Autonomia e reclutamento dei docenti

Autonomia e reclutamento dei docenti

di Gian Carlo Sacchi

Il dibattito politico sull’assunzione dei docenti è tornato a farsi rovente non tanto dalla peraltro solo promessa del ministro Profumo di bandire nuovi concorsi che in qualche modo confliggerebbero con le aspettative di tanti precari, ma dall’introduzione della variabile territoriale, altrimenti detta  chiamata diretta, da parte della Regione Lombardia e Provincia autonoma di Trento, che oltre ad avere diverse prerogative giuridiche, quest’ultima infatti ha già un reclutamento regolato a livello territoriale, ha anche diverse maggioranze politiche.

Si potrebbe dire che come per la proposta di legge sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche questo sia un altro campo in cui operare in modo bipartisan, il che sarebbe ben accetto se si rispettassero le norme costituzionali, senza voler anteporre prerogative localistiche (nati o residenti nella regione) che non solo violerebbero le pari opportunità, ma non risolverebbero il problema della reale copertura dei posti, come dimostrano le graduatorie esaurite in diverse parti d’Italia.

Il problema vero invece è quello dell’ingresso nella scuola di giovani insegnanti, i nostri infatti sono tra i più vecchi d’Europa e tendono ad avanzare ulteriormente negli anni per effetto della recente riforma pensionistica, e che sempre a causa del precariato sono rimasti senza effettive opportunità.

Il mix di età e merito preoccupano la qualità del nostro sistema e viste le trattative infinite che si susseguono a livello nazionale, qualcuno anche in relazione agli spazi ipotizzati dalla riforma costituzionale, confermati da un’autorevole giurisprudenza, inizia ad intravvedere la possibilità di intervenire in modo autonomo, suscitando da un lato potreste sul piano politico e sindacale e dall’altro il rischio di grandi migrazioni di disoccupati con laurea (e diversi altri titoli accademici) che da tutto il Paese si muovono verso la possibilità di ottenere un posto di lavoro.

Sul decentramento delle procedure di assunzione c’è un certo consenso, ma l’input  deve rimanere a livello nazionale o si possono liberalizzare al fine di rendere più funzionale l’organizzazione delle risorse umane al progetto didattico nel territorio.

E’ ovvio che se davvero si vuole l’autonomia delle scuole al punto da prevederne “statuti” e regolamenti particolari rimane difficile sostenere che la politica del personale non debba assumere la necessaria flessibilità. Il principio autonomistico sembra assodato, ma se questo possa generare anche modalità diversificate di reclutamento del personale dirigente e docente trova ancora posizioni controverse trasversali alle tradizionali maggioranze politiche e riserve in campo sindacale, anche se c’è da chiedersi se si vuole valorizzare davvero la contrattazione a livello di istituto (RSU) senza che questo abbia reali poteri decisionali.

E’ sotto gli occhi di tutti che creare margini di manovra nei curricoli senza la possibilità di adeguati interventi sul fronte professionale, come ad esempio è in atto nel riordino degli istituti tecnici e professionali, fa permanere una rigidità nel governo della scuola ormai decisamente anacronistica; dall’altra parte ricerche svolte sul fronte dei docenti dimostrano che non esistono contrarietà in linea di principio ad un reclutamento decentrato, ma il timore (anche se non è poca cosa) del clientelismo e della corruzione, oltre a porre il problema degli interventi necessari su coloro che non si dimostrano adatti al ruolo.

 

LA DISCUSSIONE NON E’ NUOVA

Una commissione ministeriale che ha lavorato nel 1996 sul “sistema integrato” di istruzione statale e non statale, sancito poi con la legge del 2000, aveva già posto in maniera efficace il problema del reclutamento del personale nella struttura scolastica pubblica, secondo due principi: l’attitudine allo svolgimento di un servizio nazionale e la coerenza con il progetto specifico dell’istituto.

La commissione concluse con una posizione di maggioranza (D’Amore, Guasti, Reguzzoni, Capaldi, G. Rodano), basata sui seguenti punti:

–          l’assunzione degli insegnanti risponderà alle necessità imposte dalla nuova organizzazione basata sull’autonomia delle istituzioni scolastiche,

–          il reclutamento dovrà essere il medesimo per tutte le scuole del servizio pubblico,

–          unitarietà della formazione iniziale,

–          tra gli insegnanti abilitati deve esserci l’opportunità per le scuole di selezionare quelli che siano maggiormente preparati per sviluppare il peculiare progetto formativo,

–          non si tratta di consentire una selezione su base ideologica. Una simile possibilità è resa difficile dal processo complesso e rigoroso di formazione e avvio alla professione. Si tratta, al contrario, di costruire un sistema in cui sia la scuola, sia gli insegnanti possano godere di una maggiore possibilità di sperimentare le diverse professionalità.

Nella posizione di minoranza (Rescalli) si escludeva qualsiasi forma di chiamata degli insegnanti da parte dei singoli istituti, ma si avanzava la richiesta di concorsi biennali su base territoriale aperti a tutti gli abilitati con l’attribuzione dei posti in organico ai vincitori sulla base della preferenza degli interessati.

Nella stessa posizione si conveniva che detta attribuzione dovesse coniugare l’esigenza della libera scelta del vincitore del concorso e l’altrettanto legittima richiesta da parte delle singole unità scolastiche di reclutare insegnanti idonei al progetto educativo di istituto di cui un sistema delle autonomie riconosca l’insopprimibile specificità.

I vincitori di concorso, come nel sistema francese, avranno diritto di scegliere posti di ruolo (pagati dunque dallo stato) sia nelle scuole statali sia in quelle non statali, con il gradimento di queste ultime (come avviene in alcune università).

Una circolare ministeriale del 1977 prevedeva per le scuole che attuavano progetti di sperimentazione la possibilità di reclutare direttamente docenti, già di ruolo. Tale modalità, pur passata attraverso diverse operazioni di consolidamento, può dirsi in vigore anche oggi almeno in due scuole che si trovano un organico “coerente” con il progetto educativo.

 

QUALE CURRICOLO PER L’AUTONOMIA

Con la normativa sull’autonomia didattica e organizzativa il curricolo è stato composto con una parte nazionale ed una di istituto, alla quale poi è stata aggiunta una parte regionale. Questo secondo aspetto si è rivelato una forzatura localistica, tant’è che alcune regioni hanno rinunciato a regolamentarlo attribuendone le competenze alle scuole stesse. Riprendendo però il DPR 275/1999 e successivi provvedimenti che addirittura avevano quantificato le diverse componenti, si torna all’ intreccio tra norma generale e decisione locale, che deve pensare a soluzioni unitarie ma non uniche. Si tratta di prevedere obiettivi comuni da raggiungere, lasciando alle scuole autonomia professionale e di governance.

Se il Piano dell’Offerta Formativa deve “pensare globalmente” e “agire localmente” le risorse umane e finanziarie devono essere assicurate sia dallo Stato sia dai diversi soggetti pubblici e privati del territorio, anche attraverso il contributo alla fiscalità. Un organico di istituto potrebbe  garantire la copertura funzionale al progetto formativo e se stabile nel tempo dare sicurezza agli operatori diminuendo la precarietà e l’impiego saltuario.

I tagli al personale messi in atto dagli ultimi governi di fatto hanno diminuito la “copertura” del curricolo, dei tempi scuola e dell’organizzazione didattica: già oggi sempre più attività richieste dalle famiglie e previste dall’ordinamento, vengono realizzate da altre professionalità con contratti esterni. Anche questo che fa parte non del dibattito ideologico ma della realtà dei fatti porta a concludere sulla necessità di decentrare non solo dal livello nazionale a quello regionale/province autonome, dove risiede la competenza di programmazione del servizio, il reclutamento, ma che questo riporti in equilibrio il sistema attraverso la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in stretto rapporto tra regioni e loro “ambiti territoriali” e istituzioni autonome o reti (le quali però non devono essere una nuova articolazione dell’amministrazione scolastica) per la definizione degli organici.

 

CHI RECLUTA, COME SI RECLUTA

Allora il come si recluta diventa più importante del chi lo fa. Come già veniva indicato nel 1996 si tratta di garantire modalità pubbliche di reclutamento, da inserire nell’applicazione del titolo quinto della Costituzione, in modo da poter garantire i concorrenti, sulla base dei requisiti, del contratto di lavoro e della mobilità. Si può operare a livello regionale/provinciale sulla base di una programmazione/verifica delle esigenze quanto- qualitative dell’offerta formativa territoriale.

Sulla base di una “norma generale” saranno emanati bandi regionali/provinciali con attenzione al territorio, alle autonomie scolastiche ed al merito dei progetti formativi. Concorsi periodici vanno a rimpinguare gli organici di istituto che vengono gestiti dalle scuole stesse, compresi contratti a tempo determinato per le diverse esigenze.

Alcune modifiche sarebbero auspicabili alle classi di concorso della scuola secondaria per rendere più flessibili insegnamenti che oggi vanno oltre la singola disciplina e che valorizzano da un lato i così detti saperi di confine e dall’altro rendono il team più snello per intervenire efficacemente sui processi di apprendimento e le dinamiche educative.

Anche la mobilità deve rientrare in questa strategia. Deve essere garantita su tutto il territorio nazionale, ma a condizione di poter accertare il perdurare dell’idoneità a svolgere la professione, mediante una valutazione in uscita e la tenuta di un “portfolio” del docente che può essere preso in considerazione da chi riceve, al fine di valorizzarne adeguatamente la presenza nel “team” del nuovo istituto.

 

LA LINEA DELLA QUALITA’

Com’è noto la qualità professionale nella scuola è solo in parte garantita da titoli in ingresso; si tratta di un processo di implementazione al quale contribuiscono la riflessione sull’esperienza e la formazione in servizio. In primis occorre che vi sia un aggancio forte con la formazione iniziale, con l’università che oggi fornisce “l’abilitazione” all’insegnamento. Tra scuola e università devono passare quegli elementi di ricerca sul piano didattico e organizzativo che possono contribuire alla costruzione della professionalità e che il concorso può sinteticamente portare a valore.

La documentazione del lavoro svolto costituirà a livello di istituto o di territorio una banca dati delle buone pratiche per sostenere lo sviluppo professionale, ma anche un modo che contribuisce a conoscere la realtà sulla quale si va a realizzare la progettazione formativa. Con la documentazione individuale, compresa nel suddetto portfolio, si potranno raccogliere oltre ai risultati dei percorsi formali, materiali che descrivono l’esperienza lavorativa, sui quali sarà possibile impostare anche un’azione valutativa da utilizzare per altre professionalità o per lo sviluppo di carriera.

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Prospettare una maggiore autonomia nel reclutamento del personale dirigente e docente solleva ancora una certa diffidenza, pur nella consapevolezza che l’attuale modello burocratico e centralistico rischia progressivamente di paralizzare il sistema. Se fino a qui la garanzia di unitarietà del servizio pubblico ha riposato sulla distribuzione omogenea degli operatori su tutto il territorio nazionale, dopo la riforma della Costituzione la Repubblica fa salva l’autonomia delle scuole alle quali è dato il compito di “ricostruire” l’Italia a partire dai valori culturali e sociali delle comunità.

 

Sulla valutazione, prove Invalsi e dintorni. Ancora

Sulla valutazione, prove Invalsi e dintorni. Ancora.

di Cinzia Mion

Mi inserisco nei dibattiti, diventati stancamente rituali, intorno alla valutazione e dintorni.

Credo che tutto sia già stato detto, o quasi, ed è facendo perno su questo quasi che sento il bisogno di dire la mia che ha il sapore di una ricostruzione storica. Naturalmente.

Intanto rilevo con piacere che almeno intorno a tale argomento si sta dibattendo, segno che la scuola riesce ancora a catalizzare un po’ di attenzione.

Non desidero schierarmi a priori, come avverto che molti stanno facendo, né da una parte né dall’altra, nel senso dei detrattori o fautori a scatola chiusa delle prove Invalsi o similari.

Per provare però ad argomentare sulla questione devo risalire, sia pur in modo molto succinto, al dibattito intorno agli anni sessanta.

Ricordiamoci infatti che a far diventare il problema della valutazione scolastica un pretesto scottante, al fine di portare all’attenzione pubblica il disastro della dispersione scolastica, dopo l’approvazione nel 1962 della legge sull’elevamento dell’obbligo a 14 anni, è stato don Milani con Lettera ad una professoressa.

Successivamente  il ’68 studentesco ne ha rilanciato le tesi.

Che la riforma della scuola media unica non sia stata opportunamente accompagnata nella sua implementazione lo sappiamo tutti e lo ricorda molto bene Allulli in un intervento su Tuttoscuola di maggio, oltreché la Fondazione Agnelli in un suo Quaderno recente.

Io desidero qui sottolineare che la carenza della didattica individualizzata in questo ordine di scuola, didattica rimasta abbastanza trasmissiva comunque, quindi uguale per tutti,  tranne naturalmente nelle illuminate eccezioni, sta offrendo ancora esiti deleteri.

Affermo ciò in quanto anche la scuola secondaria di secondo grado, che conosce oggi l’elevamento dell’obbligo a 16 anni, rischia di perseverare nel medesimo errore, nell’indifferenza generale di tutti, come è accaduto negli anni passati per la scuola media.

Bisognerebbe che un novello Bruner scrivesse un altro“Verso una teoria dell’istruzione(però) dell’obbligo.”  E dedicasse una parte del saggio alla valutazione formativa, ineludibile in ogni ordine di una scuola dell’obbligo, appunto.

Ma andiamo per ordine.

Il Movimento Studentesco mise a fuoco come la valutazione scolastica fosse strumento non di emancipazione culturale ma di esclusione ed emarginazione, in altre parole di dispersione scolastica precocissima.

Naturalmente la critica sociopolitica del ’68 non aveva compiti pedagogici di inventare un sistema nuovo di valutazione,  ma si era dotata di compiti di semplice denuncia per cui se la scuola attraverso le sue metodiche valutative, di tipo sommativo, faceva tanto male ai giovani forse era meglio che si astenesse dal farlo : ecco la sollecitazione “a-valutativa” che ricordiamo tutti.

A far da sostegno a tale impostazione apparvero subito esiti di ricerche psicologiche dall’America che dimostravano l’assoluta “soggettività” delle pratiche valutative della scuola (effetto alone, effetto stereotipo,  effetto Pigmalione, ecc.)

Questo clima di messa in discussione della valutazione sommativa scolastica, e soprattutto le ricerche sulla soggettività ineludibile, che toglievano attendibilità alla stessa, sollecitarono Mario Gattullo, un validissimo allora ricercatore dell’Università di Bologna, scomparso ahimè troppo presto (chissà cosa direbbe oggi delle prove Invalsi!) ad avventurarsi nel terreno vergine in Italia della docimologia o scienza della misurazione.

Il suo libro fece molto scalpore, naturalmente in chi se ne sobbarcò la lettura o lo studio.

La prima parte, molto gustosa, consisteva in un’ampia analisi e critica di tutte le prove, nessuna esclusa, che la scuola adottava per valutare gli alunni (temi, problemi, interrogazioni orali, ecc) individuando elementi naturalmente di soggettività (già sottolineata ampiamente) ma soprattutto di frequente incongruenza tra lo stimolo (prova) e deduzioni-conclusioni sulla adeguatezza della preparazione che poi veniva in modo più o meno arbitrario tradotta in un voto numerico su scala decimale.

Per ovviare a questa descrizione così poco seria e scientifica della pratica scolastica in questione, Gattullo, nella seconda parte del suo tomo ponderoso, proponeva le famose, o famigerate, prove oggettive.

Mi sento però di sottolineare come le suddette prove dovessero essere rigorosamente costruite da esperti delle varie discipline, alle quali gli stessi esperti avrebbero fatto corrispondere punteggi diversi a seconda della complessità dello stimolo e a seconda della diversità della risposta e del tempo impiegato a darla. Il tutto perciò in modo del tutto oggettivo ma anche scientifico dal punto di vista dell’epistemologia della disciplina e della psicologia dell’apprendimento.

Tutto risolto? Per niente. L’individuazione dell’oggettività delle prove faceva correre ai ripari rispetto al problema dell’inattendibilità del giudizio del docente ma non poneva nessun rimedio alla denuncia sociopolitica della gravità della dispersione da cui era partita tutta la riflessione successiva.

Infatti Gattullo non mancava di rilevare continuamente che le prove e la loro “verifica” costituivano una attività di “misurazione” ma non di valutazione.

Da questa specie di fotografia dei risultati di apprendimento della classe (diagnosi?) bisognava poi partire, più attrezzati che mai, per attivare una didattica adeguata a recuperare gli insuccessi segnalati dalla verifica (cura individualizzata?)

Abbiamo però dovuto aspettare la L.517 del 1977 perché la pedagogia, attraverso riflessioni dei nostri maggiori esperti nel campo, come il professor Vertecchi, generasse il nuovo concetto di “valutazione formativa” che metteva insieme sia la misurazione, su cui aggiustare gli ulteriori interventi, che l’autovalutazione del docente che attraverso di essa capiva quanto era attrezzato per insegnare in una scuola dell’obbligo o quanto dovesse ancora dotarsi di strategie alternative per farvi fronte.

La valutazione formativa infatti usa le prove più oggettive possibili per cogliere le eventuali lacune, segnalarle all’allievo perché se ne faccia carico e nel contempo indurre il docente ad avviare una attenta disamina delle proprie strategie didattiche a disposizione, affinché siano le più adeguate possibili a fronteggiare la difficoltà.

Se questa riflessione su di sé (autovalutazione) dovesse portare alla consapevolezza che esiste una carenza professionale o disciplinare o didattica o psicologica per cui la propria preparazione non è sufficiente, bisogna correre ai ripari.

Lasciamo perdere in questa sede la considerazione su quanti dirigenti scolastici, a quel tempo, soprattutto della scuola media, hanno sensibilizzato i loro docenti a questo concetto di valutazione formativa e quanti invece si sono solo preoccupati di trasformare i voti in giudizi, e legittimarne la trasformazione da parte del Collegio, arrivando perfino a semplificare l’operazione attraverso l’uso di “timbrini” ma lasciando inalterata la concettualizzazione della valutazione scolastica come sommativa (orientata ai risultati e non ai processi), addebitata alla responsabilità totale dei ragazzi.

Non possiamo perciò ora lagnarci che sia stata fatta l’operazione contraria alla comparsa del regolamento infausto della Gelmini sulla valutazione.

Chi riuscirà ora a togliere dalla mente dei docenti che una valutazione negativa, comunque, per quanto attiene il primo termine del binomio insegnamento-apprendimento, è da ascrivere alla propria responsabilità? Per come imposto la didattica, per quanto stempero le difficoltà per renderle affrontabili, per quanto coinvolgo i ragazzi attraverso una relazione suggestiva con il sapere, per quanto ho io docente una motivazione alla “padronanza” nel mio lavoro e non solo alla “prestazione” per cui dopo aver fatto le mie ore di lezione mi sento a posto. Per quanto attiene poi l’apprendimento dell’allievo è ovvio che emergono anche le sue responsabilità e le sue motivazioni e nello sfondo quelle della famiglia.

Veniamo ora alle prove Invalsi. Chi ha paure delle prove Invalsi ed inventa mille argomentazioni per scansarle, invalidarle, svalutarle?

Possono essere tutto quello che viene detto su di loro se l’istituto che le crea effettivamente non si affida ad esperti, come sollecitava Gattullo. Sono però un validissimo aiuto a fare una “istantanea” alla propria classe, utile ad avviare un’ulteriore riflessione su eventuali lacune o salti.

Come può essere che non mi interessa vedere come si pongono i miei ragazzi di fronte ad una domanda insolita, ad uno stile e modo diverso di essere interpellati; non mi interessa prendere atto che possiedono o non possiedono schemi validi di mobilitazione delle conoscenze, che pur hanno, per affrontare problemi nuovi; non mi interessa sapere se sono riuscito con la mia didattica ad attivare questi schemi utili a trasformare le conoscenze in competenze?

In altri termini, come si fa a non capire che la professione dell’insegnante, in quanto formatore, è una professione che non può smettere mai di mettersi in discussione e di adottare per questo una raffinata continua riflessività?

Circolare Ministeriale 24 maggio 2012, n. 46

Prot. n. AOODPIT/926 – C.M. n. 46

 

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

 

Ai Direttori generali Uffici scolastici regionali

LORO SEDI

 

Ai Dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo ciclo

(per il tramite degli UU. SS. RR.)

 

e, p.c.

 

Al Capo di Gabinetto All’Ufficio Legislativo

SEDE

 

Oggetto: Iniziative a supporto della consultazione sulla revisione delle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione.

 

In relazione a quanto previsto dalla C.M. n. 31 del 18 aprile 2012, con la quale è stato avviato il processo di revisione delle Indicazioni nazionali per la scuola di base, si richiamano alcune scadenze operative dell’itinerario delineate dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per favorire la partecipazione della scuola alle diverse fasi di tale processo.

Nei prossimi giorni sarà resa pubblica una prima “bozza” generale del testo delle Indicazioni, così come revisionato dagli esperti consultati dall’Amministrazione, anche sulla base degli esiti dell’azione di monitoraggio effettuata nei mesi scorsi, ai sensi della C.M. n. 101/2011.

Contestualmente sarà attivato un apposito spazio web nel sito istituzionale ANSAS per consentire ad ogni scuola di intervenire sull’ipotesi di revisione, che sarà attivo fino al 20 giugno 2012.

In relazione a tale opportunità, le SS. LL. sono invitate ad agevolare l’iniziativa, promuovendo eventuali conferenze di servizio territoriali rivolte ai Dirigenti delle istituzioni scolastiche del primo ciclo e da docenti da essi individuati, per analizzare modalità, nodi culturali, prospettive della consultazione.

Per dette iniziative è possibile avvalersi della collaborazione, anche in presenza, dei membri del nucleo redazionale operante presso l’Amministrazione centrale (per contatti dott. Maria Rosa Silvestro, tel. 06-58492235, indicazioninazionali2012@istruzione.it) e comunque potranno essere riattivati, a cura delle SS. LL., a livello regionale gli appositi nuclei di lavoro impegnati a suo tempo per l’implementazione delle Indicazioni /2007.

Ogni Ufficio scolastico regionale presenterà anche le eventuali iniziative da promuovere sul territorio per accompagnare il percorso di revisione.

A titolo di esempio, si indicano:

 

seminari tematici gestiti in collaborazione con scuole, reti di scuole, enti locali, associazioni, Università;

focus group in alcune scuole (tra quelle a suo tempo segnalate dalle SS. LL. per le azioni di monitoraggio);

elaborazione di memorie, proposte, segnalazioni a cura di gruppi di consultazione costituiti ad hoc.

 

Gli esiti delle azioni di consultazione in presenza dovranno essere inoltrati in forma di sintetico report, entro il 20/6/2012, alla Direzione Generale per gli Ordinamenti scolastici e potranno essere oggetto di apposito incontro nazionale aperto a rappresentanze degli Uffici scolastici regionali, che sarà organizzato nei giorni immediatamente successivi.

Ci si riserva di inviare a breve ulteriori istruzioni circa le modalità di realizzazione della consultazione telematica.

Tenuto conto dei tempi ristretti in cui si dovranno svolgere le operazioni richiamate dalla citata C.M. 31/2012, ma anche della rilevanza culturale e professionale delle stesse, si raccomanda una particolare collaborazione. .

 

Il Capo Dipartimento

F.to Lucrezia Stellacci