LA SCUOLA INUTILE
I dati CENSIS confermano ciò che si sapeva già
1) LA REPUBBLICA (DELLE BANANE)
Come noto la “crisi” (termine spersonalizzante, ottimo come elemento di deresponsabilizzazione) ha natura multi-fattoriale (riconosce molte e differenti cause) e multi-dimensionale (si manifesta in più ambiti e direzioni). Fra le tante cause, una mi sembra prevalente rispetto alle altre: la grande iniquità socio-economica che si è venuta sviluppando (non solo) in Italia negli ultimi decenni. I dati della Banca d’Italia sono da repubblica delle banane: il 10% delle famiglie detiene il 50% della ricchezza prodotta dagli Italiani. Di fatto gli Italiani sono costretti a campare con poco più della metà di quanto producono, perché l’altra metà viene prelevata da un ristrettissimo ma vorace gruppo sociale. E questo fa il paio con due altri fattori causali della crisi:
- a) l’altrettanto iniquo sistema fiscale: l’80% dell’intero gettito IRPEF italiano proviene da salari e pensioni; il 20% da imprese, industria, commercio, professioni etc;
- b) la progressiva diminuzione del potere d’acquisto di salari e stipendi (quelli italiani sono tra i più bassi d’Europa).
2) LE CONSEGUENZE
Le conseguenze più rilevante di questa profonda iniquità socio-economica sono principalmente tre.
- A) IL CROLLO DEI CONSUMI
La progressiva iniqua redistribuzione della ricchezza ha determinato l’espulsione di decine di milioni di famiglie dai consumi, con la conseguente crisi delle vendite, fallimenti, licenziamenti, recessione e persino deflazione.
Esattamente l’opposto di quanto è avvenuto nell’area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) dove, per la prima volta dopo secoli di fame, centinaia di milioni di persone hanno avuto accesso ai consumi, cosa che ha fatto letteralmente schizzare verso l’alto il PIL di quelle nazioni. E anche l’opposto di quanto è avvenuto da noi nel dopo-guerra quando, grazie anche al “piano Marshall”, decine di milioni di Italiani hanno potuto disporre di reddito per i propri consumi.
Naturalmente, quando si parla di consumi, è opportuno auspicare “consumi consapevoli”, ossia economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibili, come esercizio democratico di cittadinanza (confronta a questo proposito le posizioni del filosofo Gilles Lipovetsky).
- B) ESPULSIONE DALLA GENITORIALITA’
La perdita di reddito ha determinato, per tantissimi giovani, l’impossibilità materiale di “metter su famiglia”.
- C) BLOCCO DELL’ASCENSORE SOCIALE
Il mito della società capitalista era che se vali e ti impegni, indipendentemente dalle tue condizioni iniziali, puoi raggiungere i più alti traguardi sociali. Invece l’ascensore sociale si è bloccato: potrai arrivare in alto solo se hai la fortuna di nascere in una famiglia già benestante, che troverà il modo di aprirti le porte giuste e farti trovare le strade spianate. Se però hai la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata della società non hai scampo: potrai studiare, laurearti col massimo dei voti, magari prendere più lauree, ma non ti rimane altra strada che andartene: i posti migliori sono già presi (magari da perfetti cretini). E infatti moltissimi giovani di talento se ne vanno; da qui l’equazione del cretino: spendiamo centinaia di migliaia di euro per formare un giovane di talento….. poi lo mandiamo all’estero.
3) QUI ENTRA IN GIOCO LA SCUOLA
In questo scenario la scuola ha giocato un ruolo di grande regolatore sociale democratico: ha permesso a decine di milioni di persone di acquisire gli strumenti cognitivi e culturali per crescere e costruire un futuro migliore per se e per gli altri. Ma il blocco dell’ascensore sociale ha sterilizzato questa funzione democratica della scuola, che viene sempre più percepita come “inutile”.
Per approfondimenti vi suggerisco di leggere l’interessante nota dell’ASASI (Associazione delle Scuole Autonome della Sicilia) che riporto.
Il presidente provinciale
Giuseppe Guastini
“La scuola è percepita non solo come incapace di attivare un ascensore sociale, ma addirittura come inutile”, solo il 16,4% di chi ha studiato ha fatto un salto di qualità rispetto alla condizione della sua famiglia, mentre il 29,5% è addirittura sceso al di sotto di quel livello. Ciò che il Censis ha spiegato è che la scuola è percepita non solo come incapace di attivare un ascensore sociale, ma addirittura come inutile.
I ragazzi bastonati dalla crisi e frustrati nelle loro aspettative – fa notare il Censis – non credono più alla scuola, e al sapere in generale, come investimento, quindi si iscrivono sempre meno e abbandonano sempre di più. Il 27,7% dei ragazzi all’interno di un percorso scolastico abbandona prima di concludere gli studi, una percentuale alta (quasi 10 punti in più della media Ue) e in crescita negli ultimi 5 anni. Il Censis calcola che siano stati 164 mila i ragazzi che hanno lasciato la scuola nell’ultimo anno e ben 2,8 milioni negli ultimi 15 anni: una massa di disillusi, di non-qualificati, di drop-out sociali che però hanno meno di 30 anni e costituiscono un problema sociale e una immensa perdita di risorse umane per la collettività.
La crisi della scuola innesca un deficit di uguaglianza e di pari opportunità: ad abbandonare gli studi, sono i ragazzi provenienti da famiglie con baso titolo di studio. Su 100 abbandoni, 28 riguardano ragazzi che hanno genitori con la terza media, e solo meno di 3 ragazzi con genitori laureati.
Si tratta di un fenomeno preoccupante, i lavori non qualificati sono aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi, essendo cresciuti del 16,8%. Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione, fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio e la percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.
La sottoccupazione riguarda quasi la metà (43,7%) dei laureati in «discipline deboli» (lettere, sociologia, scienze politiche e simili), ma supera questa soglia (57,3% ) per le lauree spendibili come economia e statistica e addirittura il 33% ingegneria.
Visto l’andazzo, non meraviglia che all’università ci si iscriva sempre di meno. L’andamento delle immatricolazioni mostra un calo negli ultimi anni. Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%». Chi può manda i figli a studiare nelle scuole straniere o direttamente all’estero: tra il 2007 e il 2011 il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580
Roberto Tripodi
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