Tre anni di scuola in più valgono 2-3 punti di Pil

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Tre anni di scuola in più valgono 2-3 punti di Pil

Messaggiodi edscuola » 20 settembre 2008, 7:46

da Repubblica

Tre anni di scuola in più valgono 2-3 punti di Pil

Il Forum dei giovani di Confcommercio: troppe barriere alla meritocrazia

Sondaggio: la maggioranza dei laureati sogna ancora il posto fisso

LUCA PAGNI

DAL NOSTRO INVIATO
VENEZIA - Un paese che non favorisce i progetti di vita e di lavoro. In cui il governo gode di scarsa fiducia sulla possibilità di incidere sul futuro dei giovani. Dove la stragrande maggioranza dei neolaureati sogna ancora il posto fisso e si dice pronto a rinviare la scelta di sposarsi a fare figli in favore della carriera. E dove la meritocrazia viene invocata da tutti, ma all´atto pratico messa in pratica da pochissimi, laddove la moltitudine di chi ha responsabilità si affida per lo più alle conoscenze personali.
È il quadro, l´ennesimo verrebbe da dire, di un paese immobile quello che emerge dagli atti del forum organizzato dall´associazione dei giovani imprenditori di Confcommercio. Un appuntamento che - a detta del neo presidente Paolo Galimberti - vuole diventare una presenza fissa nei convegni dedicati "alla cultura d´impresa". Ma che come esordio ha scelto il tema "L´emergenza educativa", proponendo la tesi secondo cui i ritardi dell´Italia ("un paese in cui la crescita è ferma da almeno 20 anni") molto dipendono dalla sua offerta formativa.
Il rapporto tra scuola e sviluppo economico è così stata sintetizzato: «Se l´Italia riuscisse ad innalzare di 3 gli anni medi di istruzione della popolazione - ha spiegato Giorgio Casoni, docente Economia del Territorio al Politecnico di Milano - il tasso medio di annuo di crescita del Pil crescerebbe di quasi l´80%, passando dall´insoddisfacente valore di 1,3-1,5% di oggi a un più europeo 2,3-2,7%». Un ritardo di cui il maggior responsabile è stato individuato nel sistema universitario «la cui debolezza è messa a nudo dal fatto che sforna laureati rivolti a un´economia di tipo industriale, quando il resto d´Europa è ormai rivolta a un´economia post-industriale».
Una situazione che si riflette anche nelle convinzioni di laureandi e neolaureati, così come emerge da un sondaggio realizzato attraverso mille interviste a giovani freschi di esperienza universitaria. Il dato più preoccupante è il pessimismo di fondo. Il 61,1% del campione ritiene che il vivere in Italia "non abbia alcuna influenza positiva" sui progetti di via e di lavoro, con gli uomini più pessimisti delle donne, mentre geograficamente si sentono più penalizzati i giovani del nord-ovest e del sud Italia. Una visione negativa che coinvolge la politica. Alla domanda se "ha fiducia che l´azione delle attuali forze di governo influiscano positivamente sulle aspettative per il lavoro desiderato", il 65,7% ammette di non avere alcuna fiducia e solo il 9% ha indicato di averne molta.
E sempre in questa direzione sono state lette al convegno di Venezia altre risposte. Ad esempio, il 59,1% sogna il posto fisso (più le donne degli uomini, molto meno tra i residenti delle regioni del nord-ovest). Alla domanda su "quali sacrifici si è disposti a compiere per accedere al mercato del lavoro", i giovani sono soprattutto orientati a "sposarsi più tardi" e "posporre l´età nel quale avere figli". Non solo: al nord gli uomini sono più disponibili a «sacrificare i propri valori personali", mentre le donne non esiterebbero a "sacrificare il tempo per le proprie passioni personali".
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