Consultazione nazionale per salvare la scuola

da l’Unità

Consultazione nazionale per salvare la scuola

di Benedetto Vertecchi

NEL CONSIDERARE LE PROPOSTE DI POLITICA SCOLASTICA CHE INCOMINCIANO AD ESSERE FORMULATE IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI, conviene tener presenti quali siano stati gli aspetti che hanno caratterizzato l’azione dei governi della destra, e che sono stati in gran parte confermati dal governo dei tecnici. La politica scolastica della destra ha teso, nominalmente, a conferire maggiore efficienza al sistema dell’istruzione, a rendere più efficaci le decisioni a livello nazionale e locale, a ridurre i costi degli interventi attraverso il ridimensionamento della consistenza del servizio fornito dalle scuole pubbliche. È stato affermato il principio della parità delle condizioni d’intervento da parte delle scuole pubbliche e di quelle private, ponendo a disposizione di queste ultime risorse aggiuntive. Rispetto agli orientamenti prevalenti nel resto d’Europa (e, in genere, nei Paesi industrializzati), sono state compiute scelte in direzione contraria: in Italia è diminuito il tempo di funzionamento delle scuole (da distinguersi dalla durata delle lezioni), mentre altrove si è affermato un modello di scolarizzazione che organizza l’attività degli allievi dal mattino al pomeriggio avanzato e, talvolta, rende disponibili le dotazioni – edilizie e strumentali – anche di sera. In Italia, di fronte all’incalzare della crisi economica, si è ritenuto che il contenimento della spesa pubblica potesse essere ottenuto attraverso la riduzione delle spese per l’educazione, e (con un accostamento non privo di significato) per la sanità, mentre altrove si sono limitate o rinviate le spese in altri settori della vita pubblica, senza ridurre le risorse a disposizione delle scuole. Non si è proceduto sulla via dell’innovazione, che avrebbe richiesto una politica di sviluppo della ricerca, ma si è posta l’enfasi sulla modernizzazione strumentale (identificata con le apparecchiature digitali), trascurando gli interventi per la qualificazione del personale, iniziale e in servizio. L’assenza di un disegno innovativo ha trasformato le nuove strumentazioni in oggetti di consumo. Lo strumentario tecnologico è stato accreditato di una valenza per l’educazione senza che tale valenza potesse essere dimostrata con riferimento a dati obiettivi. La modernizzazione così interpretata ha prodotto un progressivo impoverimento delle scuole, dal punto di vista operativo, come da quello inventariale: le risorse per l’educazione non si accumulano più nel tempo, né dal punto di vista fisico (le dotazioni tecnologiche devono essere rinnovate in tempi sempre più brevi), né da quello della capacità di utilizzarle. Per di più, le scuole sono state spinte ad affermare un loro profilo ponendosi in concorrenza le une con le altre. In altre parole, sono stati utilizzati elementi di senso comune (come sono quelli dei benefici derivanti dalla modernizzazione tecnologica) per esibire una capacità educativa che si andava attenuando. Le nuove risorse finivano col cacciare quelle preesistenti, prevalentemente orientate a conciliate l’apprendimento teorico con la sua applicazione: si pensi al laboratori di scienze naturali, a quelli per la progettazione e realizzazione di oggetti, agli spazi specializzati, alle biblioteche e alla catalogazione del patrimonio librario, all’orticultura e al giardinaggio, alla musica corale e strumentale, alle attività teatrali e via elencando. Il governo che si formerà dopo le elezioni dovrà ristabilire un rapporto di fiducia e collaborazione fra la scuola e la società, perseguendo tramite la proposta di educazione traguardi di equità. In Francia, alcuni anni fa, per riallineare le sensibilità e le interpretazioni del compito educativo della scuola, fu promossa una grande consultazione nazionale, coordinata da un comitato che aveva la più ampia autonomia. Alla consultazione parteciparono milioni di persone (politici, sindacalisti, ricercatori, esponenti del sistema produttivo, dei lavoratori della scuola, delle famiglie, singoli cittadini interessati ai temi in discussione). In Italia, si potrebbero prevedere diversi livelli di consultazione, nei comuni, in territori con caratteristiche affini, in ambito regionale. La consultazione nazionale assumerebbe un carattere di sintesi, mentre quelle locali porrebbero in evidenza esigenze specifiche (edilizia, trasporti, servizi, andamento della domanda eccetera). Un cambiamento importante nell’orientamento della politica scolastica dovrebbe essere costituito nella modifica dell’ottica di analisi e di decisione: la Destra (e i tecnici) hanno considerato prioritari obiettivi che investono il breve periodo (l’esempio più significativo è rappresentato dalla proposta delle tre i (inglese, impresa, informatica) che costituì la bandiera degli interventi del ministro Moratti, perché orientata a favorire l’acquisizione di capacità immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Un orientamento progressista, culturalmente e socialmente più consapevole, nella politica scolastica dovrebbe invece tener conto prioritariamente del medio e lungo periodo, favorendo la crescita di apprendimenti che restino per tutta la vita o per un tratto consistente di essa. Questa scelta strategica consentirebbe anche di contrastare le tendenze regressive che negli ultimi decenni si stanno manifestando nei profili culturali delle popolazioni dei Paesi industrializzati, esposte per le condizioni prevalenti di vita e di lavoro a una progressiva erosione del repertorio simbolico alla base del loro profilo culturale.

Il programma di Monti sulla scuola? Rendere orgogliosi dirigenti e docenti

da Tecnica della Scuola

Il programma di Monti sulla scuola? Rendere orgogliosi dirigenti e docenti
di A.G.
Così il premier uscente ha risposto su Twitter ad un dirigente scolastico che voleva conoscere le sue proposte per migliorare il comparto dell’istruzione. L’arte della semplificazione dei problemi della scuola non risparmia quindi nemmeno l’attuale capo di Governo. Su cui pesa il precedente da Fabio Fazio…
L’eccessiva semplificazione dei progetti che i politici italiani mostrano sui temi di riforma e miglioramento della scuola non risparmia il premier uscente Mario Monti.

Partecipando il 5 gennaio su Twitter, ad un botta-e-risposta con i ‘follower’ sui temi della campagna elettorale, Monti si è imbattuto nel quesito di un dirigente scolastico, Salvatore Giuliano. Che gli ha chiesto di far conoscere le sue proposte per migliorare la scuola italiana. Ecco la risposta del presidente del Consiglio dimissionario: “dovremo lavorare sulla scuola affinché un giorno dirigenti scolastici e docenti siano orgogliosi di esserlo“. E poi? Basta. Evidentemente il programma approntato ad oggi da Monti non ha ancora toccato il tema scuola.
Ma c’è almeno un recente precedente su cui vale la pena riflettere. La non certo esaltante competenza del professor Monti per le tematiche della scuola non sembra infatti una novità: qualche settimana fa, ospite di Fabio Fazio, sa RaiTre, il premier aveva condannato il “grande spirito conservatore” del personale scolastico a seguito della “grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che avrebbe significato più didattica e cultura”. E anche l’agenda Monti non sembra scevra di contraddizioni, sopratutto quando si entra le merito dell’operatività del piano.
Anche in quel caso, con centinaia di migliaia di docenti in subbuglio e scesi in tante piazze italiane per contrastare l’incremento di sei ore (non di due!), l’uscita di Monti non è sembrata proprio delle più felici. Continuare di questo passo sarebbe peraltro pericoloso. Se non altro perché le elezioni sono vicine. Ed il voto di un milione di docenti può diventare l’ago della bilancia. 

Eventuale penalizzazione economica pensionati under 62

da Tecnica della Scuola

Eventuale penalizzazione economica pensionati under 62
di Giovanni Sicali
L’Inps fornisce alle sedi territoriali, utili chiarimenti, condivisi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota n. 5869 del 16/11/2012
L’INPS col Messaggio n° 219 del 4/1/2013 avente per oggetto: “Articolo 24, del d.l. n. 201/2011 convertito in l. n. 214/2011: nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici riguardanti i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335” in 18 pagg. in pdf, fornisce alle sedi territoriali, utili CHIARIMENTI, condivisi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota n. 5869 del 16/11/2012.
In particolare è utile per il personale della scuola far attenzione alle precisazioni del titolo 5° del Messaggio Inps: “Contribuzione utile per la non riduzione del trattamento pensionistico per i soggetti che accedono al pensionamento anticipato prima dei 62 anni di età”; e del titolo 6° “Criteri di verifica dei requisiti alla data del 31/12/11 per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione successivamente al 31/12/11”.
In sintesi: Per la pensione anticipata, va ricordato che per i dipendenti con età inferiore a 62 anni le norme prevedono una penalizzazione. Per “anticipare” la pensione prima dei 62 anni di età si può incorrere in una penalizzazione economica nella percentuale del 2% per ogni anno prima dei 60 e dell’1% dopo. Ma la penalizzazione non si applica (fino al 31/12/2017), per alcuni casi come è stabilito dall’art. 6 comma 2 quater della c.d.“Mille proroghe” (D.lvo n.216 del 29/12/2011): “Le disposizioni dell’articolo 24, c.10, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianita’ contributiva entro il 31/12/ 2017, qualora la predetta anzianita’ contributiva derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternita’, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria”. Non rientrano, per esempio, in questa proroga sulla penalizzazione né il riscatto degli anni di università, né i periodi di maternità facoltativa, e né di cassa integrazione straordinaria.

Ma il concorsone giova agli studenti?

da Tecnica della Scuola

Ma il concorsone giova agli studenti?
di P.A.
Con questo titolo lavoce.info pubblica un grafico dove si mettono a confronto le percentuali dei docenti bocciati al cosiddetto concorsone e i risultati delle prove Invalsi degli studenti, dimostrando così che al sud persiste una comune scarsa preparazione
Il grafico proposto da La Voce.Info mette in relazione la percentuale di aspiranti insegnanti alla secondaria di secondo grado promossi su partecipanti al concorsone per l’assegnazione di 11.542 cattedre del 17-18 dicembre scorso attraverso un’asse verticale, partendo dalla percentuale minima degli ammessi, il cui punto di inizio è appunto la Calabria, a quella massima, dove finisce sulla Regione Veneto, e il punteggio medio ottenuto dagli studenti nelle prove Invalsi 2012, attraverso un asse orizzontale, che parte sempre dalla Calabria col punteggio minimo di 180 e arriva sempre in Vento col punteggio massimo di 210, relativo ai test della scuola secondaria di II grado* nelle diverse regioni italiane.
Un’asse trasversale unisce i punti, dimostrando la inequivocabile corrispondenza.
Chi nasce e si istruisce al Sud, affermano i due estensori dell’articolo della Voce, ha una preparazione scolastica inferiore rispetto ai coetanei del Nord, ma anche gli aspiranti insegnanti sembrano essere meno preparati rispetto ai colleghi del Nord.
Dal risalto di questa evidente condizione, vengono fuori delle domande del tutto condivisibili: Visto la campagna elettorale alle porte: come si presentano e quali sono le proposte per ridurre tale disuguaglianza? Aumentando la mobilità extraregionale degli insegnanti? Dando l’opportunità ai dirigenti scolastici di distribuire premi meritocratici fra gli insegnati migliori? Migliorando gli investimenti in infrastrutture?
Obbligo di un buon Governo dovrebbe essere anche quello di omogeneizzare il più possibile la qualità dell’istruzione di base offerta ai propri cittadini senza penalizzarli perchè sono nati in regioni “sfortunate”.
Tuttavia, aggiungiamo noi, il punto centrale sarebbe di capire perchè il Sud, dall’Unità d’Italia in poi, sia sempre stato più “sfortunato” del Nord e non solo relativamente a questi risultati, ma anche alle percentuali di abbandono scolastico e di scolarizzazione complessiva, a cui bisogna anche aggiungere altre “sfortune”, come quella della più alta percentuale di disoccupazione giovanile, di povertà, di mancanza di infrastrutture e persino di apparati multimediali e di connessione internet.

C.M. Martini – I. Marino, Credere e conoscere

Tra fede e scienza

di Antonio Stanca

martini_marinoNel 2006, quando cominciarono ad incontrarsi, parlare, discutere uno aveva settantanove anni e l’altro cinquantuno. Entrambi erano noti per le affermazioni che avevano ottenuto anche se in ambiti diversi, il primo in quello religioso ed era il cardinale Carlo Maria Martini, il secondo in quello medico ed era il chirurgo Ignazio Marino. Una serie di conquiste era stata la loro vita e la diversa età sembrava fare del loro un incontro tra l’antichità della fede e la modernità della scienza. Martini era stato vescovo di Milano per ventitrè anni, dal 1979 al 2002. Nel 1983 era diventato cardinale e negli anni più recenti, dopo gli ultimi viaggi tra Galloro e Gerusalemme, dove spesso si recava per studiare i testi sacri, si era ritirato a Gallarate in una casa di cura allestita dai Gesuiti perché aveva bisogno di assistenza medica a causa del Parkinson che lo aveva assalito e che ad Agosto del 2012 lo avrebbe portato alla morte. Biblista, esegeta, dotato di vasta e profonda cultura teologica, era stato docente in Università Vaticane. Molto aveva fatto, detto e scritto durante la sua vita e nuovo si era mostrato per gli stessi ambienti religiosi, sempre disposto all’incontro, allo scambio tra culture, tradizioni, religioni diverse, al dialogo tra persone diverse, di diversa estrazione e condizione. Personalmente era andato incontro agli altri, ai bisognosi, agli esclusi, il “cardinale del dialogo” era stato definito. Ovunque aveva creduto possibile far giungere i principi, i valori del Vangelo, le parole di Cristo. E con queste risponde alle tante domande che gli pone il Marino, l’uomo di alta scienza, il chirurgo che per primo nella storia ha effettuato alcuni tipi di trapianto, che per tanti anni ha lavorato in Inghilterra e negli Stati Uniti,  che qui è stato incaricato di compiti direttivi di centri ospedalieri e universitari, che, eletto senatore in Italia nel 2006, si è adoperato per la creazione di case di cura specializzate e aperte a tutti.

Tra il cardinale e il chirurgo sono avvenuti degli scambi, il Marino ha cercato il Martini prima a Galloro, poi a Gerusalemme ed infine a Gallarate ed i loro discorsi sono stati raccolti nel breve volume Credere e conoscere edito dalla Einaudi, nella collana “Vele”, e curato da Alessandra Cattoi.

Dall’opera emerge, per conto del Marino, come la scienza medica sia giunta oggi a traguardi che fino a poco tempo fa erano impensabili, come il progresso, i tempi, i costumi nuovi tendano ad annullare vecchie barriere. E’ inevitabile, pertanto, che in alcuni casi ci si trovi di fronte a problemi di carattere morale e che questi siano di difficile soluzione. Martini è stato, s’è detto, uno dei religiosi più disposti verso l’esterno, il nuovo e, tuttavia,  ha avuto difficoltà a stabilire delle regole, a fissare dei limiti quando il Marino gli chiedeva cosa pensava della vita che nasce in provetta, dell’uso degli embrioni superflui per scopi umanitari, della necessità del celibato per i religiosi, della volontà di riconoscere, legalizzare l’omosessualità, della possibilità di porre fine alla vita dei malati estremi. La formazione scientifica del Marino, la sua attività, la sua “corsa continua tra la vita e la morte”, il suo contatto con la realtà dei giorni nostri, con le sue richieste, i suoi bisogni, lo hanno reso più sicuro, più determinato riguardo a tali questioni. Non altrettanto si è mostrata la spiritualità del Martini che faceva derivare la nascita da un momento d’incontro tra due esseri umani, la vita religiosa considerava una scelta capace di escludere ogni altra esperienza compresa quella sessuale, l’omosessualità riteneva una deviazione dal percorso naturale e nella morte provocata vedeva un’altra alterazione di questo.

Non si è arrivati, quindi, a delle conclusioni definitive, non era possibile e mai lo sarà dal momento che finché ci sarà l’uomo ci sarà Dio e sempre divise rimarranno certe situazioni.

Riesce, tuttavia, il libro a procurare a chi legge una maggiore chiarezza circa problemi oggi molto dibattuti, a fargli conoscere i loro tanti risvolti. Un aiuto prezioso esso rappresenta, un modo  per rendere partecipi di polemiche così proprie dell’uomo, della vita, un mezzo utile per riflettere, pensare, capire.