da l'Unità
Non rottamate i libri di testo
Benedetto Vertecchi
È difficile trovare una ragione per l’accanimento che il ministero dell’Istruzione sta dimostrando nei confronti della cultura italiana. In apparenza si tratta di intervenire sull’organizzazione del lavoro, come nel tentativo di aumentare da 18 a 24 ore l’orario di cattedra degli insegnanti, senza porsi il problema del contesto dell’attività. Oppure di promuovere nelle università corsi in lingua inglese, non si capisce destinati a chi, ma che hanno come unico effetto quello di affermare un’immagine subalterna degli studi superiori. La mancanza di un disegno che non sia la semplice amplificazione di un generico senso comune si ritrova anche nelle disposizioni recentemente emanate sulla sostituzione dei testi cartacei con supporti elettronici. In altre parole, gli allievi non dovranno più studiare utilizzando libri stampati, ma useranno tavolette digitali. Ovviamente, questo passaggio dal cartaceo al digitale è presentato come una svolta epocale. Nessuno si è preoccupato però di immaginare quali potranno esserne le conseguenze, sia quelle che si possono solo immaginare (perché non ci sono elementi, in positivo o in negativo, a favore o contro l’uso dei supporti digitali), sia quelle che è fin troppo facile anticipare, perché fanno riferimento a dati di comune possesso. Tra le conseguenze che si possono immaginare c’è un cambiamento del rapporto tra gli allievi e i libri. Cambia (è solo qualche esempio) la percezione fisica del testo, le operazioni che si compiono nel processo di apprendimento, il riferimento mnemonico a questo o a quel passo. Chi ci assicura che usando libri digitali sia possibile ottenere risultati quanto meno non peggiori di quelli che si ricavano dai testi cartacei? Non sarebbe stato opportuno, prima di intervenire per via normativa su un aspetto così delicato del funzionamento della didattica, passare attraverso una limitata, ma rigorosa fase sperimentale per stabilire i punti di forza e quelli di debolezza dei libri tradizionali e di quelli modernizzati tramite le tecnologie digitali? Ma la questione dei libri non si esaurisce solo con considerazioni di funzionalità didattica. In un Paese come l’Italia, in cui la lettura costituisce, malgrado il grande aumento della popolazione scolarizzata, un’attività alla quale si dedica solo una parte minoritaria della popolazione e in cui le opportunità di lettura pubblica sono scarse per i limiti della rete bibliotecaria, i libri di scuola rappresentano spesso, proprio dal punto di vista fisico, l’unico contatto con quello che resta, malgrado tutto, il riferimento culturale più evidente. In un contesto regressivo della capacità di comprendere il testo scritto, com’è quello che in misura crescente caratterizza i paesi industrializzati, la scomparsa dei libri dagli oggetti percepiti entro le mura domestiche rischia di accelerare la perdita della capacità di utilizzare i repertori simbolici che sono stati alla base della grande trasformazione culturale e sociale negli ultimi secoli. Occorre anche chiedersi quali testi saranno disponibili per le tavolette digitali. Certo, se si tratterà solo di riprodurre i libri già esistenti su carta, l’operazione sarebbe di assai modesto rilievo. Gli unici a compiacersi del cambiamento sarebbero i produttori di tavolette. Non potremmo non attenderci, invece, un peggioramento delle condizioni, già non brillanti, dell’industria editoriale che potrebbe perdere una percentuale consistente del suo fatturato. C’è anche da chiedersi, una volta riprodotti testi esistenti, chi potrebbe impegnarsi nel predisporne di nuovi, oltretutto senza disporre di riferimenti certi circa il modo in cui potranno essere utilizzati nell’educazione scolastica. Vale la pena di aggiungere che i libri su carta possono essere letti in un tempo lungo. L’accesso alla Bibbia di Gutenberg presenta difficoltà di ordine culturale, perché è scritta in latino, ma non tecnico, perché i caratteri continuano a essere perfettamente leggibili. Nel caso delle edizioni digitali si deve prevedere una doppia caduta: quella che investe la tecnologia, che richiede la sostituzione sempre più rapida dei prodotti ora proposti, e quella dei sistemi di codifica, che anche se in tempi un po’ più lunghi rende inutilizzabili codifiche effettuate su supporti non attuali (quanti usano ancora i dischetti magnetici? E per quanto tempo continueremo a usare i supporti ottici?). Occorrerebbe, per cominciare, incoraggiare la ricerca e fondarla, invece che sul senso comune, su solide basi sperimentali. Intanto, si deve evitare di rendere le scuole sempre più povere, visto che, per acquisire mezzi che potranno essere usati per un tempo breve, sono costrette a rinunciare a quelle dotazioni che potrebbero essere alla base di attività creative e progettuali, tali da impegnare il pensiero e l’azione di bambini e ragazzi.