Il ministro vuol far pagare i libri alle elementari

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Il ministro vuol far pagare i libri alle elementari

Messaggiodi edscuola » 2 ottobre 2008, 10:09

da Unità

Il ministro vuol far pagare i libri alle elementari
di Maria Serena Palieri

TAGLI «Lo Stato spende 65 milioni l’anno per fornire di testi gratuiti tutti gli allievi della scuola primaria. Se i libri fossero dati ai più bisognosi, questi soldi si potrebbero usare per aiutare le famiglie degli allievi delle superiori che lo necessitano». Detta così, non è un’idea illogica. Ma Maristella Gelmini, ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, la lancia in una platea - gli Stati Generali dell’Editoria - che ha da poco visto gli effetti dell’aspirapolvere Tremonti: spariti i tre milioni destinati dal governo precedente al Centro per il Libro. L’accoglienza è fredda: quei 65 milioni, poniamo dimezzati, sotto quale tappeto finiranno? Gli editori qui raccolti per questo appuntamento biennale, d’altronde, sono già «esterrefatti» (così si esprime Federico Motta, presidente Aie, in genere pacato). Non per caso hanno deciso di dedicare questi «Stati» al tema dei giovani e a quello dell’editoria scolastica in particolare. La produzione di manuali e antologie scolastiche, con 710 milioni di fatturato sui quattro miliardi complessivi, costituisce un decisivo comparto della nostra industria editoriale. Da luglio, gli addetti si sono visti esplodere sotto il naso un paio di petardi piazzati da Gelmini: due decreti, 112 già in vigore e 137 in discussione, entrambi sui libri di testo, ma uno che dice il contrario dell’altro. Il 112 stabilisce che gli insegnanti adottino di preferenza libri scaricabili da Internet o su supporto misto, carta e multimediale. Insomma, libri già in parte esistenti ma per loro natura «del futuro». Il 137, invece, che i testi adottati dai docenti non possano essere modificati dall’editore prima di cinque anni. E che le adozioni di nuovi testi, nelle scuole, si facciano a cadenza quinquennale. Federico Enriques, amministratore delegato di Zanichelli, ci chiarisce: se questo secondo decreto sarà interpretato in maniera larga, niente modifiche a tutti i testi, già in vigore così come di nuova adozione, «sarà la fine dell’editoria scolastica. Stop. Significa che la nostra industria andrà in sonno per cinque anni. Dovrebbe lavorare coi ritmi quinquennali con cui si lavora per le Olimpiadi». In serata, Gelmini spiega che no, il decreto varrà solo per quelli nuovi. Ma, a parte questo lunapark legislativo, qui regna una preoccupazione più generale: per bocca della ministra, da prima dell’estate, il governo ha dato una risposta demagogica alle preoccupazioni delle famiglie. I libri di testo costano? Si scarichino da Internet o si comprino usati. Da qui il primo decreto, sulla multimedialità, poi il secondo, sullo stop agli aggiornamenti. «Si vuole imporre l’idea che i libri di testo siano una tassa da evitare. Invece sono un investimento» osserva Enrico Greco, amministratore delegato di Mondadori Educational. Più politicamente pessimista Enriques: «A inizio ‘900 già si dibatteva se i libri scolastici fossero troppi e troppo costosi. Il fascismo fece propri questi argomenti. E impose il “libro unico”».
E dire che il dibattito aveva preso il via da una ricerca Iard sulle nuove generazioni. Dove spiccava il dato, certificato dai cosiddetti «Pisa Test», che un terzo dei ragazzi italiani, dopo le elementari, sperimenta un analfabetismo di ritorno e semplicemente «non sa leggere». Ma ha una parola magica Gelmini per risolvere il problema: «eserciziari». Gli editori, dice, mettano in vendita manuali che aiutino i giovani italiani a dribblare i test. Poi, l’osservazione sui tagli ai 65 milioni per i libri scolastici dei più piccoli. E un brivido ulteriore corre... Stamattina la parola torna agli editori.
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