Archivi categoria: Governo e Parlamento

28 gennaio Centocinquantesimo anniversario Italia unita in CdM

Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 28 gennaio 2011, ha deliberato di celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia il 17 marzo 2011, “poiché tale qualificazione comporta l’implicita ed eccezionale inclusione della ricorrenza fra quelle ordinariamente festive, il Consiglio ha ritenuto obbligatorio di conseguenza (e solo per quest’anno) estendere alla giornata del 17 marzo 2011 le regole in materia di orario festivo, limitazioni su determinati atti giuridici, disciplina che regola l’imbandieramento degli edifici, il trattamento economico da corrispondere ai lavoratori dipendenti e le sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inosservanza.”

21 gennaio Modifiche a Legge 240/10 e DLvo 150/09 in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 21 gennaio, approva i seguenti provvedimenti:

su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini:

– uno schema di regolamento per il rinnovo delle modalità di conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari (prima e seconda fascia), in attuazione dalla recente legge di riforma dell’università e per favorire la trasparenza dei concorsi e la valorizzazione del merito nelle università. L’abilitazione durerà quattro anni ed il mancato conseguimento precluderà la partecipazione a tutte le procedure di abilitazione indette nel biennio successivo per la medesima fascia o per la fascia superiore. Sarà il Ministro, con un proprio decreto, a definire i criteri di valutazione, che saranno verificati ogni cinque anni dal Consiglio universitario nazionale e dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario. Lo schema di regolamento, sul quale saranno sentiti anche il Consiglio universitario nazionale e la Conferenza dei rettori delle università italiane, sarà trasmesso al Consiglio di Stato ed alle Commissioni parlamentari per i pareri prescritti; (…)

su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta:

– uno schema di decreto legislativo che offre una corretta e definitiva interpretazione delle regole sulla partecipazione sindacale e sulle competenze della contrattazione collettiva integrativa, al fine di sanare discrasie organizzative che possano insorgere. Lo schema verrà trasmesso alla Conferenza unificata ed alle Commissioni parlamentari.

Di seguito il comunicato stampa relativo allo schema di regolamento per il rinnovo delle modalità di conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari:

Università: regolamento per il conseguimento dell’abilitazione scientifica

Approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 21 gennaio 2010, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini, il regolamento che provvede ad attuare la legge di riforma dell’università del 30 dicembre 2010, limitatamente all’abilitazione scientifica nazionale e precisa che lo stesso riguarda le procedure per il conseguimento dell’abilitazione scientifica, necessaria per accedere alla prima e seconda fascia dei professori universitari.

In particolare, il regolamento disciplina i tempi e le modalità di indizione delle procedure per il conseguimento dell’abilitazione, devono essere indette nel mese di ottobre, per ciascun settore concorsuale e in maniera distinta per la prima e per la seconda fascia dei professori, con decreto del Direttore Generale competente.

Le domande, corredate da titoli e pubblicazioni scientifiche, devono essere presentate al Ministero per via telematica, con procedura valicata da un apposito Comitato.

La durata dell’abilitazione e di quattro anni: il suo mancato conseguimento preclude la partecipazione a tutte le procedure di abilitazione nel biennio successivo per la medesima fascia o per la fascia superiore (art. 3).

La disciplina che definisce i criteri di valutazione, che saranno adottati dalle commissioni nazionali, è rimessa ad un apposito decreto di natura non regolamentare del Ministro, che potrà prevedere un numero massimo (comunque non inferiore a dodici) di pubblicazioni scientifiche da presentare per conseguire l’abilitazione.

L’adeguatezza e la congruità di tali criteri sarà sottoposta a verifica quinquennale, sulla base dei pareri espressi dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN) e dall’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) (art. 4).

È poi previsto che le procedure di abilitazione si svolgano presso università individuate per sorteggio da una lista (formata dal Ministero e aggiornata ogni due anni) di università ritenute idonee, che provvederanno ad assicurare le strutture ed il supporto per l’espletamento delle procedure; per ciascuna procedura l’università nomina un responsabile dei procedimenti che ne assicura il regolare svolgimento.

Gli oneri, di cui si tiene conto nella ripartizione del fondo di finanziamento ordinario, relativi al funzionamento di ciascuna commissione sono a carico dell’università (art. 5).

Quanto alla formazione delle commissioni, di durata biennale, il regolamento disciplina dettagliatamente le modalità di presentazione degli aspiranti “commissari nazionali”, che in ogni caso sono tenuti al rispetto dei criteri e dei parametri di qualificazione richiesti per i candidati all’abilitazione per la prima fascia dei professori e si dispone che sia possibile, per motivate esigenze relative alla formazione della commissione, procedere alla nomina di un secondo commissario in servizio presso la medesima università (art. 6).

Nelle operazioni di sorteggio è assicurata, fra l’altro, la presenza in ciascuna commissione di almeno un componente per ciascun settore scientifico-disciplinare, al quale afferiscono almeno trenta professori ordinari (art. 7).

Ciascuna commissione, dopo aver eletti tra i propri componenti il presidente e il segretario, accede per via telematica, utilizzando appositi codici forniti dal Ministero, alla lista delle domande, all’elenco dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, nonché alla relativa documentazione, presentati dai candidati; attribuisce poi l’abilitazione, deliberando a maggioranza dei quattro quinti dei propri componenti, con motivato giudizio, fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività svolte di ricerca e sviluppo (art. 8).

Infine, sono previste alcune disposizioni transitorie per la prima applicazione del testo normativo (art. 9).

12 gennaio Accoglienza studenti stranieri in Italia

Il 12 gennaio 2011 la 7a Commissione della Camera approva un documento conclusivo relativo all’indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano.

Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Premesse.

La VII Commissione, cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, intendendo approfondire le complesse problematiche connesse all’accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, ha deliberato in data 5 maggio 2009 lo svolgimento di una specifica indagine conoscitiva, volta ad approfondire le principali problematiche connesse alla materia.

Sulla base del programma deliberato dalla Commissione, si è inteso così svolgere una profonda e documentata riflessione sulla presenza di studenti immigrati o di figli di immigrati nella scuola italiana; studenti che ormai da diversi anni rappresentano per il sistema scolastico nazionale una realtà costante e rilevante, soprattutto in alcune regioni della penisola. Anche se la percentuale di alunni con cittadinanza non italiana, circa 630.000, secondo le stime del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al dicembre 2009, non rappresenta una percentuale altissima rispetto ad altri Paesi europei, un grande impatto ha avuto in Italia l’aumento consistente di circa 70.000 alunni all’anno, registratosi nell’ultimo quinquennio, soprattutto perché l’aumento si è concentrato in alcune scuole e territori. La VII Commissione cultura, scienza ed istruzione ha ritenuto che fossero maturi i tempi per svolgere un’indagine conoscitiva che tenesse conto delle cifre e delle attuali problematiche ma anche degli sviluppi possibili, partendo dal presupposto che la scuola è il primo luogo per l’integrazione, la coesione sociale e la formazione dei cittadini futuri. L’indagine conoscitiva ha mirato ad acquisire un’obiettiva e completa conoscenza del fenomeno da parte del Parlamento in modo che la conseguente attività legislativa e ispettiva sia suffragata da competenze specifiche e non improvvisate ai fini dell’attività di indirizzo che le Camere sono tenute a dare al Governo.

In relazione alle audizioni svolte, e in considerazione degli elementi emersi nel corso dell’indagine, è stato quindi ritenuto necessario procedere a successive proroghe del termine per la sua conclusione, avvenuta il 31 marzo 2010.

L’indagine si è articolata in un numero consistente di audizioni, con la partecipazione di numerosi soggetti interessati all’applicazione della normativa relativa all’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole italiane; un’ampia gamma di rappresentanti del settore, di diversa estrazione professionale e nazionalità, con una specifica e acclarata competenza in materia. L’indagine conoscitiva, che ha avuto quindi la durata di circa sei mesi, si è articolata, tra il secondo semestre del 2009 ed il marzo 2010, in sette sedute, per un totale di 7 ore e 20 minuti, con l’audizione di oltre venti soggetti diversi. Durante l’indagine sono stati auditi, in particolare: docenti universitari di sociologia dell’educazione e pedagogia; rappresentanti di centri e associazioni interculturali; rappresentanti dell’UPI e dell’ANCI; il Capo Dipartimento per la programmazione del Ministero dell’istruzione, università e ricerca; assessori competenti di enti locali; docenti e dirigenti scolastici; rappresentanti dei mediatori culturali e delle associazioni degli immigrati in Italia, quali Associna, Associazione Age extra, Associazione Rete G2 seconde generazioni e la Federazione Romanì; rappresentanti dell’Unicef – Italia nonché il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.

Le considerazioni emerse nel corso delle audizioni hanno permesso di approfondire e sviluppare gli obiettivi che la Commissione cultura della Camera dei deputati ha inteso realizzare con lo svolgimento dell’indagine.

2. Obiettivi dell’indagine.

L’indagine conoscitiva ha voluto quindi approfondire innanzitutto i seguenti aspetti: analisi del fenomeno immigratorio nel sistema scolastico del Paese; studio delle modalità e delle condizioni di accoglienza dei minori stranieri, in particolare laddove la loro numerica incidenza o l’arrivo ad anno scolastico avanzato rischi di rallentare i Piani dell’offerta formativa e di modificare le modalità di attuazione, definiti dai consigli di classe; presupposti per la realizzazione di un progetto scolastico consolidato per alunni non italofoni, come esistente in altri Paesi, sulla base di quanto indicato dall’indagine Eurydice sui bisogni educativi speciali 2004. Si è inteso altresì verificare la possibilità di realizzare ottime pratiche di accoglienza, spesso in rete con enti locali, università e privato sociale, attraverso la messa in circuito di informazioni e dati a beneficio dell’intero sistema scolastico italiano, nonché conoscere le modalità praticate per l’accoglienza degli alunni immigrati, comprese le iniziative volte a far apprendere la lingua italiana come seconda lingua. Sono quindi state verificate le possibili ricadute sulla problematica, in presenza della riduzione dei docenti nell’anno scolastico 2009/2010, e sulla presenza di un unico docente nelle scuole primarie, soprattutto negli istituti scolastici che hanno accolto per la prima volta alunni non italofoni. Altre problematiche sono state quelle connesse alla formazione di dirigenti scolastici, docenti e tecnici, in merito agli aspetti specifici affrontati dall’indagine; il confronto con le politiche scolastiche adottate da altri Paesi dell’Unione europea che hanno già affrontato da tempo le criticità e le opportunità legate alla scuola multiculturale di oggi, in modo da trarre profitto dalle buone pratiche messe in opera dagli altri Paesi, evitando di ripetere errori già fatti; la rilevanza dei curricula che, in tempi di globalizzazione, devono avere l’obiettivo di educare una generazione pienamente inserita nella vita civile e culturale del proprio luogo di vita e, contemporaneamente, capace di vivere una cittadinanza più ampia.

L’indagine conoscitiva ha avuto innanzitutto l’obiettivo di fotografare la realtà esistente nell’ambito del sistema scolastico nazionale, con riferimento al fenomeno indicato. In base alle ultime elaborazioni di dati svolte nel dicembre 2009 dal Servizio Statistico del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Direzione Generale per gli Studi e la Programmazione e per i Sistemi Informativi, è emerso infatti che l’incremento maggiore di presenze di alunni stranieri si è registrato nella scuola dell’infanzia (12,7 per cento), seguito da quello della scuola secondaria di primo grado (10, 8) e da quello di secondo grado (9,3 per cento); nella scuola primaria invece l’incremento registrato è stato minore (7,6 per cento). Dal confronto con gli iscritti stranieri degli ultimi due anni, si è rilevato inoltre che il costante aumento è stato rallentato, visto che nell’anno scolastico 2007-2008 l’incremento era stato del 14,5 per cento, contro il 9,6 per cento registrato nel periodo 2008-2009.

La presenza degli alunni stranieri è quindi un dato strutturale del sistema scolastico italiano, facendo registrare un’incidenza pari al 7 per cento del totale degli studenti, con un valore assoluto di 629.360 unità, rispetto ad una popolazione scolastica complessiva di 8.945.978 unità. È aumentato così, in tutti gli ordini di scuola, anche il fenomeno degli alunni stranieri nati in Italia, che hanno superato nel periodo 2008-2009 le duecentomila unità, con un incremento percentuale di 17 punti rispetto all’anno precedente. Il 26,2 per cento delle scuole peraltro ancora non rileva la presenza di alunni stranieri: in circa il 47 per cento dei casi, infatti, la consistenza del fenomeno raggiunge il 10 per cento degli iscritti, mentre solo il 2,8 per cento delle scuole presenta un numero di studenti stranieri superiore al 30 per cento degli iscritti. Si riscontra inoltre che circa il 18 per cento delle istituzioni scolastiche ha una presenza straniera compresa tra l’11 e il 20 per cento, mentre nell’82,7 per cento degli istituti di secondo grado la percentuale di studenti non italiani è inferiore al 20 per cento. L’indagine ha avuto modo di confermare inoltre che a livello nazionale è ormai consolidata la maggior presenza degli studenti con cittadinanza rumena, che ha raggiunto il 16,8 per cento del totale degli alunni stranieri, pari a 105.682. La Romania, insieme ad Albania e Marocco, contribuiscono inoltre per circa il 45 per cento al totale del contingente degli alunni stranieri. Un discorso a parte è invece quello relativo agli studenti di etnia cinese, con una presenza addensata in alcune precise aree, con tipologie comportamentali diverse dagli altri alunni stranieri.

Sulla base degli elementi emersi nel corso delle audizioni del 4 novembre 2009 e di quelle successive è quindi scaturita l’esigenza di verificare come le singole istituzioni scolastiche abbiano fino ad oggi affrontato autonomamente il tema.

3. Il quadro normativo di riferimento in sintesi.

L’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione cultura della Camera ha dovuto tenere conto del complesso quadro normativo di riferimento che nel corso degli anni si è arricchito di fonti normative interne e esterne, a tutti i livelli legislativi.

3.1. Riferimenti normativi internazionali e nazionali in generale.

Sul piano generale, la normativa di interesse relativa al settore specifico può partire a livello internazionale dalla Dichiarazione Universale per i Diritti Umani del 1948, firmata dall’Italia nel 1955, che all’articolo 26 prevede che: «ogni individuo ha diritto all’istruzione…», nonché dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989, firmata dall’Italia nel 1991, che agli articoli 28 e 29 vincola gli Stati a garantire l’istruzione primaria, obbligatoria e gratuita, con caratteristiche tali da sviluppare le capacità di ogni bambino.

Anche i riferimenti normativi nazionali in materia sono molteplici e si sono sviluppati in un arco temporale ormai ventennale. Nel 1989, anno in cui viene costituito per la prima volta un gruppo di lavoro per l’inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo, si hanno le prime due importanti circolari sul tema, la n. 301 dell’8 settembre 1989 e la n. 205 del 26 luglio 1990, aventi ad oggetto, rispettivamente, l’«Inserimento degli stranieri nella scuola dell’obbligo: promozione e coordinamento delle iniziative per l’esercizio del diritto allo studio» e «La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri: l’educazione interculturale». Proprio questo ultimo documento introduce per la prima volta il concetto di educazione interculturale, intesa come la forma più alta e globale di prevenzione e contrasto del razzismo e di ogni forma di intolleranza. Con la circolare ministeriale n. 73 del 2 marzo 1994, inoltre, si interviene anche sulle discipline e sui programmi, rivisti alla luce della dimensione interculturale. Si fa riferimento anche all’utilità di biblioteche e scaffali multiculturali nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche; all’editoria per ragazzi; all’importanza di strumenti didattici adeguati, come i libri bilingue e plurilingue, tutti argomenti trattati nel corso dell’indagine. Una delle ultime circolari in merito, prima della circolare del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, del gennaio 2010, risale al 26 novembre 2008 e tratta delle «Misure incentivanti per le aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica», preceduta dalla visione complessiva sulla normativa offerta dalla Circolare n. 24 del 1o marzo 2006 recante le «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri», che fornisce un quadro riassuntivo di azioni e misure finalizzate all’inserimento degli alunni stranieri. Più volte, si è fatto riferimento in questo provvedimento, che ha soprattutto finalità pratiche, all’offerta di un minimo comune denominatore operativo, concreto, ricavato dalle buone pratiche delle scuole e da proporre a tutto il sistema scolastico. La circolare n. 24, già citata nel programma dell’indagine conoscitiva, è stata ripresa nell’audizione del 4 novembre 2009 ed in particolare in quella del 4 febbraio 2010.

Occorre inoltre ricordare il Testo unico sull’immigrazione, decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, il cui articolo 38 specifica che i minori stranieri presenti sul territorio italiano sono soggetti all’obbligo scolastico. Ad essi, si applicano pertanto tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi e di partecipazione alla vita scolastica, senza distinzione tra minori regolari o irregolari, come pure tra minori i cui genitori dispongono o meno del permesso di soggiorno. L’obbligo scolastico deve pertanto ritenersi vigente per tutti i minori presenti sul territorio nazionale. Successivamente il Regolamento di attuazione del Testo unico, decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999 n. 394, all’articolo 45 dispone che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani, indipendentemente dalla regolarità del loro soggiorno. In sintesi, l’articolo 45 prevede per i minori stranieri l’iscrizione in qualunque periodo dell’anno; l’iscrizione con riserva per minori stranieri privi di documentazione, che non pregiudica il conseguimento dei titoli di studio delle scuole di ogni ordine e grado; l’iscrizione alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il Collegio dei docenti deliberi altrimenti in base all’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno/a; l’accertamento delle competenze dell’alunno/a, del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno/a nel Paese di provenienza e del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno stesso; di evitare la composizione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri. Da ultimo, sempre l’articolo 45 dispone l’adattamento dei programmi di insegnamento.

«La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri» è dunque l’ultimo documento organico dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca che affronta in modo molto articolato le problematiche relative all’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole italiane. Il documento, pubblicato nell’ottobre 2007, è stato redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, istituito nel dicembre 2006 dal Ministero della pubblica istruzione e coordinato dall’allora sottosegretario Letizia De Torre. Il titolo del documento riunisce in modo programmatico due dimensioni irrinunciabili e speculari: l’intercultura, che coinvolge tutti gli alunni e tutte le discipline e che attraversa i saperi e gli stili di apprendimento; l’integrazione che rappresenta l’insieme delle misure e delle azioni specifiche per l’accoglienza e gli apprendimenti linguistici, in particolare per alunni di nuova immigrazione. Il documento è suddiviso in due parti: i principi, ovvero l’universalismo, la scuola comune, la centralità della persona in relazione con l’altro, l’intercultura e le azioni. Si tratta in particolare di 10 azioni che hanno caratterizzato il modello di integrazione interculturale italiano e che possono ancora esprimere potenzialità se accompagnate da un serio impegno di competenza, di continuità, di valutazione e miglioramento. Le azioni da adottare, indicate nel documento sono, in particolare: 1) pratiche di accoglienza e d’inserimento nella scuola; 2) italiano seconda lingua; 3) valorizzazione del plurilinguismo; 4) relazione con le famiglie straniere e orientamento; 5) relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico; 6) interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi; 7) prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze; 8) l’autonomia e le reti tra istituzioni scolastiche, società civile e territorio; 9) il ruolo dei dirigenti scolastici; 10) il ruolo dei docenti e del personale non scolastico. È da sottolineare che due di queste azioni, in particolare, erano state attivate e accompagnate da risorse economiche: la formazione dei dirigenti scolastici, a partire dalle scuole a forte concentrazioni di alunni stranieri, attraverso la realizzazione di una serie di seminari nazionali svolti a Rimini, nel maggio 2007, a Torino, nel novembre 2007 e a Milano, ad aprile 2008. Come è scritto in particolare nel documento: «Si rende indispensabile una formazione dei dirigenti mirata anche ad accrescere specifiche competenze gestionali e relazionali, sia interne alla scuola (dispositivi di accoglienza e promozione dell’inclusione, laboratori linguistici, procedure amministrative e di valutazione), sia esterne (rapporti con le altre scuole, gli enti locali, le risorse del territorio)».

3.2 Una specifica riflessione sulla Circolare ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010.

Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha inviato, nel gennaio 2010, a tutte le scuole una circolare contenente «indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana». Con la circolare, si sono volute quindi fornire indicazioni sull’accoglienza e sull’assegnazione alle classi degli alunni stranieri. In particolare, la circolare ha previsto che il Ministero assegnerà apposite risorse finanziarie destinate agli interventi di sostegno alle scuole per l’inserimento di bambini stranieri e ulteriori finanziamenti saranno previsti per le scuole dei territori con alta presenza di cittadini stranieri. Si ribadisce che i minori stranieri sono soggetti all’obbligo d’istruzione e che le modalità di iscrizione alle scuole italiane seguono i modi e le condizioni previste per i minori italiani. Per evitare concentrazioni di iscrizioni di alunni stranieri si dovranno realizzare accordi di rete tra le scuole e gli enti locali. Gli Uffici scolastici regionali, d’intesa con gli enti territoriali, comunque, potranno autonomamente definire quanti bambini stranieri per classe si potranno iscrivere alle scuole del proprio territorio. Le iscrizioni di minori non italiani non dovranno superare il 30 per cento degli iscritti e in particolare: il numero degli alunni stranieri presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti, quale esito di un’equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio; il limite del 30 per cento entrerà in vigore dall’anno scolastico 2010-2011, in modo graduale. Si prevede, infatti, che tale ultimo limite verrà introdotto, a partire dalle classi prime sia della scuola primaria, sia della scuola secondaria di I e II grado, ma potrà essere innalzato – con determinazione del Direttore generale dell’ufficio scolastico regionale – a fronte della presenza di alunni stranieri, come frequentemente accade nel caso di quelli nati in Italia e già in possesso delle adeguate competenze linguistiche. Il citato limite del 30 per cento potrà invece essere ridotto, sempre con determinazione del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, a fronte della presenza di alunni stranieri che dimostrino all’atto dell’iscrizione una padronanza della lingua italiana, ancora inadeguata a una compiuta partecipazione all’attività didattica, e comunque a fronte di particolari e documentate complessità.

Altro elemento fondamentale per l’integrazione degli alunni stranieri è il potenziamento della lingua italiana, indispensabile per poter andare di pari passo negli studi con i compagni di scuola italiani. Il regolamento di riordino del I ciclo prevede, infatti, che nella scuola secondaria di I grado (scuola media) una quota di ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria possa essere utilizzata per potenziare l’italiano per gli alunni stranieri. L’assegnazione degli alunni non italiani nelle classi è autonomamente decisa dalle scuole che dovranno, comunque, procedere ad un accertamento delle competenze e dei livelli di preparazione dell’alunno per assegnarlo, di conseguenza, alla classe definitiva che potrà essere inferiore alla classe corrispondente all’età anagrafica. Le scuole comunque possono prevedere che l’inserimento in una classe di un alunno straniero sia preceduto o accompagnato da una prima fase di approfondimento della conoscenza linguistica finalizzata ad un inserimento efficace dell’alunno nella classe stessa. Per migliorare la conoscenza della lingua italiana possono essere inoltre organizzati corsi di potenziamento tenuti, ove possibile, dagli insegnanti della scuola stessa. Per questo, nelle attività di formazione degli insegnanti, è opportuno riservare particolare attenzione alle metodologie di intervento e alle misure organizzative e didattiche di sostegno all’integrazione. La circolare dell’8 gennaio 2010 citata, dunque, non deve essere intesa come una protezione degli italiani dal rischio stranieri, ma come uno strumento di programmazione. Le indicazioni volte a non concentrare gli alunni stranieri per classe erano d’altra parte già presenti nel 1989, nel 1999 con il decreto del Presidente della Repubblica n. 394, e successivamente nel 2006. Le scuole, compiendo interventi flessibili, possono, quindi, e anzi devono gestire i flussi facendo prevalere il criterio della scolarità, tenendo presente la storia scolastica e personale dei ragazzi da inserire. Non risultano invece, allo stato, ancora disponibili i dati relativi alle iscrizioni 2010/2011 che risulterebbero peraltro di interesse ai fini di una loro comparazione con i dati indicati.

4. Il fenomeno della presenza dei minori stranieri nella scuola italiana.

Dall’indagine conoscitiva sono emerse innanzitutto situazioni di esperienze in merito all’accoglienza scolastica di alunni stranieri molto diversificate e frammentate all’interno del territorio nazionale. Una situazione più volte definita «a macchia di leopardo», in cui convivono situazioni di estrema precarietà e disagio, accanto a situazioni di buone pratiche, con punte di eccellenza. In questo quadro, la maggioranza degli auditi ha sottolineato che integrare gli alunni immigrati non è un compito speciale della scuola, ma è quello ordinario di una scuola che accetta e rispetta tutte le differenze, etniche, di età e di condizione sociale. Tale aspetto è da considerarsi molto importante, perché permette di inquadrare tutte le misure, in particolare quelle politiche, adottate in tal senso. Nel corso delle audizioni, in particolare dell’audizione dell’11 marzo 2010, è stato fatto rilevare che il problema della distribuzione, della mixed school o della mixité scolaire è all’ordine del giorno in tutti i Paesi, specialmente in quelli europei. In Francia, in Belgio o in Gran Bretagna è per esempio un argomento molto discusso e assai controverso. Come più volte sottolineato, in Italia il problema è complicato da una distribuzione degli alunni stranieri molto disomogenea e dipendente da regione a regione, da città a città, e, all’interno di queste, da scuola a scuola e da quartiere a quartiere.

Dalle audizioni effettuate – per esempio quelle di Graziella Favaro, Coordinatrice della rete dei centri interculturali italiani, o di Milena Santerini, professoressa di Pedagogia generale dell’Università cattolica di Milano, svolte rispettivamente il 4 novembre 2009 e l’11 marzo 2010 -, sono emersi diversi spunti di riflessione, alcuni riferibili al fenomeno della presenza e dell’accoglienza degli alunni stranieri nel loro complesso; altri, invece, riferibili a questioni specifiche e particolari per le quali occorrono soluzioni ad hoc. Dall’indagine è emerso che il fenomeno della presenza dei minori stranieri nella scuola italiana si configura come un fenomeno sociologico ormai stabilizzato ma, contemporaneamente, anche come un fenomeno in continuo movimento. Alcune variabili che vi si ravvisano presentano, infatti, una serie di caratteristiche ormai consolidate e riconosciute, quali la numerosità che è andata sempre crescendo in termini percentuali, e che però, pur continuando ad aumentare, in questi ultimi anni sembra registrare un rallentamento e alcune battute di arresto. Da differenti soggetti auditi – in particolare da Graziella Giovannini, Docente di sociologia presso l’Università di Bologna -, è stato fatto notare che, nonostante le diversità politiche dei vari Governi che si sono succeduti dal primo presentarsi del fenomeno migratorio ad oggi, è possibile rintracciare linee trasversali di indirizzo politico che hanno consentito di individuare una «via italiana» al fenomeno, che è quella dell’integrazione interculturale. Si è fatto osservare che la costruzione di un sistema volto all’educazione interculturale è andata avanti in modo per lo più lineare e progressivo, con indicazioni legislative disomogenee, ma non contraddittorie, le quali pur nell’alternarsi di amministrazioni politiche differenti, hanno portato avanti la prospettiva dell’educazione interculturale. A questo proposito, per esempio, la professoressa Giovannini ha sottolineato come tale prospettiva, nata come tendenza già negli anni ’90, non appare mutata nella sostanza. Infatti, è stato sottolineato che nei provvedimenti del Ministro Gelmini, laddove si individuano gli orientamenti per l’insegnamento di Costituzione e cittadinanza, si evidenzia in maniera molto precisa che il significato della formazione alla cittadinanza non può non essere sviluppata in un contesto che tenga conto delle culture di provenienza. È stata dunque ribadita la continuità degli orientamenti in materia, già espressi in periodi precedenti.

Una prima grande questione emersa in merito alla presenza degli alunni stranieri sul territorio nazionale, che ha avuto anche una grande eco sui mass media, è stata poi quella che riguarda le situazioni relative alla cosiddetta «concentrazione» e «segregazione». Questo è stato da più esperti indicato come un nodo della questione, oggetto di riflessione nella pubblica opinione e tra i più dibattuti negli ambienti politici e parlamentari. Per concentrazione si intende una presenza rilevante di bambini stranieri, talvolta anche superiore alla presenza dei bambini italiani. Al riguardo, tutte le circolari ministeriali sulle iscrizioni e le direttive hanno rilevato la necessità di mantenere l’eterogeneità all’interno dei contesti e delle scuole, giacché solo l’eterogeneità può permettere un buon dialogo interculturale e una buona integrazione. Del resto, come sottolineato da più voci – ad esempio dalla dottoressa Daniela Pompei, rappresentante della Comunità di Sant’Egidio, nella sua audizione del 17 marzo 2010, e dalla già citata professoressa Milena Santerini – le cause dell’alta concentrazione di presenza di bambini immigrati nelle scuole dell’obbligo sono riconducibili solo in parte ad un’alta presenza di famiglie immigrate nella zona dove sono gli istituti scolastici. Tra le possibili spiegazioni, non va sottovalutato infatti un processo che ha visto alcune scuole «specializzarsi» nell’accoglimento di bambini stranieri ed altre che hanno delegato e rinviato ad altri istituti l’onere del loro inserimento, ammettendo un’impreparazione al raggiungimento dell’obiettivo da realizzare.

Da più parti, poi, è stato fatto notare che sul territorio italiano si hanno alcuni casi di concentrazione per etnia, come ad esempio nella città di Prato, dove è stata svolta una specifica missione, proprio in relazione alla forte presenza della comunità cinese nel territorio. Risultano peraltro molto più numerosi i casi in cui la concentrazione coinvolge una pluralità di etnie e diverse nazionalità. Per quello che riguarda i Paesi di provenienza degli studenti stranieri accolti nelle strutture scolastiche italiane, i dati illustrati alla Commissione cultura, in particolare dalla dottoressa Graziella Favaro, coordinatrice della rete dei centri interculturali italiani, nell’audizione del 4 novembre 2009, fanno riferimento a 191 paesi. Tale ampiezza rappresenta un dato considerato unanimemente positivo in Europa. Viene infatti ritenuta maggiormente negativa la situazione in cui il complesso degli alunni seduti sui banchi di scuola provenga solamente da 2-3 contesti nazionali e geografici, mentre è sempre considerata positiva la pluralità delle provenienze. Nel corso della medesima audizione, si è evidenziato che in sede europea è considerata più negativa la situazione in cui i circa 700 alunni non italiani appartengono solo a 2 o 3 contesti.

Un’altra importante questione emersa in relazione al fenomeno generale e al numero complessivo degli studenti stranieri nelle scuole del territorio nazionale è rappresentata dai dati relativi alla presenza in Italia, per nascita o residenza, degli alunni stranieri. Si evince così che il 40 per cento degli alunni stranieri è nato in Italia, il restante 50 per cento è solo residente nel territorio nazionale, seppure da un certo numero di anni; solamente il 10 per cento, infine, è costituito invece dai cosiddetti «neoarrivati». A tale proposito, nel corso delle audizioni sono stati forniti dati relativi alla situazione corrispondente, esistente in Paesi europei da più anni interessati dal fenomeno immigratorio e dalle sue ricadute sui sistemi scolastici nazionali. Si è fatto rilevare a tale proposito che, al dicembre 2009, sono presenti nella scuola italiana circa 630.000 alunni con cittadinanza straniera, mentre il dato dell’omologa situazione francese, per lo stesso periodo, ne indica 450.000. Il dato appare esiguo rispetto alla lunga storia di immigrazione della Francia, ma ciò accade poiché la maggior parte degli alunni, pur avendo un’origine straniera, ha la cittadinanza francese, così come succede in Gran Bretagna. Ad esempio, la Francia non ha un progetto generico per gli alunni stranieri, ma ha predisposto un progetto specifico per gli Elèves nouveaux arrivants en France (ENAF); la Gran Bretagna ha realizzato inoltre un progetto analogo per i New arrivals excellence programme (NAEP). Si tratta di progetti dedicati, in cui il dato di partenza non riguarda la nazionalità ma la padronanza, l’uso e l’esercizio della lingua del Paese in cui gli alunni si trovano a vivere e a studiare. Si tratta quindi di progetti che riguardano unicamente la quota reale dei non francofoni o dei non anglofoni.

5. Alcuni temi specifici: la cittadinanza e l’apprendimento linguistico.

Le analisi offerte alla Commissione da più esperti del settore, in base anche alle pluriennali sperimentazioni sul campo, hanno consentito, quindi, di evidenziare specificatamente due problemi, ritenuti unanimemente nodali e tra loro intrecciati: la cittadinanza e l’apprendimento della lingua.

5.1 Il tema della cittadinanza.

Il quadro dell’integrazione scolastica degli alunni stranieri si interseca profondamente con quello della cittadinanza. In particolare, la legge n. 91 del 5 febbraio 1992 recante «Nuove norme sulla cittadinanza» consente a chi nasce in Italia di presentare la domanda e, quindi, di diventare cittadino alla maggiore età, mentre altri Paesi concedono tale possibilità molto prima. Nello specifico, altri Paesi europei, per esempio Francia e Gran Bretagna, stabiliscono politiche, progetti e risorse solo per quella quota di alunni definiti «neoarrivati» o non parlanti la lingua del paese di accoglienza. Da più parti si è richiamata l’attenzione della Commissione cultura della Camera dei deputati sul dato ritenuto fondamentale in base al quale, rispetto ai minori stranieri residenti in Italia – 862.453 al primo gennaio 2009 – rileva che il 60 per cento di essi, 518.700, sono nati in Italia, quindi sono stranieri solo dal punto di vista della cittadinanza formale, mentre invece sono da considerare a tutti gli effetti, come i loro coetanei, cittadini italiani. Pur registrandosi un rallentamento dell’incremento, fra alcuni anni gli alunni stranieri potrebbero essere più numerosi di quelli italiani. Un sorpasso che statistici e demografi prevedono nel 2050, che altri anticipano, e che comunque pone interrogativi sui mutamenti e sugli effetti possibili. Il tema della cittadinanza rimane quindi fondamentale e, come sottolineato da molte associazioni interculturali, molti giovani, nati in Italia, vivono questa limitazione con estremo disagio. La cittadinanza in Italia non discende dallo ius soli, ma dallo ius sanguinis, principio che sembra non favorire l’integrazione in una nuova società globalizzata. Di contro, i criteri molto restrittivi per comprovare i requisiti per l’ottenimento della cittadinanza italiana o per l’ottenimento dei documenti per il soggiorno divengono un ulteriore peso per molti giovani che ormai si sentono italiani, ma non sono riconosciuti come tali, scoraggiando la prosecuzione del percorso scolastico e d’istruzione dopo la scuola dell’obbligo.

5.2. L’apprendimento della lingua italiana: L2 come fattore di successo.

Un altro aspetto, più volte portato all’attenzione della Commissione cultura, è quello del rendimento e del successo scolastico degli alunni stranieri, legato soprattutto all’apprendimento e alle abilità d’uso della lingua del Paese di accoglienza, come conditio sine qua non per una reale integrazione. Nel corso dell’indagine, è stato fatto notare che l’apprendimento della lingua italiana da parte degli alunni stranieri costituisce la chiave per un buon inserimento scolastico e, se l’acquisizione della lingua per comunicare richiede tempi relativamente veloci e può contare sulla situazione di full immersion nell’attività scolastica quotidiana, l’italiano dello studio rappresenta una barriera più difficile da sormontare. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia, non diversamente dall’Europa, i bambini e i ragazzi di recente immigrazione presentano risultati scolastici che si discostano da quelli dei bambini italiani, presentando un ritardo in ingresso, per cui vengono inseriti non nella classe corrispondente alla giusta età anagrafica ma in classi composte da bambini o ragazzi di età inferiore di due o tre anni, anche se la legge raccomanda di tener conto del criterio dell’età.

Tale pratica, largamente diffusa, si configura come un tratto unificante ed è praticata in tutto il territorio e per tutte le diverse etnie. Com’è stato fatto rilevare nel corso dell’audizione della dottoressa Favaro, svolta il 4 novembre 2009, operare in questo modo significa far partire gli studenti stranieri da una condizione di penalizzazione: laddove non è positivo che un ragazzino di tredici anni stia con bambini di dieci, sia ai fini delle necessarie relazioni sociali e culturali che si debbono instaurare in classe, sia per i conseguenti processi cognitivi e di apprendimento. Per un pieno inserimento è necessario, infatti, che l’alunno trascorra tutto il «tempo scuola» nel gruppo classe, fatta eccezione per progetti didattici specifici, come appunto per esempio l’apprendimento della lingua italiana. L’immersione in un contesto di seconda lingua parlata da adulti e compagni facilita l’apprendimento del linguaggio funzionale. La centralità, dunque, dell’insegnamento e dell’apprendimento della lingua italiana, in termini di rapidità dei tempi e di efficacia, finalizzata all’uso corrente e allo studio per gli alunni stranieri, è venuta alla ribalta dai lavori della Commissione come questione centrale, come una delle priorità da affrontare decisamente da parte delle istituzioni preposte. È stata da più parti ribadita la necessità di sostenere in ambito scolastico l’apprendimento della lingua italiana L2 , o lingua seconda, secondo il termine tecnico di matrice universitaria; tale azione dovrebbe essere rivolta principalmente ai minori e agli adolescenti, i cosiddetti «neo arrivati», appunto, che giungono in Italia in seguito al ricongiungimento familiare o anche allo stesso percorso di adozione internazionale.

Come è stato ricordato nel corso delle audizioni, il problema è stato affrontato dal Piano nazionale per l’insegnamento dell’Italiano Lingua Seconda, elaborato dall’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e finanziato, per un importo di 6 milioni di euro, all’interno del Programma Nazionale Scuole aperte per l’anno 2009, ai sensi della Circolare ministeriale n. 807 del 27 novembre 2008. Quest’azione è destinata in particolare agli alunni di recente immigrazione – ovvero entrati nel sistema scolastico italiano nell’ultimo anno – delle scuole secondarie di primo e secondo grado che, secondo indicatori numerici più volte ripetuti e consolidati, rappresentano il 10 per cento dei circa 630.000 alunni stranieri con cittadinanza non italiana. I destinatari del Piano L2 sono quindi gli alunni «neo arrivati» in Italia, inseriti a scuola da meno di due anni. I laboratori di apprendimento linguistico si svolgono normalmente in orario extracurriculare; sono inoltre previsti moduli estivi – da metà giugno a metà luglio – per i futuri alunni e moduli a settembre, prima dell’inizio delle lezioni, per coloro che siano arrivati dopo il mese di luglio, ma prima di tale data. L’apprendimento della lingua rappresenta uno dei problemi più drammatici per chi è di immigrazione recente, ancora di più per gli adulti che hanno maggiori difficoltà ad imparare, come hanno sottolineato i rappresentanti delle associazioni di genitori immigrati con figli inseriti nella realtà scolastica italiana – come ad esempio i rappresentanti dell’AGE extra di Fano – nel corso dell’audizione del 28 gennaio 2010. A questo proposito è stata avanzata la proposta di organizzare percorsi di apprendimento della lingua italiana per i genitori, in orari e giornate compatibili con il lavoro, che possa contemplare la partecipazione dei figli.

Per ciò che riguarda i corsi d’italiano, è stata significativa anche la testimonianza fornita dal dottor Maurizio Certini, rappresentante del Centro Internazionale studenti G. La Pira di Firenze, impegnato da oltre trent’anni in attività di didattica a giovani e adulti provenienti da tutto il mondo; centroapprezzato nel tempo dalle scuole fiorentine proprio per i percorsi di educazione alla mondialità. Di fronte al mutare della popolazione scolastica e alla presenza massiccia di alunni provenienti da altri luoghi, molti insegnanti hanno chiesto aiuto al Centro per la loro formazione. È stato così adattato il metodo sperimentato con gli adulti attraverso lo svolgimento di esperienze, dirette sul campo, e proponendo alle scuole percorsi formativi dell’italiano come, in particolare, il corso L2, rivolto ad apprendenti minori per l’approfondimento, anzitutto, della lingua di comunicazione, passaggio obbligato prima di cominciare ad operare sulla lingua di studio. Anche per tale presenza, si è osservato, vi sono situazioni, come quella di Firenze – in cui l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua per la scuola dell’obbligo è pagato totalmente dal comune – molto avanzate rispetto ad altre in cui i comuni sono totalmente assenti e le scuole versano in condizioni di difficoltà. In questo contesto, notevole importanza è stata data alla formazione dei docenti, perché solamente docenti altamente formati possono dare efficacia ai moduli di lingua, che devono essere applicati nelle scuole non in modo episodico, ma costante e regolare. La responsabile dell’area socio-pedagogica del Centro COME di Milano, la dottoressa Marina Carta Bussoli, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010, ha illustrato, ad esempio, il progetto dei laboratori linguistici estivi, i primi realizzati sul territorio nazionale, costituiti grazie alla rete del privato sociale. I laboratori consistono in corsi linguistici di dopo-scuola – organizzati sia presso gli istituti, sia on-line – previsti in estate e nei primi giorni di settembre, proprio per consentire ai ragazzi stranieri «neo arrivati» di arrivare preparati all’inizio dell’anno scolastico. In tutti i casi, la maggioranza dei soggetti auditi ha sottolineato l’importanza di poter dedicare allo studio della lingua italiana un periodo strutturato secondo metodi intensivi, possibilmente prima dell’avvio delle lezioni stesse, a cui affiancare altri moduli durante i quadrimestri. Tale sforzo dovrebbe essere portato avanti con il supporto degli enti locali e con l’utilizzo di nuovi materiali didattici che facilitino anche l’autoapprendimento.

È stato più volte sottolineato, inoltre, il forte legame che esiste tra apprendimento della lingua e successo scolastico. A tal proposito, è stato fatto notare che la scuola con alte percentuali di immigrati non necessariamente si configura come scuola di serie B o che registra minori tassi di successo. Si sono ricordate recenti ricerche internazionali in materia dalle quali si rileva che Paesi come Canada, Israele o Australia – che hanno saputo coniugare alti tassi di rendimento, secondo il Programme for International Student Assessment (PISA), con alti tassi di diminuzione del coefficiente della discriminazione sociale – sono riusciti a portare avanti insieme sia il successo di tutti, sia quello delle prime e delle seconde generazioni di studenti immigrati. Tali scuole appartengono a quei Paesi che hanno investito intelligentemente nell’intercultura. Altre ricerche, come la relazione annuale della Banca d’Italia per il 2008, non indicano che gli alunni immigrati abbassano il tasso di successo o che le scuole che hanno più immigrati sono di minore qualità; sostengono, invece, che, se non si investe maggiormente nella differenziazione, ciò potrebbe accadere, creando uno squilibrio verso gli alunni stranieri non in linea con la tradizione della scuola italiana e con la storia del Paese.

6. Alcune considerazioni specifiche sulla presenza delle comunità cinesi, Rom e Sinti.

L’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione ha permesso di approfondire alcune problematiche specifiche relative all’inserimento di studenti appartenenti alle comunità cinesi, Rom e Sinti. Si è avuto modo così di approfondire le questioni particolari collegate al rapporto degli alunni appartenenti a queste comunità con il sistema scolastico nazionale.

6.1. La presenza del gruppo etnico cinese nel sistema scolastico nazionale.

Un tema assai rilevante emerso nel corso dell’indagine conoscitiva è stato quello relativo alla presenza di studenti stranieri appartenenti alla comunità cinese. L’immigrazione cinese presenta caratteri tipologici diversi rispetto a quelli di immigrati provenienti da altre nazionalità, per modalità educative e per concentrazione territoriale. Non a caso, all’approfondimento della realtà cinese sono state dedicate dalla Commissione cultura diverse audizioni. In particolare, sono stati auditi: Marco Wong, presidente di Associna, nella seduta del 28 gennaio 2010; Giorgio Silli, assessore ai rapporti con l’Unione europea, alle relazioni con il pubblico e alle politiche d’integrazione e Rita Pieri, assessore all’istruzione pubblica, università e pari opportunità, del Comune di Prato e Laura Papini, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale «P. Mascagni» di Prato, rispettivamente nelle sedute dell’11 e 17 marzo 2010. Come già ricordato, una delegazione della Commissione cultura ha d’altra parte svolto un’interessante missione a Firenze e Prato il 18 maggio 2010 – della quale la presidente della Commissione cultura, Valentina Aprea, ha dato conto nella seduta del 10 giugno 2010 – proprio allo scopo di approfondire quelle realtà.

Gli alunni stranieri di etnia cinese sono stati definiti «una realtà dentro la realtà».

La maggior parte di essi nasce in Italia, pur tuttavia i genitori, per non far dimenticare ai bambini le proprie origini, dopo il primo anno di vita – nel corso del quale i neonati spesso sono dati a baliatico anche a famiglie italiane del luogo – li riportano in patria, dai nonni, in modo che assimilino la lingua e la cultura di origine, e non la perdano più. È questa la particolarità che caratterizza la maggioranza dei bambini di origine cinese, nati in Italia. All’età di dieci, undici anni essi poi rientrano nel nostro Paese, attraverso la richiesta di ricongiungimento familiare, peraltro completamente digiuni della lingua italiana. Il loro inserimento nelle classi terza, quarta e quinta elementare o nella scuola media crea, quindi, numerosi problemi, poiché alla difficoltà linguistica si affianca il disorientmento di ritrovarsi in un ambiente a loro completamente estraneo e di essere sradicati dagli affetti familiari che avevano in Cina.

Questi ragazzi, dunque, benché nati in Italia, non compiono qui il loro percorso formativo ma lo iniziano in Cina, con tutti i problemi di apprendimento connessi alle difficoltà di inserimento in Italia. Si tratta di giovani che in Cina potevano godere di discreti tenore di vita e status sociale – soprattutto grazie alle rimesse dei genitori – e che si ritrovano invece improvvisamente in un Paese straniero, con genitori con i quali non c’è una familiarità di vita e in una situazione di scarsa considerazione sociale. Tutto ciò è alla base di numerosi abbandoni scolastici, visto che la popolazione scolastica più a rischio è rappresentata da questa tipologia di giovani cinesi che finiscono con l’isolarsi dagli altri studenti, arrivando ad esprimere talvolta anche situazioni di forte disagio sociale.

L’indagine conoscitiva ha permesso quindi di riscontrare che su queste fasce più problematiche sarebbe opportuno operare con interventi ad hoc che possano rappresentare un investimento per il futuro della società italiana. Il Comune di Prato, che è la realtà italiana maggiormente interessata al fenomeno dell’immigrazione cinese, è infatti – come ha rilevato l’assessore Silli – una delle pochissime città ad aver firmato un protocollo d’intesa con altri enti, quali la provincia e la regione, per stanziare annualmente risorse importanti per i mediatori linguistici e culturali, proprio allo scopo di assistere questi minori durante il percorso di apprendimento formativo. È stata lamentata, d’altra parte, l’esiguità dei fondi pubblici stanziati, insufficienti a dare risposte alle effettive necessità delle scuole pratesi, letteralmente sommerse da una realtà immigratoria veramente numerosa. È stato fatto notare, in questo senso, come difficilmente gli enti locali possono far fronte a tali realtà se lasciati da soli, auspicando quindi un intervento finanziario adeguato da parte dello Stato volto ad affrontare questo fenomeno migratorio estremamente rilevante.

6.2. I Rom e i Sinti.

Altra etnia, che si distacca per storia e tradizioni dal contesto generale è quella dei Rom, che necessita di tipologie e modalità di intervento specifiche, come è stato sottolineato dal signor Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010. Nel suo intervento, il signor Guarnieri ha infatti osservato che con l’etnia Rom si fuoriesce dal discorso più generale concernente l’immigrazione, per affrontare un tema peculiare. È stato ricordato in questo senso che dall’8 aprile 1971 – quando si tenne a Vienna il primo congresso mondiale dell’Union Romanì, l’organizzazione non governativa rappresentata all’ONU che racchiude in sé tutte le popolazioni rom – si è arrivati ad una popolazione di Rom e Sinti residente in Italia, che per il 70 per cento è costituita da cittadini italiani. Eppure, la presenza di bambini rom nella scuola italiana è, in linea generale, condizionata da stereotipi e pregiudizi che conducono, insieme ad altri fattori, al fallimento del progetto educativo, con una gestione distante dalle normali dinamiche della diversità culturale e della strategia interculturale. È stato ricordato che il bambino rom appartiene ad una cultura di tipo orale, totalmente diversa da quella italiana e presenta processi cognitivi e affettivi diversi dagli altri bambini.

Sulla base di tale assunto, si è quindi registrato l’insuccesso delle politiche a sostegno della popolazione Romanì, anche perché, è stato osservato nel corso dell’indagine, senza la partecipazione attiva, propositiva e qualificata di Rom e Sinti, ogni iniziativa è destinata al fallimento. È stato affermato, infatti, che senza un’adeguata conoscenza della cultura e dell’identità Romanì e, quindi, senza una formazione specialistica per i docenti, i processi di acculturazione e inserimento non avranno mai successo. L’insuccesso delle politiche finora adottate è stato dimostrato anche dal fenomeno dell’elevata dispersione scolastica che investe i bambini rom: una frequenza elevata, in talune situazioni pari al 100 per cento, fino alla quarta e quinta elementare, che tende invece rapidamente a diminuire successivamente fino all’abbandono totale della scuole nelle classi superiori.

È stato inoltre sottolineato che, per la scolarizzazione dei bambini rom in Italia, si è fatto molto, con diversi progetti avviati sul territorio, grazie anche alla collaborazione delle associazioni che operano nel settore e ai relativi finanziamenti provenienti dal settore privato. Si è lamentata, però, l’inefficacia di tali progetti, in quanto i risultati o sono stati insufficienti o sono mancati del tutto. È stata portata ad esempio la politica adottata al riguardo dal Comune di Roma che, da oltre 15 anni, impegna 2,5 milioni di euro all’anno per scolarizzare circa 2.000 bambini, purtroppo con risultati quasi nulli. Dopo 15 anni di progetto a questi costi, infatti, non è stato raggiunto un numero di bambini con un buon livello di scolarizzazione, tale da giustificare l’alto investimento. È stata avanzata dunque la proposta di un piano nazionale di formazione dei docenti, finora impreparati ad affrontare le problematiche legate alla cultura rom, considerandosi proprio uno dei problemi più evidentemente legati all’insuccesso scolastico dei rom. È stato sottolineato, inoltre, che occorre creare un filo diretto, costante e non episodico, tra le scuole e l’associazionismo rom e sinto in modo da facilitare l’inserimento dei bambini delle rispettive comunità nelle classi. Occorre inoltre produrre materiale didattico specifico, esperimento che ha dato buoni risultati in alcune città italiane – come Reggio Calabria o Padova – dove si sono portati i bambini rom e sinti a concludere la prima elementare, sapendo leggere e scrivere, quando, con il materiale didattico normale, il bambino non sarebbe stato in grado di leggere nemmeno in quinta elementare.

7. La valorizzazione delle origini di provenienza e il ruolo della mediazione culturale e della didattica interculturale.

L’indagine conoscitiva ha permesso di constatare come la piena integrazione degli alunni immigrati nel sistema scolastico nazionale rappresenti una delle sfide ordinarie della scuola italiana. Si tratta di una sfida che la scuola italiana può vincere, com’è già successo in passato per quella dell’integrazione degli alunni provenienti dalle regioni del Sud d’Italia che si trasferivano al Nord con le famiglie o per quella della grande scolarizzazione di massa degli anni Settanta. Integrare gli alunni immigrati non è, quindi, un compito speciale della scuola, ma è quello ordinario di una scuola che accetti e rispetti le differenze etniche, di età e di condizione sociale. Per riuscire ad ottenere una reale integrazione, soprattutto per gli studenti di seconda generazione, occorre però l’apporto, ritenuto essenziale, dei mediatori linguistico-culturali, personale prezioso da utilizzare soprattutto nella fase dell’accoglienza, ma anche come supporto a richiesta. Lo stesso rappresentante dell’ANCI, Donato Gentile, sindaco di Biella, nel corso della sua audizione del 2 dicembre 2009, ha ricordato che l’ANCI vuole invitare il Governo a creare sportelli informativi che mettano l’istituzione comunale nelle condizioni di dialogare con le famiglie di alunni stranieri, tramite la presenza qualificata di un mediatore linguistico e culturale per avere, almeno una volta al mese, uno sportello aperto presso le scuole.

Dalla rappresentante dei mediatori linguistici e culturali, la signora Ribka Sibhatu, è stata sottolineata inoltre, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010, la necessità della valorizzazione della cultura e della lingua di origine, considerati fattori di accrescimento culturale per i nuovi cittadini che nel vedere valorizzata e rispettata la loro identità e la loro lingua originarie si formano come cittadini migliori, a loro volta rispettosi delle tradizioni culturale altrui e del Paese ospitante. Altro elemento, considerato importante, è il lavoro culturale da svolgere per una reale inclusione dei bambini stranieri, onde evitare una loro ghettizzazione. È stato fatto notare che spesso, lavorando nelle scuole, si tocca con mano un forte disagio dei docenti, che effettivamente si trovano a dover affrontare situazioni nuove, spesso inattese; in questo quadro, appare essenziale la figura dei mediatori culturali e linguistici. In proposito, si è fatto riferimento anche ai protocolli di accoglienza, che non possono esaurirsi nell’inserimento di un documento nel sito internet di una scuola, ma vanno interpretati come un processo condiviso da tutto il personale della scuola – compreso il personale ATA – nonché dai genitori. Il protocollo deve, quindi, necessariamente prevedere, nelle sue disposizioni, l’intervento dei mediatori culturali, intesi non come semplici traduttori, ma come un ponte fra le due culture. Queste figure possono rappresentare un valore aggiunto nello spiegare la nuova realtà che genitori e bambini stranieri devono affrontare; per i docenti, viceversa, possono essere una fonte sicura di riferimento per evitare malintesi e incomprensioni. Inoltre, è stato rilevato come le figure professionali in questione appaiano importantissime per i bambini immigrati, perché rappresentano i soggetti che parlano la loro lingua e li possono aiutare, da un punto di vista socio-affettivo e non solamente linguistico, ad affrontare l’inserimento scolastico nel migliore dei modi. La centralità di tali figure è stata ribadita da più parti, considerando anche che, a volte, una frase detta nella lingua d’origine o una filastrocca della tradizione culturale a cui appartiene il bambino, può essere più efficace, ai fini di un suo inserimento, rispetto a molti altri interventi educativi.

Al tema dei mediatori culturali va affiancata, com’è stato accennato, la questione della didattica interculturale. Nel corso dell’audizione di esperti del settore svolta dalla Commissione l’11 marzo 2010, sono stati portati ad esempio dati della regione Lombardia contenuti nella banca dei progetti relativi agli alunni stranieri immigrati. Si è notato che tra il 2002 e il 2008 vi è stato un incremento dal 32 al 62 per cento di progetti di didattica interculturale. Tuttavia, anche se l’aumento in termini percentuali è notevole, questo tipo di didattica, che ha come obiettivo quello di sviluppare i valori della tolleranza e del rispetto per la diversità culturale, richiede di essere ulteriormente implementata, soprattutto in altre regioni italiane. L’indagine conoscitiva ha permesso peraltro di evidenziare come, complementare al discorso sulla didattica interculturale, sia quello della «revisione» dei libri di testo. È stato fatto notare per esempio a questo proposito dalla professoressa Giovanna Cipollati – insegnante e ricercatrice di ANSAS Marche settore cultura, responsabile di progetti formativi per il personale della scuola della Comunità volontari per il mondo (CVM) – nel corso della medesima audizione dell’11 marzo 2010, che occorrerebbe tenere in maggior conto la complessità del mondo che ci circonda, attraverso la definizione di nuovi paradigmi culturali, che assecondino il passaggio dalla società industriale a quella telematica. È stata anche rappresentata l’esigenza di un approccio all’insegnamento storico «trasversale», che tenga conto della prospettiva mondiale, planetaria, nonché della zoomata, della focalizzazione sul locale. A tal proposito, il dottor Fabio Pipinato, direttore della Fondazione Fontana Onlus, nel corso della sua audizione del 4 marzo 2010, ha presentato alla Commissione il progetto «Atlante on line», in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, università e ricerca. Un atlante geografico nuovo, diffuso su internet, non eurocentrico, ma in linea con l’esigenza di una didattica interculturale, volto a rivisitare gli strumenti didattici tradizionali. L’atlante coniuga in particolare le interazioni che caratterizzano la navigazione in internet con l’approccio dei circoli di apprendimento cooperativo, cosiddetto cooperative learning. L’idea di mondialità che l’atlante vuol trasmettere è affidata, perlomeno idealmente, alla rappresentazione cartografica che utilizza, tra le altre, anche la proiezione di Peters, nella consapevolezza che, come ogni rappresentazione, anche questa è una semplificazione della realtà.

8. Ulteriori fattori di integrazione: il territorio e il ruolo delle famiglie.

Un ulteriore tema affrontato dall’indagine è stato quello relativo al ruolo del territorio e delle famiglie nel delicato aspetto dell’inserimento degli alunni stranieri nelle classi nazionali.

Molti degli esperti auditi, come ad esempio il professor Giulio Valtolina, responsabile del settore famiglia e minori della fondazione Istituto studi e iniziative per la multietnicità (ISMU), audito nella seduta dell’11 marzo 2010, hanno sottolineato che due partnership sono imprescindibili per la scuola: il territorio e la famiglia. Il territorio è importante perché la scuola si colloca tra un prima e un dopo: prima vi è infatti l’esperienza migratoria del minore e della sua famiglia, nella quale il giovane è immerso, anche se nato in Italia. Dopo, vi è per lui l’inserimento lavorativo, con alcuni titoli in più all’interno della società e della cultura che lo ospita; il secondo partner importante invece è la famiglia. L’indagine ha permesso di verificare in questo senso come il mancato coinvolgimento delle famiglie nel processo di integrazione dei figli a scuola significa mettere a rischio l’intero processo. Coinvolgere le famiglie immigrate, con stimoli e strumenti adeguati, porterebbe invece solo vantaggi: diverse ricerche dimostrano infatti che, coinvolgendo le famiglie e i genitori, ne guadagna il processo di inclusione sociale sia della famiglia che dei ragazzi. In questo senso, in particolare nel corso delle audizioni del 2 dicembre 2009, del 28 gennaio e del 17 marzo 2010, sono stati portati esempi di buone pratiche esistenti con protocolli e coordinamenti scientifici che consentono da anni un coinvolgimento delle famiglie. Si tratta di protocolli che peraltro costano molto all’ente locale e prevedono l’utilizzazione di un mediatore linguistico e di un mediatore culturale anche per le famiglie. Vi sono d’altra parte amministrazioni pubbliche che investono cospicue risorse per progetti che riguardano l’integrazione, nella consapevolezza che l’integrazione non è solo quella del bambino, ma passa necessariamente attraverso quella della famiglia nella società. Nella complessiva dinamica concernente il fenomeno dell’immigrazione, sono comunque diffuse diverse esperienze d’integrazione positiva.

Nel corso di altre audizioni, per esempio in quella del 4 febbraio 2010 svolta da Marina Carta Bussoli, responsabile dell’area socio-pedagogica del Centro COME, sono state illustrate alcune ricerche dalle quali scaturisce che i genitori hanno un tasso di scolarità molto alto. Gli immigrati adulti, in alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, hanno un tasso di scolarizzazione percentualmente maggiore di quello del cittadino italiano. Pur tuttavia i loro figli seguono percorsi formativi più precari che diventano maggiormente difficili negli istituti tecnici e professionali, limitandosi a seguire una scelta didattica riferita ai percorsi indicati, con una forte concentrazione di studenti immigrati nell’istruzione e formazione professionale. Per migliorare le prestazioni dei bambini nati in Italia e per favorire il loro successo formativo, all’interno del rapporto scuola-territorio, è stata evidenziata d’altra parte dai mediatori linguistici e culturali – in particolare dalla signora Ribka Sibhatu nell’audizione del 4 febbraio 2010 – la necessità di lavorare anche sulle famiglie e sulle relazioni scuola-famiglia. Occorre cioè operare sull’inclusione delle famiglie stesse nel territorio e sui bambini, tramite l’associazionismo di gruppi giovanili, formativi, sportivi, educativi, investendo nelle politiche sociali e giovanili per favorire un’aggregazione sostanziale e non solo formale tra gli alunni appartenenti a comunità diverse.

9. Conclusioni.

La scuola caratterizzata da forti presenze di alunni con formazione culturale profondamente diversa è ormai una realtà, che talvolta è accolta dai genitori come opportunità per i propri figli, altre volte desta timori comprensibili in loro, sia per la possibilità che i valori o le tradizioni della propria terra si annacquino, sia per un possibile rallentamento dei programmi scolastici. Gli studenti la vivono con naturalezza perché è il loro mondo, quello che penetrano anche per le molteplici e immediate forme di comunicazione che oggi sono a disposizione di tutti. Oltre a queste diverse percezioni di genitori e studenti, il lavoro dei docenti e dei dirigenti costituisce sempre una vera e propria sfida che in molti casi porta ad innovazioni didattiche ed educative, ma richiede un oneroso impegno professionale sempre maggiore, al quale non sempre corrisponde un’adeguata formazione iniziale, né un sufficiente supporto in servizio. Gli aggiornamenti a volte sono offerti dal settore del privato sociale, già impegnato su questi temi, con l’organizzazione di corsi spesso di alto livello che hanno il pregio di puntare alla motivazione personale e produrre eccellenti prassi, che peraltro – non essendo inserite in percorsi di formazione ordinari del Ministero dell’istruzione – rimangono nella sfera del fai da te senza essere parte delle competenze ordinarie, generalizzate e strutturali del sistema scolastico italiano.

Passare a tale approccio strutturale richiede senz’altro l’esigenza di affrontare questioni di fondo, quali la formazione iniziale e in servizio di tutto il personale, i protocolli di accoglienza, l’apprendimento della lingua italiana, il coinvolgimento di tutti i genitori, il lavoro di rete nelle comunità locali e, non ultimo, il contenuto dei saperi, la dimensione interculturale di ciascuna delle discipline, i cui programmi risalgono ad un tempo, ormai definitivamente chiuso, in cui la cultura in classe, salvo rarissime eccezioni, era omogenea e locale. L’onere richiesto alla scuola – senza dubbio rilevante e aggiuntivo – in un momento in cui la ristrettezza delle risorse e le riforme in corso di attuazione comportano complessi e molteplici problemi che aggravano il lavoro quotidiano di docenti e dirigenti, potrebbe tentare di far ritenere il contesto come uno dei tanti elementi della scuola italiana e non il più urgente da affrontare. Il contesto culturale della scuola italiana non è, d’altra parte, una variabile indipendente e ignorare tale evidenza avrebbe conseguenze negative sul complessivo funzionamento della scuola e sul livello qualitativo dell’insegnamento; inciderebbe inoltre sullo sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero Paese. Per affrontare, infatti, il tempo della globalizzazione occorre passare dalla «cultura liquida» di oggi, che caratterizza in particolare l’Europa, ad una cultura che abbia al contempo radici profonde nella propria terra d’origine e sia attrezzata per comprendere, discernere e valorizzare il positivo delle culture degli altri che ci vivono accanto o con i quali si hanno, per svariati motivi, relazioni. Occorre, in altre parole, prendere atto che non esiste più un mondo monoculturale, neppure nelle più piccole realtà locali. Si deve avere il coraggio dunque di salpare verso questo nuovo mondo.

È compito quindi precipuo della scuola offrire alle nuove generazioni gli strumenti cognitivi e formativi per affrontare il nuovo mondo globale di riferimento, non con il disorientamento dell’effetto «Torre di Babele», ma con solide basi culturali che permettano di capire le lingue degli altri. È necessaria, quindi, l’interculturalità, intesa come rispetto e dialogo tra le culture. Anzi, di più, occorre arrivare ad un contesto co-culturale in cui, accanto alla cultura propria di ciascuno, si venga a formare una cultura condivisa, fatta di valori e conoscenze comuni, su cui fondare la convivenza delle nostre comunità. Queste osservazioni rivolgono l’attenzione non solo agli alunni immigrati, ma all’intera popolazione scolastica. La dimensione interculturale della scuola, ed in particolare delle discipline, coinvolge tutti gli studenti, specie quelli italiani da generazioni che meno di altri possiedono occasioni di conoscenze, viaggi, esperienze associative. Tutti i ragazzi e i giovani di oggi hanno, infatti, la necessità di essere accompagnati a discernere gli aspetti positivi e quelli insidiosi della globalizzazione attraverso insegnamenti significativi che sappiano far scoprire loro valori e nuove prospettive.

In conclusione, avvertendo quanto primario sia il ruolo della scuola in tale prospettiva, la Commissione evidenzia l’importanza di adottare alcune misure che siano di sostegno al compito di docenti e dirigenti, misure su cui dare indirizzi al Governo o su cui prendere iniziative legislative.

Innanzitutto, la presenza ormai significativa e stabile di alunni non italofoni, almeno per origine, suggerisce di adeguare velocemente le competenze richieste sia a livello centrale, sia nelle singole istituzioni scolastiche, apprendendo anche dalle esperienze di Paesi che hanno affrontato massicce immigrazioni molto prima dell’Italia. In secondo luogo, va sottolineata l’importanza di un continuo monitoraggio sia della presenza di alunni non italofoni nel sistema scolastico italiano, sia degli esiti attesi. È dunque necessaria una lettura attenta di dati costantemente aggiornati e disponibili che riguardino non solo l’iscrizione, ma anche l’integrazione, il successo scolastico, l’interazione col territorio. In terzo luogo, pare alla Commissione fondamentale che le istituzioni scolastiche siano messe in condizioni di possedere in anticipo modalità di accoglienza degli alunni immigrati, attraverso le quali siano offerte agli studenti tutte le condizioni non solo per un buon inserimento nella classe, ma anche per una accoglienza curriculare che preveda l’accertamento delle conoscenze pregresse delle varie discipline ed in particolare della lingua italiana. In questo senso, ogni scuola, in rete con le altre istituzioni scolastiche e con la Comunità locale, deve avere la possibilità di mettere tempestivamente in atto corsi di lingua italiana L2, condotti con serie competenze e certificazioni. In quarto luogo, vanno previsti nel percorso di formazione iniziale di docenti e dirigenti, parimenti nella loro formazione in servizio, moduli che riguardino sia la didattica e la pedagogia interculturale che l’organizzazione dell’istituzione scolastica in contesti multiculturali. Va sollecitata, inoltre, anche attraverso le università, la ricerca che riguarda la dimensione interculturale delle singole discipline e la diffusione di tali contenuti. In quinto luogo, la Commissione, essendo emerso nel corso dell’indagine conoscitiva il compito non semplice dei comuni, soprattutto in tempi di ristrettezza di risorse finanziarie, suggerisce di avviare con il coordinamento delle regioni, un percorso per mettere a punto sinergie, compiti dei diversi attori, condivisione delle azioni, che possa portare ad un accordo quadro in sede di Conferenza unificata Stato-regioni e permetta altrettanti accordi istituzionali a livello locale. Va osservata, infine, la necessità di prevedere risorse certe, dedicate e impiegate non solo per le emergenze, ma anche per costruire modalità di lavoro stabili, diffuse in tutte le scuole italiane. Il Parlamento dovrà fornire indicazioni, al riguardo, all’Esecutivo.

31 dicembre Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

(Palazzo del Quirinale, 31/12/2010) Buona sera e Buon Anno a voi tutti, italiane e italiani di ogni generazione. Non vi stupirete, credo, se dedico questo messaggio soprattutto ai più giovani tra noi, che vedono avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano un’occupazione, cercano una strada. Dedico loro questo messaggio, perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia.

Incontrando di recente, per gli auguri natalizi, i rappresentanti del Parlamento e del governo, delle istituzioni e dei corpi dello Stato, ho espresso la mia preoccupazione per il malessere diffuso tra i giovani e per un distacco ormai allarmante tra la politica, tra le stesse istituzioni democratiche e la società, le forze sociali, in modo particolare le giovani generazioni. Ma non intendo tornare questa sera su tutti i temi di quell’incontro. Ribadisco solo l’esigenza di uno spirito di condivisione – da parte delle forze politiche e sociali – delle sfide che l’Italia è chiamata ad affrontare; e l’esigenza di un salto di qualità della politica, essendone in giuoco la dignità, la moralità, la capacità di offrire un riferimento e una guida.

Ma a questo riguardo voi che mi ascoltate non siete semplici spettatori, perché la politica siete anche voi, in quanto potete animarla e rinnovarla con le vostre sollecitazioni e i vostri comportamenti, partendo dalle situazioni che concretamente vivete, dai problemi che vi premono.

Siamo stati anche nel corso di quest’anno 2010 dominati dalle condizioni di persistente crisi e incertezza dell’economia e del tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l’ansia del non poterci più aspettare – nella parte del mondo in cui viviamo – un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest’ansia : non potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in positivo al mondo com’è cambiato, e all’impegno, allo sforzo che ci richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a noi italiani, ma non solo a noi: all’Europa, agli Stati Uniti. Se il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.

E innanzitutto è conquista anche nostra, è conquista della nostra comune umanità il rinascere di antiche civiltà, il travolgente sviluppo di economie emergenti, in Asia, in America Latina, in altre regioni – anche in Africa ci si è messi in cammino – rimaste a lungo ai margini della modernizzazione. E’ conquista della nostra comune umanità il sollevarsi dall’arretratezza, dalla povertà, dalla fame di centinaia di milioni di uomini e donne nel primo decennio di questo nuovo millennio. Paesi e popoli con i quali condividere lo slancio verso un mondo globale più giusto, più comprensivo dell’apporto di tutti, più riconciliato nella pace e in uno sviluppo davvero sostenibile.

E’ in effetti possibile un impegno comune senza precedenti per fronteggiare le sfide e cogliere le opportunità di questo grande tornante storico. Siamo tutti chiamati a far fronte ancora alla sfida della pace, sempre messa a dura prova da persistenti e ricorrenti conflitti e da cieche trame terroristiche : della pace e della sicurezza collettiva, che esigono tra l’altro una nuova assunzione di responsabilità nella Comunità Internazionale da parte delle grandi potenze emergenti. Siamo chiamati a cogliere le opportunità di un processo di globalizzazione tuttora ambiguo nelle sue ricadute sul terreno dei diritti democratici e delle diversità culturali, ed estremamente impegnativo per continenti e paesi – l’Europa, l’Italia – che tendono a perdere terreno nell’intensità e qualità dello sviluppo.

Ecco, da questo scenario non possono prescindere i giovani nel porsi domande sul futuro. Non possono porsele senza associare strettamente il discorso sull’Italia e quello sull’Europa, senza ragionare da italiani e da europei. Molto dipenderà infatti per noi dalla capacità dell’Europa di agire davvero come Unione: Unione di Stati e di popoli, ricca della sua pluralità, e forte di istituzioni che sempre meglio le consentano di agire all’unisono, di integrarsi più decisamente. Solo così si potrà non solo superare l’attacco all’Euro e una insidiosa crisi finanziaria nell’Eurozona, ma aprire una nuova prospettiva di sviluppo dell’economia e dell’occupazione nel nostro continente, ed evitare il rischio della sua irrilevanza o marginalità in un mondo globale che cresca lontano da noi. Sono convinto che questa sia una verità destinata a farsi strada anche in quei paesi europei in cui può serpeggiare l’illusione del fare da soli, l’illusione dell’autosufficienza.

Pensare con positivo realismo in termini europei equivale a non illuderci, in Italia, di poter sfuggire agli imperativi sia della sostenibilità della finanza pubblica sia della produttività e competitività dell’economia e più in generale del sistema-paese. D’altronde, sono convinto che quando i giovani denunciano un vuoto e sollecitano risposte sanno bene di non poter chiedere un futuro di certezze, magari garantite dallo Stato, ma di aver piuttosto diritto a un futuro di possibilità reali, di opportunità cui accedere nell’eguaglianza dei punti di partenza secondo lo spirito della nostra Costituzione.

Nelle condizioni dell’Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell’aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale.Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l’oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall’abituale frastuono e da ogni calcolo tattico.

Ma affrontare il problema della riduzione del debito pubblico e della spesa corrente, così come mettere mano a una profonda riforma fiscale, vuol dire compiere scelte significative anche se difficili. Si debbono o no, ad esempio, fare salve risorse adeguate, a partire dai prossimi anni, per la cultura, per la ricerca e la formazione, per l’Università? Che questa scelta sia da fare, lo ha detto il Senato accogliendo espliciti ordini del giorno in tal senso prima di approvare la legge di riforma universitaria. Una legge il cui processo attuativo – colgo l’occasione per dirlo a coloro che l’hanno contestata – consentirà ulteriori confronti in vista di più condivise soluzioni specifiche, e potrà essere integrato da nuove decisioni come quelle auspicate dallo stesso Senato.

Occorre in generale individuare priorità che siano riferibili a quella strategia di più sostenuta crescita economico-sociale che per l’Italia è divenuta – dopo un decennio di crescita bassa e squilibrata – condizione tassativa per combattere il rischio del declino anche all’interno dell’Unione Europea.

Vorrei fosse chiaro che sto ragionando sul da farsi nei prossimi anni ; giudizi sulle politiche di governo non competono al Capo dello Stato, ma appartengono alle sedi istituzionali di confronto tra maggioranza e opposizione, in primo luogo al Parlamento.

E vorrei fosse chiaro che parlo di una strategia, e parlo di priorità, da far valere non solo attraverso l’azione diretta dello Stato e di tutti i poteri pubblici, ma anche attraverso la sollecitazione di comportamenti corrispondenti da parte dei soggetti privati. Abbiamo, così, bisogno non solo di più investimenti pubblici nella ricerca, ma di una crescente disponibilità delle imprese a investire nella ricerca e nell’innovazione. Passa anche di qui l’indispensabile elevamento della produttività del lavoro : tema, oggi, di un difficile confronto – che mi auguro evolva in modo costruttivo – in materia di relazioni industriali e organizzazione del lavoro.

Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistema-paese, comporta per l’Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell’ultimo decennio.

Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l’urto della crisi globale scoppiata nel 2008.

Gli ultimi dati ci dicono che le persone in cerca di occupazione sono tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno ; e che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 anni e i 24 – ecco di nuovo il discorso sui giovani, nel suo aspetto più drammatico – ha raggiunto il 24,7 per cento nel paese, il 35,2 nel Mezzogiorno e ancor più tra le giovani donne. Sono dati che debbono diventare l’assillo comune della Nazione. Se non apriamo a questi ragazzi nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti, per l’Italia : ed è in scacco la democrazia.

Proprio perché non solo speriamo, ma crediamo nell’Italia, e vogliamo che ci credano le nuove generazioni, non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo. C’è troppa difficoltà di vita quotidiana in diverse sfere sociali, troppo malessere tra i giovani. Abbiamo bisogno di non nasconderci nessuno dei problemi e delle dure prove da affrontare : proprio per poter suscitare un vasto moto di energie e di volontà, capace di mettere a frutto tradizioni, risorse e potenzialità di cui siamo ricchi. Quelle che abbiamo accumulato nella nostra storia di centocinquant’anni di Italia unita.

Celebrare quell’anniversario, come abbiamo cominciato a fare e ancor più faremo nel 2011, non è perciò un rito retorico. Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario : e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la libertà e l’Unità dell’Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro senso del dovere comune e dell’unità, e nella forza degli ideali.

Ed è patrimonio vivo quello del superamento di prove meno remote e già durissime, come il liberarci dalla dittatura fascista, il risollevarci dalla sconfitta e dalle distruzioni dell’ultima guerra, ricostruendo il paese e trovando l’intesa su una Costituzione animata da luminosi principi. No, nulla può oscurare il complessivo bilancio della profonda trasformazione, del decisivo avanzamento che l’Unità, la nascita dello Stato nazionale e la sua rinascita su basi democratiche hanno consentito all’Italia. Di quel faticoso cammino è stato parte il ricercare e stabilire – come ha voluto sottolineare ancora di recente il Pontefice, indirizzandoci un pensiero augurale che sentitamente ricambio – “giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa”.

Sono convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il valore dell’unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario come presidio irrinunciabile nell’era del mondo globale. Uno Stato, peraltro, in via di ulteriore rinnovamento secondo un disegno di riforma già concretizzatosi nella legge sul federalismo fiscale. Sarà essenziale attuare quest’ultima in piena aderenza ai principi di “solidarietà e coesione sociale” cui è stata ancorata.

Sarà essenziale operare su tutti i piani per sanare la storica ferita di quel divario tra Nord e Sud che si va facendo perfino più grave, mentre risulta obbiettivamente innegabile che una crescita più dinamica dell’economia e della società nazionale richiede uno sviluppo congiunto, basato sulla valorizzazione delle risorse disponibili in tutte le aree del paese.

Il futuro da costruire – guardando soprattutto all’universo giovanile – richiede un impegno generalizzato. Quell’universo è ben più vasto e vario del mondo studentesco. A tutti rivolgo ancora la più netta messa in guardia contro ogni cedimento alla tentazione fuorviante e perdente del ricorso alla violenza. In particolare, poi, invito ogni ragazza e ragazzo delle nostre Università a impegnarsi fino in fondo, a compiere ogni sforzo per massimizzare il valore della propria esperienza di studio, e li invito a rendersi protagonisti, con spirito critico e seria capacità propositiva, dell’indispensabile rinnovamento dell’istituzione Università e del suo concreto modo di funzionare.

Investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità. Che questa sia la strada giusta, ho potuto verificarlo in tante occasioni. Dall’incontro, nel gennaio scorso, con gli studenti di Reggio Calabria impegnati sul tema della legalità, a quello, in novembre, con i giovani volontari di Vicenza mobilitatisi per far fronte all’emergenza alluvione ; e via via potendo apprezzare realtà altamente significative. Penso ai giovani che con grandissima consapevolezza e abnegazione fanno la loro parte nelle missioni militari in aree di crisi : alle famiglie di quelli tra loro che sono caduti – purtroppo ancora oggi – e di tutti gli altri che compiono il loro dovere esponendosi a ogni rischio, desidero rinnovare stasera la mia, la nostra gratitudine e vicinanza. Penso ai giovani magistrati e ai giovani appartenenti alle forze di polizia, che contribuiscono in modo determinante al crescente successo nella lotta per liberare l’Italia da uno dei suoi gravi condizionamenti negativi, la presenza aggressiva e inquinante della criminalità organizzata.

Sì, possiamo ben aprirci la strada verso un futuro degno del grande patrimonio storico, universalmente riconosciuto, della Nazione italiana. Facciano tutti la loro parte : quanti hanno maggiori responsabilità – e ne debbono rispondere – nella politica e nelle istituzioni, nell’economia e nella società, ma in pari tempo ogni comunità, ogni cittadino. Dovunque, anche a Napoli : lasciatemi rivolgere queste parole di incitamento a una città per la cui condizione attuale provo sofferenza come molti in Italia. Faccia anche a Napoli la sua parte ogni istituzione, ogni cittadino, nello spirito di un impegno comune, senza cedere al fatalismo e senza tirarsi indietro.

Sentire l’Italia, volerla più unita e migliore, significa anche questo, sentire come proprio il travaglio di ogni sua parte, così come il travaglio di ogni sua generazione, dalle più anziane alle più giovani. A tutti, dunque, agli italiani e agli stranieri che sono tra noi condividendo doveri e speranze, il mio augurio affettuoso, il mio caloroso buon 2011.

30 dicembre Quirinale su Riforma universitaria

Il Presidente Napolitano ha promulgato la legge di riforma dell’università e inviato una lettera al Presidente del Consiglio

(Roma, 30 dicembre 2010) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha oggi promulgato la legge recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonchè delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”.

Il Capo dello Stato ha contestualmente indirizzato la seguente lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri:

“Promulgo la legge, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, non avendo ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere, correttiva della legge approvata a conclusione di un lungo e faticoso iter parlamentare.

L’attuazione della legge è del resto demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali; quel che sta per avviarsi è dunque un processo di riforma, nel corso del quale saranno concretamente definiti gli indirizzi indicati nel testo legislativo e potranno essere anche affrontate talune criticità, riscontrabili in particolare negli articoli 4, 23 e 26.

Per quel che riguarda l’articolo 6, concernente il titolo di professore aggregato – pur non lasciando la norma, da un punto di vista sostanziale, spazio a dubbi interpretativi della reale volontà del legislatore – si attende che ai fini di un auspicabile migliore coordinamento formale, il governo adempia senza indugio all’impegno assunto dal Ministro Gelmini nella seduta del 21 dicembre in Senato, eventualmente attraverso la soppressione del comma 5 dell’articolo.

Per quanto concerne l’art. 4 relativo alla concessione di borse di studio agli studenti, appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale.

Inoltre l’art. 23, nel disciplinare i contratti per attività di insegnamento, appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito ai requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale.

Infine è opportuno che l’art. 26, nel prevedere l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale.

Al di là del possibile superamento – nel corso del processo di attuazione della legge – delle criticità relative agli articoli menzionati, resta importante l’iniziativa che spetta al governo in esecuzione degli ordini del giorno Valditara e altri G 28.100, Rusconi ed altri G24.301, accolti nella seduta del 21 dicembre in Senato, contenenti precise indicazioni anche integrative – sul piano dei contenuti e delle risorse – delle scelte compiute con la legge successivamente approvata dall’Assemblea.

Auspico infine che su tutti gli impegni assunti con l’accoglimento degli ordini del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa del provvedimento, il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate”.

23 dicembre Senato approva Riforma universitaria

Il Senato approva definitivamente con 161 voti favorevoli, 98 contrari e sei astensioni il disegno di legge, già approvato dalla Camera con modifiche, recante Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario.

22 dicembre Codice Amministrazione Digitale

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 22 dicembre, approva un decreto legislativo che aggiorna la normativa sul Codice dell’amministrazione digitale (CAD).

L’intervento normativo è volto ad adeguare gli strumenti che le amministrazioni pubbliche possono utilizzare nei rapporti con cittadini ed imprese mediante il ricorso alle tecnologie della comunicazione dell’informazione, nell’ottica (sotto il profilo economico) di conseguire un recupero di produttività. In particolare vengono richiamati i principi relativi alla valutazione della performance organizzativa e individuale nelle Amministrazioni pubbliche, nonché quelli relativi alla responsabilità dirigenziale secondo le modalità indicate nel decreto legislativo n. 165 del 2001 come modificato dall’analogo decreto 27 ottobre 2009, n. 150. Il testo risulta coordinato con le disposizioni del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 177 (riforma del CNIPA che ha assunto la denominazione di DigitPA) e con il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Sul provvedimento sono stati acquisiti i pareri del Garante per la protezione dei dati personali, della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari.

22 dicembre DL Mille proroghe in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 22 dicembre, ha esaminato ed approvato un decreto-legge che proroga al 30 giugno 2011 gli interventi all’estero a sostegno dei processi di pace e le missioni militari e di polizia internazionali, un disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Oslo sulla messa a bando delle munizioni a grappolo, uno schema di decreto legislativo per il monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche e di verifica sull’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti.

14 dicembre Fiducia al Governo

Il 14 dicembre il governo ottiene la fiducia al Senato (162 favorevoli, 135 contrari, 11 astenuti) ed alla Camera (314 favorevoli, 311 contrari, due astenuti).

Il Consiglio dei Ministri è convocato alle ore 8,30 di lunedì 13 dicembre 2010 nella Sala del Governo presso il Senato della Repubblica, ai fini dell’assenso a porre la questione di fiducia sulle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio rende alle ore 9,00 nello stesso ramo del Parlamento ed alle 16,00 alla Camera dei Deputati.

Resoconto stenografico – Bozze non corrette redatte in corso di seduta

Signor Presidente, onorevoli senatori, vi ringrazio per questo affettuoso benvenuto e per il vostro sostegno. Spero di poter interpretare, come voi desiderate, i vostri sentimenti. In questo particolare momento di difficoltà del nostro Paese credo che tutti insieme dobbiamo trovare il modo per essere uniti e fare, appunto, soltanto l’interesse del Paese.

Signor Presidente, onorevoli senatori, per la seconda volta nel volgere di poche settimane, il Parlamento è chiamato a decidere sulla fiducia al Governo. Il mio rispetto per le Camere, che sono espressione libera della sovranità popolare e ad essa rispondono di regola ogni cinque anni, mi impone di aprire queste brevi considerazioni con una franca e leale promessa nell’interesse superiore della democrazia.

Abbiamo bisogno di continuità operativa, di un Governo in perfetta efficienza, di una cooperazione istituzionale e politica ampia. Abbiamo bisogno di capacità di decisione. Abbiamo bisogno di tutto tranne che di una crisi al buio, senza che vi siano alternative valide al quadro politico stabilito degli italiani con il loro voto.

Se vi è un dato certo del nostro sistema politico è che oggi, nel popolo italiano, è profondamente radicata la volontà di poter scegliere direttamente da chi essere governati, ad ogni livello, dal sindaco della propria città al Capo del proprio Governo. La gran parte dei cittadini non vuole che le decisioni prese nel momento delle elezioni possano venire modificate da logiche o interessi politici che sono a loro completamente estranei.

Se un Governo non ha ben operato e deve lasciare, deve essere il popolo a deciderlo. Il popolo al quale il primo articolo della nostra Costituzione attribuisce la sovranità. Se questo principio viene violato, si tradisce la lettera e lo spirito della Costituzione.

I liberi Parlamenti sono chiamati a interpretare e a rappresentare la volontà popolare, non a sostituirvisi per ragioni di interesse di parte. Ecco perché la questione che abbiamo di fronte si pone in termini semplici e chiari; in termini comprensibili da tutti i cittadini e da tutti i parlamentari: fiducia o sfiducia, crisi al buio sì, crisi al buio no. Su questi due punti maggioranza e opposizioni discuteranno oggi al Senato e alla Camera. La nostra posizione è assolutamente chiara, come è chiaro il mandato a governare conferitoci dal popolo italiano due anni fa. Prima e al di là delle scelte dei Gruppi e dei singoli, e prima di ogni divisione, tutti abbiamo il dovere e la responsabilità di essere sempre costruttivi quando governiamo e legiferiamo in nome del popolo. Sono costruttive le maggioranze quando sostengono e incalzano i Governi a governare, sono costruttive le opposizioni quando, con le loro contestazioni e le loro proposte, offrono, o almeno prepararono, delle alternative.

Ma non solo la fiducia, anche la sfiducia deve essere costruttiva. Vi sono moderne democrazie parlamentari – penso a quella tedesca – che, proprio per fugare i rischi di instabilità, prevedono addirittura la sfiducia costruttiva come istituto costituzionale.

Si può cambiare un Premier e scomporre una maggioranza votati dagli elettori, ma bisogna provare che un altro Premier e un’altra maggioranza sono possibili. Bisogna dichiarare chi e quale, e poi provare che sono possibili.

Mi si obietterà, magari dalle stesse tribune che, un giorno sì e un altro pure, invocano il modello tedesco anche per l’Italia, che la democrazia parlamentare italiana è un’altra cosa. Ebbene, per quanto la democrazia parlamentare italiana possa essere diversa dai modelli più acclamati, nessuno è autorizzato a pensare e ad agire come se la nostra democrazia possa essere ridotta a teatro di inconcludenti velleità.

Nessuno può dimenticare che il grande mutamento del sistema politico, cui in molti, a destra e sinistra, abbiamo collaborato, si fonda anche sulla decisione di assicurare la stabilità della funzione di Governo, indicando sulla scheda il nome del candidato Premier e imponendo a tutti chiare scelte di programma e di alleanza davanti agli elettori.

Ora, ripeto, comprenderei chi volesse sfiduciare il Governo ed aprire una crisi invocando elezioni anticipate o, almeno, potendo indicare un Premier diverso ed essendo sicuro di poter formare una maggioranza diversa. Non riesco, viceversa, a comprendere quale spirito animi chi vuole a tutti i costi aprire una crisi al buio.

A chi serve una crisi al buio? A cosa serve una crisi al buio? A cosa mira chi la pretende? Forse spera che dalla confusione e dalla paralisi nasca il doppio risultato di ribaltare questo Governo e di evitare elezioni anticipate? Vana speranza quella di chi vuole azzerare i risultati delle elezioni politiche, anche di quelle europee e di quelle regionali, e di chi vuole mandare all’opposizione chi ha vinto e portare al Governo chi ha perso.

Ecco perché oggi l’Italia ha bisogno di tutto tranne che di personalismi, tranne che di spirito di fazione, tranne che di logiche di piccolo gruppo e di una stagione in cui, di nuovo, come negli anni tristi di decadenza della Prima Repubblica, si manifesti quella logica di autolesionismo che conduce ineluttabilmente le istituzioni a perdere la fiducia del Paese reale.

Dal voto delle Camere dipendono la prospettiva di stabilità e la speranza di crescita di un sistema economico e finanziario impegnato in una competizione durissima e in una sfida, finora vincente, contro una costellazione di forze che vorrebbero trascinare il Paese in una spirale di declassamento e di dequalificazione che gli Italiani certo non meritano.

L’Italia è percorsa, come del resto tutti i Paesi occidentali, da serie tensioni che riguardano il cuore del sistema economico, ovvero la credibilità finanziaria dello Stato. Affrontiamo queste tensioni forti di un lavoro straordinario e di una disciplina rigorosa e intelligente dei conti pubblici. Abbiamo condotto in porto e tenuta ben salda la riforma delle riforme: il passaggio da una legge finanziaria che tutti giudicavano inadatta alla governabilità di una grande e ordinata democrazia moderna (con quello che veniva definito il famoso assalto alla diligenza) ad una legge di stabilità, che protegge con maggiore efficacia i conti pubblici e il bilancio dello Stato e, quindi, il nostro lavoro e, quindi, le nostre imprese, i redditi e i risparmi delle famiglie, le pensioni, i servizi sociali, l’istruzione e la ricerca.

Gravati come siamo dal terzo debito pubblico del mondo, pur non avendo la terza economia del mondo, in una fase di tensione dei debiti sovrani di piccoli e medi Paesi europei, ci siamo battuti e ci battiamo sui mercati internazionali ed all’interno dell’Unione europea, per affermare la nostra vitalità, la robustezza reale della nostra economia, il nostro buon diritto nell’ideare e negoziare un futuro di crescita dell’Unione e dell’area dell’euro.

Facciamo tutto questo, non soltanto con la riduzione degli sprechi e degli eccessi in spese pubbliche ed improduttive, ma anche ribadendo la centralità e il carattere virtuoso dell’alto tasso di risparmio privato; un dato che ci protegge da avverse pressioni finanziarie esterne e da rischi istituzionali e politici.

È difficile non rilevare come siano pretestuose, generiche e qualunquistiche le critiche con le quali si attacca l’operato del Governo per legittimare la contestazione nei suoi confronti; così si lavora contro l’interesse nazionale. Forse non si vuole vedere quanto è successo e quanto sta succedendo intorno a noi; forse si è dimenticato che l’Italia è entrata nella crisi in condizioni assai più difficili di altri Paesi perché ha dovuto affrontare la crisi finanziaria, la crisi economia globale, con un debito pubblico imponente e più alto tra i Paesi in Europa. Un debito – non dimentichiamocelo mai – ereditato dai Governi del compromesso storico. Questo debito sovrano dell’Italia la esponeva più di altri ad attacchi speculativi.

All’inizio, nell’acronimo PIGS, con cui da tempo si indicano i Paesi a rischio di sostenibilità finanziaria, la «I» stava per Italia.; oggi questa «I» non si riferisce più a noi e il nostro debito sovrano non è sotto attacco. Le aste dei titoli del debito italiano procedono regolarmente e non incontrano ostacoli. Solo chi è in malafede può ritenere che ciò non sia dovuto alle politiche responsabili messe in campo da questo Governo e alla tenuta complessiva di un sistema Paese che è formato da imprenditori e operai, da lavoratori autonomi e da lavoratori dipendenti, da un sistema creditizio solido, da famiglie che risparmiano, da un sistema sostanzialmente sano e positivo.

Abbiamo capito tempestivamente la portata della crisi e, soprattutto, abbiamo capito i pericoli che correva l’Italia per la fragilità delle sue finanze pubbliche, ereditata dal passato. Non abbiamo seguito le sirene, sia domestiche che internazionali, che ci invitavano a contrastare la crisi con stimoli fiscali, cioè con maggiore spesa pubblica. Così, mentre molti Paesi raddoppiavano nel corso della crisi il proprio debito in rapporto al PIL, l’Italia non ha voluto andare in quella direzione. Sarebbe stato da irresponsabili allargare la spesa pubblica per sostenere la crescita nel corso di una crisi in cui l’aumento del rapporto debito-PIL era già dettato dalla recessione, cioè dalla diminuzione del denominatore del rapporto; diminuendo il denominatore, il prodotto interno lordo, è chiaro che automaticamente si aumenta il numeratore.

Per questa via, l’Italia si è assunta le proprie responsabilità nel contribuire al mantenimento della stabilità finanziaria e monetaria in Europa e ha sempre trovato sui mercati finanziari convinti sottoscrittori dei propri titoli pubblici. Questo lo si deve alla politica seguita dal nostro Governo, che ha fatto sì che il deficit pubblico italiano sia oggi fra i più bassi dei Paesi avanzati, ma lo si deve soprattutto al fatto che questo Governo, assumendosi le proprie responsabilità, ha acquisito reputazione e credibilità sui mercati.

Posso dire con assoluta sicurezza che l’Italia non è più parte dei problemi dell’economia dell’Europa: è diventata parte della soluzione di questi problemi. Grazie a tale credibilità, l’Italia ha potuto svolgere anche un ruolo propulsivo nella politica europea. Mi riferisco a uno dei più importanti temi oggi in discussione, un tema fondamentale per il futuro dell’Europa e del nostro Paese: la necessità di un controllo centrale ed unitario dei debiti sovrani e di uno strumento europeo di stabilizzazione finanziaria.

Ora, con la franchezza di sempre, chiedo a voi, onorevoli senatori, di riflettere in piena libertà di coscienza su quello speciale genere di follia politica che sarebbe oggi l’apertura di una crisi senza prevedibili e visibili soluzioni. Di fronte alle campagne antiparlamentari in corso, vogliamo dare ancora una volta prova di quella piena responsabilità che il Paese pretende dalle Camere.

Ma ora, con la stessa certezza morale e – se permettete – con il coraggio politico che considero tutt’uno con il mio ruolo, voglio rivolgermi direttamente a tutti i parlamentari che nel 2008 sono stati eletti nelle liste del Popolo della Libertà, a coloro che hanno votato la fiducia a questo Governo più volte e in special modo il 29 settembre di quest’anno, e a coloro che hanno fatto parte di questo Governo e ben conoscono quanto di buono tutti insieme si è fatto.

Mi rivolgo in particolare a coloro che hanno aderito ad altri Gruppi parlamentari che, insieme all’intera opposizione, hanno presentato alla Camera una mozione di sfiducia al Governo eletto dai loro stessi elettori. Sono certo che in questo momento nessuno di voi può avere dimenticato la lunga strada che abbiamo percorso insieme dal 1994 ad oggi, le battaglia che abbiamo condotto insieme, le mete che abbiamo raggiunto, quei traguardi che fino a pochi anni fa sembravano addirittura irraggiungibili. Sono altrettanto certo che nessuno di voi intende gettare via così frettolosamente tutto ciò che in questi anni abbiamo costruito insieme, dal bipolarismo alla nascita del partito unitario dei moderati, dall’alternativa alla sinistra italiana alla guida di un Governo riformatore.

Sono certo che ciascuno di voi, nel proprio intimo e nella propria coscienza, sa che l’attuale Governo non ha affatto demeritato, non ha affatto tradito il mandato del popolo sovrano. Ognuno di voi sa che ciò che abbiamo fatto in questi due anni è stato tanto, soprattutto se pensiamo alle condizioni difficili ed impreviste che abbiamo dovuto affrontare. Non è certo casuale che il sostegno del popolo italiano nei confronti di questo Governo sia di gran lungo il più alto di ogni Governo europeo; non è certo un fatto casuale che siamo l’unico Governo ad avere vinto le elezioni di medio termine. E questi sono fatti, non sono opinioni di parte.

Sono assolutamente convinto, infine, che ciascuno di voi sa che qualunque dissenso è legittimo, che qualunque critica è possibile, ma la rottura no, la sfiducia al Governo no, la divisione del campo dei moderati no! Tutto si può dire e tutto si può fare, ma non progettare un’alleanza con la sinistra in questa legislatura, camuffata da un Governo di transizione, e neppure unire i propri voti a quelli dell’opposizione, sommando grottescamente i voti sottratti al Popolo della Libertà a quelli del Partito Democratico e dell’Italia dei Valori.

Tutto si può fare, ma non si può tradire il mandato ricevuto dagli elettori. Chi persegue questi obiettivi lo può fare ad una sola condizione, che si torni dagli elettori e che si spieghi loro perché si è cambiato opinione, presentando al popolo italiano le proprie idee, le proprie critiche, i propri programmi e le alleanze politiche attraverso cui si ritiene di poterli realizzare.

Se, invece, è sincera e reale la preoccupazione per la situazione difficile in cui si trova l’Italia, al pari di tutti gli altri Paesi europei, allora l’unica strada possibile è quella di rinnovare la fiducia all’attuale Governo. Di rinnovarla perché il Governo ha ben agito. Di rinnovarla per senso di responsabilità nazionale. Ciò vale ancor più in questo difficile momento per il Paese per chi non era con noi nel 2008. Un voto di fiducia così motivato sarà testimonianza di realismo e di saggezza politica. Un voto di fiducia così motivato consentirà di evitare una crisi al buio, di cui l’Italia non ha alcun bisogno, e aprirà una fase politica nuova. Un voto di fiducia così motivato consentirà di completare, entro la fine della legislatura, le cinque azioni strategiche sancite dal Parlamento il 29 settembre con la più ampia fiducia mai ottenuta dal nostro Governo e già realizzate in grandissima parte da questo Esecutivo.

Abbiamo già approvato il federalismo fiscale, che serve anche a contrastare in maniera nuova ed efficace l’evasione fiscale. Abbiamo approvato il piano per la sicurezza dei cittadini, per contenere anche l’immigrazione clandestina.

Abbiamo approvato il Piano per il Sud, che pone fine agli interventi a pioggia usati dalla vecchia politica e mette a disposizione 100 miliardi di euro, cioè 200.000 miliardi di vecchie lire, per alcuni grandi progetti strategici che produrranno lavoro e benessere per tutti, a cominciare dai giovani.

Abbiamo avviato e stiamo già lavorando alla riforma del fisco con quattro tavoli tecnici in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori degli imprenditori.

Stiamo per varare definitivamente la riforma dell’università, già approvata alla Camera, che rappresenta una svolta di grande importanza per l’avvenire dei nostri giovani, come ha riconosciuto la gran parte degli osservatori, anche i più lontani e i più critici verso questo Governo, contro la demagogia di chi sale sui tetti per intestare la protesta alla propria parte politica.

È per questo che la sinistra, incurante dei veri interessi degli studenti, cerca di combattere questa riforma alimentando tutte le proteste che mirano di fatto a conservare una situazione che non premia gli insegnanti migliori, che non promuove il merito degli studenti migliori, anche se appartenenti alle classi sociali più deboli, e non contribuisce allo sviluppo del Paese. Ma noi andremo avanti, perché vogliamo aprire ai giovani la strada del merito, dello studio e della ricerca, affinché possano competere in Europa sul piano di parità con i Paesi migliori, come hanno riconosciuto molti osservatori.

È pronta anche la riforma della giustizia, che presenteremo al Parlamento dopo un ulteriore confronto. Senza contare tutti gli altri provvedimenti in corso di gestazione, che vanno dalle professioni all’agricoltura.

Non solo, dopo aver seguito la linea del rigore, che ha messo l’Italia al riparo dai contraccolpi derivanti dalle crisi finanziarie internazionali che si sono succedute dal 2000 ad oggi, e tenendo conto di questo quadro, riprenderemo il dialogo con le parti sociali – come, d’altronde, abbiamo sempre fatto in passato -, anche sulla base delle proposte recentemente avanzare insieme da Confindustria e sindacati, cercando di coniugare il necessario rigore con gli interventi per la crescita.

Su questo punto terremo anche conto dei suggerimenti e delle proposte di tutti, comprese quelle del Partito Liberale in ordine alle privatizzazioni.

Il nostro è da sempre il Governo dell’ascolto e dell’apertura a quanto di meglio propone la società civile, perché vogliamo perseguire il bene comune di tutta l’Italia e di tutti i suoi cittadini, senza alcuna distinzione sociale e geografica. Riprenderemo con vigore anche l’azione per portare avanti le riforme istituzionali. Vi è già un’intesa sui princìpi fondamentali riguardanti tre questioni: l’aumento dei poteri del Presidente del Consiglio, la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo.

In rapporto con questa azione riformatrice si pone il problema di una modifica della legge elettorale che per noi ha un solo limite invalicabile, la difesa del bipolarismo perché vogliamo che il cittadino sappia in anticipo chi sarà il leader, quale sarà l’alleanza di Governo, quale il programma di modernizzazione del Paese.

Onorevoli senatori, come avete potuto ascoltare, come potete vedere, la nostra posizione è chiara, e a questo punto chi ha più responsabilità la deve dimostrare.

Per parte mia, considero mia responsabilità non trascurare ogni possibilità di dialogo con l’opposizione. È mia responsabilità ricomporre e rinnovare l’alleanza di tutte le forze moderate che sono state all’origine del nostro impegno politico e che oggi ritroviamo, oltre che nel Popolo della Libertà, nella Lega, nel FLI e nell’UDC, l’unità dei moderati italiani.

Questo patrimonio storico e politico è il frutto più prezioso di questa fase e – consentitemi di sottolinearlo – del mio personale e ultradecennale impegno politico. L’unità dei moderati italiani è un patrimonio inestimabile e nessuno può essere così irresponsabile da distruggerlo volontariamente o involontariamente. Non dobbiamo mai dimenticare che il popolo dei moderati è davvero un popolo unito che condivide gli stessi valori e la stessa visione del futuro, che condivide la stessa visione della libertà, della persona umana, della patria, della famiglia, del lavoro e dell’impresa.

Quando parliamo del futuro dei moderati, dobbiamo sempre ricordarci che prima viene il popolo dei moderati, prima vengono le nostre donne e i nostri uomini e solo dopo vengono i partiti e i loro leader: in una democrazia è il popolo che sceglie i leader e non sono i leader che scelgono il popolo!

Sono convinto che le difficoltà e le divisioni interne, che sono insorte non siano affatto insormontabili. Devono tornare a prevalere il buon senso ed il senso della misura. Questo è quanto il popolo dei moderati ci chiede. Non ci chiede di dividerci: ci chiede di unirci per il bene dell’Italia. A tutti i moderati di questo Parlamento propongo quindi un patto di legislatura per garantire coerenza e continuità con il programma elettorale e con le scelte condivise, rinnovando quello che c’è da rinnovare nel programma e nella compagine di Governo. Decidiamo insieme quale sia la strada e quale sia lo strumento più indicato.

Onorevoli senatori, oggi non è in gioco la persona del Presidente del Consiglio; oggi è in gioco la scelta tra il proseguimento di un progetto di cambiamento e la restaurazione ovvero il ritorno all’indietro, il ritorno a quei vizi tradizionali della politica che sono all’origine dei problemi di cui ora soffre l’Italia.

Il nostro Paese ha bisogno di stabilità e di governabilità, condizioni indispensabili per realizzare quelle riforme di cui vi è urgente necessità. Garantire oggi la stabilità è la prima condizione per mettere al sicuro gli interessi del Paese e cercare di comporre l’area moderata.

Se il Governo otterrà la fiducia da domani lavoreremo per questa finalità, per ricomporre l’area moderata, per allargare quanto possibile l’attuale maggioranza a tutti coloro che condividono i valori e i programmi dei moderati, a partire da chi si richiama alla forza politica più forte in Europa, alla grande famiglia della democrazia e della libertà che è il Partito del Popolo Europeo. Lavoreremo anche per rafforzare la squadra di Governo e sono fermamente convinto che alla fine la ragionevolezza e la responsabilità vincono sempre sull’irragionevolezza e sull’irresponsabilità. Sono convinto che il bene comune prevale sempre sugli egoismi interessati e che per questo – penso – andremo avanti e continueremo a lavorare nell’interesse di tutti.

Se questo non dovesse avvenire sono certo che, quando verrà il momento, il popolo italiano, dal quale questo Governo e questa maggioranza hanno avuto un chiarissimo mandato ed una piena legittimazione a guidare il Paese, saprà valutare con buon senso e giustizia i meriti e le responsabilità.

7 dicembre Senato approva Bilancio 2011

Il 7 dicembre l’Aula del Senato approva definitivamente la legge di stabilità (2464) e il bilancio dello Stato (2465). La legge di stabilità è stata approvata con 161 voti favorevoli, 127 contrari e 5 astenuti. Il bilancio dello Stato è stato approvato con 161 voti favorevoli, 124 contrari e 5 astenuti.

30 novembre Riforma universitaria alla Camera

La Camera approva, con modifiche, il disegno di legge, già approvato dal Senato, recante Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario. Il provvedimento torna ora all’esame del Senato.

26 novembre Piano nazionale per il Sud

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 26 novembre, vara il Piano nazionale per il Sud.

Il Piano rappresenta un atto di impegno politico e di indirizzo strategico che il Governo ha inteso assumere rispetto al tema della riduzione del divario territoriale; esso contiene l’indicazione puntuale di un numero limitato di priorità sulla cui attuazione dovrà confluire l’impegno e lo sforzo di tutte le Amministrazioni responsabili e competenti, ai diversi livelli istituzionali, per la realizzazione degli interventi necessari. Nei suoi contenuti tiene conto delle proposte delle parti sociali in materia di crescita ed occupazione nel Mezzogiorno.

I temi prioritari sono stati indicati nel Programma nazionale di riforma, approvato dal Consiglio dei Ministri del 5 novembre scorso, e sono stati oggetto delle dichiarazioni programmatiche rese dal Presidente del Consiglio al Parlamento in sede di discussione sul voto di fiducia al Governo il 29 settembre .

Il Piano anticipa l’applicazione dei criteri e degli indirizzi emersi in questi mesi nel dibattito comunitario sul futuro della politica di coesione. La maggiore attenzione all’efficacia degli interventi, la concentrazione su poche e rilevanti questioni, l’imposizione di regole e condizioni preliminari all’impiego delle risorse costituiscono le linee guida della rivisitazione delle politiche di coesione.

Il Piano identifica otto grandi priorità, suddivise in tre Priorità strategiche di sviluppo (infrastrutture, ambiente e beni pubblici; competenze ed istruzione; innovazione, ricerca e competitività) su cui misurare, in un’ottica pluriennale, progressi strutturali di miglioramento delle condizioni di sviluppo del Mezzogiorno.

A queste si aggiungono cinque ulteriori Priorità strategiche di carattere orizzontale, da attuare rapidamente per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo: sicurezza e legalità; certezza dei diritti e delle regole; pubblica amministrazione più trasparente ed efficiente; Banca del Mezzogiorno; sostegno mirato e veloce per le imprese, il lavoro e l’agricoltura.

Il Piano per il Sud (varato oggi) verrà trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni.

In coerenza con il Piano ed in raccordo con le sue linee programmatiche, è stato approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo, su proposta del Presidente Berlusconi e dei Ministri Tremonti, Fitto, Bossi, Calderoli e Romani, per l’attuazione della parte della legge sul federalismo fiscale che chiede al Governo di individuare interventi diretti alla promozione dello sviluppo economico e della coesione delle aree sottutilizzate, al fine di promuovere la rimozione di squilibri storici. Sarà il Fondo per lo sviluppo e la coesione (già Fondo per le aree sottoutilizzate) a dare unità programmatica e finanziaria agli interventi nazionali aggiuntivi rivolti al riequilibrio economico e sociale fra le diverse aree del Paese. Si tratterà di interventi e contributi speciali dello Stato, grandi progetti di carattere strategico, programmati in stretto raccordo con le Autonomie locali ed in coerenza con gli indirizzi dell’Unione europea. Ai fini dell’acquisizione dei pareri prescritti, il provvedimento sarà trasmesso alla Conferenza unificata, alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale ed alle Commissioni parlamentari di merito.

Di seguito il comunicato stampa del MIUR:

Roma, 26 novembre 2010

Piano Sud, 12,5 miliardi per la Scuola e la Ricerca

Gelmini: “Con Piano Sud priorità a ricerca e formazione”

Il Piano Sud approvato oggi dal Consiglio dei Ministri riserva un’attenzione particolare alla scuola e alla ricerca. Sono stati stanziati 12,5 miliardi di euro in questi due settori. Lo sviluppo della ricerca ed il potenziamento del sistema scolastico sono i due elementi principali per il rilancio del Mezzogiorno e per la riduzione del divario con le altre Regioni.

“Scuola e ricerca – ha dichiarato il ministro Mariastella Gelmini – sono la base per la crescita dei giovani e per il loro futuro. Investire in questi settori strategici consentirà di combattere la dispersione scolastica e favorirà un collegamento più forte con il mondo del lavoro, superando la condizione di molti giovani che non studiano e non hanno un impiego. Il Piano Sud varato oggi ha esattamente questo obiettivo e concretizza un preciso impegno politico che il governo ha assunto nei confronti di tutti gli italiani, mettendo tra le priorità la formazione dei giovani del Sud”.

Potenziamento del sistema scolastico:

* costruzione di una scuola modello in ogni Provincia del Mezzogiorno: un edificio all’avanguardia dal punto di vista architettonico e del risparmio energetico, dotato di strumenti didattici innovativi;

* ammodernamento dei plessi scolastici, con precedenza a quelli del I e II ciclo, anche attraverso il completamento dei laboratori didattici e delle strutture informatiche;

* assegnazione di borse di studio agli studenti meritevoli;

* miglioramento della qualità della didattica grazie ai nuovi meccanismi di valutazione degli istituti e dei docenti introdotti in via sperimentale, con la collaborazione dell’Invalsi e dell’Ansas.

* programma di inserimento nel mondo del lavoro attraverso percorsi di apprendistato tecnico e professionale per i giovani in possesso della licenza media.

Innovazione e ricerca:

Il Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013 concentra le risorse per il Mezzogiorno su alcuni interventi di grande valore scientifico-tecnologico, capaci di favorire l’innovazione e la competitività del tessuto industriale e produttivo.

Il piano prevede la realizzazione di Poli Integrati di Ricerca-Alta Formazione-Innovazione, ovvero centri di eccellenza dove il settore pubblico e quello privato lavorano per favorire la ricerca in alcuni settori strategici per il futuro dei giovani:

* Manifatturiero;

* Salute;

* Economia dei servizi;

* Tutela dell’ambiente e sviluppo del turismo sostenibile.

Inoltre, in sintonia con gli obiettivi generali del piano Sud, saranno attuati alcuni interventi che favoriranno la realizzazione di numerose iniziative ritenute prioritarie nei seguenti settori:

* Biotecnologie;

* capacità sistemistica;

* tecnologie di comunicazione;

* nuovi materiali;

* elettronica avanzata;

* energie rinnovabili;

* logistica integrata;

* infrastrutture di ricerca.

23 novembre 7a Senato approva DdL Concorso DS Sicilia

Il 23 novembre 2010  la VII Commissione del Senato approva definitivamente, nel testo licenziato dalla I Commissione permanente della Camera dei deputati il 19 ottobre 2010, il disegno di legge relativo a “Norme per la salvaguardia del sistema scolastico in Sicilia e per la rinnovazione del concorso per dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004”

19 novembre Camera approva DdL Bilancio 2011

Il 19 novembre la Camera, dopo aver esaminato gli ordini del giorno, approva il disegno di legge (C. 3778-A) concernente Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011).
Successivamente è stata approvata la Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 (C. 3779-bis), nonché il disegno di legge recante Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 (C. 3779-A). I provvedimenti passano ora all’esame del Senato.

10 novembre Parere 7a Camera sui CPIA

La settima Commissione della Camera esprime parere favorevole con condizioni e osservazione sullo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione VII (Cultura, scienza e istruzione),

esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica «Norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo didattico dei Centri d’istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, adottato ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;

considerato che la riorganizzazione dei centri territoriali permanenti per l’educazione degli adulti e dei corsi serali, era stata avviata con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per il 2007 e con il successivo decreto del Ministro della pubblica istruzione del 25 ottobre 2007;

tenuto conto delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni informali di rappresentanti delle associazioni di categoria, rappresentanti sindacali, dirigenti scolastici ed esperti, svolte dalla Commissione Cultura, scienza e istruzione, nelle sedute del 28 aprile 2010, 4 e 11 maggio 2010 e 21 settembre 2010;

preso atto del parere espresso dalla Conferenza unificata in data 6 maggio 2010, pervenuto il 18 maggio 2010, e di quello del Consiglio di Stato espresso il 22 luglio 2010, trasmesso dal Governo il 27 luglio 2010;

rilevata la necessità di dare attuazione al citato articolo 64, comma 4, lettera f), della legge n. 133 del 2008 attraverso una ridefinizione dell’assetto organizzativo e didattico dei centri per l’istruzione degli adulti, compresi i corsi serali, idonea a superare le criticità emerse nel previgente sistema, in modo da garantire, tra l’altro, l’acquisizione e lo sviluppo delle competenze connesse all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, comprese le competenze chiave di cittadinanza, al fine di innalzare i livelli di istruzione della popolazione adulta, anche immigrata, in coerenza con le Raccomandazioni dell’Unione Europea in materia;

rilevato che appare condivisibile il complessivo assetto organizzativo e didattico articolato in percorsi di primo e secondo livello, finalizzati i primi al conseguimento del titolo di studio conclusivo del primo ciclo e della certificazione dei saperi e delle competenze connesse all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, i secondi al conseguimento del titolo di studio conclusivo del secondo ciclo;

ritenuto che risulta altresì condivisibile la previsione di strumenti specifici per la sostenibilità dei carichi orario delle lezioni, soprattutto ai fini del riconoscimento dei crediti comunque acquisiti dall’adulto in contesti formali, informali e non formali, da considerare nella definizione del patto formativo individuale per la personalizzazione del percorso e della sua fruizione anche a distanza nei limiti previsti;

considerato opportuno valorizzare, comunque, i positivi risultati conseguiti dai progetti di innovazione destinati alle fasce deboli della popolazione, ivi compresa quella immigrata, realizzati dai Centri territoriali e dagli Istituti scolastici impegnati nell’attuazione dei corsi serali;

precisato che, nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni in materia di programmazione dell’offerta formativa, i Centri erogano i percorsi di secondo livello soltanto attraverso accordi con le istituzioni scolastiche sedi dei percorsi di istruzione tecnica, professionale, artistica e, nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa, anche liceale, come richiesto nel parere espresso dalla Conferenza unificata sullo schema in esame. I Centri si configurano pertanto quale punto di riferimento per tutti gli adulti che intendono conseguire titoli di studio, ferma restando ogni altra opportunità di ampliamento dell’offerta formativa nel quadro di accordi con le Regioni e gli Enti locali;

ritenuto necessario ottimizzare le risorse umane e strumentali disponibili attraverso la previsione di modelli organizzativi «a rete» sul territorio, idonei a sviluppare rapporti stabili e organici tra i centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dotati di una propria autonomia a norma dell’articolo 1, comma 632, della citata legge n. 296 del 2006, e le altre sedi nelle quali si attuano i percorsi del secondo ciclo, in modo da assicurare all’utenza la più ampia e diversificata offerta di istruzione e formazione nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, economicità e contenimento della spesa pubblica;

tenuto conto che, allo stato degli atti, il provvedimento in esame potrà essere perfezionato e reso efficace soltanto a partire dall’anno scolastico 2011/ 2012;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:

1) ferma restando l’impostazione organizzativa e didattica, che consente di riconoscere i crediti acquisiti dagli adulti e di personalizzare i percorsi sulla base del patto formativo individuale e che prevede un’articolazione organizzativa per gruppi di livello, si ritiene necessario coordinare lo schema di regolamento in esame con la disciplina introdotta dai decreti del Presidente della Repubblica n. 87, 88 e 89 del 2010, riguardanti rispettivamente gli istituti professionali, gli istituti tecnici e i licei, in modo da renderlo coerente, nell’impianto e nei termini utilizzati, con il nuovo assetto della scuola secondaria superiore quale risulta dagli indicati regolamenti;

2) al fine di innalzare i livelli di istruzione della popolazione adulta, anche immigrata, per rispondere ai nuovi fabbisogni di istruzione indotti dalle rapide trasformazioni in atto della struttura demografica della popolazione, appare necessario modificare il provvedimento in esame in modo da assicurare centralità, nell’offerta formativa dei centri, all’acquisizione delle competenze di base connesse all’adempimento dell’obbligo di istruzione e all’esercizio della cittadinanza attiva, anche per sostenere meglio gli adulti nei percorsi di secondo livello per il conseguimento di un titolo di studio di istruzione secondaria superiore;

3) in considerazione del fatto che ai Centri territoriali compete, nella loro autonomia organizzativa e didattica, la gestione degli strumenti di flessibilità di cui all’articolo 4, comma 7, anche ai fini dell’orientamento e dell’accoglienza necessari alla definizione del patto formativo individuale, funzionale alla personalizzazione dei percorsi, si ritiene necessario, inoltre, all’articolo 4, dopo il comma 5, inserire il seguente: «5-bis. I percorsi di cui al comma 1, lettera b), sono realizzati dai Centri attraverso gli accordi di rete di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, con particolare riferimento all’articolo 7, stipulati con le istituzioni scolastiche presso le quali funzionano i percorsi di istruzione tecnica, professionale ei artistica»;

4) appare necessario, inoltre, che le materie di cui all’articolo 4, comma 7 siano disciplinate con uno strumento flessibile, come le linee guida, per sostenere gradualmente il passaggio al nuovo ordinamento dei percorsi per l’istruzione degli adulti, nel rispetto dell’autonomia dei centri;

5) si considera necessario altresì prevedere misure nazionali di accompagnamento per l’introduzione del nuovo assetto organizzativo e didattico dei Centri, che comprendano prioritariamente l’aggiornamento del personale scolastico;

6) è necessario ridefinire i tempi previsti all’articolo 11, comma 1, stabilendo che il termine del 31 agosto 2011 fissato per la cessazione del previgente ordinamento sia sostituito quello del 31 agosto 2013;

e con la seguente osservazione:

il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca valuti l’opportunità di adottare tutte le iniziative necessarie, anche nell’ambito dei contratti collettivi di lavoro del personale della scuola, per assicurare ai Centri territoriali personale in possesso di specifici titoli culturali e di esperienze maturate nel settore dell’istruzione degli adulti.