PROPOSTA SULLA SCUOLA PER LA XVII LEGISLATURA

LA PROPOSTA ANP SULLA SCUOLA PER LA XVII LEGISLATURA

 

I DIRIGENTI E IL PAESE

La guida del Paese, in democrazia, non è un fatto meramente tecnico, ma non può prescindere dalle competenze tecniche. Lo si è ben visto in tempi recenti, quando gli eccessi di una politicizzazione che aveva finito per avvitarsi su se stessa hanno richiesto un passo indietro dei partiti ed un passaggio definito appunto – se pur riduttivamente – tecnico.

I dirigenti della Pubblica Amministrazione – ed i dirigenti della scuola in particolare – intendono dire con chiarezza che non aspirano ad occupare un ruolo che in una corretta dinamica dei poteri non appartiene loro. Ma con altrettanta chiarezza vogliono ricordare che nessuna soluzione politica uscita dalle urne può prescindere dal supporto delle competenze gestionali ed amministrative. Non basta sapere dove si vuole andare, occorre anche sapere se si dispone dei mezzi per farlo e quali sono i percorsi più idonei.

Questo è specialmente vero in una fase nella quale gli impegni internazionali sottoscritti dal nostro paese, coniugati con un livello di esposizione debitoria particolarmente elevato, restringono di molto i margini per le scelte discrezionali che non tengano nella dovuta considerazione le compatibilità ed i vincoli legati al funzionamento della macchina statale. Quel funzionamento che i dirigenti conoscono meglio di chiunque altro e che sono i soli a saper controllare.

Se tale capacità di controllo è fondamentale, questo non vuol dire che essa voglia essere usata a fini di condizionamento del decisore politico. I dirigenti pubblici sono i primi ad avere a cuore la separazione dei poteri e non vogliono quindi assumere ruoli che non competono loro in un ordinato assetto generale. Ma al tempo stesso sanno che il rispetto della propria indipendenza e della propria funzione costituisce un servizio alla politica ed al paese e non una gratificazione personale o un privilegio. Sono quindi intenzionati a rivendicare il diritto alla propria autonomia funzionale rispetto a qualunque maggioranza, in quanto – secondo il dettato costituzionale – sono e si sentono vincolati al servizio esclusivo della nazione.

Questa etica del servizio è stata, negli ultimi venti anni, troppo spesso erosa, nei fatti e qualche volta anche nelle norme volute dalle forze politiche per superare e forzare resistenze giudicate fastidiose o inopportune: mentre erano ispirate dal rispetto dei principi di legittimità e buon andamento, oltre che dalla sollecitudine per il bene collettivo. Occorre recuperare insieme quella indipendenza e quell’etica, come premessa per una inversione di rotta che non può più essere rimandata.

I dirigenti della scuola sono in prima fila in questo impegno, che hanno voluto rendere concreto e visibile negli scorsi mesi adottando due documenti di testimonianza civile e professionale: il Manifesto per la Scuola ed il Codice deontologico. Nel primo sono indicate dieci priorità di intervento per una ritrovata funzione della scuola come motore di crescita civile e culturale del nostro paese; nel secondo, i valori laici e professionali che dirigenti e docenti dell’Anp si impegnano a sviluppare ed attuare per ridare un’anima ed uno slancio ideale al proprio lavoro.

L’etica professionale e quella individuale non possono essere disgiunte da quella del servizio pubblico. Per troppo tempo si è accettato che la società civile potesse prescindere da questi punti di riferimento, relegandoli e delegandoli al livello individuale. Non è così e la condizione desolante della politica e dei rapporti sociali ce ne dà ogni giorno la prova. E’ venuto il momento che la deontologia riprenda il posto e la dignità che le competono in tutte le sedi della vita pubblica e che torni ad essere il principio regolatore non solo delle norme positive ma delle pratiche quotidiane a tutti i livelli.

Questo è certamente, in primo luogo, compito della scuola: ma non solo della scuola. Il fondamento ed il consolidamento dei valori si realizza in primo luogo attraverso la loro pratica generalizzata. L’etica non si insegna, si trasmette: e questa è una missione rispetto alla quale a nessuno è lecito chiamarsi fuori.

L’attuale predominio delle preoccupazioni finanziarie ed economiche ha finito con l’obliterare nei fatti – e perfino nel linguaggio corrente – le altre dimensioni della res publica. Si tratta di un errore di prospettiva: è proprio nei momenti di crisi che diventa essenziale disporre di sistemi di valori solidi e condivisi, che aiutino a scegliere. L’abitudine invalsa a svincolare la dimensione politica da riferimenti valoriali non è l’ultima fra le cause della difficile situazione generale ed anche del tracollo delle finanze pubbliche.

Vi è un’ulteriore ragione che postula maggiore considerazione per il ruolo della dirigenza: nelle situazioni di difficoltà generalizzate e di ristrettezze, che si scaricano in primo luogo sui servizi pubblici, i soggetti più forti sono quelli che risentono meno della crisi, perché dispongono di risorse (economiche e culturali) in grado di resistere agli eventi, quando non di approfittarne per rafforzarsi ancora. E’ solo l’imparzialità di cui sono custodi i dirigenti che può proteggere i più deboli e garantire la coesione civile, senza la quale non si esce dalle contingenze avverse.

E’ per questi motivi che i dirigenti pubblici – a cominciare da quelli della scuola – chiedono alla politica di essere ascoltati e chiamati a concorrere alle decisioni che riguardano tutti. Il rispetto della loro funzione e della loro autonomia è garanzia della loro possibilità di servire efficacemente il bene comune. Il riferimento esclusivo ad un vincolo di dipendenza fiduciaria dal vertice politico, all’opposto, finisce con il corrompere non solo le persone ma gli interessi stessi del servizio.

 

LA SCUOLA HA UN DEBITO VERSO IL PAESE

Il sistema scolastico italiano ha conosciuto tempi migliori, quando rispondeva in modo efficace ad un mandato sociale diverso dall’attuale: formare una classe dirigente di elevato livello. Occorre invece prendere atto che non è stato in grado di ottenere risultati corrispondenti rispetto al compito di formare tutti i cittadini e di prepararli ad una pluralità di compiti sociali.

Tre sono i sintomi più evidenti di questa difficoltà attuale:

  • ‐  l’elevato numero di giovani che lasciano il sistema prima di aver conseguito un diploma o una qualifica professionale spendibili nella vita adulta. Siamo ancora fermi a meno dell’80% della classe di età, che è quella dei diciannovenni, mentre la media dell’Unione Europea si colloca all’86% dei diciottenni. Un differenziale negativo di sette‐otto punti percentuali, aggravato da un anno di ritardo nell’uscita;
  • ‐  risultati comparativamente insoddisfacenti nei testi internazionali di apprendimento. Nelle quattro indagini PISA‐OCSE svolte fra il 2000 ed oggi, i nostri quindicenni si collocano sensibilmente al di sotto della media, con punteggi che ci relegano nell’ultimo quarto della graduatoria. A peggiorare le cose, una elevata varianza interna, cioè scarti sensibili fra scuole di regioni diverse. Questo lascia attendere difficoltà crescenti, negli anni a venire, per competere sul mercato del lavoro, che è sempre più transnazionale. Esiste il rischio – del quale si colgono i primi segnali in settori tecnologicamente avanzati – che persino i posti di lavoro disponibili nella nostra realtà produttiva vengano con precedenza offerti a giovani di altri paesi;
  • ‐ disoccupazione giovanile fra le più elevate (oltre un terzo del totale, con punte di oltre la metà nel Mezzogiorno). Si tratta certo di una distorsione del mercato del lavoro, ma indirettamente indica un significativo disallineamento fra la formazione ricevuta dai giovani e la richiesta delle aziende. In aggiunta, parecchi fra coloro che sono occupati svolgono mansioni non corrispondenti alla preparazione scolastica: il che significa che molto di quel che si spende nell’istruzione va sprecato.

La scuola è consapevole di dover fare la propria parte per superare queste criticità, in primo luogo attraverso un cambio di mentalità e di pratiche operative. Tuttavia, la natura e l’estensione dei problemi richiedono soprattutto interventi di sistema. Trovano qui il loro spazio le proposte che Anp formula al Parlamento ed al Governo della XVII legislatura.

 

UNA PROPOSTA PER LA SCUOLA

Gli interventi che il decisore politico deve realizzare per il superamento delle attuali difficoltà del sistema di istruzione riguardano almeno i seguenti ambiti:

  • ‐  governance generale/sussidiarietà: sono oltre dieci anni che ogni intervento sul sistema paese – e quindi anche sulla scuola – si scontra con un endemico conflitto di competenze fra Stato, Regioni ed autonomie locali. Basti pensare all’ancora irrisolta vicenda del ridisegno della rete scolastica o alle questioni che anche di recente sono tornate d’attualità circa i livelli dei servizi che gli Enti locali dovrebbero garantire. Occorre prendere atto che la riforma del Titolo V costituisce un’incompiuta, principalmente per la carente definizione della competenza legislativa concorrente. Per tornare a governare il sistema Paese, si rende inevitabile rimettere mano al testo costituzionale: non per eliminarne lo spirito e gli obiettivi dichiarati, ma per renderli possibili: rimuovendo le troppe ambiguità, attribuendo e separando con chiarezza i poteri e gli ambiti;
  • ‐  governance scolastica: neppure la XVI legislatura, che sembrava averne tutte le premesse, è stata in grado di condurre in porto la riforma degli organi collegiali della scuola. Il sistema attuale, vecchio di quarant’anni, è del tutto inadeguato a sorreggere il nuovo quadro ordinamentale, rispetto al quale risulta solo d’intralcio. La soluzione è nota e basta volerla attuare: introdurre l’autonomia statutaria delle istituzioni scolastiche, fissando contestualmente composizione e compiti di un solo organo, quello di indirizzo, l’unico a rilevanza anche esterna. Di tale organo dovrebbero essere chiamati a far parte a pieno titolo rappresentanti della società civile, scelti fra i soggetti idonei a rendere più efficace ed agevole l’attività dei vari tipi ed indirizzi di scuola. A tale organo spetterebbe esprimere l’autonomia della scuola: sia all’interno (istituendo altre eventuali entità funzionali, nel numero e con la tipologia più opportuni), sia all’esterno nel rapporto con il territorio. La legge dovrebbe definire con chiarezza i rapporti ed i confini fra le competenze dell’organo di indirizzo e quelle dell’organo monocratico di gestione ed amministrazione, costituito dal dirigente scolastico, con esclusione di ogni sovrapposizione ed ambiguità di ambiti di riferimento;
  • ‐  messa in coerenza del quadro normativo: attualmente le fonti che regolano il funzionamento delle scuole sono molteplici e spesso dissonanti fra loro (il Testo Unico – che tale ormai non è più da tempo –, il DLgs. 165/01, il contratto di lavoro, le norme sugli organi collegiali ed altro ancora). Il Parlamento deve conferire al Governo una delega stringente affinché rimetta mano in tempi brevi a questa situazione, riportandola a coerenza secondo pochi e chiari principi: la già ricordata autonomia statutaria – che assorba tutta la materia degli organi collegiali –, gli autonomi poteri di gestione del dirigente, una più rigorosa definizione di ambiti per il prossimo contratto di lavoro. A tale proposito, si dovrà evitare in ogni modo che materie estranee al sinallagma diretto fra prestazione e retribuzione trovino posto al tavolo negoziale: tutte le questioni che riguardano il funzionamento delle scuole, le competenze del personale e degli organi, i servizi resi ai cittadini, la formazione, la valutazione ed in genere tutte quelle che incidono sugli interessi degli utenti devono essere affidate alla regolazione unilaterale del legislatore o alla gestione del dirigente;
  • ‐  disponibilità di risorse: pur nella consapevolezza del difficile momento della finanza pubblica, va detto che la scuola, per esistere, ha bisogno di più che gli stipendi del personale. Non ha senso avere un apparato enorme (un milione di addetti) e costosissimo (quasi 35 miliardi di euro annui solo per le retribuzioni) per poi mantenerlo in regime di asfissia finanziaria. Esistono almeno tre linee che potrebbero essere attivate: inserire d’ufficio tutte le scuole fra i soggetti che possono beneficiare del 5 per mille delle imposte dirette pagate dai cittadini; incentivare i contributi delle famiglie tramite un più ampio e trasparente sistema di defiscalizzazione (invece di contrastare in ogni modo questa possibilità, anche con frequenti diffide ai dirigenti che li richiedono); revisione delle norme che intralciano o vietano il reperimento di risorse anche al di fuori. Né sarebbe inutile pensare ad una specifica formazione dei dirigenti rispetto alle tecniche di fund raising;
  • ‐  differenziazione ed adeguatezza: i principi costituzionali vanno attuati anche per quanto riguarda gli ordinamenti delle scuole. Uno dei motivi per cui la scuola ha fallito nel passaggio all’istruzione di massa sta nell’aver mantenuto nei curricoli l’indifferenziazione di obiettivi e metodologie didattiche che aveva forse un senso quando a studiare erano piccole minoranze omogenee. Occorre prendere atto con realismo che solo una parte di coloro che frequentano la scuola lo fanno per “essere”, cioè per apprendere disinteressatamente, in una dimensione umanistica della formazione, che non si propone una immediata utilità pratica di ciò che si è chiamati a studiare. Questa minoranza è fatta di coloro che, per vocazione personale o impulso familiare, si destina fin dall’inizio a studi universitari ed all’esercizio delle professioni. Rispetto ad essi la nostra scuola ha maturato nei decenni una grande tradizione, che ancora dà frutti importanti: basti considerare gli eccellenti risultati dei nostri studenti che proseguono all’estero l’istruzione terziaria e la ricerca. Ma la grande maggioranza viene a scuola con orizzonti ed interessi molto più circoscritti nel tempo e nell’oggetto: vuole prepararsi per un lavoro, da svolgere a tempi brevi o comunque non troppo lunghi. Trattare tutti allo stesso modo non riduce le disparità, anzi le amplifica. Quel che serve è assumere come un fine – anziché subire come un fallimento – la diversità di obiettivi formativi; progettare le filiere con una identità distinta; non vergognarsi di preparare al lavoro immediato o alla formazione tecnica superiore non universitaria. Ed ancora: le esperienze europee ci dicono che – anche al’interno di una stessa filiera – si ottengono risultati migliori prevedendo livelli diversi, in funzione delle capacità e degli esiti intermedi: il che richiede che i gruppi siano formati non solo per età, ma per livelli di apprendimento. In uscita, si otterrebbero profili di competenza differenziati, che condurrebbero coerentemente ad esiti di lavoro diversi. Offrendo ai giovani quel che essi cercano – sia negli obiettivi che nelle metodologie – si realizzerebbero due risultati, entrambi positivi: scenderebbe di molto la dispersione scolastica e crescerebbero le percentuali di transizione rapida alla vita attiva;
  • ‐  ripensare il valore legale del titolo di studio: nella situazione attuale, e da molto tempo, si tratta ormai

    di una finzione giuridica, la cui unica funzione è quella di escludere (chi non ce l’ha) da alcune opportunità, senza conferire alcun diritto sostanziale a chi lo ha conseguito. Ma ci sono altri danni collaterali: per esempio, esso diventa uno dei fattori di rigidità dei percorsi di formazione. Si dice che non è possibile differenziare più di tanto l’offerta didattica perché, a valle, c’è l’esame di stato uguale per tutti. E’ venuto il tempo di riconsiderare la questione in termini meno ideologici, unendola all’altra della durata complessiva degli studi. Non è impossibile pensare ad una conclusione degli studi per tutti a 18 anni, con una semplice certificazione rilasciata dalla scuola, che attesterebbe gli effettivi livelli di competenza raggiunti e che desse accesso al lavoro (per chi ha conseguito una qualifica professionale) o agli istituti tecnici superiori (per tutti). Un ulteriore anno di studi sarebbe previsto solo per chi vuole iscriversi all’università e solo sulle materie coerenti con la facoltà prescelta. Solo al termine di questo anno integrativo potrebbe collocarsi un esame di Stato, realmente selettivo e qualificante. Qualcosa di simile esiste da tempo in altri paesi (si pensi al sistema delle classes préparatoires in Francia). Se ne avrebbero diversi benefici: intanto, consistenti risparmi di sistema, derivanti dall’abbreviazione di un anno del corso di studi per almeno due terzi della popolazione scolastica, senza ricadute sul livello di preparazione. Infatti, per conseguire una qualifica professionale, bastano tre anni: quattro danno accesso, già ora, al diploma professionale di secondo livello. Per chi vuole andare agli istituti tecnici superiori basterebbe costruire in modo idoneo il raccordo fra il curricolo secondario e quello ulteriore. Per chi vuole accedere al percorso universitario, ci sarebbe comunque un quinto anno, reso più denso e significativo dal concentrarsi solo su un ristretto numero di discipline, coerenti con gli studi che si vogliono intraprendere. Ecco una riforma che porterebbe risparmi e qualità al tempo stesso, oltre a promuovere quella differenziazione ed adeguatezza che l’attuale collo di bottiglia dell’esame finale per tutti finisce con il sacrificare;

  • ‐  valutazione: infine, corollario ed insieme condizione di molte delle proposte precedenti, un sistema nazionale di valutazione che offra le indispensabili garanzie di tenuta dell’insieme. Valutazione delle scuole, la cui autonomia potrebbe essere resa finalmente sostanziale, senza il timore di inaccettabili cadute di qualità formativa; valutazione dei dirigenti, a garanzia del corretto utilizzo degli esclusivi poteri di gestione loro attribuiti; valutazione dei docenti, in un’ottica integrata con un ridisegno del loro percorso professionale (vedi oltre); valutazione degli apprendimenti degli studenti, per assicurare equità sostanziale di opportunità, oltre che una certificazione realmente indipendente e attendibile delle loro competenze effettive. Quel che oggi l’INVALSI fa, con pochi mezzi e pochi addetti, è altamente apprezzabile, ma non può bastare: solo una verifica sistematica e credibile di tutti gli snodi critici del sistema di istruzione può promuovere la qualità degli esiti ed insieme costituire la migliore garanzia per lo sviluppo dell’autonomia responsabile delle scuole.

    IL RUOLO DEI PROFESSIONISTI

    Obiettivi chiari, risorse adeguate, condizioni normative coerenti: sono tutti pre‐requisiti per un recupero di efficienza del servizio di istruzione, che però passa di necessità attraverso un migliore utilizzo delle risorse professionali, dirigenti e docenti.

 

DIRIGENTI – L’intervento necessario è duplice: in primo luogo, occorre selezionarli in modo più mirato di quanto si sia fatto fino ad ora. Né la formazione successiva né la valutazione possono sostituire un buon reclutamento. Le norme attuali si sono rivelate, alla prova dei fatti, inadeguate, anche per la mole di contenzioso cui prestano il fianco.

Anp ha messo a punto una propria analitica proposta in merito, che viene diffusa separatamente: senza entrare nei dettagli, si può dire che essa interviene su tre punti critici:

‐ pre‐requisiti professionali ed esperienze compiute nel ruolo di docente
‐ accertamento dei requisiti attitudinali e non solo delle conoscenze teoriche
‐ un regime specifico per il periodo di prova, che preveda il ruolo di “aggiunto”

La seconda linea di intervento riguarda gli strumenti a disposizione del dirigente, che devono risultare meglio definiti e collocarsi in un quadro di insieme coerente. Si rinvia, per questo aspetto, alle considerazioni svolte in materia di governance e di coerenza normativa. Non servono poteri straordinari rispetto a quelli attuali: serve che questi non siano imbrigliati e resi inefficaci da una rete di disposizioni contraddittorie di diversa origine e natura, il cui insieme produce l’effetto di sterilizzare l’azione gestionale. Non serve avere un dirigente alla guida di una scuola autonoma, se poi si ha timore di quel che farebbe se potesse veramente gestirla: a contrastare eventuali abusi deve servire la valutazione, oltre che la normale azione di vigilanza amministrativa. Se l’Amministrazione centrale e periferica dismettesse finalmente l’ambizione di fare il mestiere altrui (gestire le scuole), avrebbe tutto il tempo e le risorse per fare il proprio (esercitare l’azione di indirizzo e quella di controllo).

Corollario di questi due interventi di natura normativa, un terzo più propriamente contrattuale, ma per il quale il legislatore deve approntare le risorse. Non è più rinviabile l’attuazione di un impegno politico già più volte e da più maggioranze di segno diverso assunto, ma mai attuato. Bisogna stanziare le risorse finanziarie per eliminare la doppia anomalia che grava sulla retribuzione dei dirigenti scolastici: quella che (a parità di lavoro) li remunera in misura sensibilmente diversa a seconda delle modalità e del tempo in cui sono stati assunti; quella che – nel loro insieme – li colloca molto al di sotto della dirigenza amministrativa di pari livello, che ha responsabilità gestionali e patrimoniali molto minori.

Questa parificazione retributiva – interna ed esterna – non è raggiungibile per via ordinaria, neppure una volta riaperta la contrattazione: non sono i contratti fatti per recupero dell’inflazione programmata che possono sanare una disparità ormai divenuta intollerabile. Servono risorse specifiche, fuori dal budget destinato al rinnovo della generalità degli altri contratti dirigenziali, finalizzate solo a rimettere in linea quel che per troppo tempo è stato lasciato scivolare indietro.

Sono risorse apparentemente rilevanti, ma in realtà solo una frazione dei risparmi di sistema fin qui conseguiti dagli interventi sulla scuola. Si vuole ricordare che nessun’altra categoria di personale ha pagato uno scotto altrettanto pesante in termini di tagli agli organici e di aumento dei carichi di lavoro (un quinto delle sedi dirigenziali in meno nell’arco di un anno, a numero di alunni e plessi invariato).

E quindi la proposta che riguarda i dirigenti è lineare: reclutarli in modo più orientato al compito, dotarli di strumenti di governo adeguati, valutarli per quel che fanno e retribuirli secondo giustizia.

 

DOCENTI – Le linee di decisione politica per quanto riguarda i docenti non sono molto dissimili: reclutamento, carriera professionale, riconoscimento sociale.

Per quanto riguarda il reclutamento, Anp ritiene giunto il momento di mettere in coerenza l’autonomia delle scuole con la possibilità di avvalersi delle risorse professionali più adeguate a sostenerla. Anche in questo caso viene resa disponibile separatamente una proposta analitica: ma se ne vogliono qui ricordare i tratti fondamentali.

I docenti abilitati devono far parte di un albo provinciale (per le materie meno comuni, anche regionale), non graduato, cui le singole scuole devono poter attingere per le nomine a tempo determinato. Gli aspiranti faranno, come ora, richiesta in un numero definito di sedi, presentando un proprio strutturato portfolio professionale e redigendo una dichiarazione di intenti rispetto al POF di ciascuna istituzione (che è disponibile sul sito). Le scuole selezioneranno preliminarmente una rosa di coloro le cui opzioni didattiche appaiono particolarmente congruenti con le priorità di istituto e li convocheranno per un colloquio sulle proprie opzioni e metodologie: al termine del quale sceglieranno senza altro vincolo che quello della trasparenza delle motivazioni.

Il reclutamento a tempo indeterminato va demandato a reti territoriali, sui posti attribuiti in organico dall’Amministrazione, con un meccanismo analogo, ma con un vaglio operato da una commissione di docenti “senior” provenienti dalle diverse scuole e presieduta da uno dei dirigenti designati dalla rete. Non si accerteranno conoscenze né competenze professionali “generali”, che si devono dare per acquisite tramite la laurea e l’abilitazione già possedute: ma solo l’interesse e la motivazione a spendersi su un progetto formativo e su un territorio dato. Gli assunti potranno essere utilizzati in qualunque scuola della rete, secondo necessità.

Per quanto riguarda la carriera, Anp propone uno sviluppo professionale a tre livelli: iniziale, esperto, senior. Ai livelli successivi al primo si accede a numero chiuso (su una percentuale dell’organico assegnata annualmente dall’Amministrazione), previa valutazione – anche comparativa – a domanda dell’interessato. Chi accede ad un livello intermedio o superiore riceve una retribuzione sensibilmente più elevata, ma si impegna parallelamente ad assicurare un certo numero di ore per funzioni di sistema, che possono essere di natura didattica o organizzativa. Lo svolgimento delle funzioni di sistema è oggetto di valutazione obbligatoria. Solo l’aver svolto queste funzioni per un certo numero di anni consente di accedere a funzioni superiori, come quella di formatore, valutatore, tutor, ispettore o dirigente, in coerenza con le esperienze svolte e con la valutazione riportata.

Anche per la carriera docente, esiste uno specifico separato documento Anp, cui si rimanda.

Il riconoscimento sociale è collegato a molti fattori, dei quali una retribuzione più dignitosa è solo uno. E’ abbastanza ovvio che non ci saranno, per diversi anni ancora, risorse finanziarie per pagare molto meglio tutti gli insegnanti: ma, anche se ci fossero, non sarebbe un buon investimento, perché non contribuirebbe a mettere in tensione migliorativa tutta la professione. E’ possibile invece – istituendo una carriera su più livelli – retribuire meglio chi si mette in gioco ed accetta di render conto.

I bravi docenti non diventano tali per guadagnare di più: ma proprio per questo devono guadagnare di più senza che lo chiedano. Il loro prestigio – reso più visibile dalla retribuzione – è uno stimolo per gli altri, ma soprattutto si riverbera sulla professione nel suo insieme ed attira i giovani migliori. Bisogna spezzare il

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circolo vizioso di una omologazione al ribasso, che deprime le motivazioni e l’immagine collettiva. In Finlandia, i docenti non sono pagati molto meglio che da noi: ma il loro prestigio sociale è elevato ed il sistema scolastico li recluta nel miglior dieci per cento dei giovani laureati.

A favorire il riconoscimento sociale contribuirà anche il reclutamento territoriale: un insegnante non deve essere calato dall’alto su una scuola, solo sulla base di punteggi maturati lontano da essa: va scelto sulla base di un impegno reciproco e deve porsi al servizio di un progetto che è insieme nazionale (garantito dalla formazione iniziale) e locale (il mandato della scuola o della rete per cui si candida). E quel riconoscimento si alimenta anche della valutazione e dello sviluppo all’interno della stessa scuola, che rende visibile un percorso di crescita e di servizio.

La scuola non ha bisogno di riforme, ha bisogno di cambiamento. Quello qui delineato è realizzabile con interventi legislativi importanti, ma certamente praticabili, se vi sarà la consapevolezza culturale della loro necessità.

Dicembre 2012

La prova scritta del concorso a cattedre

La prova scritta del concorso a cattedre si svolgerà  per tutte le classi di concorso a metà febbraio.

Il Cidi propone sul proprio sito delle attività per accompagnare lo studio: è on line da oggi una piattaforma che offre ai candidati strumenti di sostegno per affrontare le prove scritte.

In Avvertenze Generali si propongono materiali sui principali argomenti richiesti dal bando, corredati di schede di lavoro con bibliografie e sitografie, e link per tutta la normativa.

Con le Esercitazioni sulle discipline oltre ad avere a disposizione materiali di approfondimento – schede di lavoro sull’organizzazione dello studio, bibliografie ragionate, sitografie, metodologia didattica, analisi dei programmi – sarà possibile, sotto la guida di un docente tutor, esercitarsi su quesiti che simulano la prova d’esame. Infatti è attivato un forum di discussione in cui i tutor pubblicano dei quesiti e sui quali i candidati si esercitano. Si crea in questo modo una vera e propria classe virtuale, la cui discussione arricchisce tutti.

Al momento sono attivi:
avvertenze generali e matematica (classi di concorso A059/47/49, docente tutor prof. Giuliano Spirito).

Saranno attivati a seguire:
inglese (classi di concorso A345/6, docente tutor prof.ssa Raffaella Cammarano), francese (classi di concorso A245/6, docente tutor prof.ssa Antonella Cambria), storia (classi di concorso A043/50/51/52, docente tutor prof.ssa Elena Musci), italiano (classi di concorso A043/50/51/52, docenti tutor prof.sse Sara Carbone e Caterina Gammaldi).

Con questa iniziativa, insieme ad altre diffuse su tutto il territorio nazionale, il Cidi vuole contribuire alla qualità della formazione dei nuovi docenti e offrire un sostegno valido a tutti i candidati.

Richiesta di convocazione Osservatorio Scolastico

Roma 16 Gennaio 2013

Al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Prof. Francesco Profumo

Al Sottosegretario MIUR
Prof. Marco Rossi-Doria

Al Capo Dipartimento per l’Istruzione
Dr.ssa Lucrezia Stellacci

Al Direttore Generale
per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione
Dr.ssa Giovanna Boda

Al Capo Segreteria
Sottosegretario Prof Rossi-Doria
Dr. Paolo Mazzoli

Al Dirigente dell’Ufficio per l’inclusione scolastica del MIUR
Dr. Raffaele Ciambrone

Oggetto: richiesta di convocazione Osservatorio Scolastico

Dopo l’incontro estivo dell’Osservatorio si sono succeduti numerosi fatti importanti , come la stipula dell’Intesa MIUR Min-Salute, il Convegno del 6 dicembre , l’annuncio di una nuova direttiva sui BES, che richiedono degli approfondimenti da parte delle Associazioni e del Comitato Tecnico dell’Osservatorio.

Infatti molte Associazioni e familiari ci chiedono sempre più frequentemente :

–          dove siano andati a finire i fondi sull’inclusione scolastica previsti dalla Legge-quadro n. 104/92, dalla l.n. 440/1997, dalla l.n. 69/2000?
–          che ne è dei GLIP previsti per legge, art 15 l.n. 104/92, mentre il MIUR sta puntando tutto sui CTS , ai quali non siamo contrari, ma che sono organismi previsti da soli atti amministrativi ed hanno quindi meno garanzie di permanenzza in futuro dei GLIP, i quali ultimi hanno al loro interno anche esperti rappresentanti delle associazioni, cosa che non è prevista per i CTS, che sono organismi solo tecnici?
–          cosa accadrà nei GLIP dopo la drastica riduzione dei docenti comandati presso gli stessi , che svolgono l’importante ruolo di consulenti alle scuole ed alle famiglie e di segretari degli stessi GLIP ( d m n. 122/ 94)?
–          cosa significa ” sostegno di prossimità ” di cui ha parlato il Prof. Canevaro nel Convegno del 6 dicembre? Se  non significa abolizione del docente per il sostegno, significa che si accoglie la proposta della Fondazione Agnelli?
–          quali sono gli sviluppi del’Intesa MIUR Min-Salute del luglio scorso? Le famiglie  e le scuole trovano sempre  più latitanti le Unità multidisciplinari delle AASSLL a causa dei tagli alla spesa pubblica.
–          che accoglienza ha la nostra pluriennale richiesta della formazione iniziale ed obbligatoria in servizio dei docenti curricolari, in modo da evitare l’attuale delega al solo docente per il sostegno, causa di un crescente contenzioso giudiziario per ottenere un crescente numero di ore di sostegno?
–          che ne è stato dell’abolizione delle Aree disciplinari per il sostegno nelle scuole superiori?
–          che ne è stata della costituzione della nuova classe di concorso per il sostegno?
–          che ne è dell’applicazione dell’Intesa Stato-regioni del 20 marzo 2008 che è stata recepita da alcune Regioni, come Piemonte e Lombardia, ma non sembra stia avvenendo altrettanto dal MIUR?

Queste sono le principali domande che ci vengono rivolte ed alle quali non sappiamo rispondere.

Per questi motivi, chiediamo la convocazione urgente dell’Osservatorio scolastico ministeriale.

Siamo certi che, data la Vostra sensibilità sempre mostrata nei confronti di questi problemi, la richiesta possa essere accolta immediatamente .
Rimaniamo, pertanto, in attesa di conoscere la data proposta e di ricevere quanto prima la convocazione.

Distinti saluti

Il Presidente Nazionale Fish
Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

Pietro Vittorio Barbieri

Il Presidente Nazionale Fand
Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili

Giovanni Pagano

Accoglienza e integrazione degli Alunni stranieri

Nota di sintesi, riflessione e proposte elaborata nel corso  di formazione per l’accoglienza e integrazione degli Alunni stranieri.

Arezzo, maggio 2012

 

Alunni Stranieri: il 37% viene “fermato” alla fine del primo anno di scuola superiore e l’11% abbandona. Che cosa possono fare la scuola e le istituzioni locali?

 

Premessa

Nella presente Nota riportiamo le riflessioni e le proposte emerse dal corso di formazione “Gli alunni stranieri: le criticità nel passaggio dalla scuola secondaria di 1° grado alla scuola secondaria di 2° grado e i miglioramenti possibili”, tenutosi ad Arezzo nell’anno scolastico in corso (2011/12), al quale hanno partecipato docenti referenti e/o funzioni strumentali per gli alunni stranieri e per l’orientamento scolastico appartenenti ai due cicli scolastici.

Il documento è rivolto ai dirigenti scolastici, ai collegi dei docenti e a tutto il  mondo della scuola  affinché la complessità del fenomeno sia presa in carico non solo dai docenti referenti – che costituiscono comunque i punti di riferimento e i coordinatori delle iniziative – ma dalla intera comunità dei docenti, sia per l’aggiornamento-formazione professionale che si rende necessario per tutti, sia per gli interventi che ciascuno è chiamato a realizzare in classe e nelle singole discipline. Il documento è posto all’attenzione delle amministrazioni e delle istituzioni locali e del mondo associazionistico, affinché vi sia una presa di coscienza collettiva su tale problematica e una visione lungimirante nel prospettare le azioni di inclusione e di inte(g)razione

 

Alcune criticità

Nella variegata problematica dell’integrazione e della riuscita scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana, tra i punti di criticità che permangono – nonostante il cammino percorso e i molti passi in avanti compiuti – assume particolare rilievo quello che il “Dossier Statistico Immigrazione 2010” di Caritas/Migrantes ha chiamato “integrazione subalterna”, intendendo con questa espressione l’insieme dei fattori che connotano come particolarmente svantaggiata la frequenza della scuola degli alunni stranieri e in particolare di quelli neo-arrivati.

I dati nazionali che evidenziano questa condizione sono noti da tempo, ciò nonostante essi sono rimasti sostanzialmente immodificati. Il ritardo scolastico che aumenta nel corso degli studi – un alunno straniero che frequenta la terza media, ad esempio, ha un’età più elevata di uno, due o più anni nel 54% dei casi, mentre fra gli italiani è in ritardo alla fine della scuola secondaria di I grado meno del 10% del totale –; la forte canalizzazione delle scelte scolastiche verso l’istruzione professionale (oltre il 40%) e tecnica (il 38%); i tassi di ripetenza  che insieme agli  abbandoni crescono lungo gli anni del percorso scolastico e toccano punte di particolare acutezza negli anni di passaggio e soprattutto nel primo anno delle scuole superiori (Miur, 2011).

Queste cause sono tra loro strettamente collegate e disegnano una sorta di “circolo vizioso”: inserimento penalizzante in ingresso (uno/due anni indietro rispetto all’età anagrafica) che colpisce soprattutto i neo-arrivati; maggiore probabilità di riportare esito negativo soprattutto alla fine del primo anno di ogni ciclo di scolarità; marginalità sociale che diventa anche solitudine relazionale nel tempo extrascolastico; mancanza di adeguate figure di riferimento in grado di aiutare lo studente nello studio/compiti a casa; difficoltà della famiglia ad accompagnare i figli nel momento delle scelte scolastiche (spesso orientate “al ribasso”) e a sostenerne motivazioni e progetto.

I dati sopra menzionati – alto ritardo scolastico, forte canalizzazione nei percorsi di studio professionalizzanti e più brevi, esiti negativi e abbandoni – esprimono con nettezza la condizione di svantaggio degli alunni figli dell’immigrazione, rispetto alla quale la scuola deve riuscire a mobilitare vecchie e nuove energie se vuole operare per rimuovere gli ostacoli, realizzare pari condizioni di partenza, creare le condizioni per il successo scolastico, essere inclusiva ed accogliente. L’obiettivo è alto: partire dal “basso” consente sempre di costruire con gradualità percorsi e strumenti condivisi.

 

Il passaggio alla scuola superiore: un momento delicato per tutti

Tra quelli citati, il dato che richiede maggiore attenzione da parte delle comunità scolastiche, riguarda l’altissimo tasso di ripetenza nel passaggio dalla scuola secondaria di I grado alla secondaria di II grado. Si tratta di un momento “cruciale” nella storia scolastica di ogni studente, nel quale vengono “al pettine” molteplici fattori di criticità.

Alcuni dati riferiti all’a.s. 2010/11, elaborati dalla Sezione Immigrazione dell’Osservatorio Sociale Provinciale in collaborazione con l’Osservatorio scolastico della Provincia di Arezzo, possono aiutarci a capire quanto andiamo dicendo. Nel 1° anno delle scuole superiori il 36,5% degli alunni stranieri iscritti è “fermato”, e un altro 11% si ritira in corso d’anno (questo dato di “abbandono” riguarda interamente gli istituti professionali).  Il passaggio dalla scuola secondaria di I grado alla superiore si rivela “delicatissimo” per tutti gli studenti: per gli alunni stranieri nati in Italia, ovvero le cosiddette “seconde generazioni” in senso stretto che presentano tassi di ripetenza poco inferiori agli alunni stranieri ricongiunti (pari al 35%), ma al contrario di questi ultimi hanno un tasso di abbandono pari allo zero (da qui emerge lo stretto rapporto tra ritardo scolastico e abbandono); e per gli alunni italiani che “bocciano”, nella classe 1^ delle superiori, con una percentuale molto elevata (pari al 16%), la più alta di tutto il ciclo di istruzione secondaria.

È su questo momento di passaggio che abbiamo voluto indagare, utilizzando contemporaneamente, forse per la prima volta, i punti di vista, le esperienze e le conoscenze di docenti diversi per compiti (referenti per gli alunni stranieri e per l’orientamento), appartenenti a scuole del 1° e del 2° ciclo, provenienti da diversi contesti territoriali della nostra provincia.

L’antico e più alto compito della scuola italiana – essere agente della promozione sociale, rimuovere gli ostacoli allo sviluppo delle potenzialità, creare le condizioni per le pari opportunità – che nel passato ha riguardato le differenze interne al nostro Paese, ritorna in forme nuove e si allarga a comprendere le “disparità” e contraddizioni che la rapida evoluzione mondiale trascina con sé. È per questo che abbiamo bisogno di più scuola, più attenzioni concrete alla scuola, più cura delle sue professionalità; e occorre ripeterlo, più risorse in organici, in tempo scolastico, in formazione, in figure professionali collaterali, in servizi; e più collaborazioni interistituzionali e con le risorse del territorio.

 

Come curare i “passaggi”: alcune proposte

Nel nostro percorso abbiamo messo da parte importanti rivendicazioni (che ciascuno potrà rappresentare in altre sedi e nei modi e tempi che riterrà opportuno) e ci siamo concentrati sul “qui” e “ora”, cioè su cosa è possibile fare fin da ora nel quadro della situazione esistente. Siamo partiti da domande semplici ma centrali, relative alle cause del fenomeno, chiedendoci  su quali  di esse sia possibile intervenire e, soprattutto, quali azioni coordinate e cogestite tra ordini di scuole possono essere intraprese sul piano didattico, organizzativo, relazionale e della continuità.

In particolare la discussione-ricerca si è concentrata sulle proposte – strumenti, azioni, iniziative – credibili, incisive ed efficaci, ma anche praticabili, da elaborare e sottoporre all’attenzione delle scuole. Ci siamo chiesti perciò che cosa debba avvenire (in termini di dispositivi, procedure, documentazione) nell’ultimo anno della scuola di I grado; che cosa nel primo anno delle superiori e, soprattutto che cosa si deve costruire nella “terra di mezzo”, nella fase di attraversamento del “confine” tra ordini di scuola, affinché in questa fase intermedia l’alunno non sia lasciato solo, e si eviti l’oscuramento del cammino fatto e della prospettiva di sviluppo tracciata, dei punti di partenza, degli adattamenti compiuti e delle potenzialità su cui si è fatto leva.

La proposta è costruire un “ponte” che, partendo dalla continuità del progetto didattico-educativo, evolva senza cesure e gradualmente nella discontinuità della nuova fase formativa. L’elemento di novità è che il “ponte” sia il frutto di un accordo tra le scuole, realizzato in condivisione e cogestione; che ci sia un momento – la fase iniziale del nuovo anno scolastico – in cui l’alunno fa ingresso nella scuola superiore accompagnato dai suoi docenti (e dunque dalla sua storia, dalle sue caratteristiche, dal suo percorso scolastico) al nuovo Consiglio di classe, che lo accoglie facendosi carico del raccordo sia per gli aspetti socio-relazionali sia per l’organizzazione in termini di gradualità dei nuovi apprendimenti.

La proposta appena enunciata, specificatamente rivolta agli alunni che presentano una situazione di maggiore vulnerabilità/problematicità, può essere così schematizzata.

  • Scuola secondaria di I grado e scuola secondaria di II grado

Nella fase delle iscrizioni alla nuova scuola (da febbraio in poi) gli insegnanti referenti/funzioni strumentali per l’Orientamento scolastico e per gli Alunni stranieri prendono contatti con i lori colleghi della scuola di arrivo, verificano insieme  le possibilità di accoglienza e integrazione, di  prosecuzione e  sviluppo del percorso personalizzato, gettano le basi per i successivi contatti e scambi di informazioni.

  • Scuola secondaria di I grado

Nel terzo anno si compila una scheda di presentazione dell’alunno, del suo percorso scolastico, degli adattamenti previsti e delle potenzialità, che si conclude con la motivazione della promozione ed indicazioni per il raccordo didattico-educativo.

Nell’Allegato 1 presentiamo un modello di scheda condiviso dai docenti dei due ordini di scuola che hanno partecipato al percorso formativo. Una scheda da sperimentare ed eventualmente migliorare per renderla più funzionale agli obiettivi posti. È riferita agli alunni stranieri, ma può essere adattata anche agli alunni autoctoni.

  • Scuola secondaria di I grado e scuola secondaria di II grado

Nei primi giorni dell’anno scolastico, durante la fase di programmazione, i docenti della classe di provenienza, insieme ai docenti referenti degli alunni stranieri e dell’orientamento scolastico incontrano i loro colleghi della scuola di II grado per presentare l’alunno  sulla base della scheda di accompagnamento da essi predisposta.

  • La scuola secondaria di II grado,sulla base del materiale fornito dalla scuola di provenienza e dell’incontro con i suoi docenti elabora una propria scheda di accoglienza e integrazione nella quale stabilisce gli adattamenti del percorso di studio in continuità e sviluppo con quello della scuola di provenienza e ogni altro accorgimento volto a facilitare l’inserimento-accoglienza  nella nuova realtà scolastica e promuovere la riuscita scolastica.

Come azioni di sistema è importante prevedere che:

  • al termine di ogni anno scolastico, e almeno per il primo biennio, la scuola secondaria di II grado comunichi alle scuole secondarie di I grado da cui sono giunti i propri alunni, gli esiti scolastici (e l’eventuale abbandono) dei medesimi, affinché la scuola secondaria di I gradosia informata sull’andamento di tutti gli alunni che ha avuto in terza media, al fine di non perderli di vista e così sviluppare maggiormente una dimensione di autodiagnosi rispetto a ciò che la scuola fa e “produce”;
  • periodicamente i docenti delle scuole secondarie di I e II grado, referenti per gli alunni stranieri e per l’orientamento, si incontrano per scambiarsi i punti di vista, le esperienze e le conoscenze, e per monitorare i passi in avanti compiuti nel percorso di “continuità” qui proposto. Questi incontri potrebbero essere promossi e coordinati dall’UST di Arezzo (ex Provveditorato).

Rileviamo, inoltre, che gli elementi di accompagnamento e di accoglienza presenti in questa proposta – che hanno come segni di novità  la condivisione e cogestione della difficile fase di passaggio – possono costituire indirettamente anche un modo per realizzare sul campo una migliore conoscenza reciproca tra i livelli scolastici, stimolata dalle possibilità di scambi di esperienza, di punti di vista, di compiti e finalità che possono dimostrarsi utili ai fini della costruzione di un sistema scolastico che, pur nelle differenze dei diversi stadi di sviluppo, sia più coeso e unitario in modo che ogni sua parte sia più consapevole e partecipe delle finalità complessive del singolo progetto nel contesto del sistema educativo nazionale.

 

Altre proposte, altre attenzioni

Dal proficuo interrogarsi e dall’impegno di ricerca per i miglioramenti possibili sono emerse altre proposte che riteniamo utili, e  realisticamente percorribili. Esse fanno riferimento, nello specifico, al piano della continuità tra i due livelli di istruzione secondaria, nonché ai piani organizzativo, didattico e relazionale.

– La figura dello studente mentore/tutor. È stata rilanciata la proposta di sperimentare, ed eventualmente “istituzionalizzare”, nelle scuole superiori la figura del “compagno più grande” che aiuta, sostiene, consiglia ed è punto di riferimento per l’alunno straniero o italofono che sia, quando questi è in difficoltà o perche isolato o perché non capisce ancora le “cose” della nuova scuola (comportamenti dei compagni, abitudini e funzionamento della scuola. organizzazione). Quella del “compagno più grande”, il compagno accogliente, è naturalmente un’idea da approfondire e definire meglio,  pensando anche ad una preparazione al compito e a forme di valorizzazione.

Si può prevedere anche, in accordo con la vicina sede universitaria, l’utilizzo di studenti universitari stranieri o di origine straniera, ma anche autoctoni, che accompagnino come tutor e “fratelli maggiori” i minori non italiani, anche per due anni: in terza media aiutando nella preparazione all’esame di terza, e durante il primo anno delle superiori. Così inteso, il tutor si presenta come una figura per la “continuità”.

Scheda di auto-narrazione prodotta dall’alunno. È stata segnalata l’opportunità di utilizzare una scheda di auto-narrazione nella quale l’alunno al 1° anno delle superiori (o, adattandola parzialmente, al 3° anno di scuola media), sulla base di uno schema guida, presenti se stesso, la sua storia scolastica e la sua prospettiva di futuro; una scheda – di cui presentiamo esempio nell’Allegato 2 – che sia di supporto alle scelte di chi la riceve, ma anche di aiuto all’alunno stesso che la produce perché gli permette di avere una migliore conoscenza di sé e una maggiore consapevolezza circa gli impegni e le sfide che lo riguardano.

E inoltre, sono emerse alcune indicazioni/raccomandazioni più generali che fanno riferimento alle tematiche dell’orientamento e dell’aiuto scolastico (dare più scuola a chi ne ha bisogno).

Figure di prossimità. A supportare i passaggi e le scelte scolastiche vi sono anche figure di prossimità come i mediatori linguistico-culturali che possono informare, spiegare, dare voce ad aspettative e desideri altrimenti silenziosi, accompagnare in una fase iniziale. In particolare, l’intervento del mediatore può rivelarsi utile quando vi è uno scarso raccordo/comunicazione con la famiglia.

Opuscoli plurilingui.  Per superare o attenuare il vuoto informativo che possono avere i genitori immigrati e anche i ragazzi stranieri che arrivano in Italia direttamente dai Paesi d’origine, si rende opportuno disporre di uno schema (opuscolo) agile ed essenziale sul sistema di scuola secondaria, con il suo funzionamento e le principali caratteristiche delle diverse scuole secondari di II grado tradotto nelle principali lingue (una guida essenziale di questo tipo è già stata prodotta per le scuole del I ciclo).

Attività di dopo scuola/aiuto allo studio. In collaborazione con i vari soggetti del territorio occorre aumentare il tempo dedicato agli studenti bisognosi anche nel pomeriggio per integrare la conoscenza della lingua italiana con attività varie.

Laboratori linguistici per l’italiano delle discipline. La questione della complessità linguistica dei libri di testo e dell’italiano per studiare nelle superiori è di particolare rilevanza. Occorre rafforzare la lingua per lo studio con azioni didattiche mirate che accompagnino l’alunno in modo sistematico e continuativo per più lunghi periodi, nella consapevolezza che un buon controllo e uso della lingua passano necessariamente per la cura di lessici specifici e di esplicite esercitazioni.

Nel pensare e organizzare questi interventi occorre, da un lato, avere una visione chiara dei fattori di vulnerabilità che non consentono a molti giovani stranieri di progettare il proprio futuro con pari opportunità rispetto ai loro coetanei italiani; dall’altro, occorre riconoscere e valorizzare le risorse e le abilità di cui sono portatori i giovani migranti, i loro genitori e l’associazionismo etnico, affinché ciascuno possa dare, da protagonista, il proprio personale contributo, come attore di cittadinanza attiva e non soltanto beneficiario passivo.

 

L’importanza del “clima” scolastico

Per concludere, un’indicazione di lavoro che deve costituire lo sfondo di ogni contesto scolastico e educativo: il clima scolastico.

Un tempo nuovo è già tra noi, e ci impone di rivedere gli schemi e le coordinate con cui sinora abbiamo pensato ed agito e che  hanno guidato il nostro stare insieme nella scuole e nella società.

Nel documento “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” (Miur, 2007) è contenuta un’importante considerazione: la presenza di alunni stranieri non è il “problema”, ma soltanto la spia di quanto stia cambiando il mondo e di quanto sia importante ed urgente aggiornare la nostra scuola.

L’ultima indicazione, perciò, riguarda l’importanza di lavorare sul “clima” scolastico complessivo. Essa è un’indicazione  “aperta” nel senso che ciascuna scuola, valorizzando le proprie esperienze e potenzialità,  è chiamata a dedicarsi esplicitamente alla cura e allo sviluppo di quegli elementi che favoriscono aggregazione, inclusione e socializzazione.

È a tutti noto quanto lo star bene con sé e con gli altri agisca sulla riuscita scolastica degli studenti ed in particolare di quelli più vulnerabili per la non regolarità del percorso scolastico o per quelle situazioni di solitudine e spaesamento che si producono  quando si passa a nuovi contesti e a più difficili compiti.

Determinante, a questo fine, è che l’impegno per l’accoglienza-inte(g)razione sia tradotto in iniziative e forme organizzative capaci di permettere  a tutti di esprimere le proprie potenzialità aprendo gli spazi e i tempi delle scuole alla partecipazione, alla responsabilità e all’autorganizzazione nella prospettiva dell’intercultura e della cittadinanza attiva. Pensiamo, cioè, a scuole che realizzino l’educazione alla cittadinanza  (legge 168/2009) configurandosi anche come centri di vita culturale e sociale, aperte al nuovo, capaci di creare motivazione e voglia di impegnarsi, scoprire e fare: pensiamo ad attività teatrali, dibattiti, gruppi di studio, incontri con autori e personalità della cultura, giornali di Istituto, forme di volontariato e di solidarietà, gruppi musicali e sportivi, uso di nuove tecnologie e nuovi linguaggi artistici e comunicativi (filmati, cortometraggi, spot…).

È nel “fare insieme” che le persone si avvicinano e si “scoprono” facendo cadere steccati e barriere e  costituendo gli spazi comuni della nuova cittadinanza.

Nuove prospettive di impegno e di lavoro sono indicate in questo documento e  si aggiungono alle tante altre, ne siamo consapevoli. Ma i dati da cui siamo partiti non ci possono lasciare inerti o indifferenti.

Si ringraziano i docenti che hanno partecipato al corso, i quali con la loro esperienza e le loro competenze hanno contribuito alla realizzazione di questo documento

La stesura del testo è stata realizzata da Domenico Sarracino e Lorenzo Luatti.

 

Il Viaggio della Memoria 2013

Il Viaggio della Memoria 2013

(Roma, 16 Gennaio 2013) Torna il Viaggio della Memoria a Cracovia, Auschwitz e Birkenau. L’iniziativa – che si svolgerà tra il 20 e il 21 gennaio, in vista del Giorno della Memoria del 27 gennaio – è organizzata dal Miur e dall’Unione delle comunità ebraiche di Roma (Ucei). Parteciperanno circa 130 studenti delle scuole superiori di tutta Italia che si sono distinti nella realizzazione di attività e progetti dedicati alla memoria della Shoah. Saranno presenti Sami Modiano e le sorelle Tatiana e Andra Bucci, sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz, i ministri Francesco Profumo e Paola Severino, il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna e il presidente della Rai Anna Maria Tarantola.

Accompagnati dalle guide e dagli insegnanti, nel pomeriggio di domenica 20 i ragazzi visiteranno l’ex ghetto di Cracovia e, presso la Sinagoga, incontreranno le autorità presenti. In serata, gli studenti incontreranno le sorelle Bucci, Sami Modiano, il prof. Marcello Pezzetti, il ministro Profumo e le altre personalità che prenderanno parte al viaggio. La mattina seguente i partecipanti si trasferiranno ad Auschwitz-Birkenau dove visiteranno il campo e il museo di Auschwitz 1 e assisteranno alle testimonianze di Sami Modiano e delle sorelle Bucci. In serata è previsto il rientro in Italia.

Il Viaggio della Memoria è parte delle attività formative e dei percorsi educativi che da tempo Miur e Ucei organizzano con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani e tenere viva la memoria della Shoah. Nello specifico, il Protocollo d’Intesa siglato tra Miur e Ucei il 25 gennaio 2012 a seguito della visita dello scorso anno, prevede lo sviluppo del concorso “I giovani ricordano la Shoah”, giunto alla XI edizione e al quale prendono parte ogni anno migliaia di studenti, la diffusione nelle scuole dei progetti educativi e delle mostre itineranti elaborate in collaborazione con l’Ucei, la partecipazione di insegnanti, studenti e genitori ai corsi di formazione organizzati dall’Ucei in materia di “Didattica della Shoah”, la realizzazione e le diffusione di materiali didattici (cartacei, filmati o web) e il sostegno alle attività ad alle iniziative promosse dalla Delegazione italiana dell’International Task Force Cooperation on Holocaust, Rememberance and Research. Tra queste, il seminario residenziale di formazione per docenti in Israele organizzato nell’agosto 2012 dalla DG per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione, d’intesa con l’Istituto di Studi Superiori dello Yad Vashem.

In materia di scambi giovanili è stato poi rivisto ed aggiornato il Memorandum of Understanding relativo agli scambi di studenti tra Italia e Israele. A tal fine la DG per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione del Miur è in contatto con lo “Youth ecxhange council” israeliano per regolare e promuovere gli scambi e i gemellaggi tra le scuole dei due Paesi.

Dall’esperienza vissuta a Cracovia e Auschwitz-Birkenau nascerà “Memoria di un viaggio”, un programma in tre puntate realizzato da Rai Educational, che ripercorrerà e racconterà le riflessioni e le emozioni dei ragazzi coinvolti nell’iniziativa. Il programma, di Stefano Ribaldi per la regia di Giancarlo Russo e Giancarlo Ronchi, è una produzione di Rai Educational, diretta da Silvia Calandrelli, e andrà in onda il 25, 26, 27 gennaio alle ore 18 su Rai Scuola, disponibile su Digitale Terrestre, Tivù Sat e piattaforma satellitare.

Concorsone scuola, prove scritte: 4 quesiti in due ore e mezza. Si valuterà anche l’originalità dell’elaborato

da Il Sole 24 Ore

Concorsone scuola, prove scritte: 4 quesiti in due ore e mezza.
Si valuterà anche l’originalità dell’elaborato

di Claudio Tucci

Si valuterà anche «l’originalità» negli scritti. È una delle indicazioni fornite dal ministero dell’Istruzione che poco fa ha diramato un avviso con le ultime istruzioni per lo svolgimento delle prove scritte che cominceranno l’11 febbraio, andranno avanti fino al 21 dello stesso mese e saranno affrontate dagli 88.610 candidati che hanno superato la preselezione di dicembre scorso.

Precettate 500 scuole
Il numero degli edifici scolastici preventivamente individuati sulla base del numero dei concorrenti, per lo svolgimento della prova, si aggira tra 300 e 500. Il 25 gennaio sarà comunque pubblicato l’elenco effettivo per ciascuna regione, delle scuole che saranno individuate dai direttori degli Uffici scolastici regionali, previo assenso del rispettivo dirigente scolastico, secondo criteri di rotazione per evitare di far subire agli studenti un numero eccessivo di giorni di sospensione delle lezioni.

Le prove scritte
Le prove consisteranno in quesiti a risposta aperta (4 o 3) e verteranno sui programmi disciplinari e sui contenuti trasversali indicati nel bando «al fine di accertare il possesso dei requisiti culturali e professionali». A ciascun candidato sarà dato, subito dopo le operazioni di identificazione, un foglio di 4 facciate prestampate, ognuna per ciascun quesito. Saranno messi a disposizione anche fogli bianchi per eventuali brutte copie che però non dovranno essere inseriti nel plico da consegnare altermine della prova.

Criteri di valutazione
Ogni commissione disporrà, per la valutazione della prova scritta, di criteri definiti a livello nazionale quali “pertinenza”, “correttezza linguistica”, “completezza”, e come detto, “l’originalità”. Eventualmente potranno essere utilizzati anche criteri specifici, differenziati per le diverse aree disciplinari. Ogni commissione inoltre potrà integrare o modificare i criteri proposti in sede nazionale, giustificando le ragioni dei cambiamenti apportati. A ogni quesito verrà attribuito un punteggio da zero a dieci. Le prove composte da quattro quesiti potranno quindi arrivare a una votazione massima pari a quaranta, quelle composte da tre quesiti a trenta. Superano lo “scritto” coloro che ottengono una votazione minima pari a 28/40 (4 quesiti) e a 21/30 (3 quesiti). Per le prove con quattro quesiti il candidato ha a disposizione due ore e trenta minuti, per quelle con tre quesiti due ore.

Per tutte le prove sarà consentito l’uso del dizionario della lingua italiana al quale si potranno aggiungere, secondo le classi di concorso, codici e testi di legge non commentati e non annotati, riga, squadra, gomma, matita, compasso, dizionario monolingue non enciclopedico, dizionario bilingue italiano/latino o latino/greco. Non sarà ammesso l’uso di calcolatrici di qualsiasi tipo, fatto salvo l’uso della calcolatrice scientifica in alcune classi di concorso.

Tagli alla scuola per 3,5 miliardi ma aumentano i prof di Religione

da la Repubblica

Tagli alla scuola per 3,5 miliardi ma aumentano i prof di Religione

di Salvo Intravaia

MENTRE la scuola pubblica subisce un taglio di 3,5 miliardi in quattro anni, gli insegnanti di Religione aumentano. Il tutto in barba al calo degli alunni che si avvalgono dell’ora di Religione e della riduzione del numero delle classi, che ha consentito un taglio di oltre 90 mila cattedre in appena quattro anni. I numeri sugli insegnanti di Religione, in Italia, rappresentano quasi un mistero perché è piuttosto difficile spiegare per quale ragione la consistenza dei docenti che a scuola curano la fede, e non solo, sia in continuo incremento. Del resto, la fonte più autorevole in fatto di dati – il ministero dell’Istruzione – da qualche tempo ha smesso di fornire qualsiasi informazione sugli insegnanti di Religione.

Di pari passo, nei quattro anni presi in considerazione (dal 2007/2008 al 2011/2012), anche la spesa per pagare i docenti di Religione è lievitata non poco, ma anche in questo ambito i dati sono parziali. Il tutto, nonostante la politica di rigore che ha interessato la scuola negli ultimi tempi. Per carpirci qualcosa è utile partire dalla recente pubblicazione della Cei (la Conferenza episcopale italiana) sull’ora di Religione. Nell’anno scolastico 2011/2012, il Servizio nazionale della Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica ha censito 23.779 docenti specialisti di Religione. Ma il dato è parziale perché si riferisce a 203 delle 223 diocesi operanti a livello nazionale: il 91 per cento.

Quattro anni prima – nel 2007/2008 – lo stesso ufficio della Cei “certificava” – sempre su 203 diocesi – appena 19.912 maestri e prof di religione. In buona sostanza, in un quadriennio la loro percentuale è cresciuta del 19,4 per cento. Ma si tratta comunque di un dato parziale. Nel 2007/2008, viale Trastevere certificava ben 25mila 633 insegnanti di Religione. Una parte dei quali aveva una cattedra completa: 18 ore settimanali alla media e al superiore, 24 ore settimanali alla primaria e 25 nella scuola dell’infanzia. Per una spesa attorno ai 680 milioni di euro. E nello stesso anno, per il solo personale di ruolo – 14.177 docenti – la Corte calcolava una spesa pari a 435,8 milioni di euro.

Nel frattempo sulla scuola si è abbattuto il ciclone Gelmini e, nonostante il numero degli alunni sia cresciuto dell’1 per cento – quasi 75mila unità – nelle scuole del Belpaese abbiamo 12mila classi in meno. Ed ecco il primo mistero: com’è possibile che le classi diminuiscono e gli insegnanti di religione aumentano? Questi ultimi, come i docenti delle altre discipline, dipendono proprio dal numero delle classi, dove l’impegno settimanale è di un’ora alla media e alla superiore, due ore settimanali all’elementare e 50 ore annue alla materna. Se le classi sono in effetti diminuite, si sarebbe dovuto contrarre quindi anche il numero di insegnanti di Religione. Ma così non è stato.

Il fatto è che una parte dei docenti di Religione insegna per un numero inferiore all’orario di cattedra e percepisce uno stipendio in relazione al numero di ore settimanali svolte. Ma in questo modo il numero degli insegnanti lievita. Su una cattedra di 18 ore alle superiori, a titolo di esempio, si possono sistemare due insegnanti con 9 ore ciascuno o un solo docente con cattedra completa. Sono i vescovi che, sulla quota di cattedre a tempo determinato – circa il 45 per cento del totale – stabiliscono quanti insegnanti collocare. Ma a pagare è lo Stato. Il fatto è che in questa maniera anche la spesa lievita perché in generale due docenti sulla stessa cattedra costano di più di un solo docente. E con due docenti sulla stessa cattedra, anziché uno solo, anche il gettito fiscale cala.

In effetti, stando ai dati forniti dalla Cei, nella scuola dell’infanzia e alla primaria in quattro anni le cattedre “spezzate” si sono incrementate, a scapito di quelle complete. Stesso discorso alla media ma alle superiori, dove però in quattro anni si è verificato il calo delle classi più consistente – oltre 6mila in meno – il calo delle cattedre è di appena mezzo punto percentuale. Com’è possibile? E’ forse stato un escamotage dei vescovi per evitare di licenziare i supplenti, cosa che è avvenuta per tutte le altre discipline, a seguito del calo delle classi? Ma i “misteri” non finiscono qui. Nel 2010, la Corte dei conti certificava 13.660 insegnanti di religione a tempo indeterminato per una spesa complessiva di 466 milioni.

In due anni, dal 2008 al 2010, il numero di docenti di Religione è calato del 3,5 per cento mentre la spesa è cresciuta di oltre 30 milioni: più 7 per cento. Com’è possibile? In base ai numero della Cei, oggi, i docenti di religione potrebbero avere superato le 28 mila unità per una spesa complessiva che si aggira attorno ai 720 milioni di euro annui. Un dato che si interseca con il calo continuo e inarrestabile degli alunni che non si avvalgono: che durante l’ora di Religione preferiscono uscire dall’aula. L’ultimo dato fornito dalla Cei è prossimo all’11 per cento: il 10,7 per l’esattezza. In appena 4 anni il loro numero è cresciuto di ben 147mila unità.

Tfa speciali subito: Profumo ci crede ancora

da Tecnica della Scuola

Tfa speciali subito: Profumo ci crede ancora
di A.G.
Il Ministro proverà sino all’ultimo a far partire a breve i corsi abilitanti per il personale precario. Deve però fare i conti con difficoltà oggettive e un iter burocratico che cammina troppo piano. Mentre il suo tempo a disposizione sta per scadere.
I problemi per l’avvio immediato dei Tfa speciali sono tanti. Eppure il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, non demorde e si impegnerà sino all’ultimo giorno del suo mandato perché vengano attivati subito. La volontà del responsabile del Miur è stata ribadita a seguito delle tante reazioni che si sono avute alla notizia delle difficoltà oggettive che rendono molto difficile l’avvio immediato dei corsi abilitanti. Profumo ha ribadito ai suoi collaboratori che occorrerà fare del tutto perchè si attivino ed i partecipanti possano, quindi, partecipare al prossimo concorso a cattedra.
Le intenzioni del Ministro devono però fare i conti con una realtà davvero in salita: oltre alla impreparazione delle università ad organizzare in breve tempo centinaia di corsi rivolti agli aspiranti docenti da abilitare, l’avvio dei Tfa riservati al personale precario è legato a doppio filo allo svolgimento di un iter ancora lontano dal traguardo. Sul testo che modifica il D.M. 249/10, alcuni organismi, infatti, si devono ancora esprimere: ad iniziare dal Consiglio di Stato, il cui sostanziale assenso non è ad oggi formalizzato. Subito dopo il via libera del CdS sarà la volta delle commissioni parlamentari di competenza. E qui sta il punto: a pochi giorni dal “rompete le righe”, prima della tornata elettorale di fine febbraio, i parlamentari di Montecitorio e Palazzo Madama avranno tre le loro priorità la volontà di approvare dei corsi rivolti ai docenti precari della scuola?
In caso contrario, se la “palla” dovesse passare al nuovo Parlamento, allora l’ipotesi di vedere avviati i Tfa speciali non prima del nuovo anno accademico, quindi nel prossimo autunno, sarebbe pressoché scontata.

Il report dello Snals-Confsal sull’incontro di ieri al Miur

da Tecnica della Scuola

Il report dello Snals-Confsal sull’incontro di ieri al Miur
Insegnamento di discipline non linguistiche in lingua straniera secondo la metodologia clil nei licei linguistici, tfa “riservato”, ipotesi di definizione di nuove classi di concorso, pensioni, dimensionamento. Nel report anche le regole per gli scritti al corso
INSEGNAMENTO DI DISCIPLINE NON LINGUISTICHE IN LINGUA STRANIERA SECONDO LA METODOLOGIA CLIL NEI LICEI LINGUISTICI
L’Amministrazione ha illustrato alle OO.SS. una bozza di nota avente per oggetto: “Insegnamento di discipline non linguistiche (Dnl) in lingua straniera secondo la metodologia CLIL nei licei linguistici – Norme transitorie”.
Provvediamo ad inserire tale nota in area riservata, per stretto uso interno, significandovi che la stessa dovrebbe essere emanata ufficialmente dal MIUR presumibilmente in tempi brevi, dopo aver apportato alcune modifiche in considerazione delle osservazioni e delle proposte formulate nella riunione di ieri sera dalle OO.SS..
La nota, preliminarmente, formula un quadro normativo dell’insegnamento nei licei linguistici di discipline non linguistiche in lingua straniera, secondo la metodologia CLIL, previsto già a partire dal terzo e quarto anno del corso di studi, ai sensi dell’art. 6, c. 2, del Regolamento n. 89/2010 (emanato con DPR).
In particolare, la nota si richiama, ai fini dei requisiti per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera, sia al decreto direttoriale n. 6 del 16 aprile 2012 che ha definito gli aspetti caratterizzanti dei corsi di perfezionamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera con metodologia CLIL, per i licei e per gli istituti tecnici, sia al DM del 7 marzo 2012, relativo al riconoscimento della validità delle certificazioni delle competenze linguistico-comunicative in lingua straniera. Ricorda, altresì, i titoli richiesti per accedere ai corsi e si richiama ai contenuti della nota 2934/2012, riguardante in maniera specifica i licei linguistici; formula, inoltre, una sintesi delle competenze richieste al docente CLIL.
Nella seconda parte della bozza di nota, relativa a “modalità di attuazione di una disciplina non linguistica in lingua straniera”, la nota fornisce alcuni suggerimenti per un avvio della metodologia CLIL nei licei linguistici, prevedendo l’attivazione in classe terza di un massimo del 50% del monte ore della disciplina in lingua straniera, per far sì che gli studenti siano dotati di una padronanza del linguaggio tecnico specialistico della disciplina anche in lingua italiana. Inoltre, la bozza individua in maniera abbastanza dettagliata i ruoli delle varie componenti del sistema scolastico in relazione all’insegnamento della disciplina non linguistica in lingua straniera; in particolare, individua, il ruolo del dirigente scolastico, quello delle reti di scuole, del collegio dei docenti, dei dipartimenti del consiglio di classe, del docente di lingua straniera, del conversatore di lingua straniera e dell’eventuale assistente linguistico. Affida agli Uffici Scolastici Regionali il compito di promuovere la costituzione e l’incremento delle reti di scuole per lo sviluppo dell’insegnamento secondo la metodologia CLIL; preannuncia, inoltre, la costituzione di una rete nazionale dei licei linguistici per attività di supporto e diffusione della metodologia CLIL.
L’Amministrazione, nella sua illustrazione, ha evidenziato che la bozza di nota scaturisce dalle risultanze di un convegno nazionale tenutosi a Roma presso il Miur nello scorso mese di dicembre, e, in particolare, dai suggerimenti pervenuti dai rappresentanti dei licei linguistici partecipanti a tale convegno.
TFA “RISERVATO”
E’ stato comunicato che il Consiglio di Stato ha formulato il parere sul provvedimento, sostanzialmente favorevole. Non appena perverrà formalmente, il tutto sarà inviato alle Commissioni Parlamentari per il previsto parere (N.B.: le Commissioni funzionano anche in questa fase politica). L’amministrazione ha espresso la speranza di riuscire ad emanare il provvedimento formale prima dell’insediamento del nuovo Governo.

IPOTESI DI DEFINIZIONE DI NUOVE CLASSI DI CONCORSO
L’amministrazione, alla luce delle osservazioni di merito e di metodo sull’impianto presentato, formulate dalla nostra delegazione e condivise sostanzialmente anche dalle altre sigle sindacali, ha manifestato la disponibilità a non ipotizzare alcun intervento in relazione alla definizione dell’organico del prossimo anno scolastico che, quindi, dovrebbe continuare ad utilizzare gli attuali meccanismi, in primis le atipicità previste, e già attuati per il corrente anno scolastico.
Ha, altresì, manifestato la volontà di limitare il futuro intervento a una ridefinizione delle attuali classi di concorso senza intervenire né sulle graduatorie ad esaurimento né su quelle d’istituto in relazione alla sussistenza della terza fascia dei non abilitati.
L’avvio di un esame di un possibile nuovo impianto di revisione e accorpamento avverrà con un prossimo incontro programmato per giovedì 17 c.m.

PRESENTAZIONE DOMANDE ON-LINE PER IL COLLOCAMENTO IN QUIESCENZA
Nel corso dell’incontro, in risposta alle segnalazioni di disfunzioni del sistema relativo alla presentazione delle domande formulate dalla nostra e da altre delegazioni., l’amministrazione ha manifestato la disponibilità per un possibile rinvio di una diecina di giorni del termine ultimo di scadenza.

DIMENSIONAMENTO DELLA RETE SCOLASTICA
L’amministrazione ha comunicato che il MEF ha negato il concerto all’ipotesi di accordo Stato/Regioni che prevedeva l’attribuzione ad ogni regione di un numero predeterminato di dirigenze scolastiche basato sul parametro di 900 allievi, seppure con alcuni correttivi.
Questo fatto comporta uno scenario difficile e pericoloso in quanto, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, le regioni, senza l’accordo, sono vincolate solo ai parametri 400 e 600 senza alcun ulteriore vincolo. Da questo deriva un possibile splafonamento delle dirigenze scolastiche e dei DSGA rispetto agli 8700 derivanti dall’accordo con la prevedibile conseguenza dell’applicazione della “clausola di salvaguardia”, con ulteriori possibili tagli.
L’amministrazione ha manifestato l’impegno a continuare ad operare per scongiurare tale rischio, operando in sinergia con le regioni, anche perché, qualora le stesse operassero un dimensionamento sui numeri minimi attuali, potrebbero vedersi a brevissimo tempo chiamate a rifare nuovi piani in base a parametri numerici, della cui sussistenza la Corte Costituzionale ha riconosciuto la validità, ancora più restrittivi e penalizzanti

Manca l’intesa tra Miur e Conferenza delle Regioni sul dimensionamento

da Tecnica della Scuola

Manca l’intesa tra Miur e Conferenza delle Regioni sul dimensionamento
Per la Flc-Cgil le conseguenze della mancata intesa per le scuole e per il personale sarebbero gravi perché farebbe rimanere in vigore la norma dell’art. 19 della legge n.111/2011 come modificata dalla legge 183/2011
Sempre nella giornata di ieri, durante l’incontro tra MIUR e organizzazioni sindacali, sulla delicata questione del dimensionamento della rete scolastica 2013/2014 i rappresentanti del MIUR hanno ribadito quanto contenuto nella nota del 28 dicembre 2012 ovvero che, “in assenza di intesa formale in sede di Conferenza Sato-Regioni ed Enti Locali per il prossimo anno scolastico, viene data indicazione agli uffici competenti di adottare un parametro medio di 900 alunni per istituto per la predisposizione del nuovo piano di dimensionamento.”
Tale parametro tuttavia, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.147/2012 e in assenza di intesa formale con la Conferenza, ha valore indicativo per cui ogni regione potrà valutare come meglio tenerne conto.
Il fatto più importante però della mancata stipula dell’intesa consentirebbe di fare rimane comunque in vigore la norma (comma 5 dell’art. 19 della legge n.111/2011 come modificata dalla legge 183/2011) che prevede la non assegnazione del dirigente scolastico e del DSGA titolare nei casi in cui la scuola non raggiunga i 600 alunni o i 400 in casi particolari.
Infine non si esclude il rischio che sul provvedimento che dovrà tradurre sul piano normativo la soluzione sopra richiamata il Mef possa esprimere rilievi negativi determinando l’applicazione della clausola di salvaguardia che potrebbe comportare un ulteriore riduzione dell’organico di dirigenti scolastici e DSGA.
In assenza di norme chiare e condivise, anche per il prossimo anno, sottolinea la Flc-Cgil, c’è il rischio di implementare soluzioni caotiche, contrastanti tra regione e regione, molto discutibili sul piano qualitativo oltre che giuridico e pertanto esposte a ricorsi volti ad annullarne gli effetti. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, mentre Stato e Regioni si contrastano sul piano istituzionale senza raggiungere un accordo, contemporaneamente le famiglie sono chiamate a iscrivere a scuola i propri figli senza sapere quale sarà la configurazione della rete scolastica per il prossimo anno scolastico.

Il martedì grasso condizionerà il concorsone?

da Tecnica della Scuola

Il martedì grasso condizionerà il concorsone?
di Aldo Domenico Ficara
Le prove scritte del concorso a cattedra inizieranno l’11 febbraio con Infanzia nella sessione del mattino e A017 di pomeriggio per concludersi con Inglese il 21 dello stesso mese. Si precetteranno i docenti?
Per garantire con una corretta sorveglianza lo svolgimento delle prove scritte relative al concorso a cattedra nei giorni 11, 12 e 13 febbraio, si potrebbero verificare azioni di precettazione di alcuni docenti, con particolare riguardo a tutte quelle regioni in cui le prove concorsuali dovessero coincidere con la sospensione delle lezioni per le festività di Carnevale comprensive del mercoledì dedicato al giorno delle Ceneri.
Da Roma si pone il vincolo temporale che le prove scritte siano concluse prima della tornata elettorale prevista il 24 e 25 febbraio. Quindi il rischio di precettare i docenti è reale, tanto che il presidente dell’ASAPI, associazione delle scuole autonome del Piemonte dice: “I docenti sarebbero a disposizione anche a Natale, ma tutti sanno che è una faccenda complicata far rientrare qualcuno”.
Al contrario i COBAS che avevano già preso sulla questione sorveglianza concorsuale una posizione netta in occasione della prova preselettiva, potrebbero nuovamente diffidare i dirigenti scolastici dall’obbligare i docenti alla sorveglianza delle prove scritte del concorso a cattedra.

Concorso docenti: istruzioni per le prove scritte

da Tecnica della Scuola

Concorso docenti: istruzioni per le prove scritte
di L.L.
Con avviso del 15 gennaio 2013 il Miur ha fornito indicazioni relative allo svolgimento delle prove scritte del concorso docenti che si svolgeranno dall’11 al 21 febbraio prossimi. Dal 25 gennaio sarà disponibile l’elenco delle sedi. E’ già possibile visualizzare il risultato del test preselettivo
Con avviso del 15 gennaio 2013 il Miur ha fornito indicazioni relative allo svolgimento delle prove scritte del concorso docenti che si svolgeranno dall’11 al 21 febbraio prossimi.
Per accertare il possesso dei requisiti culturali e professionali del candidato, le prove consisteranno in quesiti a risposta aperta (4 o 3) e verteranno sui programmi disciplinari allegati al bando e sui contenuti trasversali indicati nelle Avvertenze generali. Subito dopo le operazioni di identificazione ai candidati sarà dato un foglio di 4 facciate prestampate, ognuna per ciascun quesito. Saranno messi a disposizione del candidato fogli bianchi per eventuali brutte copie che però dovranno essere tenuti distinti dal foglio della prova e non inseriti nel plico da consegnare al termine della prova stessa.
I candidati avranno due ore e trenta minuti a disposizione per le prove composte da quattro quesiti e due ore per le prove composte da tre quesiti.
La valutazione avverrà attraverso una griglia di valutazione con criteri definiti a livello nazionale quali “pertinenza”, “correttezza linguistica”, “completezza” e “originalità”, ed eventualmente di criteri specifici, differenziati per le diverse aree disciplinari. Sarà inoltre possibile per ogni commissione integrare o modificare i criteri proposti in sede nazionale, giustificando le ragioni dei cambiamenti apportati.
Ad ogni quesito verrà attribuito un punteggio intero da zero a dieci. La votazione complessiva della prova sarà data dalla somma delle votazioni attribuite a ciascun quesito (40 per i 4 quesiti, 30 per i 3).
Superano la prova scritta i candidati che ottengono una votazione minima pari a 28/40, nel caso di prove da quattro quesiti, e a 21/30, nel caso di prove composte da tre quesiti.
Durante le prove, sarà possibili utilizzare un dizionario della lingua italiana.
Per la prova della classe di concorso A019 sarà consentito l’uso di codici e testi di legge non commentati e non annotati. Per le prove delle cassi di concorso A017, A020, A033, A034, A038, A047, A059, A060, C430 sarà consentito l’uso di riga, squadra, gomma, matita, compasso. Per le prove delle classi di concorso A245, A246, A345, A346, e per la prova scritta per la scuola primaria, sarà consentito l’uso del dizionario monolingue non enciclopedico. Per la prova della classe di concorso A051, sarà consentito l’uso del dizionario bilingue italiano/latino. Per la prova della classe di concorso A052, sarà consentito l’uso del dizionario bilingue italiano/greco.
Non sarà ammesso l’uso di calcolatrici di qualsiasi tipo, fatto salvo l’uso della calcolatrice scientifica nelle classi di concorso previste nell’Allegato 3 del bando.
I candidati dovranno consegnare ai docenti incaricati della vigilanza, a pena di esclusione, ogni tipo di telefono cellulare, smartphone, tablet, notebook, anche se disattivati, e qualsiasi altro strumento idoneo alla conservazione e/o trasmissione di dati.
Il 25 gennaio sarà pubblicato l’elenco effettivo per ciascuna regione delle scuole che saranno individuate quali sedi delle prove.

Gli ammessi regione per regione

Pensioni, si va verso una proroga di 10 giorni per presentare le domande

da Tecnica della Scuola

Pensioni, si va verso una proroga di 10 giorni per presentare le domande
La richiesta è stata fatta dai sindacati nel corso dell’incontro del 14 gennaio coi dirigenti del Miur, a seguito delle disfunzioni del sistema on line: l’amministrazione si è detta d’accordo sullo slittamento. Si è parlato anche di Clil e Dimensionamento.
Si va verso uno slittamento dei termini per presentare la domanda di pensionamento. La decisione, ancora però ufficiosa, è stata presa nel corso dell’incontro tra i dirigenti dell’amministrazione scolastica e sindacati, tenuto a viale Trastevere. Tutti si sono detti d’accordo su un fatto: nei primi giorni di operatività, la piattaforma predisposta dal Ministero non ha funzionato adeguatamente. Così, lo stesso direttore generale, Luciano Chiappetta, non ha potuto fare altro che accettare la richiesta di slittamento di dieci giorni per ovviare ai problemi del sistema informatico.
Capitolo Clil per i licei linguistici: l’amministrazione ha predisposto una circolare che sarà emanata nel corso del 15 gennio, all’interno della quale si affronteranno i problemi relativi all’introduzione della seconda disciplina non linguistica in altra lingua straniera. Nella circolare si fa riferimento ad un 50% delle ore curricolari dedicate la Clil per la seconda lingua a partire dalla classe quarta. Su tale questione ci sono diverse interpretazioni. Si propone di definire la quota come indirizzo derogabile da parte delle singole istituzioni scolastiche che possono incrementare la quota prevista riconoscendo al collegio dei docenti centralità nell’ambito decisionale.
La riunione è servita anche per fare il punto sul dimensionamento: il Mef non ha approvato l’accordo con le Regioni-Stato finalizzato a modificare l’organico della dirigenza scolastica. In questa situazione il compromesso è dare la scelta delle regioni mantenendo il numero definito da un divisore nazionale. E’ il Mef che impone di applicare i risultati dei tagli già effettuati facendoli diventare strutturai e obbligando una revisione del testo del decreto.
Le regioni autonomamente si sono organizzate per stabilire che, in ottemperanza delle sentenze della Corte Costituzionale, tutti i comprensivi siano determinati con criteri scelti dalla regione per poi procedere a compensazioni in particolare nel settore della secondaria di secondo grado.

Proclamazione Sciopero 2 febbraio 2013 Comparto Scuola

Proclamazione Sciopero 2 febbraio 2013 Comparto Scuola (Prot. 1024/PP, 16 gennaio 2013)

Sciopero nazionale di tutto il personale a tempo indeterminato, determinato e atipico/precario, per l’intera giornata del 2 febbraio 2013 – sono esentate le zone colpite da calamità naturali o con consultazioni elettorali: proclamazione