SCUOLE IN RETE O RETI DI SCUOLE
di Gian Carlo Sacchi
“Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. L’accordo può prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che liberamente vi consentano. L’accordo individua l’organo responsabile della gestione delle risorse e del raggiungimento delle finalità del progetto. Nell’ambito della rete, possono essere istituiti laboratori finalizzati tra l’altro a: la ricerca didattica e la sperimentazione, la documentazione…, la formazione in servizio del personale scolastico.
Quando sono istituite reti di scuole, gli organici funzionali di istituto possono essere definiti in modo da consentire l’affidamento a personale dotato di specifiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo istituzionale e di gestione dei (suddetti)laboratori”. (art. 7 DPR 275/1999).
“….potenziamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche…; definizione per ciascuna istituzione scolastica di un organico dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica…..; costituzione, previa intesa con la Conferenza unificata (stato- regioni…), di reti territoriali tra istituzioni scolastiche, al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie; definizione di un organico di rete…… (art. 50 DL 5/2012).
Messi a confronto questi due enunciati sollevano non pochi interrogativi, a cominciare dal fatto che nel 1999 si dava per scontata l’esistenza dell’organico funzionale di istituto e a tutt’oggi si tratta di prevederne ancora l’attuazione, ma quello che è forse più inquietante è che sotto la stessa parola, autonomia, si nascondono due visioni che si potrebbero anche intendere come opposte nel dar vita alle reti di scuole. La prima muove dalle istituzioni scolastiche autonome che possono promuovere accordi di rete per realizzare una serie di azioni decise dai contraenti e di cui si assumono la responsabilità, l’altra fa capo ad un decreto ministeriale, d’intesa con la Conferenza unificata. L’una è un’opportunità, l’altra sarà un obbligo; da una parte la costituzione avviene dopo aver valutato la convenienza ed i contenuti, con anche la possibilità dello scambio dei docenti tra i diversi istituti in rete, dall’altra la finalità prevalente sarà l’organizzazione del personale per attività già in qualche modo individuate. Si potrebbe continuare dicendo che la preoccupazione nel 1999 era di avvicinare le scuole alla ricerca con la documentazione, l’individuazione di nuove figure professionali, anche attraverso laboratori territoriali, nel 2012 prevale di nuovo la gestione che sarà perlopiù amministrativa; i poteri e le governance delle reti rimangono in un’ottica di tipo centralistico, con una delega conferita dall’alto, anziché un’azione democratica voluta da chi dà vita a tale aggregazione, con buona pace del nuovo Titolo Quinto della Costituzione che voleva fare salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche proprio nel momento in cui si dovevano mettere in atto le competenze esclusive e concorrenti di stato e regioni.
E non si può nemmeno dire che una rete che compare quasi come una sovrastruttura possa stare in un provvedimento che vuole semplificare, così come è fuorviante temere una polverizzazione delle autonomie scolastiche dopo le recenti disposizioni che richiedono almeno mille alunni per ognuna di esse: gli istituti comprensivi e gli ISI….sono già reti.
L’AUTONOMIA DEBOLE
Per istituire le reti si invoca la debolezza delle scuole autonome, che dal punto di vista numerico, come si è detto, è sempre meno vera, ma ciò che è decisamente debole è la visione politica della stessa autonomia, sul versante del centralismo ministeriale: attendiamo ancora il decentramento previsto dal DL 112/1998, e non si parla, nemmeno con il nuovo governo, di applicazione del predetto Titolo Quinto della Costituzione, che riorganizza i poteri dello Stato ed inaugura un nuovo ruolo del ministero centrale verso un’azione più di indirizzo e di controllo che di gestione.
Senza autonomia vera sarà puramente cosmetico tanto accanimento sulla valutazione (le richieste europee fanno leva su sistemi più decentrati del nostro), ma anche tra stato e regioni l’autonomia delle scuole è vista come una sorta di terzo incomodo (gli assessori talvolta provano fastidio a doversi rapportare con “tanti” dirigenti scolastici), senza contare che proprio in una logica di complessiva riorganizzazione degli enti locali dovrà essere messa in atto per effetto dei risparmi imposti l’unione di comuni e diminuzione delle province (prendiamo atto con soddisfazione che l’UPI, magari per difendere i propri enti, ha messo sul piatto la soppressione degli uffici periferici dell’amministrazione, di cui si parlava già nel citato DL 112, che però il ministro Profumo non ha citato ad esempio nell’istituzione delle reti). Forse sarebbe il caso di inserire il riordino della rete di scuole in un processo di rigoverno del territorio, assieme agli altri servizi alla persona.
Pur tra queste difficoltà politiche le scuole si sono costituite in rete, ma evidentemente sono deboli e non riescono a consolidarsi perché le stesse non hanno reale autonomia amministrativa e finanziaria, non possono gestire il personale (forse se avessero avuto l’organico funzionale dal 1999 sarebbe stato diverso ?), devono sottostare ad ordinamenti vincolanti, non hanno una rappresentanza riconosciuta. Perché adesso di rappresentanza si parla solo per le reti: potrà essere così anche per le unioni dei comuni o l’ANCI continuerà ad esistere ? E non si potrebbe costituire dal basso, come avvenne nel 1900 a Parma (natali dell’ANCI) un ANCI delle scuole autonome ? Sono nate quasi ovunque, sia a livello provinciale che regionale, le Associazioni di Scuole Autonome, vanno sostenute attraverso le leggi regionali, la dove è necessario indicare le modalità partecipate per le programmazione dell’offerta formativa territoriale. Anche per quanto riguarda la rappresentanza saranno le scuole attraverso i propri meccanismi di autoregolazione ad individuarne le modalità, senza nulla togliere alla funzione legale del dirigente scolastico che però non può diventare politica rispetto alle intenzioni democraticamente espresse dalla comunità scolastica.
La scuola non è un patrimonio della comunità, ma un terminale dello stato nazionale e quindi se è vincolata, poi si abitua, a guardare in su, verso il ministero, sorvegliata dai funzionari, fa fatica a guardarsi attorno, nei confronti delle altre scuole e della realtà in cui è inserita: ora arriverà la valutazione, meno autoritaria dell’ispezione, ma la logica centralistica rimane quella. E’ difficile fare paragoni tra le performance della nostra scuola e quella ad esempio dei paesi nel nord Europa senza cogliere la profonda appartenenza di quest’ultima al territorio.
Invece del “regio”Provveditorato agli Studi avremo l’Azienda Scolastica Locale (magari una rete provinciale, come si dice nel decreto Profumo), con a capo un dirigente di nomina politica/ministeriale.
L’autonomia è ancor più sfida culturale e pedagogica, a partire dalle scuole stesse, che valorizza processi partecipativi e di coesione sociale: ma questo ha ancora consenso nella pubblica opinione o prevale la logica dello stakeholder? Perché stato e regioni non si intendono sui “Livelli Essenziali delle Prestazioni” che garantiscono i diritti dei cittadini a cui tutto il “sistema nazionale” (L. 62/2000) deve fare riferimento, dove sono le autonomie a realizzare un’offerta di qualità con il controllo pubblico.
Le reti dunque possono essere un ulteriore passaggio per il rafforzamento dell’autonomia o ne possono essere l’abbattimento, un disinvolto passaggio gattopardesco del centralismo burocratico, che se trovasse difficoltà nella conversione dell’attuale decreto legge avrebbe sempre qualche altro santo in Parlamento.
Parliamo di una recente proposta di legge che usa l’indicativo presente: “ciascuna istituzione scolastica autonoma appartiene ad una rete istituzionale di scuole, con una scuola polo a servizio di tutti i compiti e le attività della rete”. Sappiamo bene che la logica delle scuole polo non si è rivelata altruistica, ma vien da chiedersi con quale personale essa affronterà i compiti per conto di tutti gli aderenti. “Contiene non meno di dieci istituzioni scolastiche e non più di cinquanta”: esattamente il numero medio di una ex provincia. “Sono le Regioni ad individuare le dimensioni ed il ministero le istituisce. La rete ha personalità giuridica”: la scuola polo così ha due personalità giuridiche ? “E’ la rete che interagisce con le altre istituzioni del territorio”: un nuovo soggetto che prende il posto delle autonomie scolastiche che sono espressamente indicate dal titolo quinto della Costituzione.
E qui si inserisce un elemento decisamente innovativo, che troviamo anche nel decreto governativo: l’organico di rete. Ma come viene formato ? La proposta parlamentare prevede che sia la rete ad assumere, anche per conto delle scuole che ne fanno parte, e direttamente per quei docenti finalizzati ai bisogni educativi speciali. A questo riguardo esperienze sono già in atto nella provincia autonoma di Trento e si parla di “concorsi differenziati”, addirittura per ogni singola scuola, in una proposta di legge della regione Lombardia. Sono le reti e non le scuole, come prevede il DPR 275/1999, a costituire consorzi, associazioni, fondazioni, ecc.
Ecco che il coordinamento regionale e nazionale delle reti di scuole, sempre dalla suddetta proposta, sostituisce l’ormai obsoleto e in parte abrogato sistema degli organi collegiali territoriali previsto dai decreti del 1974, ma continua a garantire la rete periferica dell’amministrazione scolastica.
COSA FANNO LE RETI
Tra le ricerche in campo si evidenzia che le reti, quelle spontanee, producono fiducia e responsabilità e sono in grado di creare positive interconnessioni con le istituzioni del territorio, per promuovere azioni di sussidiarietà orizzontale e verticale. Si vuole mantenere la visione di “auto sostegno solidale” e si teme la burocratizzazione; la forma giuridica non è considerata cruciale per il funzionamento e la motivazione ad agire in un’ottica di rete: le regole devono essere costruite dal basso. Qui l’indicazione di una scuola capofila ha motivazioni molto diverse da quelle enunciate nel precedente progetto.
I confini e i modi della rete sono variabili e possono modificarsi nel tempo in funzione dell’obiettivo da realizzare e non devono passare attraverso faticose prassi burocratiche.
Dall’alto si chiedono incentivi, così come accade nel campo delle autonomie territoriali, nell’ambito di una efficace azione di programmazione.
Si vuole dare maggiore forza al DPR 275 senza ingessare il sistema. Viene ripetuto che più che a livello normativo occorre incidere sulla dimensione culturale affinché le reti vengano percepite come un’opportunità. Il successo di queste ultime infatti dipende molto dalla condivisione dei bisogni, obiettivi e risultati, in modo che ciascun aderente possa conferire senso al suo esserne parte.
Non vi è dubbio che per questioni di efficienza la rete sia un passaggio per certi versi obbligato, ma non può essere obbligatorio. Mentre a livello legislativo il focus, come si è detto, è la gestione, nella pratica si fa riferimento a “centri servizi” e “laboratori territoriali” per supporti in termini di ricerca, documentazione e formazione.
La rete non implica pertanto la nascita di un nuovo soggetto, è soprattutto strumento e progetto ed aiuta a promuovere la cultura organizzativa.
In Veneto il 23%delle scuole paritarie partecipa alle reti e oltre il 30% coinvolge persone esterne nella gestione.
Il concetto di rete richiama una struttura orizzontale in cui i poteri dei singoli componenti non sono attribuiti con azioni di decentramento, bensì individuati tramite un’organizzazione funzionale. Non sono le reti a segnare il passo della riorganizzazione del sistema delle autonomie; pur essendo necessaria una cultura del “sistema formativo”è a livello locale che si costruiscono condizioni, strutture e processi per coinvolgere le autonomie scolastiche nello sviluppo dei territori.
Le ricerche evidenziano tuttavia un problema vero: le scuole autonome non fanno sistema. E sappiamo che questo è grave prima di tutto perché è il sistema scolastico che garantisce i diritti sociali, le singole scuole godono di un’autonomia funzionale e quindi non sono soggetti di per sé esaustivi, oltre al fatto che operando singolarmente rischiano la marginalità e l’impoverimento, specialmente nelle zone più degradate.
Ma qui si tratta di ritornare all’impianto nazionale: le scuole non sanno, ma forse non possono, perché il ministero non assume il nuovo ruolo indicato dal predetto Titolo Quinto e mantiene ben salda la gestione degli aspetti strategici per la vita delle stesse: il personale e i finanziamenti, seppure pochi, invece di definire le condizioni generali e controllare i risultati.
Anziché esercitare correttamente la sussidiarietà verticale nei confronti di coloro che non riescono a svolgere con efficacia il proprio ruolo autonomo, si preferisce accettare surrettiziamente quella orizzontale, verso la graduale privatizzazione del servizio, creando così ancora maggiori squilibri.
La rete deve mantenere la sua vocazione, che rimane, come si è detto, funzionale, senza assumere una connotazione di rappresentanza politica delle autonomie scolastiche.
Niente “isole isolate” dunque e niente sovrastrutture burocratiche, ma ipotesi di sviluppo nell’ottica della rete delle reti, anche a livello virtuale, iniziative che non restino solo nella sussidiarietà sociale, ma vadano ad incidere sul core-curriculum, nazionale e locale.
Qualsiasi sarà la forma è importante che non venga mortificata la vivacità progettuale delle scuole nei territori, ma la frammentazione/competizione tra le stesse è ancora una volta la mancanza di consapevolezza del ruolo da ricoprire nella promozione di un sistema di qualità che parte dal basso ma non può fermarsi lì, anche in presenza dei più illuminati personaggi locali. La cultura di rete non deve essere imposta, ma se non cresce, dato anche il patrimonio professionale di cui la scuola dispone, allora ne va di mezzo l’autonomia: e non lamentiamoci.
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