La robotica educativa in campo per l'autismo

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La robotica educativa in campo per l'autismo

Messaggiodi edscuola » 3 marzo 2011, 12:26

da LASTAMPA.it

La robotica educativa in campo per l'autismo

rosalba miceli

Diversi studi e sperimentazioni (progetti IROMEC - Interactive Robotic Social Mediators as Companions); il progetto AURORA - Autonomous mobile Robot as a Remedial tool for Autistic children) hanno mostrato l’utilità dei robot nello stimolare l’attenzione e la curiosità dei soggetti autistici. Scuola di Robotica di Genova ha iniziato una collaborazione con alcuni enti che si dedicano ai ragazzi autistici utilizzando la robotica educativa e la pedagogia della narrazione sviluppata dallo psicologo statunitense Jerome Bruner (che Scuola di Robotica cerca di incentivare da tempo con progetti quali “Raccontare i robot”). Lo scopo del progetto non è insegnare la robotica ma insegnare attraverso l’uso della robotica. In questo caso si vuole proporre un metodologia per facilitare gli apprendimenti e migliorare le relazioni all’interno di un gruppo mediante un approccio calibrato sulle differenti persone che apprendono.

Nel periodo luglio-ottobre 2010 Scuola di Robotica ha condotto, in collaborazione con l’accademia di counseling “Philos” di Genova dei laboratori di robotica educativa per ragazzi e ragazze con disturbi dello spettro autistico (3 incontri della durata di circa due ore ciascuno). Il buon coinvolgimento dei ragazzi ha rappresentato l’esperienza base per partire successivamente con un progetto più organico. Emanuele Micheli è l’esperto che ha condotto i laboratori. Ingegnere meccanico specializzato in robotica, si occupa dei corsi di Formazione sulla robotica educativa per docenti di scuole di ogni ordine e grado ed è il coordinatore delle attività didattiche di Scuola di Robotica. E’ inoltre volontario e membro del consiglio direttivo della Gaslini Band Band, associazione di volontariato per il miglioramento dell’accoglienza all’interno dell’Istituto Giannina Gaslini. Micheli si è avvalso della collaborazione di Maria Grazia Vidotto, consulente per l’autismo e le tecnologie didattiche presso il reparto di Neuropsichiatria dell’ospedale Gaslini.

Inizialmente lo staff ha scelto alcuni ragazzi che riteneva idonei a seguire le lezioni di robotica educativa (ragazzi autistici di vario livello); le esperienze sono state condotte utilizzando un computer, un proiettore, un kit Lego WeDo (serie didattica della Lego) pennarelli e fogli bianchi. Ad ogni incontro i ragazzi hanno scelto in modo democratico quale costruzione eseguire dall’activity pack del software del WeDo. I partecipanti, divisi in 2 gruppi che a turno o costruivano o gestivano il manuale di costruzione sul computer, hanno portato a compimento le varie costruzioni. Naturalmente, per ognuno di loro ci sono state difficoltà diverse, dal riconoscimento dei pezzi presenti sul manuale digitale, all’assemblaggio vero e proprio fino alla programmazione. A fine assemblaggio di ogni piccolo artefatto robotico è stato richiesto ai ragazzi di inventare una storia in cui il personaggio robotico potesse inserirsi: l’aspetto narrativo è stato molto gradito così come l’utilizzo della webcam per la realizzazione del breve filmato dal titolo “Il Gigante”. Uno dei ragazzi che dapprima si era rifiutato di lavorare sulla robotica, è stato coinvolto nella successiva lezione grazie alla visione del video.

Per comprendere meglio il lavoro seguiamo alcuni passi del resoconto redatto da Emanuele Micheli sulle esperienze di robotica educativa a Philos nel luglio-ottobre 2010. Il primo incontro si è svolto alla presenza di: M. (con occhiali), J., M., L. (appassionato di fumetti), A. (il più piccolo), e L. “Ho diviso i ragazzi in due gruppi (costruttori e programmatori), spiegando chiaramente che avremmo fatto a turno sia all’interno del gruppo che fra gruppi. Ho seguito il concetto di dare un programma di lavoro chiaro ai ragazzi in modo da far capire che tutti faranno tutto in una certa sequenza. Iniziando a lavorare ho mostrato loro le varie configurazioni predefinite consigliate dal programma. Ho fatto scegliere quale configurazione preferivano e in base a una votazione abbiamo fatto la costruzione voluta dalla maggioranza”.

“All’inizio dei lavoro ho trovato un primo rifiuto, l’unico esplicito, quello di L. (appassionato di fumetti) che vuole dedicarsi ai fumetti e non ai robot (e me lo ripete più di una volta). Per me non ci sono problemi, provo solamente a chiedergli se vuole fare un fumetto sui robot, ma mi dice che non è affatto interessato ai robot e si mette a disegnare i suoi personaggi (ogni tanto mentre do le consegne ai suoi compagni mi avvicino parlandogli della mia passione per i fumetti, e così mi promette che la volta dopo mi porterà un fumetto che ha fatto). Il lavoro procede in buona alternanza anche se il piccolo A. segnala un rifiuto implicito partecipando sempre di meno alle attività. Sicuramente la passione di J., M. (con occhiali) e L. non permette a tutti di esprimersi totalmente, dato che i tre si danno molto da fare e devo dire cercano di aiutare anche gli altri sempre con grande gentilezza e disponibilità”. “Il lavoro va avanti e giungiamo infine alla costruzione (con i mattoncini Lego) di un leone. Il lavoro diviso per compiti e turni viene apprezzato e tutti fanno in modo che il turno venga rispettato, in maniera totalmente autogestita. A questo punto iniziamo la programmazione: ognuno fa il suo compito imitando inizialmente la programmazione che viene indicata dal programma di esempio. Successivamente siamo passati ad inventarci i valori numerici da inserire all’interno di ogni comando. In tal modo i ragazzi hanno sperimentato realmente cosa cambia modificando alcune caratteristiche sulla potenza e sul tempo di impiego del motore. Scoprendo la possibilità di modificare la realtà tutti i partecipanti vogliono provare diversi valori e invito a pensare a quello che succederà con determinate modifiche (una vera e propria previsione delle proprie azioni). La prima lezione volge al termine quando M. (con occhiali) nota un problema del leone: non ha la coda! Vi pone subito rimedio costruendo una coda con i mattoncini Lego”.

“Ho notato che M. (con occhiali) voleva in qualche modo inserire il leone in una storia - commenta Micheli - e così ho accontentato il suo bisogno di narrazione. Utilizzo lo strumento della narrazione in ogni laboratorio con studenti, per stimolare diversi aspetti cognitivi. Appena ho richiesto di inventare una storia, M. ha operato una nuova modifica al leone, facendolo diventare un leone alato: questa invenzione narrativa ha però richiesto una modifica della realtà, intervenendo direttamente sul piccolo leone di Lego. A questo punto ho richiesto a ogni ragazzo di creare un pezzo di storia sequenziale al pezzo narrato dai propri compagni. La storia, seppur semplice, rispetta la canonicità delle storie, con un obiettivo da raggiungere (un’isola dove si sta bene), alcune caratteristiche che rendono la storia originale (il leone alato), un imprevisto (il leone durante il volo ha un incidente e cade in acqua), risoluzione del problema e relativo lieto fine. Poi ho chiesto ai ragazzi di animare la storia davanti alla webcam del computer”.

Il secondo incontro si è svolto alla presenza di: J., M., L., e D. (una ragazza). Si formano due coppie omogenee: J. e L., M. e D. (omogenee nel senso che apprendono mediamente con la stessa velocità, anche se M. e D. sono estremamente diversi). “Annuncio fin da subito che il personaggio scelto sarà il protagonista della storia che dovranno inventare loro stessi - continua Micheli - la visione del corto animato inserito dalla Lego (storie senza finali prestabiliti) per ogni personaggio ispira fortemente la storia che poi i ragazzi racconteranno, consentendo tuttavia una certa libertà creativa. Come la volta precedente, i 2 gruppi si alternano al comando del computer su cui scorrono le istruzioni e alla costruzione. All’interno dei gruppi si procede anche in questo caso a turni, in modo che tutti facciano tutto”.

“Il gruppo di G. e L. non ha alcun problema a montare: i due ragazzi non sbagliano mai e sono velocissimi (anche se L. ogni tanto si incanta cantando delle cantilene). M. e D. invece hanno notevoli problemi. M. si perde facilmente nel senso che inizia a fare una cosa e non la prosegue, fissando un punto della stanza finché non viene richiamato. La costruzione del personaggio è difficoltosa; J. di buon grado li aiuta senza però mai fare del tutto l’assemblaggio. D. ha problemi ad associare l’immagine del pezzo al pezzo reale, mentre M. se si concentra riesce a farlo. J. e L. ogni tanto intervengono anche su mia richiesta, mentre io cerco di non intervenire mai. Tutti i messaggi a schermo vengono praticamente ignorati da D. e M. che quindi aspettano che qualcuno selezioni i pezzi per loro. Mentre montiamo il personaggio del gigante, J. trova anche il tempo di fare una associazione fra un pezzo del gigante e del bambino (associazione che io reputo bellissima): praticamente attacca la testa del gigante alla testa del classico omino Lego”.

“Costruito il gigante, ci dedichiamo un poco alla parte di programmazione. Ci concentriamo maggiormente sulla parte narrativa, inventando una storia che inizia da dove si era concluso il breve cortometraggio della Lego e che ha un finale totalmente creato dai ragazzi. Qui è difficile dire chi ha trovato il finale perché alla narrazione hanno partecipato tutti. Creata la storia bisogna metterla in scena e ci serve uno sfondo. J. si prende la responsabilità di disegnare il paesaggio. Mentre disegna ci poniamo delle domande. Il bambino Lego (protagonista della storia) è in fuga dal gigante: dove può trovare rifugio? E come? I ragazzi decidono che il bambino si nasconde all’interno del tronco di un albero. E J. allora fa un buco nel tronco di un albero del suo paesaggio (realizzato con fogli di carta e dipinto con i pennarelli). Concludiamo con la scelta della musica. Infine giriamo le scene di una breve storia intitolata “Il Gigante”: ogni ragazzo rappresenta un personaggio o una voce narrante, la trama è chiara a tutti. A fine lezione scopro che L. viene apposta per i laboratori di robotica, e mi fa piacere che ne sia attratto”.

“Terza lezione: spiego subito ai ragazzi come sarà divisa la mattinata: visione del film, costruzione di un nuovo robot, programmazione e creazione di una storia. I ragazzi sono tutti entusiasti della cosa e non vedono l’ora di iniziare. Al tavolo di lavoro c’è anche L. (appassionato di fumetti) che alla prima lezione non aveva voluto partecipare all’esperienza. Creando un ambiente da sala cinematografica, passiamo subito alla visione del film girato la volta precedente”.

Dopo gli incontri introduttivi di luglio, Micheli e i suoi collaboratori si propongono di continuare questa avventura dandole tempi e respiri maggiori. “Crediamo che il progetto sia di interesse anche per chi ancora non lo ha iniziato, ma dal momento che siamo in fase sperimentale, abbiamo deciso di studiare un gruppo ridotto e conosciuto di ragazzi con cui in qualche modo si è creato un legame. E così ai primi di ottobre abbiamo ricominciato…”.
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