Il prof Di Pietro in classe c'azzecca con Cicerone

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Il prof Di Pietro in classe c'azzecca con Cicerone

Messaggiodi edscuola » 29 maggio 2008, 15:25

da L’Eco di Bergamo
mercoledì 28 maggio 2008

Il prof Di Pietro in classe c'azzecca con Cicerone «Promosso con distinto»
Lezione dell'ex pm agli studenti del Sant'Alessandro «Lo incontrassi, lo saluterei chiamandolo maestro»

Poche ore prima di dare battaglia davanti a Montecitorio sull'emendamento «salvaRete4» (che a suo giudizio «raggira la sentenza della Corte di giustizia europea uccidendo la libertà d'informazione»), Antonio Di Pietro si è calato nella toga di Cicerone a vantaggio degli allievi della III C del liceo scientifico del Collegio Sant'Alessandro, a conclusione di un percorso annuale di analisi di sei orazioni a cura della docente di latino, Giuseppina Zizzo.
Che c'azzecca il pm più famoso della Prima Repubblica con l'avvocato più famoso della Repubblica romana? Latino a parte, più di quanto sembri. Entrambi protagonisti di epoche di passaggi politici cruciali, entambi homines novi, una carriera costruita senza patres alle spalle a garantire l'entrata in Senato, si sarebbero capiti. Che cosa pensi Cicerone di Di Pietro, non è dato sapere. Ma Di Pietro riconosce al collega dell'antichità di aver operato con «la convinzione che debbano essere allontanati dallo Stato coloro che si approfittano dello Stato e delle istituzioni. Abbiamo lo stesso problema oggi che uomini Enimont fanno parte delle istituzioni repubblicane». Cicerone avvocato «per me è promosso con "distinto". Lo incontrassi, lo saluterei chiamandolo maestro». E Cicerone politico? «Di lui ne han dette di tutti i colori. Opportunista e arrivista. Credo che volesse sinceramente la pace sociale, ma certo gli sarebbe spiaciuto lasciare il posto che si era fatto». Non una mammola idealista, insomma. «D'altra parte, come politico ha avuto il coraggio di tenere aperte le porte del dialogo con il nemico. È stato razionale...».
Gli studenti lo ascoltano, non per reverenza (ai tempi di Mani Pulite stavano all'asilo, la politica non è nei top ten degli interessi degli adolescenti d'inizio secolo) ma perché sa farsi ascoltare, sudando in maniche di camicia, senza slides perché la prima legge di Murphy in versione scolastica recita «se una tecnologia serve per far bella figura con un relatore esterno, non funzionerà». Lo ascoltano e fra cinquant'anni per loro Cicerone richiamerà il ricordo di Di Pietro che si sbraccia tra occhiali e appunti. Bravo, che ha preparato per i ragazzi relazione e materiale. Molti ignoti conferenzieri non hanno lo stesso rispetto nei confronti degli studenti: abborracciano, pensando di aver di fronte dei «minus habentes».
Merito di Cicerone, dal quale ha copiato «l'organizzazione mentale. La sua tecnica dei "loci" era questo. Organizzarsi prima, sapere dove si vuole arrivare con il ragionamento, per eccellere e battere l'avversario». Complice l'avvocato, nel corso di due ore Di Pietro racconta ai ragazzi la sua filosofia di magistrato e politico. Cose che magari in famiglia gli han sentito ripetere molte volte, ma che non per questo sono da sottovalutare. «Con Mani Pulite sono partito con la versione moderna dei loci: un computer in Procura. Per tre anni ci ho infilato tutto quello che usciva nel campo degli illeciti amministrativi prima nella città di Mialno, poi in Lombardia, poi in Italia. Tutto quel che riguardava corruzione e concussione, pezzi staccati che un po' alla volta han finito per dare un quadro logico accettabile. A questo punto abbiamo inventato il pool, tre magistrati con specializzazioni diverse per affrontare con competenza le questioni che emergevano: io investigativo, Davigo tecnico, Colombo contabile. Abbiamo usato la comunicazione, la retorica di Cicerone: docere-delectare-flectere....informare l'opinione pubblica, colpire la fantasia anche con un linguaggio a immagini: il malloppo, Tangentopoli... per creare consenso intorno al proprio operato, altrimenti ci avrebbero fermato». Cicerone può prendere appunti. In tribunale, uno di fronte all'altro, avrebbero fatto scintille.
Ma, specifica l'ex Pm che nel frattempo ha anche schizzato per gli studenti l'intero codice di procedura penale, l'avvocato romano non sarebe stato a suo agio con il processo accusatorio che vede riconosciuta pari dignità all'accusa e alla difesa e, soprattutto, basa l'intero procedimento sulla solidità della prova, raccolta dalla polzia giudiziaria agli ordini del pubblico ministero che risponde al giudice delle indagini preliminari, il quale solo può decidere se sussistono elementi sufficienti per passare dalle indagini preliminari al rinivio a giudizio per il dibattimento. I ragazzi stanno perdendosi, Di Pietro se ne accorge con la coda dell'occhio e li riacchiappa: «Su di me come pm hanno scritto che ho arrestato Tizio e Caio. Mai arrestato nessuno. Il pm porta quelle che ritiene prove al gip, che decide. Ma chi si ricorda i nomi dei vari gip dei processi di Tangentopoli? Hanno scritto che il pm era sconfitto quando un caso veniva archiviato. Ma il pm non è sconfitto se un indagato non va a giudizio, è sconfitto se non ci va avendo commesso un illecito. Il pm è tenuto all'imparzialità, a differenza dell'avvocato che può e deve difendere anche se a conoscenza della colpevolezza del cliente». Come dire, il pool non è stato persecutorio, caso mai il contrario. Ma forse in sala capisce solo chi ha più di trent'anni.
«Il processo romano era sbilanciato sulla fase finale, la requisitoria dell'accusa e l'arringa della difesa. Il dibattimento era soprattutto questione di testimonianze incrociate e i giudici erano più senatori e cittadini che professionisti. Adesso il processo accusatorio implica un lavoro scientifico sulle prove». Qui le strade di Cicerone e Di Pietro si dividono: il pool ha ottenuto le prove del sistema di corruzione e concussione, così ampio e scontato da dover coniare il termine di «dazione ambientale» «Nel dibattimento la retorica non basta. Le argomentazioni devono essere supportate da prove che tengano. Esporre bene resta importante per modulare l'effetto: mettere in luce il proprio materiale, in ombra quello dell'avversario. Ma non ci si può illudere di "flectere" un giudice professionista ricorrendo alla "delectatio", perchè è perfettamente in grado di scartavetrare l'emozione e arrivare al legno dei fatti. Certo, ci sono ancora alcuni avvocati ciceroniani che pensano, con la sovraesposizione mediatica, di raggiungere il loro obiettivo». Il riferimento esplicito è al caso Cogne, prima dell'epilogo un po 'amaro: «Noi di Mani Pulite abbiamo fatto da chirurghi, ma non siamo riusciti ad asportare tutto il tumore e la chemioterapia politica è mancata del tutto». La metafora sanitaria s'interrompe, scattano le mani e la voce: «Alla fine pare che se la prendano con chi ha fatto l'inchiesta e mandino in Parlamento...».
Finisce la lezione, parte la domanda: on. Di Pietro, perché tanto strepito sull'emendamento «salva Rete4»? «Perché Italia dei Valori ritiene che non si possano usare furbescamente provvedimenti richiesti a livello europeo per inserire norme che cristallizzano l'illecito e servono a farsi i fatti propri. E a chi chiede perchè occuparsi di questo, quando il Paese ha problemi enormi, rivolto - ciceronianamente - la domanda: perché il governo si occupa proprio di questo, quando il Paese ha problemi enormi? Mala tempora currunt».

Susanna Pesenti
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