08/01/2013 – Iniziativa “LE(g)ALI AL SUD”

Oggetto: PON FSE “Competenze per lo sviluppo” – Iniziativa “LE(g)ALI AL SUD: UN PROGETTO PER LA LEGALITÀ IN OGNI SCUOLA”. Compilazione questionari per il monitoraggio finale dei percorsi formativi dell’obiettivo azione C3 per gli studenti del secondo ciclo di istruzione

Nota n. 17324 del 18 dicembre 2012 e allegati

Errata Corrige nota n. 42 del 3 gennaio 2013

Legge di stabilità 2013

Legge di stabilità 2013: il nostro commento comparto per comparto

Confermato il taglio alla scuola pubblica, all’università e alla ricerca. Il Governo Monti conclude il suo cammino con misure che colpiscono i servizi pubblici e non producono crescita. Tante manovre e nessuna riforma.

Il Parlamento ha approvato il 24 dicembre 2012 in via definitiva la legge di stabilità 2013. Si tratta dell’insieme di norme finanziarie destinate ad assicurare il pareggio di bilancio per i prossimi anni. Diverse delle norme contenute nella legge riguardano il sistema della conoscenza.

L’impianto della legge, nonostante alcune positive modifiche ottenute dall’impegno della CGIL e della FLC, resta, finalizzato com’è solo al risparmio, per molti aspetti iniquo e ha effetti recessivi. È un intervento legislativo completamente coerente con la complessiva politica del Governo Monti, segnata da forti iniquità e pesanti invasioni e manomissioni dei contratti di lavoro, in particolare di quelli pubblici.

Questa manovra economica non è in grado, coi suoi effetti recessivi, di favorire lo sviluppo e la crescita, ma continua a colpire, come negli anni precedenti, i servizi pubblici, il lavoro e, con particolare pesantezza, la scuola pubblica, l’università e la ricerca.

Abbiamo ricordato l’impegno della CGIL e della FLC a contrastare queste politiche già all’indomani della presentazione del disegno di legge attraverso la mobilitazione dei lavoratori e con la presentazione di proposte emendative.

Questo impegno ha ottenuto dei risultati:

  • è stato cancellato l’aumento a 24 ore dell’orario di servizio dei docenti della scuola secondaria
  • sono stati ottenuti miglioramenti per quanto riguarda le ricongiunzioni onerose.

Sono risultati importanti per i lavoratori, ma non hanno cambiato il segno complessivo della legge che viaggia nel solco disastroso tracciato dal precedente Governo.

Il nostro giudizio sull’insieme di questa legge di stabilità è negativo.
Le norme della legge che riguardano il sistema della conoscenza sono illustrate e commentate nella scheda allegata.

Siamo impegnati a porre nel dibattito che sia aprirà in vista delle elezioni politiche il tema della difesa di tutto il sistema pubblico della conoscenza.

 

Comma per comma l’analisi ed il commento della FLC CGIL sugli interventi della legge di stabilità 2013 sul sistema della conoscenza

SCUOLA

Scuole e istituzioni scolastiche italiane all’estero (commi 37, 38 e 39)

Nel bilancio del Ministero degli Affari Esteri si prevede una riduzione di spesa relativa agli assegni di sede previsti nei rispettivi capitoli di bilancio per un ammontare complessivo di 6 milioni di euro. Conseguenze. Si tratta di un taglio lineare che riduce l’assegno di sede per tutti (ministeriali e scuola) dell’1,5%. Tale riduzione si aggiunge a quanto già disposto dal decreto legge 95/2012 (cd spending review).

Funzioni superiori assistenti amministrativi (commi 44 e 45)

Gli assistenti amministravi che svolgono le funzioni di Direttore dei servizi per l’intero anno scolastico saranno retribuiti direttamente dalle Direzioni provinciali del Tesoro. La misura del compenso sarà determinata per differenza fra il livello di retribuzione iniziale del DSGA e quello complessivamente in godimento dell’assistente incaricato.

Conseguenze. Positive per la certezza della retribuzione. Ma certamente negative per l’entità del compenso – che viene ridotto rispetto a quanto stabilito dal contratto – che sarà pari alla differenza fra il livello iniziale del direttore e il livello iniziale dell’assistente amministrativo, arrivando così al paradosso per cui gli assistenti con più anzianità svolgeranno queste funzioni superiori a titolo gratuito. Contro questa ennesima ingiustizia che colpisce i diritti retributivi dei lavoratori della scuola ci batteremo anche nelle sedi legali.

Compensi per le commissioni esaminatrici dei concorsi personale docente (commi 46 e 47)
Vengono abrogate le norme che consentivano la retribuzione dei componenti le commissioni del concorso per il personale docente che rinunciavano all’esonero dal servizio e vengono applicate a tutti i concorsi le regole utilizzate per retribuire i commissari del concorso per dirigenti scolastici. Conseguenze. Vengono ridotti i compensi e viene del tutto esclusa la possibilità di esoneri dal servizio per coloro che faranno parte delle commissioni di concorso.

Riduzione Fondo di istituto ( comma 51).

Dal 1 gennaio 2013 il FIS delle scuole è ridotto di 47,5 milioni di euro.
Conseguenze. Si tratta di un ulteriore prelievo a danno del salario accessorio del personale della scuola per compensare la cancellazione della norma sull’aumento dell’orario settimanale di insegnamento a 24 ore. Un altro scippo dei fondi contrattuali dopo il taglio di 350 milioni del Mof avvenuto a seguito dell’accordo siglato in sede Aran da Cisl scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda per ripristinare gli scatti di anzianità a chi li ha maturati nel 2011. Siamo alle solite con una mano si dà e con l’altra si toglie.

Riduzione fondi destinati alla scuola (comma 52)

La norma prevede tagli crescenti al fondo per la valorizzazione dell’istruzione scolastica, universitaria e dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica istituito solo un anno fa dalla legge di stabilità 2012. Tale riduzione è di 83,6 milioni di euro nel 2013; 119,4 nel 2014 e 122,4 a partire dal 2015.

Conseguenze. Anche in questo caso assistiamo al gioco delle tre carte. Solo un anno fa il governo Monti aveva istituito un fondo dove far confluire i risparmi e valorizzare il sistema di istruzione. Adesso questo fondo, finora mai attivato, viene subito ridotto per garantire i saldi di bilancio dopo la cancellazione della norma sulle 24 ore.

Fruizione ferie da parte dei docenti, cambiano le regole (comma 54)

I docenti potranno usufruire delle ferie anche durante i periodi di sospensione delle lezioni, secondo i calendari scolastici definiti dalle regioni, ad eccezione dei giorni in cui ci sono gli scrutini, gli esami di Stato e le attività valutative. Durante il periodo delle lezioni i giorni di ferie fruibili sono massimo 6 a condizione che non ci sia aggravio di spese.

Conseguenze. Molto negative per i diritti dei docenti che sono gli unici lavoratori pubblici obbligati a prendere le ferie durante i periodi decisi dall’amministrazione. La finalità di questa norma che stravolge il CCNL è chiara: rendere applicabile quanto più possibile il divieto di monetizzazione delle ferie previsto dalla spending review.

Monetizzazione parziale delle ferie ai supplenti temporanei (comma 55)

I docenti e gli ATA supplenti temporanei e i docenti supplenti fino al 30 giugno che non possono fruire delle ferie nel periodo di durata del contratto hanno diritto al pagamento delle stesse. Conseguenze. La norma cerca di attenuare l’ingiustizia (commessa dalla spending review) che impedisce la monetizzazione delle ferie per tutti i pubblici dipendenti. Un’attenuazione del tutto insufficiente, che il Miur si è visto costretto a introdurre dopo che la FLC ha dimostrato con esempi concreti l’assurdità e l’onerosità di questo divieto.

Inderogabilità da parte dei CCNL (comma 56)

Questo comma stabilisce l’inderogabilità da parte dei contratti collettivi delle disposizioni contenute nella legge di stabilità sull’orario dei docenti della secondaria e sui periodi di fruizione delle ferie. Inoltre si stabilisce la disapplicazione dal 1° settembre 2013 delle clausole contrattuali contrastanti. Conseguenze. È un intervento gravissimo della legge su materie di esclusiva competenza contrattuale. Lo stesso art. 40 del decreto 165/2001 – come modificato dal DLgs 150/2009 – stabilisce che la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro e orario e ferie rientrano pienamente in questa determinazione legislativa. Prosegue quindi l’operazione di smantellamento dei contratti e della contrattazione già avviata dal precedente governo: questo per la FLC è inaccettabile.

Distacchi presso Amministrazione, Enti ed Associazioni (comma 57)

Vengono ulteriormente ridotti da 300 a 150 unità (erano già stati ridotti da 500 a 300 dalla legge 183/2011) i distacchi presso l’Amministrazione scolastica centrale e periferica per i compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica e ridotti, da 100 a 50 unità sia i distacchi presso Enti e Associazioni che svolgono attività di prevenzione del disagio psicosociale sia i distacchi presso Enti e Associazioni che si occupano di formazione del personale in campo educativo. Conseguenze. Si tratta di un’ulteriore diminuzione delle risorse destinate al supporto all’autonomia che avrà ricadute negative anche sui livelli occupazionali dei precari.

Comandi presso altre amministrazioni (commi 58 e 59)

Il personale del comparto scuola può essere posto in posizione di comando presso altre Amministrazioni solo con oneri a carico di chi lo richiede.
Conseguenze. La norma ridurrà i comandi del personale del comparto scuola con contratto a tempo indeterminato con un’ulteriore diminuzione delle supplenze annuali.

Limite anche per la scuola del 20% delle spese sostenute nel 2011 (comma 141)

Le amministrazioni pubbliche non possono spendere oltre il 20% in più di quanto speso nel 2011 per l’acquisito di mobili ed arredi. Il risparmio va riversato al bilancio dello Stato.
Conseguenze. La scuola non dovrebbe rientrare nel limite posto perché non può tecnicamente riversare nulla al bilancio dello Stato. Inoltre tale norma è inapplicabile nella maggior parte delle scuole che rispetto al 2011, in seguito al dimensionamento, non sono più le stesse.

Ricorso al mercato elettronico (comma 149)

Viene introdotto anche per le scuole l’obbligo di ricorrere al mercato elettronico. Il Miur dovrà emanare, con un decreto, linee guida finalizzate alla razionalizzazione e al coordinamento tra più scuole per gli acquisti di beni e servizi, con riferimento a tabelle merceologiche. Dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole scuole saranno presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento.

Conseguenze. Difficile commentare il “premio” previsto per le scuole in funzione dei risultati ottenuti: quali sono i risultati attesi e in che modo se ne terrà conto?

Obbligo di utilizzo Consip (commi 150 e 158)

Le scuole, finora escluse, vengono inserite fra le Pubbliche Amministrazioni obbligate ad avvalersi delle convenzioni Consip. Sono previste linee guida adottate annualmente dal Mef sulle categorie di beni e di servizi da acquisire attraverso strumenti di acquisto informatici.
Conseguenze. Le spese di acquisto di beni e di servizi da parte delle scuole sono oramai ridotte al lumicino e le procedure finalizzate al risparmio, seppure positive, rischiano di essere solo un inutile aggravio di lavoro per le segreterie.

Rifinanziamento scuole paritarie (comma 264)

Nel 2013, il rifinanziamento delle scuole paritarie comporterà una spesa di 223 milioni di euro.

Conseguenze. È l’ennesima prova della continuità tra la politica scolastica di Monti e quella del suo predecessore. La scuola paritaria non subisce tagli, riceve risorse finanziarie, mentre alla scuola pubblica statale non è stato restituito neppure un centesimo degli 8 miliardi tagliati dal precedente esecutivo. Essa perde risorse a ogni manovra.

UNIVERSITÀ

Fondo per il finanziamento ordinario delle università (comma 274)

Per l’anno 2013 il fondo di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è incrementato di 100 milioni di euro.

Conseguenze. Rimane, però, il pesante taglio al finanziamento del sistema universitario. Infatti il taglio di ben 400 milioni di euro al Fondo di Finanziamento Ordinario, precedentemente disposto, non viene certo mitigato dal reintegro di soli 100 milioni di euro.

Gravissime e irresponsabili, per usare le parole della Conferenza dei rettori, sono le scelte operate dal Governo in coerenza con il piano di destrutturazione del sistema universitario iniziato con le leggi 133/2008 e 126/2008.

Un successivo decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze definirà i criteri per l’attribuzione dei benefici nei limiti, di cui al comma 287, di 1 milione di euro per l’anno 2013 e di 10 milioni di euro per il 2014. All’onere per il 2013 si provvede con una corrispondente riduzione del Fondo dedicato alle borse di studio per la formazione di corsi di dottorato di ricerca di cui alle leggi 30 marzo 1981, n. 119, e 3 agosto 1998, n. 315.

È istituito un credito di imposta in favore degli studenti delle università.

Conseguenze. La politica sul diritto allo studio di questo Governo, in continuità con il precedente,

dimostra un infimo interesse a favorire reali opportunità di studio per gli studenti meno abbienti. L’istituzione di un credito d’imposta per chi eroga borse di studio viene finanziato con risorse prese da un capitolo analogo. Non si investe quindi un euro in più sull’obiettivo strategico di aumentare il numero dei laureati, che nel nostro Paese è tra i più bassi d’Europa, né soprattutto per favorire la mobilità sociale, dove l’Italia è, di nuovo, in fondo a tutte le graduatorie.Proroga termine abilitazione scientifica nazionale (comma 389 e 394)

Il termine per la conclusione dei lavori di ciascuna commissione, stabilito con decreto direttoriale, è prorogato al 30 giugno 2013, tenendo conto delle domande presentate dai candidati all’abilitazione nel corrispondente settore concorsuale. Tale termine può essere prorogato ancora, con successivo decreto del Miur da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, al 31 dicembre 2013.

Conseguenze. Il un provvedimento è reso necessario dalla caotica e incompetente gestione che il MIUR e soprattutto l’ANVUR hanno fatto di tutto il processo abilitativo.

RICERCA

Proroga dei contratti di lavoro subordinato a termine (comma 400)

I contratti a TD in essere alla data del 30 novembre, che superino i limiti di durata di 36 o 60 mesi, possono essere prorogati fino al 31 luglio 2013 previo accordo decentrato con le OO.SS. rappresentative ai sensi dell’art. 5 comma 4-bis del DLgs 368/01. Sono fatti salvi gli accordi decentrati già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge di stabilità.

Conseguenze. Questa norma, voluta fortemente dalla CGIL, permette di superare l’emergenza delle scadenze previste al 31 dicembre 2012 per i contratti dei precari. Le proroghe consentiranno di superare i limiti temporali di 36 o 60 mesi di durata fino al 31 luglio 2013, data entro la quale si dovrà andare ad un accordo specifico sul lavoro flessibile nel pubblico impiego. La norma salva gli eventuali migliori accordi già stipulati negli enti prima dell’entrata in vigore della legge e permette di rendere valido l’accordo dell’INGV dove, un’iniziativa inopportuna dell’Ente, aveva rischiato di mandare a casa numerosi precari.

Soppressione dell’INRAN e salvataggio ex-ENSE ex-INCA (comma 269).

Tutto l’INRAN soppresso è trasferito al CRA, (art. 12 del DL 95/2012) evitando la tripartizione prevista originariamente nella spending review, che destinava competenze e personale del soppresso ENSE all’Ente RISI e metteva in mobilità il personale dell’INCA (Istituto Nazionale per le Conserve Alimentari).

Conseguenze. Si tratta di una modifica, fortemente voluta dalla FLC CGIL, per ovviare ai guasti di una norma scritta malissimo, l’art. 12 del DL 95/2012, che destinava alla mobilità (primo caso nella PA) una parte del personale e prevedeva per un’altra parte il passaggio a un ente di diritto privato come il RISI, con evidenti problemi di conflitto di interessi fra le funzioni di certificazione delle sementi trasferite e quelle di promozione proprie dell’Ente ricevente. L’unico modo per uscire da un impiccio, di cui lo stesso Ministero vigilante (MIPAAF) si era reso conto, che ha paralizzato l’attività di ricerca dell’INRAN per sei mesi e danneggiato economicamente i lavoratori viste le difficoltà riscontrate per l’erogazione dei loro stipendi.

Riserva dei posti nei meccanismi di reclutamento e valorizzazione dell’esperienza maturata (comma 401)

Prevede l’aggiunta di un comma (3-bis) alle norme di reclutamento di cui all’art. 35 del DLgs 165/01. Nel limite del 50% delle risorse disponibili per il reclutamento determinate sulla base dei vincoli di finanza pubblica, possono essere indetti concorsi pubblici per il reclutamento che prevedono: a) riserva del 40% per il personale a tempo determinato con almeno tre anni di esperienza nella stessa amministrazione che emana il bando; b) titoli ed esami per valorizzare l’esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e dei co.co.co. che abbiano maturato almeno tre anni nella stessa amministrazione che emana il bando.

Conseguenze. Siamo molto lontani dalle norme di stabilizzazione o di sanatoria di cui si avrebbe bisogno per superare la dilagante precarietà con cui gli enti di ricerca devono fare i conti e per evitare la vergogna della reiterazione infinita dei contratti a termine con lavoratori che hanno ormai oltre 15 anni di precarietà sulle spalle, in evidente contraddizione con tutte le norme del diritto europeo e italiano sul lavoro. Il vero problema per gli enti di ricerca non sono le procedure di reclutamento, ma i vincoli di finanza pubblica, via via inseriti nell’ordinamento dello Stato, che hanno portato ormai alla paralisi del reclutamento, al blocco delle piante organiche e delle capacità di programmazione autonoma dei fabbisogni. Insomma si tratta di strumenti che non risolvono il problema fondamentale, cioè le scarse se non nulle capacità di reclutamento, ma che tuttavia indicano la strada della valorizzazione dell’esperienza maturata negli enti ai fini del reclutamento.

Sono norme a cui gli enti dovranno conformarsi, visto che l’esperienza maturata non sempre è valorizzata. Spesso gli enti usano il concorso pubblico come strumento per sbarazzarsi dei precari che per anni hanno garantito le attività, sbarazzandosi anche di professionalità che hanno contribuito a formare.

Divieti di rinnovo dei co.co.co. (comma 147)

La norma prevede espressamente il divieto di rinnovo dei co.co.co., finora previsto all’art. 7 comma 6 lettera c del DLgs 165/01. Eccezionalmente le proroghe potranno essere previste solo per completare il progetto e per ritardi non imputabili al committente.

Conseguenze. Una norma punitiva nei confronti dei lavoratori precari che operano nelle pp.aa. e che potrà provocare un’espulsione di massa di lavoratori dagli enti pubblici di ricerca nei prossimi mesi. Peraltro appare in netta controtendenza con il comma 400 di proroga dei contratti a TD in scadenza, creando un’ulteriore divaricazione fra i precari penalizzando di più una parte di essi.

Rilasciati dalle istituzioni dell’AFAM alle lauree universitarie appartenenti alla classe L3 dei corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda (DM 16/3/2007)
Conseguenze. Si tratta di equipollenza/equiparazione dei titoli di studio al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso.

Equipollenza dei diplomi accademici di secondo livello (comma 103)

Anche qui il fine è l’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionale del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso, alle lauree magistrali rilasciate dalle università (DM 16/3/2007):

  • LM 12 Design, Accademie belle arti, indirizzo “progettazione artistica per l’impresa” (Tab. A DPR 212/2005);
  • LM 45 Musicologia e Beni Musicali per i diplomi rilasciati dai Conservatori di Musica, dagli Istituti Musicali Pareggiati e dall’Accademia nazionale di danza;
  • LM 65 Scienze dello Spettacolo e produzione multimediale per i diplomi rilasciati dalle Accademie di belle arti – Scuola di Scenografia e Nuove tecnologie dell’arte, e dall’Accademia nazionale arte drammatica;
  • LM 89 Storia dell’arte per i diplomi rilasciati dalle Accademie di belle arti nell’ambito di tutte le altre scuole di cui alla Tab. A DPR 212/2005 (pittura, scultura, decorazione, grafica d’arte, comunicazione e didattica).

    Conseguenze. È l’equipollenza dei diplomi di secondo livello alle lauree magistrali universitarie in relazione agli indirizzi e alla nuova codificazione sancita dalla Tab. A del DPR 212/2005

Diplomi accademici e ammissione a dottorati (comma 104)

Si stabilisce che i diplomi accademici di secondo livello costituiscono titolo di accesso ai concorsi di ammissione ai dottorati di ricerca o specializzazione in ambito artistico, musicale, storico artistico o storico musicale istituiti dalle università.
Conseguenze. Con questa norma viene definitivamente statuito che i diplomi di secondo livello costituiscono titolo di accesso ai dottorati di ricerca e alle specializzazioni universitarie per tutti i settori di pertinenza dell’AFAM

Ordinamento corsi accademici e validazione corsi sperimentali (commi 105 e 106)

Entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, si deve concludere la procedura di messa a ordinamento di tutti i corsi accademici di secondo livello e di validazione di tutti i corsi sperimentali di primo e secondo livello.
Conseguenze. La conclusione di tale procedura potrà trovare impedimenti burocratici a causa della mancanza del CNAM, organo che, ai sensi dell’art.3 della L.508/99, deve esprimere il proprio parere obbligatorio in materia di ordinamenti, corsi e titoli di studio.

Equipollenza dei diplomi finali acquisiti con il precedente ordinamento (comma 107)
I diplomi finali acquisiti con il previgente ordinamento e prima dell’entrata in vigore della legge congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza che il Ministro dovrà determinare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge.
Conseguenze. È una misura in linea con le equipollenze previste dai commi precedenti che, però, immediatamente mette in evidenza due aspetti problematici: 1. chi ha iniziato il percorso e non lo ha concluso alla data del 31/12/2012, si troverà di fronte a disparità di trattamento; 2. la tabella di corrispondenza da emanarsi entro tre mesi troverà lo stesso impedimento di cui ai commi 105 e 106 ovvero, l’assenza (inspiegabile!) del CNAM.

NORME CHE RIGUARDANO TUTTI I COMPARTI DELLA CONOSCENZA

Trattamento di fine rapporto pubblici dipendenti (commi 98, 99, 100 e 101)

Abrogata la norma della legge della legge 122/2010 che aveva previsto l’allineamento del TFS dei pubblici dipendenti al TFR dei lavoratori privati e definisce i tempi di riliquidazione del TFS per coloro che sono andati in pensione nel corso del 2011 e del 2012. La riliquidazione dovrà avvenire entro un anno.

Conseguenze. Si tratta di atto dovuto che dà attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarata illegittima la trattenuta del 2,5% sull’80% della retribuzione destinata alla costituzione dell’IBU/TFS (Indennità di buonuscita/trattamento di fine servizio). Con il Decreto Legge 185 del 29 ottobre 2012 il governo aveva ripristinato la situazione ante Legge 122/2010 (governo Berlusconi/Tremonti) ; il decreto però non era stato riconvertito in legge.

Ricongiunzioni più convenienti (commi da 238 a 248)

La norma prevede la ricongiunzione gratuita della contribuzione previdenziale che era diventata onerosa con la Legge 122 del 2010 (governo Berlusconi/Tremonti) perché aveva abolito la Legge 322 del 1958 che consentiva di trasferire all’INPS, senza oneri, la contribuzione maturata presso altre casse previdenziali.

Conseguenze. L’abrogazione della legge 322 aveva reso pesantissima la posizione di tantissimi lavoratori che per avere pensioni anche minime si vedevano costretti a ricongiungere presso l’INPS tutta la contribuzione dietro pagamento di cifre iperboliche, in alcuni casi anche oltre i 100.000 € (per un approfondimento maggiore su questo argomento vedi il documento predisposto dalla CGIL). La legge di stabilità sana solo parzialmente questa iniquità e fa salvi coloro che sono passati all’INPS, o che sono cessati dal servizio, prima del 30 luglio 2010, vale a dire che la legge 122 non può essere considerata retroattiva. Però la possibilità di cumulo delle contribuzioni versate in enti previdenziali diversi può essere esercitata unicamente per ottenere la pensione di vecchiaia con i requisiti previsti dalla riforma Fornero che, vale la pena ricordare, nel 2013 si conseguirà con almeno 20 anni di contribuzione e 66 anni e 3 mesi di età, per donne del settore pubblico e per gli uomini di tutti i settori, e 62 anni e tre mesi per le donne del settore privato.

All’interno dei commi sopra citati sono anche disciplinati casi particolari, ad esempio le pensioni di invalidità, sui quali non ci soffermiamo e per i quali rimandiamo a specifiche consulenze presso le sedi territoriali dell’INCA e dello SPI.
La Legge 322 del 1958 tutelava i lavoratori meno fortunati, quelli che, loro malgrado, avevano lavorato in modo discontinuo, in particolare le donne costrette spesso a lasciare il lavoro per la cura dei figli e della famiglia o quelle licenziate dalle fabbriche negli anni 90 che poi si sono ricollocate, ad esempio, nella scuola come collaboratrici scolastiche dal 2000 in poi. Questi lavoratori e queste lavoratrici dall’agosto 2010 non hanno avuto la possibilità di avvalersi di una legge importante (la 322) che garantiva loro il trasferimento gratuito dall’INPDAP all’INPS per maturare la pensione non solo di vecchiaia ma anche di anzianità (le famose quote abrogate dalla Fornero). Rimane quindi l’impegno della CGIL a pretendere dal nuovo governo il ripristino di un importante Legge che tutelava i meno fortunati.

Congedi parentali (Comma 339)

La norma modifica il T.U. (art. 32 del DLgs 151/2001) al fine di dare la possibilità ai pubblici dipendenti di fruire dei congedi parentali ad ore. Saranno i contratti collettivi a disciplinare le modalità di fruizione. Il lavoratore che fruisce del congedo deve preavvisare il datore di lavoro almeno 15 giorni prima, indicando il termine finale del congedo.

Conseguenze. Si tratta di un intervento positivo per i lavoratori interessati che però rischia di rimanere lettera morta, dal momento che non è prevista alcuna sede per ridefinire contrattualmente le nuove regole, infatti il rinnovo dei CCNL è bloccato per tutto il 2013.

La scuola e il suo ministro dimezzato

da La Stampa

La scuola e il suo ministro dimezzato

E’ decaduto il Cnpi, il Consiglio a cui il responsabile del Miur deve chiedere i pareri

Flavia Amabile

Alla fine è andata come si temeva: il Consiglio nazionale delle pubblica istruzione ha smesso di esistere. Un ente inutile dirà chi non lo ha mai sentito nominare, effetto di Bondi, di Monti e della spending review. Niente affatto. Il Cnpi ha una sua nobilissima e necessaria funzione e si è spento, come spesso accade in Italia, per errore, per il trascinarsi di una situazione insostenibile per anni fino a farla esplodere per la sua assurdità ed ora il prossimo ministro dell’Istruzione nascerà di fatto con i poteri dimezzati e il primo problema che dovrà affrontare sarà come uscire da quest’impasse giuridico-istituzionale che si è creata.

Il Cnpi, infatti, era già stato cancellato tredici anni fa, nel 1999, quando era stato istituito il Consiglio superiore della pubblica istruzione, un organismo che prometteva di essere più snello ed efficace. Peccato che nessuno abbia mai emanato l’ultimo atto, il provvedimento necessario per far nascere il nuovo Consiglio. Il compito era del governo ma nessun esecutivo – né di centrosinistra né di centrodestra – ha voluto mai occuparsene e quindi si è andati avanti, di anno in anno, con una proroga dietro l’altra per allungare l’esistenza e le competenze del vecchio Cnpi soppresso solo sulla carta. Lo scorso dicembre il governo Monti è caduto in modo un po’ rapido e brusco, l’usuale proroga non è stata emanata e quindi addio al governo Monti, alle Camere ma anche al Cnpi.

E quindi ora iniziano i problemi. Una lunga serie di atti amministrativi prevede l’obbligatorietà del suo parere. In alcuni casi, addirittura, il parere non solo obbliga il ministro a richiederlo, ma ne vincola l’attuazione. Problemi in vista anche per i docenti che hanno il Consiglio come ultima istanza in caso di trasferimenti o altre vertenze.

Ecco tutte le funzioni del Cnpi:

– formula annualmente, sulla base delle relazioni dell’amministrazione scolastica, una valutazione analitica dell’andamento generale dell’attività scolastica e dei relativi servizi;

– formula proposte ed esprime pareri obbligatori in ordine alla promozione della sperimentazione e della innovazione sul piano nazionale e locale, e ne valuta i risultati, propone al ministro della pubblica istruzione sei nominativi per la scelta dei tre componenti dei consigli direttivi di esperti degli istituti regionali di ricerca, sperimentazione ed aggiornamento educativi e del consiglio direttivo di esperti della biblioteca di documentazione pedagogica;

–  esprime, anche di propria iniziativa, pareri su proposte o disegni di legge e in genere in materia legislativa e normativa attinente alla pubblica istruzione;

–  esprime pareri obbligatori: sui ritardi di promozione, sulla decadenza e sulla dispensa dal servizio, sulla riammissione in servizio del personale ispettivo e direttivo di ruolo delle scuole e istituti di ogni ordine e grado e del personale docente di ruolo della scuola secondaria superiore; sulla utilizzazione in compiti diversi del personale dichiarato inidoneo per motivi di salute; sulla restituzione ai ruoli di provenienza del personale direttivo nei casi di incapacità o di persistente insufficiente rendimento attinente alla funzione direttiva;

– esprime parere vincolante sui trasferimenti d’ufficio del personale appartenente a ruoli del personale docente di ruolo degli istituti di istruzione secondaria superiore, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, per accertata situazione di incompatibilità di permanenza nella scuola o nella sede;

– esprime pareri obbligatori in ordine alle disposizioni di competenza del ministro della pubblica istruzione in materia di concorsi, valutazione dei titoli e ripartizione dei posti di cui agli articoli 404, 416, 419, 422,425 e 427 in materia di utilizzazioni di cui all’articolo 455, in materia di trasferimenti e passaggi di cui agli articoli 463 e 471 in materia di titoli valutabili e punteggi per il conferimento delle supplenze, al personale docente, in materia di concorsi e conferimento delle supplenze per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, di cui agli articoli 553 e 581;

– esprime i pareri obbligatori previsti dagli articoli 119 e seguenti in ordine all’ordinamento della scuola elementare;

– esprime il parere obbligatorio previsto dall’articolo 74, in materia di calendario scolastico;

– esercita le ulteriori funzioni consultive previste dall’articolo 413 in ordine al riconoscimento del diploma di baccellerato internazionale;

– esprime il parere obbligatorio sui piani e i programmi di formazione e le modalità di verifica finale dei corsi di riconversione professionale del personale docente della scuola, anche ai fini del valore abilitante degli stessi corsi, ai sensi dell’articolo 473;

M) esprime parere obbligatorio al ministro della pubblica istruzione in materia di titoli valutabili e relativo punteggio per gli incarichi e le supplenze di insegnamento nei conservatori di musica, nelle accademie di belle arti, nell’accademia nazionale di danza e nell’accademia nazionale di arte drammatica, esclusi gli insegnamenti della regia e della recitazione, e in materia di criteri per la formazione della commissione centrale competente per la decisione dei ricorsi;

N) si pronuncia su ogni altro argomento attribuito dal presente testo unico, dalle leggi e dai regolamenti alla sua competenza;

O) si pronuncia sulle questioni che il ministro della pubblica istruzione ritenga sottoporgli.

parere consultivo su atti di governo, valutazione concorso

regolamenti attuativi di disposizione di legge

mette a rischio l’adozione di nuovi provvedimenti, per esempio il regolamento decreto di accorpamento delle classi concorsuali.

Monti a scuola riparte dai premi

da ItaliaOggi

Monti a scuola riparte dai premi

Alessandra Ricciardi

Poco più di una paginetta, in un programma di 25. É lo spazio che dedica a scuola, università e ricerca l’agenda elettorale di Mario Monti. A farla da padrone rispunta la valutazione dei docenti e delle scuole, con il ripristino dei premi di gelminiana memoria ai prof migliori. L’assunto di partenza del capitoletto «Bisogna prendere sul serio l’istruzione, la formazione professionale e la ricerca» potrebbe ben campeggiare nell’attacco dei programmi anche degli altri schieramenti, dal Pd, che formalizzerà il suo nei prossimi giorni (in larga misura le priorità saranno quelle fissate dall’assemblea di Varese del 2010) al Pdl: «Investire in capitale umano è la strada per sfuggire alla morsa della competizione di paesi con costi di manodopera più bassi». Una consapevolezza che si accompagna alle rilevazioni delle principali ricerche italiane e internazionali: l’Italia ha un elevato tasso di abbandono scolastico precoce, un livello di performance scolastica più basso rispetto alla media dei paesi Ocse e un numero di laureati lontano dagli obiettivi fissati dall’Unione europea. Sul cosa fare, Monti, che si è avvalso della collaborazione del ministro Francesco Profumo, probabile candidato a Torino per la nuova coalizione guidata dal premier, resta con i piedi per terra. Perché nuovi investimenti, quelli che per esempio promette il partito di Pier Luigi Bersani, saranno possibili solo dopo aver ridotto «il costo del debito pubblico e aver eliminato le spese inutili». E intanto? Per «prendere sul serio la scuola», Monti promette di rilanciare il valore dello studio e della ricerca e il significato della professione di insegnante, troppo spesso mortificata. «Gli insegnanti devono essere rimotivati e il loro contributo riconosciuto, investendo sulla qualità». Anche questa un’affermazione che in molti condividerebbero. Per il come fare, l’Agenda punta su autonomia e responsabilità, rafforzamento del sistema di valutazione costituito da Invalsi e Indire, «basato su indici di performance oggettivi e calibrati sulle caratteristiche del bacino di utenza e dei livelli di entrata degli studenti». Su questo fronte, sperimentazioni sono già state fatte, con due diversi progetti avviati dall’ex ministro Mariastella Gelmini. E Monti punta a recuperare il «premio economico annuale agli insegnanti che hanno raggiunto i migliori risultati». Va chiarito con quali fondi però, oltre che con quali modalità, visto che il 30% delle risparmi fatti con la riforma Gelmini, inizialmente destinati alla valorizzazione del personale, sono stati assorbiti dal pagamento degli scatti di anzianità.

Scuola, il dilemma della valutazione

da l’Unità

Scuola, il dilemma della valutazione

LA NORMA CONTENUTA NELLA LEGGE DI STABILITÀ PER LA QUALE L’ASSEGNAZIONE DI FONDI ALLE SCUOLE AVVERRÀ, DAL 2014,SULLA BASE DEI RISULTATI CHE ESSE HANNO CONSEGUITO STA DESTANDO UN ALLARME NON INGIUSTIFICATO.

Ci si chiede, infatti, a quale modello valutativo si farà riferimento, quali variabili saranno considerate ai fini della composizione del modello, quali conoscenze sostengano questa o quella interpretazione, quali procedure siano alla base della rilevazione dei dati e via discorrendo. Al momento, l’una cosa certa è che un sistema così poco conosciuto e devastato da scelte improvvisate sta diventando un terreno dominato, senza neanche la parvenza di un contrasto, dal condizionamento sociale. E in un quadro così dissestato il ricorso per i finanziamenti (non importa se su base premiale o su base compensativa) rischia di rafforzare ulteriormente proprio il condizionamento sociale, senza che ne derivino vantaggi apprezzabili sul versante della qualità del servizio. La valutazione è stata usata dai governi della Destra, e in modo non troppo dissimile, da quello dei tecnici, per esibire competenza in pratiche generalmente apprezzate a livello internazionale ed efficienza nell’eseguirle. Sulla falsariga dello strumentario e della metodologia di elaborazione dei dati utilizzati da organizzazioni come l’Ocse e la Iea per le loro indagini comparative, sono state introdotte prove a carattere nazionale per la valutazione del livello degli apprendimenti conseguiti dagli allievi. La responsabilità di tali operazioni è stata conferita all’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione e di formazione). A differenza, tuttavia, delle organizzazioni prima menzionate, è stato deciso di non procedere nelle rilevazioni per via campionaria, ma di sottoporre a prova l’universo degli allievi iscritti a una certa classe. Si è trattato di una scelta che ha destato preoccupazione e sospetto, non ingiustificati. Che bisogno c’è, infatti, di procedere a rilevazioni sull’intera popolazione, se lo scopo è quello di valutare il sistema? Peraltro, se anche l’intento fosse quello di valutare il funzionamento delle singole scuole, lo strumentario finora usato sarebbe stato del tutto inadeguato. Fra l’altro, i dati disponibili non si prestano al confronto dei risultati ottenuti in anni successivi. Oltre tutto, le rilevazioni campionarie costano molto meno e sono più attendibili, perché è certamente più agevole monitorare la rilevazione di una quantità relativamente limitata di dati campionari che la quantità molto maggiore che deriva da rilevazioni sull’universo. L’esperienza di questi anni ha mostrato che le condizioni di rilevazione sono molto diverse fra una scuola e l’altra, e spesso nelle classi di una medesima scuola. Che si sia trattato di esibizioni di efficienza è dimostrato anche dal fatto che nulla ha fatto seguito alle cosiddette valutazioni nazionali. Sono molti gli insegnanti che temono che la complessa macchina della valutazione sia stata messa in modo solo per esercitare un condizionamento sulla loro attività. Si aggiunga che l’attività valutativa mostra che con tutta evidenza si procede nelle operazioni all’insegna dell’improvvisazione. Per usare un linguaggio scolastico, tutto ciò che si sa fare è copiare da procedure e materiali internazionali, senza alcun apprezzabile sforzo di adeguamento alla realtà culturale e educativa del nostro Paese. Non solo. Altrove si stanno sviluppando e sperimentando procedure automatizzate in grado di fornire importanti flussi d’informazioni sullo sviluppo dei processi di apprendimento. In Italia, spiace doverlo constatare, non c’è alcun apprezzabile tentativo di definire una strumentazione originale, dalla quale possa derivare la conoscenza dei fenomeni educativi necessaria a sostenere l’attività del sistema ai diversi livelli in cui essa si manifesta, da quello immediatamente didattico a quello della decisione politica. La valutazione ha un senso se si compie all’interno di un rapporto di fiducia fra chi rileva i dati (i valutatori) e chi li fornisce (i soggetti da valutare). Questo rapporto di fiducia deve essere ricostruito. Si potrebbe incominciare con il sostituire le rilevazioni sull’universo con rilevazioni campionarie. Ma, parallelamente, occorre innovare profondamente le pratiche valutative e ridefinirne sostanzialmente gli intenti. Ciò comporta un rilevante impegno nella ricerca, che certamente non può essere richiesto ad una struttura di servizio com’è l’Invalsi. La questione deve essere affrontata in una prospettiva di promozione complessiva della ricerca educativa. Quanto agli oggetti della valutazione, non ci si può limitare a raccogliere, anno dopo anno, gli esiti della somministrazione di prove strutturate per stabilire quali siano stati i livelli di apprendimento conseguiti. Occorre usare la valutazione per ciò che realmente è, e cioè come una strategia conoscitiva volta ad analizzare i fenomeni per come appaiono al momento e per come si sono modificati e, presumibilmente, potranno modificarsi in tempi di qualche consistenza. C’è bisogno di riferire l’educazione scolastica (o esplicita, perché intenzionalmente rivolta al passaggio di conoscenze e valori fra le generazioni) alle condizioni di vita, e rilevare le interazioni che si stabiliscono fra educazione esplicita e implicita (acquisita cioè nelle condizioni quotidiane di esistenza). È evidente che l’educazione implicita sta esercitando una forte azione concorrenziale nei confronti di quella esplicita, e che da essa derivano molti dei fattori di crisi (per esempio quelli valoriali e motivazionali) che sono alla base delle difficoltà che le scuole si trovano ad affrontare. Sono fattori che incidono ampiamente sulle condizioni di apprendimento: per esempio, modificano i profili della competenza linguistica di bambini e ragazzi, con quel che ne consegue dal punto di vista cognitivo. Queste analisi, condotte su campioni adeguati, possono sostenere il lavoro delle scuole, fornendo riferimenti per le difficoltà da affrontare.

Tfa speciali e nuove classi di concorso, al Miur ci credono

da Tecnica della Scuola

Tfa speciali e nuove classi di concorso, al Miur ci credono
di Alessandro Giuliani
Anche se rimane poco tempo, i tecnici del Ministero contano di portare a termine prima dell’avvio della nuova legislatura sia le modifiche al D.M. 249/10 sia l’importante decreto di revisione che rinnova le discipline della secondaria. Davvero improbabile che si riesca ad approvare, invece, riforma della valutazione e nuove regole del concorso a cattedra
Mancano meno di 50 giorni alle elezioni politiche. Le attività dei ministeri sono ridotte al minimo. Solo per svolgere l’ordinaria amministrazione, come si dice in questi casi. Al Miur, invece, i prossimi saranno giorni decisamente impegnativi. Non è proprio possibile lasciare andare le cose al loro corso. C’è il rischio, infatti, di vedere sfumare, sul rettilineo finale, molte delle complesse iniziative avviate negli ultimi 14 mesi. Stiamo parlando dei Tfa, della riforma della valutazione, della revisione delle classi di concorso e del concorso a cattedra con le nuove regole. Alcune operazioni sarà comunque impossibile portarle a termine.
Ma andiamo per ordine. E partiamo dai Tirocini formativi attivi abilitanti. Detto che quelli ordinari, aperti a tutti, partiranno regolarmente nei prossimi giorni (con qualche problema per i candidati ammessi in più selezioni, messi in difficoltà dalla pubblicazione parziale delle graduatorie definitive e dalle scadenze imminenti poste da alcune Facoltà per il pagamento della prima parte della retta di frequenza), rimane ancora incerto il destino dei Tfa cosiddetti speciali. Quelli rivolti al personale precario che ha svolto un determinato servizio alle spalle in assenza di abilitazione.
A quanto risulta alla Tecnica della Scuola, come riportato nel numero cartaceo del 7 gennaio, dove sono riportate anche le ultime indicazioni utili a coloro che dovranno svolgere le prove scritte del concorso a cattedra, in questi giorni il Miur ha predisposto il testo di modifica al D.M. 249/10 da inviare alle commissioni parlamentari di competenza. Le quali, seppure in modo informale, hanno già dato il loro assenso al provvedimento. Il vero scoglio da superare diventa allora il parere, ancora mancante, del Consiglio di Stato. Al Miur sono comunque ottimisti: si esternerà nei prossimi giorni e non farà saltare i programmi. Che rimangono quelli di far avviare i corsi “intensivi” (con i corsisti chiamati ad assistere a lezioni prevalentemente teoriche) entro la fine dell’inverno.
Un certo ottimismo trapela anche sul fronte della revisione delle classi di concorso. Sono ad oggi abbiamo assistito ad una mutazione lunga e sofferta. Visto che nel corso del 2012 è stato archiviato con un nulla di fatto tutto il lavoro svolto nei tre anni precedenti: dopo un avvio in “pompa magna”, nell’estate del 2009, la revisione iniziale è man mano persa tra le contestazioni. Lo scorso 15 maggio, il Miur ha presentato ai sindacati una nuova riorganizzazione. Che ha di fatto eluso l’insidioso e lungo percorso parlamentare, indispensabile per approdare ad un nuovo regolamento. E dato il là alla più agevole approvazione di un decreto ministeriale ad hoc. Fonti di agenzia lo darebbero per approvato già nella prossima settimana.
I punti salienti della revisione sono rappresentati da un sostanziale dimezzamento del numero (dalle attuali 174 le classi di concorso passeranno a poco più di 80, comprendenti anche le nuove riguardanti gli insegnamenti nei licei musicali e coreutici) e dall’introduzione di una serie di “sottocodici” utili a gestire la fase transitoria, tra l’altro già avviata con le attuali tabelle di confluenza.
In ogni caso, ora il ministero di viale Trastevere vuole stringere i tempi: la revisione delle classi di concorso, infatti, sarà indispensabile per calmierare il passaggio dal vecchio al nuovo assetto, in particolare su quei raggruppamenti su cui il Ministero ha deciso di far confluire un ampio numero di discipline. Le classi verranno utilizzate, oltre che per i trasferimenti e le utilizzazioni, anche per le supplenze e prossimi concorsi. Probabile pure l’impiego, se i tempi coincideranno, sui prossimi Tfa.
Ridotte al lumicino rimangono, invece, le possibilità di approvazione della riforma della valutazione (e di autovalutazione) degli istituti, la cui prima bozza era stata approvata ad agosto dal Consiglio dei ministri. E di cui poi si sono perse le tracce. È davvero improbabile, anche alla luce della delicatezza dell’argomento (anche finanziaria), che si possa chiudere il discorso in poche settimane. Anche perché, pure in questo caso mancano i parere di Consiglio di Stato e commissioni parlamentari. Ed è proprio ques’ultimo passaggio, quello in Camera e Senato, che risulta particolarmente improbabile. Sia per i tempi stretti, sia per i risvolti sottoforma di consensi (o dissensi) elettorali.
Come sono davvero scarse le chance che si possa arrivare ad un’approvazione del nuovo regolamento dei concorsi a cattedra. Quelli, per intenderci, che il ministro Profumo aveva promesso di avviare ogni due anni, con decadenza delle graduatorie degli idonei che nel frattempo non fossero stati assunti. “Ora siamo concentrati su quello avviato il 17 dicembre…”, ha tagliato corto un dirigente ministeriale.

Formazione dirigenti scolastici: nessuna contrattazione integrativa

da Tecnica della Scuola

Formazione dirigenti scolastici: nessuna contrattazione integrativa
di R.P.
Sulla questione il Ministero ha emanato un “atto datoriale” spiegando che il “decreto Brunetta” ha sottratto la materia alla contrattazione integrativa. Ma c’è che si augura che il prossimo Governo modifichi questa impostazione.
E’ stato firmato nei giorni scorsi dal Ministero dell’Istruzione il decreto relativo a criteri e risorse per le attività di formazione e aggiornamento dei dirigenti scolastici. Il documento è particolarmente interessante in quanto si presenta nella forma di “atto datoriale” ossia di atto emanato in modo unilaterale. Nelle premesse dell’atto il Ministero ribadisce infatti che la materia della formazione e dell’aggiornamento è sottratta per legge alla contrattazione integrativa.
“Ai sensi dell’art. 34 del d. lgc 27 ottobre 2009 n 150, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro – chiarisce il Ministero –
sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista”. Il documento ministeriale sottolinea anche che, sempre ai sensi dell’art. 34, “rientrano nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici”.
D’altronde anche per quanto concerne formazione e aggiornamento del personale del comparto scuola, proprio in applicazione alle disposizioni contenute nel decreto 150/2009, è da due anni che non si sottoscrivono più contratti integrativi. Molto faticosamente e fra mille polemiche e contraddizioni, il decreto 150 (o “decreto Brunetta”) sta insomma facendo scuola anche se sono in molti a ipotizzare (o a sperare) che un prossimo governo di centro-sinistra potrebbe cancellarlo o almeno modificarne alcuni aspetti importanti, e soprattutto quelli relativi alla contrattazione pubblica.
Venendo poi al contenuto dell’atto datoriale va detto che le risorse messe in campo dal Ministero sono molto modeste (588milioni di euro in tutto, poco più di 60 euro per ciascun dirigente scolastico in servizio). Il provvedimento ministeriale prevede anche la ripartizione dell’intero budget fra i diversi Uffici scolastici regionali e stabilisce che nelle prossime settimane a livello decentrato si dovranno fissare le modalità di utilizzo delle risorse. In alcuni casi ci sarà però ben poco da discutere: in Molise, per esempio, si parla di poco più di 6mila euro, mentre nella pur estesa regione Lombardia si va poco al di là dei 65mila euro. Le modeste risorse dovrebbero però servire, secondo l’atto datoriale, per favorire il raggiungimento di una quantità impressionante di obiettivi strategici. Ma questa, ormai, è storia vecchia alla quale la scuola è abituata da tempo.

Ora di religione, la disaffezione non è solo dei giovani italiani

da Tecnica della Scuola

Ora di religione, la disaffezione non è solo dei giovani italiani
di A.G.
Negli Stati Uniti la chiusura di scuole elementari e medie è diventata un rito annuale nel nord-est e nella parte centro-occidentale. Per il New York Times non vi sono dubbi: l’educazione parrocchiale cattolica è in crisi e il futuro delle scuole superiori di stampo cattolico è a rischio. I rimedi? Diversa gestione delle finanze e maggiore coinvolgimento dei diaconi.
L’allontanamento dei giovani dalla religione non è una costante dell’ultimo ventennio italiano, dove da un paio d’anno la quota dei non “avvalentisi” ha superato per la prima volta il muro del 10 per cento. Già la scorsa estate erano giunti segnali di riduzione delle vocazioni nel vecchio Continente. Ora, notizie analoghe arrivano dagli Stati Uniti. Dove sull’edizione del New York Times del 7 gennaio si sostiene, senza giri di parole, che “l’educazione parrocchiale cattolica è in crisi”. Attraverso un approfondito editoriale, si sostiene che “la chiusura di scuole elementari e medie è diventata un rito annuale nel nord-est e nella parte centro-occidentale degli Stati Uniti, aree dove hanno sede due terzi degli istituti cattolici di tutto il Paese”. Le scuole superiori di stampo cattolico “resistono”, precisa il quotidiano, che però avverte: “il loro futuro nel lungo termine è a rischio”. La spiegazione di tale crisi, sostengono gli autori dell’editoriale (Patrick J. McCloskey e Joseph Claude Harris), “non è la mancanza di studenti”. Quasi il 30% delle scuole cattoliche hanno infatti liste di attesa. Per il famoso quotidiano newyorchese il principale motivo di quanto sta accadendo è finanziario: “la Chiesa non è stata capace di dare priorità all’educazione”. Da una parte gli scandali di abusi sessuali e due recessioni, i ricavi della Chiesa sono cresciuti; dall’altra parte i contributi all’educazione parrocchiale sono precipitati: “la Chiesa – sostiene il New York Times – dovrebbe modificare il modo in cui spende e in cui gestisce campagne di raccolta fondi”. “Invece di approcciare donatori nel modo meno efficace possibile, educatori, pastori e prelati dovrebbero proporre nuove iniziative (con l’aiuto di siti Internet come Kickstarter) e nuove scuole”.
Gli autori dell’editoriale non mancano di bacchettare la Chiesa stessa: “I vescovi predicano giustizia sociale ma falliscono nel non praticarla dentro la Chiesa stessa”. L’accusa è che le diocesi più ricche non aiutano quelle più povere. Un altro problema individuato sta nel personale. “Una volta un pastore e due preti assistenti erano responsabili delle faccende religiose mentre le suore si occupavano delle scuole parrocchiali. Adesso c’è solo un pastore senza esperienza a occuparsi dell’amministrazione della parrocchia e della scuola”. Una soluzione, sostiene l’editoriale, sta nel diaconi, una figura del clero con meno poteri rispetto a un sacerdote. “Molti di loro hanno una competenza professionale, manageriale e imprenditoriale valida che potrebbe rivitalizzare l’educazione parrocchiale”. Se a loro fosse dato più potere per eseguire sacramenti e gestire parrocchie, conclude il quotidiano newyorchese, “un sacerdozio dove è consentito il matrimonio diventerebbe un fatto compiuto”.

10 medici per 315 senatori, ma nessuno per le scuole con più, o molto di più, di 1.000 alunni

da Tecnica della Scuola

10 medici per 315 senatori, ma nessuno per le scuole con più, o molto di più, di 1.000 alunni
di P.A.
La politica non delude mai nelle sue acrobazie creative e al Senato stazionano cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione. Anche alla Camera si contano 30 camici bianchi tra esterni e interni, per un totale di 1,4 milioni di euro l’anno. Alle cure mediche invece di prof e dirigenti le scuole e i polivalenti con migliaia di utenti
Sembra proprio che i senatori stiano male, molto peggio di tutto il resto della popolazione che loro rappresentano se hanno bisogno di cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione all’interno dell’ambulatorio del Senato. E non medici qualunque ma laureati con almeno 105/110 ed esperienza professionale minima di cinque anni per i medici e quattro per gli infermieri, per le cui spese e il cui salario mensile ci deve pensare ancora una volta la popolazione e in modo particolare quella che paga regolarmente le tasse. In realtà, leggiamo sulle agenzie, nell’idea originaria l’ambulatorio era destinato solo ai senatori non residenti a Roma, garantendo loro la stessa assistenza sanitaria dei loro colleghi della Capitale. Poi si sono aggiunti i deputati, gli ex parlamentari, i dipendenti del Senato e altri gruppi, per un servizio che ad oggi consta di un medico e quattro infermieri in pianta stabile, più altri ventisei retribuiti a prestazione per assicurare i turni 24 ore su 24. Per un totale di 650mila euro. Ma anche i deputati sembrano essere molto cagionevoli: l’ambulatorio della Camera, al pari di quello del Senato, poggia anche sul servizio distaccato dell’Asl di Roma e su una convenzione diretta con il Gemelli. Anche qui si contano 30 camici bianchi tra esterni e interni, per un totale di 1,4 milioni di euro l’anno. Come si vede siamo di fronte a un vero e proprio esercito di medici, armato di siringhe e stetoscopi, pronto a sconfiggere virus, batteri, fibrillazioni, influenze, torcicolli e perfino il ginocchio della lavandaia se si presentasse a nocumento di questi nostri rappresentanti nella barca del Parlamento. Eppure i senatori sono appena 320 (senatori a vita compresi) e 630 i deputati, compresi le circoscrizioni estere, per un totale di 950 “padri coscritti” come li chiamavano i latini. Premettendo che non abbiamo nulla in contrario nei confronti di questa sorta di medicina preventiva che salvaguarda la salute dei nostri rappresentanti parlamentari, la riflessione che facciamo riguarda quella scuole, e in modo particolare i polivalenti, dove convivono giornalmente anche 2. 000, ma anche di più, tra alunni, insegnanti, personale con regolare intromissione di fornitori, viste esterne, tecnici e così via. Ebbene in queste mega strutture dove si fa educazione fisica, e quindi sforzi fisici che possono creare qualche pensiero, e dove si è a contatto con laboratori, e quindi con corrente elettrica, reagenti chimici e altre sostanze chimiche volatili, e dove durante le ricreazioni, compresi gli ingressi e le uscite, si incontrano e si rincorrono migliaia di alunni, minorenni e talvolta pure euforici, non ci giunge notizia dell’esistenza di neanche un presidio medico o perfino di un infermiere, se si esclude forse la cassetta del pronto soccorso. Ma non finisce solo nell’affollamento il rischio che ogni giorno i ragazzi corrono, e con loro i docenti e il personale; ad esso bisogna aggiungere la vetustà solenne e perigliosa delle strutture stesse e delle infrastrutture, cadenti e ripieni di pericolosità dove primeggiano i vetri rotti, le persiane legate con lo spago e tutto quel numeroso elenco di carenze di cui molte associazioni hanno dato conto con minuzia di dettaglio. E neanche in queste scuole così a totale rischio non c’è, non solo presenza medica, ma neanche odore di infermeria, se si esclude la consueta buona volontà dei soliti insegnanti o dei soliti bidelli pronti a sbracciarsi e portare soccorso e persino accompagnare al pronto soccorso più vicino in caso di incidenti o di malori. Nei due rami del Parlamento invece, sapendo che non c’è nessuno pronto a sbracciarsi, tranne che per raccattare prebende, sono con ogni probabilità costretti a reclutare così tanti medici anche perché se uno di loro sta male ce n’è pronto un altro a sostituirlo: non si sa mai.

Inps: nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici

da Tecnica della Scuola

Inps: nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici
di L.L.
I soggetti che accedono al sistema contributivo e la contribuzione utile per la non riduzione del trattamento pensionistico per i soggetti che accedono al pensionamento anticipato prima dei 62 anni di età
In vista del termine del 25 gennaio 2013 per la presentazione delle domande di cessazione dal servizio, si segnala il messaggio n. 219 del 4 gennaio 2013 con il quale l’Inps fornisce chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 24 del D.L. n. 201 convertito dalla legge n. 214 del 2011 in materia di trattamenti pensionistici.

Il messaggio spiega che nei confronti dei soggetti che maturano il diritto ai trattamenti pensionistici in base alle disposizioni di cui all’articolo 24, commi  7, 10 e 11, della legge n. 214 del 2011, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 40, della legge n. 335 del 1995, che riconoscono i seguenti periodi di accredito figurativo:
a) per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino al sesto anno di  età’  in  ragione  di  centosettanta giorni per ciascun figlio;
b) per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto  anno di età, al coniuge  e  al  genitore  purché  conviventi,  nel  caso ricorrano le  condizioni  previste  dall’articolo  3  della  legge  5 febbraio  1992,  n.  104,  per  la  durata  di   venticinque   giorni complessivi l’anno, nel limite massimo  complessivo  di  ventiquattro mesi;
c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al  momento  del verificarsi dell’evento maternità, è riconosciuto alla  lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a quattro mesi per  ogni  figlio  e nel limite massimo di dodici mesi. In alternativa al  detto  anticipo la lavoratrice può optare  per  la  determinazione  del  trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore di cui all’allegata tabella A, come modificata dalla legge n. 247 del 2007, relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di un anno in caso di uno o due figli, e maggiorato di due anni in caso di tre o più figli.
In particolare, nei confronti delle lavoratrici madri, che maturano i requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema contributivo, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’anticipo dell’età pensionabile di cui alla lettera c) è rapportato alle nuove età pensionabili introdotte dall’articolo 24 del d.l. n. 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011, adeguate agli incrementi della speranza di vita.
Un altro importante chiarimento riguarda la contribuzione utile per la non riduzione del trattamento pensionistico per i soggetti che accedono al pensionamento anticipato prima dei 62 anni di età. A tale proposito l’Inps chiarisce che la contribuzione da riscatto ex articolo 13 della legge n. 1338/1962 può essere compresa tra la contribuzione utile per determinare l’anzianità contributiva necessaria per non applicare la riduzione del trattamento pensionistico,  in quanto si tratta di contribuzione per la quale è stato accertato lo svolgimento di attività lavorativa.

Troppi compiti per le vacanze e i ragazzi rispondono “picche”

da Tecnica della Scuola

Troppi compiti per le vacanze e i ragazzi rispondono “picche”
di Pasquale Almirante
Skuola.net dà i risultati di un sondaggio sui compiti per le vacanze, svolto tra 1.180 utenti della propria rete, avviato nel periodo dal 2 al 6 gennaio, e al quale hanno partecipato il 55% di donne e il 45% di uomini di età compresa fra 11 e 19 anni.
Assegnare compiti per le vacanze, e in modo particolare durante quelle di Natale, probabilmente è anche un modo ulteriore per fare odiare la scuola e per rappresentarla nell’immaginario dei ragazzi come l’estrema vendetta di chi non capisce che quei giorni portano con loro altre fantasie e altre giocondità. Chi è infatti quell’impiegato o quell’altro lavoratore che durante il riposo o le ferie o nei fine settimana si porta il lavoro a casa? Ma agli studenti questo sano principio è negato e allora capitoli da studiare e esercizi da svolgere, mentre ogni giorno che passa è un avvicinarsi alle scadenze sia delle vacanze e sia a una dta imposta per togliersi di mezzo i compiti assegnati: un’afflizione che monta col montare dei giorni che avvicinano ciascuno alla riapertura della scuola. E infatti, secondo quanto comunica Skuola.net, solo uno su quattro studenti ha svolto tutti i compiti per le vacanze. Troppi compiti, secondo il 65% degli studenti. Infatti solo uno su quattro dichiara di essere stato in grado di finirli tutti entro oggi. I professori ammazza‐vacanze sono principalmente quelli di italiano, matematica e lingue straniere. L’auspicata e non pienamente realizzata digitalizzazione della scuola sta tuttavia introducendo un notevole cambiamento nelle abitudini di studenti e professori. E infatti le nuove tecnologie vengono usate da certi prof in modo strumentale alle proprie esigenze e forse per rendere, anche inconsciamente, ancora più odiosa e autoritaria la scuola, effetto che sicuramente non fa bene. E il sito denuncia a tal proposito, su segnalazione dei ragazzi, che in un istituto tecnico della provincia di Padova, un professore ha deciso di comunicare una verifica scritta ai suoi alunni il 3 gennaio attraverso Facebook. Gli studenti ci tengono inoltre a precisare che il docente non aveva fatto menzione della cosa sul registro di classe, come è testimoniato da una schermata presa direttamente dal portale Fb, dove si legge: “Oggi mi è venuta l’ idea di farvi un compitino sulle crociate lunedì…”. Parole che hanno tutto il sapore della beffa e della sottile violenza: vi faccio vedere chi comanda in questa… classe. Ma Facebook non dovrebbe servire per altro? Ed è opportuno che un educatore intrattenga tali collegamenti coi suoi alunni? Ed è sicuro che i ragazzi vogliano le amicizie coi loro insegnanti?

Dal 2014 i fondi per il funzionamento per le scuole su base premiale

da tuttoscuola.com

Dal 2014 i fondi per il funzionamento per le scuole su base premiale

Si aprono polemiche e problemi relative alla valutazione dei risultati

Scuole e università dovranno seguire, d’ora in poi, apposite linee guida del ministero dell’Istruzione per razionalizzare e coordinare i loro acquisti di beni e servizi. E dal 2014 per le istituzioni scolastiche scatterà il controllo dei risultati conseguiti nella spesa al fine di distribuire le risorse per il funzionamento. I più virtuosi avranno di più. Insomma, nel giro di un anno, dovrà cambiare la capacità di gestione dei bilanci da parte delle scuole e dei presidi. Pena la riduzione dei fondi. Un principio che fa discutere, con la ripresa delle lezioni, sopratutto alla luce del fatto che non esiste in Italia un sistema di valutazione che sia in grado di fare ‘misurazioni’ di questo tipo. La rivoluzione è contenuta nella legge di stabilità pubblicata in Gazzetta ufficiale lo scorso 29 dicembre e in vigore ufficialmente dal 13 gennaio.

Ecco cosa dice il testo: “Per gli istituti e le scuole di ogni ordine e  grado, le istituzioni educative e le università statali, tenendo conto delle rispettive specificità, sono definite, con decreto del ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, linee guida indirizzate alla razionalizzazione e al coordinamento degli acquisti di beni e servizi omogenei per natura merceologica tra più istituzioni“. E “a decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento“.

La polemica è dietro l’angolo viste anche le difficoltà economiche di cui già soffrono le scuole. “Patroni Griffi toglie la maschera e dà seguito alle logiche premiali introdotte con la Riforma Brunetta della Pa nel 2009 – lamenta il sindacato Anief –. Ma l’unico risultato che si potrà raggiungere sarà quello di condannare gli alunni più svantaggiati e i loro docenti a rimanere sempre più indietro. Per la Scuola italiana la legge di stabilità per il 2013 continua a fornire amare sorprese”.

CNPI addio: saltano contenziosi, promozioni e dispensa dal servizio

da tuttoscuola.com

CNPI addio: saltano contenziosi, promozioni e dispensa dal servizio

Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), decaduto per mancata proroga, fino al 31 dicembre scorso svolgeva un lavoro oscuro sconosciuto ai più.

Oltre ai pareri per le iniziative di politica scolastica del ministro, in funzione di ‘consiglio della corona’, il CNPI si occupava, infatti, di alcuni particolari aspetti critici della carriera del personale scolastico interessati prevalentemente ad aspetti disciplinari.

Esprimeva pareri obbligatori “sui ritardi di promozione, sulla decadenza e sulla dispensa dal servizio, sulla riammissione in servizio del personale ispettivo e direttivo di ruolo delle scuole e istituti di ogni ordine e grado e del personale docente di ruolo della scuola secondaria superiore; sulla utilizzazione in compiti diversi del personale dichiarato inidoneo per motivi di salute”.

Esprimeva addirittura pareri vincolanti “sui trasferimenti d’ufficio del personale direttivo e del personale docente di ruolo degli istituti di istruzione secondaria superiore … per accertata situazione di incompatibilità di permanenza nella scuola o nella sede”.

I consigli di disciplina all’interno del CNPI si esprimevano sui procedimenti disciplinari riguardanti il personale docente delle scuole secondarie superiori.

Ora che il CNPI non c’è più, che fine faranno le pratiche di contenzioso sospese e i provvedimenti disciplinari irrogati in periferia prossimi ad essere impugnati, nonché quelli che nasceranno nei prossimi mesi?

È difficile rispondere con sicurezza, ma quasi certamente non avranno seguito, e tutte le impugnative si fermeranno dove sono arrivate. Chi cercava giustizia dal CNPI dovrà rassegnarsi a tenersi quanto deciso in primo grado.

CNPI addio. E adesso?

da tuttoscuola.com

CNPI addio. E adesso?

Meno di un mese fa la preoccupazione dei membri del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) era quella di trovare una soluzione amministrativa-politica per rimediare al fatto che non vi erano più membri surrogabili per esaurimento delle liste, con la conseguenza di non potere disporre del numero legale per poter funzionare.

La soluzione a questo problema è venuta in modo clamoroso: lo scioglimento delle Camere ha impedito il varo di un decreto legge ‘milleproroghe’ simile a quelli che negli ultimi undici anni hanno consentito, di anno in anno, di prorogare il CNPI, in attesa della riforma degli organi collegiali territoriali. Niente proroga, niente CNPI.

La mancata proroga del massimo organo consultivo per la scuola apre ora una complessa problematica istituzionale derivante dal fatto che una lunga serie di atti amministrativi prevede l’obbligatorietà del parere del CNPI. In alcuni casi, addirittura, il parere non solo obbliga il ministro a richiederlo, ma ne vincola l’attuazione.

Potranno essere emanati, d’ora in poi, atti amministrativi, progetti ministeriali o disegni di legge che prevedono tassativamente un preventivo parere che non potrà più essere espresso? Orfani di un parere dovuto, potranno, comunque, seguire la loro naturale procedura? In tal caso potranno essere ritenuti legittimi o avranno un vulnus costitutivo che ne impedirà ogni efficacia giuridica?

La risposta, non semplice, potrà venire solamente dal prossimo Governo, ma nel frattempo gli atti amministrativi dovuti dovranno attendere.

Non esistono scuole migliori…

Non esistono scuole migliori…
e le piogge sono sempre salutari

di Maurizio Tiriticco

Di ritorno dalle vacanze ci siamo trovati questo bel regalino della Befana! E così pare che il miglior modo per far funzionare le nostre scuole, o meglio, per dirlo in forma più corretta, il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione (legge 53/03, art. 2)– e la differenza terminologica non è affatto cosa da poco, sperando che chi ci amministra ne sappia qualcosa – sia quello di “premiare i migliori”! Ebbene! Sono assolutamente contrario, essenzialmente per due motivi, uno teorico – se si può dir così – l’altro relativo al nostro… italico costume! In materia di educazione, formazione e istruzione – e si tratta di tre concetti forti su cui ci siamo impegnati a lavorare quando abbiamo optato per la scuola dell’autonomia (dpr 275/99, art. 1) [1] – le variabili in gioco sono molteplici e non tutte riconducibili a fattori oggettivamente rilevabili, accertabili e misurabili! Figuriamoci se poi si dovesse passare a una valutazione vera e propria di sistema con tutte le ulteriori variabili da considerare! Parole grosse, Valutazione, Sistema, e concetti ancora più grossi, a fronte dei quali le nostre istanze amministrative e quelle che più propriamente attendono ai processi realizzati dalle istituzioni scolastiche sono, come si suol dire, alle prime armi.

Ma che cosa significa dire che una scuola è migliore di un’altra? Le scuole non producono saponette o coltelli! E’ ovvio che, se una saponetta non lava o se un coltello non taglia, qualcosa nella fabbrica non ha funzionato! E lo dico con tutto il beneficio di inventario, perché anche nelle aziende più accreditate la valutazione dei processi e dei prodotti non è cosa agevole. L’esempio delle saponette e dei coltelli ci conduce a oggetti, per certi versi, semplici. Se poi si tratta di un’automobile o di una Costa Crociere, la questione valutativa si fa ben più complessa! E si pensi, poi, alla implicazioni che insorgono se un’automobile esce fuori strada o se una nave affonda! Difetti di costruzione? Imperizia umana? E via dicendo…

Gli oggetti che una scuola produce non sono saponette né navi e i tempi di produzione – se si può dir così – sono assolutamente non quantificabili! E sono molto più lunghi anche di quelli che occorrono per una nave! Un essere umano “si produce” dalla nascita alla maturità ed anche oltre! Quanti scrittori sono stati bocciati agli esami di maturità! E quanti pianisti di fama non hanno superato le prove finali di conservatorio! Errori di valutazione? Il fattore tempo è una variabile fondamentale per un essere umano, un fattore che ha un’altra valenza, in genere determinabile, per quanto riguarda un oggetto: si pensi alle scadenze che riguardano i prodotti alimentari. Ma per un bambino – chiamato riduttivamente alunno nella scuola – è estremamente difficile fare predizioni per il suo futuro! Le variabili che incidono nel suo sviluppo/crescita e nel suo apprendimento sono infinite: in una data materia può andare oggi “malissimo” e “benissimo” domani, e non è sempre agevole comprenderne le ragioni: dipende dai contenuti di studio? Dal suo livello di maturazione? Dal suo stato di salute? Dall’insegnante? Dalla famiglia? Eppure, sembrerebbero oggetti semplici da valutare!

Il che significa qualcosa: che la scuola stessa, seppur deputata a farlo, non sempre è in grado di valutare correttamente! Com’è noto, da quando sulle scuole sono piovute le prove Invalsi è scoppiato il finimondo! Ma ci siamo chiesti il perché?! Pur dando per buone prove e procedure adottate dall’Invalsi,[2] ci si è mai chiesti in modo serio le ragioni per cui scuole, insegnanti, studenti nella grande maggioranza o le hanno rifiutate o accettate obtorto collo? La ragione è semplice: una cultura della valutazione nelle scuole non è affatto diffusa; è significativo il solo fatto che molti insegnanti ancora si gingillano con i sei meno e i cinque più quando la norma – che è anche della fine dell’Ottocento – “predica” che i dieci voti debbono essere utilizzati tutti e solo per intero! Un’amministrazione che da decenni non è stata capace di promuovere una cultura della valutazione nei propri addetti e nelle proprie istituzioni, sarà in grado di adottare criteri di valutazione per valutarle? Basti un solo esempio: gli sforzi che abbiamo compiuto per abolire i voti nella scuola dell’obbligo fin dal lontano 1977, augurandoci di giungere a un nuovo sistema di valutazione anche nel secondo ciclo di istruzione, sono stati vanificati dal ritorno ai voti imposto dal duo Tremonti-Gelmini! Che affidabilità ci può dare un’amministrazione che va indietro invece di andare avanti e non sa bene quello che fa?

D’altra parte, è sacrosantamente vero che le scuole hanno bisogno di soldi “a pioggia” come si suol dire! Non è affatto riduttiva questa espressione, se i soldi “piovono” per il semplice e normale funzionamento! Sono anni che le scuole sono costrette alla sete! Che cosa significa, allora, dare soldi solo ai migliori? Non sarebbe invece il caso di darli ai peggiori, perché sono questi che hanno bisogno di essere sostenuti, rafforzati, incentivati? Con nuove strutture, attrezzature, strumentazioni didattiche, formazione continua del personale, ecc.

In un Paese civile non si ricattano le scuole! “Se promuovi, ti premio! Se bocci, non ti finanzio!” In un Paese civile l’istruzione è e deve essere al primo posto! Con questa invenzione del premio ai migliori la Costituzione è carta straccia! “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”: così recita l’articolo Cost. 9; ma si vedano anche gli articoli 2 e 3 e 34, che modificheremo così: “La scuola è aperta a tutti quelli che se la meritano”! Ma il merito come si acquisisce? Mah! E’ forse un dono divino! La Repubblica non c’entra: non è materia sua! Allora, a che serve blaterare ormai da anni che siamo entrati nella società della conoscenza, che conoscenze e competenze sono le condizioni per lo sviluppo, quando scientemente si sceglie che ci sono scuole di serie A che vanno incentivate e scuole di serie B che vanno abbandonate a se stesse? Mi ricordo una vecchia barzelletta: “Studio medico, cartello: Si riparano gobbe. Tutti i gobbi del paese si affollano nella sala d’aspetto. L’infermiere apre la porta dell’ambulatorio e chiama: Avanti il primo! Dopo una mezz’ora, si riapre la porta e l’infermiere chiama: Avanti il secondo! Il secondo gobbo chiede: E il primo? Risposta: Il primo si è rotto!” E allora, che ne faremo delle scuole di serie B?

Il secondo motivo di preoccupazione riguarda l’italico costume e non è affatto banale. Chi ci garantisce che nelle scuole “peggiori” non si correrà a promuovere sempre e comunque per accedere alla fascia dei privilegiati? Veramente un dieci sarà “eguale” a un altro dieci? Accadrà che, invece di avviare una buona volta una cultura della valutazione, si solleciterà il malcostume nostrano che ancora – non so per quale fortunato caso – non ha interessato il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione. Sembra che non ci sia apparato istituzionale e amministrativo che non sia corrotto oggi, dagli scanni parlamentari a tutte le amministrazioni periferiche! Vogliamo che anche nella scuola si implementino voti alti, comunque e sempre, per ottenere il necessario per sopravvivere?

Auspico soltanto che questo comma 149 della Legge della cosiddetta Stabilità non destabilizzi ancora di più la nostra scuola… pardon, il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione! Se ancora vogliamo chiamarlo così! E’ forse un eufemismo?

 



[1] Si noti che il termine “formazione”, di cui alla legge 53/03 allude alla formazione professionale regionale, la quale, insieme al sistema di istruzione delle scuole pubbliche (statali e paritarie) fa parte dell’intero macrosistema che attende allo sviluppo delle competenze culturali, preprofessionali e professionali della popolazione, anche in chiave di “diritto/dovere all’istruzione e alla formazione per tutta la vita”. Invece, il termine “formazione”, di cui all’articolo 2 del dpr 275/99, riguarda la formazione della persona in quanto tale, perché il dpr riguarda solo le istituzioni scolastiche e non le istituzioni formative regionali. Si tratta di una distinzione di non poco conto e che occorre considerare per non cadere in spiacevoli equivoci. Se veramente si vuole attendere al varo di una valutazione di sistema, è più che opportuno avere chiarezza anche sulle parole/concetto che vengono utilizzate. Quindi, è bene ricordare che l’istruzione riguarda l’area degli insegnamenti/apprendimenti disciplinari, l’educazione l’area della responsabilità civica. Non è un caso che “l’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé (esito della formazione), di corrette e significative relazioni con gli altri (esito dell’educazione) e di una positiva interazione con la realtà esterna (esito dell’istruzione)”. Così recita l’incipit dell’allegato 2 al dm 139/07, il Regolamento che detta norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione.

[2] Sulla questione delle prove Invalsi rinvio ad altre mie riflessioni. Comunque, io sono per le prove, ma a due condizioni: che siano “ben fatte” e non inducano in equivoci; e che siano inserite in un piano di valutazione di sistema condiviso dalle istituzioni scolastiche e con esse concordato. E questo è un terreno tutto da costruire e da percorrere.