisti e comunisti – fine anni Quaranta – di cui ero anche redattore, provai una grande emozione! Però, come sai, occorre prima sentire e pensare, e poi scrivere!. Sembra che per molti valga solo il terzo verbo. E’ importante “essere presenti”, comunque! Il contenuto non conta!

A proposito del tuo post, mi piace commentarlo riportando semplicemente due dei sette “saperi” di Edgar Morin (Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur, Unesco-Paris, 2002): il secondo) Insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; il quinto) Insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Come sai, Morin è stato uno degli ispiratori dei curricoli del nostro primo ciclo di istruzione. E mi piace anche riportare alcune delle sue riflessioni quando alcuni anni fa – ministro pro tempore PI Giuseppe Fioroni – varammo le prime Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione.

“Cultura scuola e persona sono inscindibili e per questo è stato giusto definire con questi tre termini il documento culturale che fungerà da base alle prossime Indicazioni nazionali. Voglio apprendere a vivere: questa frase rimarca l’importanza vitale della formazione sia da un punto di vista di umanità che di cittadinanza perché per risolvere i problemi fondamentali dell’uomo è necessaria un’alleanza educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Una mancanza di congiunzione tra le due infatti non può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale. Ma ci sono delle difficoltà in questo percorso, che sono date in primo luogo dalla iper-specializzazione che impedisce il necessario ‘dialogo’ tra i saperi. Dove andremo senza unità di saperi? In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. È necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza: questo è un problema da affrontare già nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi. Una conoscenza priva di contestualizzazione è una conoscenza povera. Come fare a riunire i saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato. Oggi serve un nuovo umanesimo. Nuovo perché il primo umanesimo fu virtuale, non c’erano problemi che riguardavano tutta l’umanità, mentre oggi nel mondo globalizzato i problemi del fanatismo razziale e religioso e quello dell’inquinamento della biosfera accomunano tutta l’umanità: un umanesimo concreto”.

Riflessioni di alto profilo quelle di Morin. Ma – mi chiedo oggi – i nostri insegnanti tutti adottano i criteri indicati da Morin? Non credo, ma la responsabilità non è totalmente loro! E’ l’organizzazione stessa della nostra scuola (le tre C, di cui parlo da tempo – e non sono solo – Classe d’età, Cattedra, Campanella), che la legge 107/2015 non ha assolutamente intaccato, a condizionare i metodi tradizionali. E ciò in forza di una visione molto miope della nostra scuola, anzi, per essere corretto, del nostro “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”: una definizione su cui ministri della PI di diversi orientamenti politici hanno sempre convenuto, pur non andando, a volte, oltre la pura e semplice denominazione.

Cattedre e banchi segnalano e sottolineano da sempre la profonda differenza tra chi sa e chi non sa. Ma, oggi, è ancora così? Infatti, non siamo in pochi a chiederci: questo “segnale”, questa sorta di imprinting che “marchia” un bambino e/o un adolescente come “alunno” (come sai, viene dal latino: un soggetto che deve essere alimentato) dai sei ai diciannove anni di età, ha ancora senso, valore, peso, in una società in cui le informazioni sono così numerose e sovrabbondanti fino a sottoporci a continue “indigestioni” cerebrali? Ed emotive anche! Alle informazioni i nostri alunni accedono con velocità maggiore di quella degli insegnanti! Si clicca un cellulare sopra o sotto il banco e il gioco è fatto. PERO’… ed è un “però” maiuscolo, giochi di questo tipo facilitano e incrementano un nuovo e avanzato copio copias quotidiano, sia scolastico che extrascolastico.

Corre, oggi più di ieri, un enorme divario tra l’enorme pluralità delle informazioni e l’unicità (e la complessità nel contempo) degli interventi di “educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana” (i tre ambiti a cui ci richiama il comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/99, relativo all’autonomia delle istituzioni scolastiche). D’altra parte, l’alunno, quel soggetto che da sempre deve essere “alimentato”, esiste ancora? In una società che, ormai da decenni, un Herbert Marshall McLuhan, esplorando il “villaggio globale”, ha intuito e dimostrato che il medium è il messaggio, il rapporto stesso tra insegnante che insegna e alunno che impara – il magister e l‘alumnus, due ruoli da sempre ben distinti – viene fortemente messo in discussione. L’esposizione alla vita reale è molto più forte della esposizione alla vita scolastica che gli alunni spesso considerano irreale, fittizia, se non inutile.

E’ duro, oggi, il compito dell’insegnante! Ai miei tempi – è il solito ritornello dei nonagenari come me – quella cosa che ci ostiniamo a chiamare ancora scuola era ben diversa. Io insegnante “sapevo tutto” e loro, gli alunni, “non sapevano niente”! Però sapevano che le informazioni che la scuola erogava loro erano preziose per accedere poi alla vita e al lavoro. E la scuola era considerata, obtorto collo, come una purga quotidiana, però salvifica. Oggi la scuola per i nostri ragazzi è solo la “noia infinita” che a nulla serve! Forse non è così per tutti, ma… per la stragrande maggioranza sì! E il patto silenzioso di sempre, non scritto, ma sottoscritto di fatto tra chi insegna e chi apprende non esiste più! Anche a prescindere dai tanti “patti educativi di corresponsabilità” (dpr 235/2007) che scuole e utenti sottoscrivono annualmente.

La scuola oggi è come una gran noia per gli alunni, un passaggio obbligato per le famiglie, una fatica immane per chi insegna, o meglio per chi vuole insegnare bene! Ciò, ovviamente non ha un carattere… universale! Molte scuole funzionano bene in forza dell’intelligenza e del lavoro di tanti buoni insegnanti e buoni dirigenti. E alcune di queste sono all’avanguardia per le sperimentazioni avanzate e per i successi ottenuti. Ma, per raggiungere significativi traguardi, occorrono intelligenza, iniziativa, coraggio; soprattutto quando – senza nulla togliere alla fatica e alla dedizione degli insegnanti tutti – quelle tre “virtù” connotano dirigenti di valore. E queste sono le caratteristiche, ad esempio, di un Salvatore Giuliano, dirigente scolastico dell’Istituto Superiore “Majorana” di Brindisi. Ma il “Majorana” non è solo. Tra i tanti istituti che attuano sperimentazioni avanzate, è bene ricordare il “Pacioli” di Crema, il “Fermi” di Mantova, il “ Volta” di Perugia, il “Savoia Benincasa” di Ancona, il “Marco Polo” di Bari, il “Mamiani” di Roma, et al che non conosco!. Per conoscere ciò che dirigenti e docenti e studenti fanno basta accedere ai siti delle scuola citate. E si tratta di istituzioni scolastiche che, in forza della loro “autonomia” (le leggi son ma chi pon mano ad esse? Eppure il dpr 275/99 apre infiniti orizzonti alla sperimentazione e alla innovazione) hanno sconvolto la didattica tradizionale! E in quegli istituti vi sono insegnanti che… “non insegnano”! Ma “insegnano ad apprendere”! E si tratta di iniziative realizzate giorno dopo giorno anche a normativa vigente! Quindi – 107 sì o no – certe iniziative è possibile avviarle e portarle a compimento! Occorre intelligenza, determinazione, tempo!

E allora, avanti tutta, soprattutto con… tanta buona volontà!

Del trumpismo et al…

All’amica FS: del trumpismo et al

di Maurizio Tiriticco

 

Certo, cara Francesca! Io e te avvertiamo i pericoli indotti da un possibile trumpismo dilagante, ed anche molti dei nostri amici e amiche, e ci domandiamo: che sta succedendo in questo povero mondo? E in questa Italia? L’ignoranza è dilagante. Tutti sfasciano tutto, fontane, scalinate, elefanti! Erano meglio i bombardamenti… la guerra è guerra, ma… se la pace deve essere questa… non so… ma questi delinquenti di opere d’arte hanno frequentato uno straccio di scuola dell’obbligo? Eppure sono sicuro che sanno tutto del calcio della domenica e delle botte che si debbono scambiare tra tifoserie avverse! I poliziotti intervengono sempre per dividerli e ci pigliano pure loro un po’ di botte! Io questi tifosi lascerei che si ammazzassero tra di loro! Se a loro piace così, perché si sentono forti e potenti, lasciamoli vivere, pestarsi e ammazzarsi per le loro fedi sportive!

Che tristezza per un Paese che ha prodotto una Divina Commedia! Quanta poesia, quanta saggezza, quante conoscenze… lo sai che i contadini di allora, che non sapevano né scrivere né leggere, però godevano nell’ascoltare quei versi e memorizzavano il Conte Ugolino… La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto… e Paolo e Francesca… Quali colombe dal desio chiamate con le ali alzate e ferme… et al. Allora, Francesca, allora… a quei tempi… si stava uscendo da quell’età di mezzo per avviarsi verso un rinascimento… eppure, come si scannavano tra guelfi e ghibellini, tra bianchi e neri, tra “fiorentini ciechi” e “pisani traditori”… Comunque, si costruivano pur sempre “civiltà”… anche se poi una torre pendeva e il ballatoio che cingeva la cupola del duomo fiorentino al Michelangelo – che caratteraccio che aveva! – parve semplicemente una gabbia per grilli. Umanesimo, Rinascimento, Barocco, Illuminismo, Romanticismo! Che parole grosse! E che cose ancora più grosse abbiamo costruito nei secoli!

Eppure, guarda come siamo ridotti! Comunque, mia cara, più aumenta l’inciviltà, più la scuola deve interrogarsi… non è sufficiente gingillarsi con conoscenze, capacità/abilità, competenze… concetti grossi che dovrebbero provocare ricadute importanti nella pratica dell’insegnare ad apprendere… io e te ci crediamo, ma… insegnanti e alunni hanno ben altro da fare con questa 107 ed altre amenità! Per non dire delle nuove responsabilità che sono state affidate ai Dirigenti Scolastici!. Insomma abbiamo una scuola in pieno cambiamento. Quando ne vedremo i risultati?

Eppure le urgenze ci sono. Lo sappiamo tutti! Un po’ di educazione al bello, al buono, al giusto sarebbe necessaria! Oltre, ovviamente, all’utile di un semplice abbiccì e di un semplice 2 per 2! Purtroppo, a volte sembra inutile insistere con altre materie, più suggestive, chimica, fisica, geostoria… e mettici pure quel “latino e greco” del nostra tradizione classica! Hai voglia a 107, a Rav e a Rdm… tutte carte imbrattate, o, se vuoi, file digitati… Siamo e saremo sempre gli ultimi nelle statistiche dell’OCSE? Sarà possibile una ripresa? Un balzo in avanti? Mah!

Forse è in questo contesto povero di idee, di suggestioni alte che negli Usa è fiorito un Trump! E gli americani se ne sono accorti e scendono in piazza, e con quanta decisione! Tutti i percoli del trumpismo sono dietro l’angolo e la democrazia americana, quella che viene dal lontano 1776, oggi è veramente a rischio! Una “cosa” che mai, fino a pochi giorni fa avremmo pensato! E tutti i populismi europei gongolano e gridano di gioia! Ed io e te… e tanti altri ci chiediamo: Ma perché ci dobbiamo sopportare un Salvini che, purtroppo, agli occhi dei più ha mille ragioni da vendere?! Le semplificazioni alla Trump e alla Orbàn, e mettiamici pure un lepenismo montante, un Erdogan, una Brexit! Tempo fa abbiamo ricordato il Manifesto di Ventotene! Un sogno che sogno rimane! E che dire della nuova coppia Salvini/Meloni? Tutte linee di tendenza che fanno audience, che sono, purtroppo dominanti e forse le più pericolose!

Le abbiamo già sperimentate con la marcia su Roma e un re imbelle che apre le porte alle camice nere! Purtroppo gli italici pentastellati godono al frinire del Grillo! E le camice verdi godono al dotto eloquio di un Salvini sempre più trumpeggiante… lo hai visto ieri sera in TV? Ha tenuto banco e testa a fronte di quattro o cinque imbecillotti che non sapevano neanche quel che dicevano. E la telecamera sempre puntata su Salvini, che ha retto e salvato una trasmissione che, senza di lui… sai quanti cambi di canale!!! Tutti gli occhi – o meglio, tanti occhi – oggi guardano a Salvini! Dicono che parla alla pancia della gente… della gente sempre alla ricerca dell’uomo Nuovo… la negazione della democrazia. Ed è così! D’altra parte il popolo bolso e becero ragiona da sempre con la pancia ed è anche capace di cambiare casacca in tempi brevi!

La folla plaudente di Piazza Venezia del 1940 ascoltava entusiasta queste parole: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania. Ascoltate. Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano”. Nel 1943 la stessa folla plaudente si accalcava a Piazzale Loreto!

Tempi amari, Francesca! Un terremoto che ci affligge ogni giorno! Una luna che, invece, splende alta nel cielo come non mai, grande così! Un periodo pieno di contraddizioni, nelle cose, nei fatti, nelle idee! Un periodo difficile da comprendere. E difficile da fronteggiare. Ma io e te e tanti come noi ce la mettono tutta per non sentire le sirene di un populismo oggi pressoché planetario! Crediamo ancora nel Paese di un Dante, di un Michelangelo, di un Leopardi! Per carità! Salvini, nooo!!!

Un abbraccio da Emmettì