La scuola perduta dei dispersi

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La scuola perduta dei dispersi

Messaggiodi edscuola » 19 ottobre 2007, 6:07

da Repubblica

La scuola perduta dei dispersi
di Franco Buccino

Napoli
Dopo i ragazzi diversamente abili, un’altra categoria di alunni ai quali non dico di fare gli auguri di un buon anno scolastico, perché sarebbe ridicolo e offensivo, ma dei quali dovremmo particolarmente preoccuparci, è quella dei dispersi, cioè di quegli alunni che a scuola non ci sono. O perché non vi hanno messo piede o perché ben presto l’hanno abbandonata.
Sono alunni senza volto, di cui si perde spesso la memoria, o alunni con i quali la scuola ha ingaggiato epiche battaglie sistematicamente perse, anche quando pensa di averle vinte. Sono allievi deboli delle affollate prime classi, corteggiati e lusingati al momento delle iscrizioni, falcidiati a fine anno, o studenti capaci di intimorire i compagni e l’intera scuola con i loro comportamenti già malavitosi. Chi appartiene al mondo della scuola può portare un gran numero di esempi di alunni destinati alla dispersione; storie di alunni che hanno spesso segnato la nostra storia professionale, ci hanno fatto soffrire, lottare, rassegnare. Da giovane insegnante, mi ribellavo al giudizio di orientamento “si consiglia l’inserimento nel mondo del lavoro” che certificava la fuoruscita dalla scuola di ragazzi poco più che bambini. Da preside ho vissuto di più il dramma degli alunni difficili: di Enzo discutevamo con sofferenza e sensi di colpa per ore e ore, l’intero consiglio di classe, per quanti giorni sospenderlo; con ancora più sofferenza la scuola aspettava il suo ritorno, quando la punizione scadeva. Un giorno venne in presidenza il nonno, piangendo mi fece vedere gli enormi lividi che il nipote aveva sulle spalle: glieli aveva fatto a calci un amico del padre, che il genitore stesso, dal carcere dove si trovava, aveva mandato a casa loro perché gli desse una lezione. Anche lui. Enzo tolse presto il disturbo a noi; all’intera società lo tolse il padre, ammazzato qualche anno dopo dal suo stesso clan.
Una volta fuori della scuola, alunni o ex alunni dispersi diventano evanescenti: una quota, soprattutto ragazze, rimangono a casa ad accudire fratelli minori, ad aiutare la mamma nelle faccende domestiche, ad ascoltare radio locali; molti lavorano come baristi, commesse, fattorini, magazzinieri, muratori; altri bighellonano per le strade, si rendono autori di azioni vandaliche, spesso prendono di mira proprio le scuole che li hanno espulsi, diventano manodopera a buon mercato per bande criminali o addirittura sono assoldati dalla camorra. Si camuffano nei corrispondenti gruppi di casalinghe, lavoratori, delinquenti. Le ragazze diventano di norma vestali di una cultura antiquata e maschilista, peggio ancora può capitare a lavoratori precoci alle prese con tutte le criticità del lavoro nero, o a camorristi in erba che imparano le ferree regole dei clan, loro così restii a ogni disciplina. Nei frequenti incidenti mortali sul lavoro a volte capita che la vittima è un ragazzino. Nelle ordinarie rapine con il morto o nei quotidiani regolamenti di conto a volte si scopre che la vittima, in qualche caso il killer, è un minorenne. Solo allora ci si ricorda che a quell’ora quei ragazzi dovevano trovarsi a scuola. Con qualche ipocrisia tutti gli altri non li vediamo, soprattutto gli immigrati, quei ragazzini invadenti che ci chiedono l’elemosina: ci sdegniamo a vederli sfruttati da adulti defilati e non ci sfiora neppure l’idea che perfino loro dovrebbero stare a scuola.
Nonostante sforzi recenti della Regione per creare l’anagrafe degli studenti, dispersi compresi, questi ultimi non li conosciamo per nome, anzi non sappiamo neppure quanti sono. Passano da poche migliaia a oltre cinquantamila nella nostra regione a seconda delle diverse opinioni su chi sia il disperso: chi non frequenta più, chi fa lunghissimi periodi di assenza, chi non assolve all’obbligo scolastico, chi lascia la scuola nel percorso verso il diploma a prescindere dall’età, immigrati compresi o esclusi.Ma su una cosa siamo tutti d’accordo, la scuola è la principale causa di dispersione scolastica. Non c’è niente di più abnorme e innaturale di una scuola creata per far apprendere, che esclude chi non apprende, chi non apprende nei tempi e nei modi definiti.
Finché la scuola non cambia mentalità, non c’è futuro per i dispersi: deve cambiare l’atteggiamento culturale, e quindi le finalità della scuola. Non c’è alunno che abbia più diritto di altri di apprendere, neppure chi deve andare all’università. E poi deve cambiare profondamente l’organizzazione della scuola, con un’autonomia più estesa e una valutazione interna ed esterna più costante. E naturalmente con più risorse. Per tutte le scuole e per il loro funzionamento ordinario. Che guaio affidare la soluzione del problema della dispersione scolastica a progetti ministeriali e regionali, a specialisti, esperti, cercatori di bambini: si disperdono cifre consistenti di danaro per pochissimi ragazzi e molti, troppi adulti.
Mi domando in quale paese del mondo si può pensare di innalzare l’obbligo scolastico rimettendoci pochi spiccioli, che serviranno a stampare volumetti per spiegare la grande conquista o per dispendiosi pochi corsi residenziali per pochissimi eletti. In quale paese del mondo si innalza l’obbligo in economia, addirittura risparmiando. E questo governo lo ha fatto quest’anno e si appresta a ripeterlo nel prossimo: tagli di personale, classi più affollate.E allora non mi sento di fare nessun augurio per i dispersi. E loro nemmeno lo sanno che il vuoto nella formazione li segnerà per il resto della loro vita.
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