La scuola è l'ultima comunità

Rassegna Stampa e News su Scuola, Università, Formazione, Reti e Nuove Tecnologie

La scuola è l'ultima comunità

Messaggiodi edscuola » 4 novembre 2008, 12:48

da Corriere

La scuola è l'ultima comunità
di PAOLO FRANCHI


Sostiene Pierluigi Battista che, per misurarsi con quanto va capitando nelle scuole e nelle università, bisogna togliersi gli occhiali ideologici datati 1968 o giù di lì. E che tocca anche agli studenti difendersi dal parassitismo dei reduci pronti a planare sull'Onda.

Ha ragione. E non solo perché sono passati 40 (quaranta) anni. I protagonisti del '68 furono i baby boomers, figli della rivoluzione delle aspettative crescenti e, in Italia, del primo centro-sinistra, quello vero, delle speranze e delle delusioni che aveva suscitato. La stessa idea di avere tutto e subito, anziché qualcosa e un po' alla volta come pensavano i genitori moderati, riformisti e magari anche togliattiani, era dettata nello stesso tempo da un radicale rifiuto dello stato di cose presente (la «contestazione globale») e da uno straordinario ottimismo circa il futuro (l'«immaginazione al potere»).

Il movimento di protesta attuale con tutto questo non c'entra nulla. Di «contestazione globale» non c'è traccia, e con questi chiari di luna solo degli scriteriati assoluti potrebbero essere ottimisti. Nessuno scriverebbe più lettere a una professoressa o dotte tesi «contro la scuola»; e a nessuno o quasi salta in mente di «uccidere il padre» o, più semplicemente, di contestare più di tanto gli adulti. Al contrario, il sentimento dominante è la preoccupazione. Anzi: la paura. La paura del futuro, naturalmente. E la paura che, attraverso dei tagli indiscriminati, venga messo in discussione il presente della scuola non per cambiarlo in meglio là dove va cambiato, ma per tornare al passato. O meglio all'idea mediocremente reazionaria di un passato in cui la gente stava al suo posto, la vecchia maestra (unica, si capisce) era autorevole e materna al punto giusto, a scuola si andava con il grembiulino, e sul voto in condotta ci si giocava l'anno. Molti nel centrodestra sostengono che, ad alimentare questa paura, abbiano concorso assai da una parte i limiti di comunicazione del ministro e del governo, dall'altra una capacità del Pd e della sinistra, sin qui insospettata e insospettabile, di mobilitare il mondo della scuola manipolandolo a colpi di strumentalizzazioni e di bugie. Può darsi. Ma, se si cercano qui le motivazioni fondamentali di questa protesta, non si va molto lontano. In questi 40 anni, la scuola italiana (l'università meriterebbe un discorso diverso e più complicato) è diventata quello che nel '68 era solo in piccola parte, e cioè una scuola di massa, traballante e malridotta come sappiamo, ma di massa, su cui si rovesciano tutte le trasformazioni sociali e culturali della società italiana. Fatica a reggere l'urto, anzi, fa acqua da tutte le parti. Ma, in ultima analisi, tiene. Non è fatta solo, né soprattutto, di bullismo, di insegnanti fannulloni e di genitori imbufaliti che picchiano i professori rei di non aver promosso i loro figli zucconi. Queste figure certo non mancano. Ma non sono la scuola. Perché la scuola è, in primo luogo, una grande comunità in un Paese in cui tutte o quasi le grandi comunità sono venute meno, un fattore di coesione in tempi di disgregazione; o almeno così la percepisce la gran parte degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie. È una comunità che non si lascia spiegare solo dalla docimologia o dai rapporti dell'Ocse: se scricchiola, è anche perché le si chiede (apertamente, perentoriamente, pena l'adozione di misure draconiane) di trovare i percorsi per premiare il merito e far emergere le eccellenze, e nello stesso tempo le si fa carico (ma sottovoce, senza attribuire alcun valore alla cosa) di continuare ad essere, ma gravando il meno possibile sulle casse dello Stato, un potente fattore di inclusione sociale.

La maggioranza degli studenti e degli insegnanti, e buona parte dei genitori, la criticano, ma la difendono perché è l'unica cosa che hanno: ne conoscono le difficoltà, e magari vorrebbero fare qualcosa per superarle, ma non la considerano un carrozzone da sbaraccare. Questo potenziale di protesta non basta, da solo, per porre le basi politiche e culturali di un movimento per la riforma. Ma chi a un punto di vista riformatore nonostante tutto non ha rinunciato sbaglierebbe a sottovalutarne la portata. Non deve essere un caso se, con l'arrivo dell'Onda, il consenso al governo è per la prima volta bruscamente calato; e se di questo calo il Pd si è avvalso tanto poco.
edscuola
Site Admin
 
Messaggi: 19822
Iscritto il: 3 ottobre 2007, 11:30

Torna a Educazione&Scuola© - Rassegna Stampa

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 43 ospiti