Richiesta chiarimenti sulla fascia aggiuntiva delle Gae

Anief chiede al Miur chiarimenti sulla fascia aggiuntiva delle Gae

In corso le procedure per la notifica dei ricorsi. Pronto anche un emendamento nel caso in cui, al successivo aggiornamento, non sia stato previsto l’inserimento in III fascia dei docenti aventi diritto.

In questi giorni, Anief ha chiesto in sede amministrativa al Miur dei chiarimenti sul prossimo aggiornamento – previsto nel 2014 – delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo e sulla relativa fascia aggiuntiva di cui al D.M n. 53 del 14 giugno 2012, proprio mentre in questi giorni sono in corso le procedure per la notifica dei ricorsi.

Anief, unitamente al Coordinamento Nazionale docenti Abilitati e Abilitandi ai corsi di Scienze della Formazione Primaria, chiede che venga esplicitata con apposita nota ministeriale quale sarà la posizione dei docenti inseriti nella fascia aggiuntiva delle Gae. Ovvero, se all’atto dell’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento questi docenti potranno inserirsi “a pettine” a decorrere dall’anno 2014-2015 nella terza fascia delle Gae, ai fini della stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato e indeterminato, oppure se permarranno nella relativa fascia aggiuntiva, che di fatto è una coda alla terza fascia, per cui già ritenuta anticostituzionale da precedenti sentenze.

Mentre in Parlamento le Commissioni Permanenti non si sono ancora insediate, in sede legislativa, Anief ha già pronta la propria proposta emendativa che prevede alcune modifiche e integrazioni all’articolo 14, comma 2-ter della Legge n.14 del 24 febbraio 2012, conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative.

Anief infatti, evidenzia alcuni refusi di non poco conto che andrebbero apportati nel testo della Legge in oggetto:

–      Innanzitutto, occorre specificare la validità temporanea della fascia aggiuntiva e la sua prossima conversione in pettine nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento all’atto di aggiornamento delle medesime, a partire dal successivo triennio di validità  previsto nel 2014.

–      Ad ogni modo, appare fondamentale includere gli abilitandi iscritti al corso quadriennale di Laurea in Scienze della Formazione Primaria che attualmente stanno terminando gli studi, in ottemperanza a quanto espresso nella volontà del Legislatore, ma non attuato nel D.M. 53/12.

L’emendamento chiede che possano chiedere l’iscrizione con riserva nella fascia aggiuntiva delle graduatorie ad esaurimento, coloro che si sono iscritti negli anni 2008-09, 09-10, 10-11 al corso di laurea in scienze della formazione primaria ma che non hanno ancora conseguito l’abilitazione o che l’hanno conseguita in data successiva all’aggiornamento straordinario del 2012.

Con apposito decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca saranno fissati i termini per l’inserimento nelle predette graduatorie e per lo scioglimento della riserva a decorrere dall’anno scolastico 2012/2013.

Anche tali docenti dovranno essere inseriti “a pettine” nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento a partire dal successivo triennio di validità delle graduatorie medesime, ai fini della stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato e indeterminato.

 

Sul Referendum comunale

Sul Referendum comunale

E’ vero, noi siamo i  marziani,
siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare rotta.

Delle ultime esternazioni sul referendum del sindaco di Bologna Virginio Merola colpisce non poco il fatto che ancora una volta non venga presa in considerazione la sua  responsabilità, in quanto  sindaco, di garante della corretta consultazione della cittadinanza bolognese.
La sua discesa in campo militante per l’opzione B  si affianca al palese e crescente fastidio per una consultazione che pretende addirittura di coinvolgere la cittadinanza in una discussione collettiva sul senso e sull’efficacia  del modello del sistema integrato di gestione della scuola materna.
Nessuno può disturbare il manovratore insomma, e i politici, anziché fare un passo indietro e porsi in ascolto di ciò che si muove nella società, scelgono prima di portare discredito sul referendum stesso, poi  di anticipare l’intenzione di non dare comunque alcun seguito alle richieste di rivedere le convenzioni con le scuole private.
Le reazioni sembrano sempre più scomposte per un primo cittadino: “Chi vuole votare lo faccia ma il programma di mandato non si tocca; “il sistema integrato è la cosa giusta per Bologna”, “se un giorno in città ci sarà una scuola musulmana, sarà interesse del Comune  che firmi la convenzione se vuole farlo, proprio per
garantire la qualità educativa”. “Nel referendum consultivo si parla genericamente di scuola pubblica mentre qui stiamo parlando di scuola dell’infanzia, che è un’altra cosa”.
Il Comune ha il compito di finanziare e “controllare la qualità” delle scuole private mentre non ha quello di garantire il massimo sforzo per offrire una scuola pubblica.
E la scuola dell’infanzia per il sindaco non è  una scuola come le altre, ma chissà perché, verrebbe da dire, essa è la prima ad essere nominata nella normativa nazionale sugli ordinamenti scolastici che ne definisce  – a differenza dei nidi – finalità, modalità di accesso e attività educative.
Se c’è un effetto positivo della discesa in campo del sindaco è la progressiva chiarezza con cui emerge pubblicamente sia la sua idea di scuola che la sua idea di politica.
Ovviamente il referendum, come la scuola, è letto solo e unicamente come spesa, perché non cancellarlo dunque dallo statuto comunale?
In realtà il problema dell’appuntamento del prossimo 26 maggio dovrebbe essere quello di fornire il massimo di opportunità di partecipazione, ma la richiesta presentata al Comune dal Comitato promotore referendario di ampliare il numero delle sedi di voto concesse (64) e dei seggi (199), inadeguato ad accogliere un voto potenziale di 300.000 persone, non è stata al momento accolta.
Il sindaco rende bene l’idea di quella classe politica che non riesce a proporre altro che se stessa e la propria impermeabile e immutabile gestione delle scelte politiche in città. Sarebbe forse giunto il tempo di pensare a una democrazia che non inizi e finisca il giorno delle elezioni, sarebbe ora di pensare che chi ha ricevuto il mandato di sindaco di una città dovrebbe avere  come primo obiettivo l’ascolto dei bisogni della popolazione e la partecipazione collettiva al dibattito sulla cosa pubblica. La domanda del referendum è alta, come si conviene a questo strumento di consultazione, essa invita alla discussione  sulla questione del bene pubblico, in questo caso la Scuola.
In futuro il finanziamento ai privati potrà purtroppo solo aumentare, è il sistema di disinvestimento dalla gestione diretta che produce questo effetto insieme al continuo immiserimento delle risorse destinate alla scuola pubblica. Arriveremo al punto di ridurre la qualità delle scuole pubbliche in modo tale da  far emergere quella delle private, come avviene nei paesi in cui la scuola di qualità c’è solo per chi se la può comprare.
Vorremmo essere liberi di fare un  bilancio del sistema integrato dopo quasi due decenni di attuazione, di affermare che la qualità della scuola in questo periodo è costantemente diminuita così come le risorse in essa investite, che la realpolitik del finanziamento “perché si spende meno” è la politica di ogni logica di subappalto che ha attraversato le scuole così come gli altri servizi pubblici con effetti nefasti sul piano della qualità.
Vorremmo essere liberi di dire che i bambini non possono essere costretti ad iscriversi in una scuola privata per mancanza di posti pubblici così come è successo e succederà sempre più.
Vorremmo portare avanti tutti insieme la richiesta di aumentare il numero di scuole dell’infanzia statali a Bologna;  il referendum, così come il respiro nazionale che esso sta assumendo, sono la strada per porre il problema nella sua giusta dimensione.
Vorremmo essere liberi di dire che siamo stanchi delle chiacchiere sul controllo di qualità che il Comune continuerebbe ad esercitare dall’esterno.

Vorremmo poter dire che c’è stata anche una storia diversa di Bologna, cancellata in questi anni dal pensiero unico privatizzante, quando la gestione diretta delle farmacie, delle mense, delle pulizie non era considerata un fardello e una spesa.
Vorremmo riaffermare l’idea che la scuola di tutti si fa con i soldi di tutti, messi insieme per costruire qualcosa di comune e solidale, aperto e fruibile da tutti, in cui sia rispettata la libertà di insegnamento e con essa il pluralismoe che nessuna scuola priva di queste caratteristiche può usufruire dei soldi delle tasse, anche se un alunno che la frequenta costituisce una spesa in meno per le finanze pubbliche.
Vorremmo poter essere liberi di affermare che una scuola pubblica plurale e soli dale è oggi più che mai un obiettivo cruciale della nostra società, che pone Bologna al centro di un dibattito molto ampio di cui i cittadini bolognesi possono sentirsi fieri; lasciamo ai politici le litanie sulle strumentalizzazioni e le ideologie (è davvero un disco rotto, ogni volta qualche movimento fuori dal palazzo mette in discussione lo status quo).

E’ vero, noi siamo i  marziani, siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare rotta.

La demolizione della scuola pubblica: i numeri

La demolizione della scuola pubblica: i numeri

La FLC CGIL avvia una campagna per la qualità della scuola pubblica statale.

Eurostat qualche giorno fa certificava una realtà nota a tutti coloro che si occupano di scuola o che nella scuola lavorano: l’Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica in istruzione. È evidente che i dati drammatici sugli abbandoni scolastici resi noti dallo stesso istituto sono collegati a questo progressivo disinvestimento e alla corrispondente azione di taglio.

La FLC CGIL presenta – in allegato – una propria elaborazione, su dati MIUR, che mette in evidenza gli effetti delle politiche regressive degli ultimi 5 anni.

Sinteticamente possiamo rilevare che a fronte della riduzione complessiva di 81.614 docenti abbiamo avuto un aumento di oltre 90.000 alunni, che avrebbe dovuto determinare un incremento di circa 9.000 docenti.
Con oltre 90.000 alunni in più si sarebbero dovute creare non meno di 4.500 classi in più (con media di 20 alunni per classe), invece ne sono state tagliate oltre 9.000. La conseguenza è evidente: le cosiddette classi pollaio sempre più numerose, spesso anche oltre il tetto massimo previsto per norma.

Si taglia ovunque:

  • -28.032 posti nella primaria
  • -22.616 posti nella secondaria di primo grado
  • -31.464 posti nella secondaria di secondo grado,

eccetto la scuola dell’infanzia dove le sezioni registrano un piccolo aumento +518. Ma se poi andiamo a vedere se anche i posti sono aumentati in corrispondenza, vediamo che sono meno del numero delle sezioni… questo significa che si sono aperte sezioni con orario solo antimeridiano.

Non va meglio per il personale tecnico-amministrativo: -17,5% dei posti in cinque anni, 43.878 posti in meno, ciò significa meno sicurezza, meno servizi, meno laboratori.

Infine, le stesse istituzioni scolastiche sono state consistentemente ridotte di quasi il 20%, cioè scomparse quasi 2.000 scuole.

La FLC CGIL chiede alla politica che si faccia carico delle emergenze della scuola italiana e chiede che si avvii un piano di investimenti che consenta di invertire questo drammatico trend. Più risorse, più scuola, più insegnanti e personale ATA = più qualità, livelli di istruzione più alti.

Proseguiremo nei prossimi giorni la nostra campagna per la qualità della scuola pubblica statale dimostrando ciò che si può mettere immediatamente in campo nel breve e medio periodo e dando così continuità alle iniziative dei giorni scorsi, dall’appello per la scuola dell’infanzia al presidio del personale precario.

Salviamo la scuola dall’ebook integralista

da l’Unità

Salviamo la scuola dall’ebook integralista

Perché scuola significa, al di là dei mezzi che si utilizzano per fare lezione, soprattutto rapporto educativo

ROBERTO CARNERO robbicar@libero.it

CON UN RECENTE DECRETO FIRMATO DAL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE FRANCESCO PROFUMO si è data attuazione a un punto importante della cosiddetta «Agenda Digitale», che tanto sta a cuore a Mario Monti: dall’anno scolastico 2014-2015 i libri di testo adottati dovranno essere esclusivamente in formato elettronico o tuttal’più misto (cartaceo con una estensione elettronica). Quando si parla di questi argomenti, è sempre consistente il partito degli entusiasti, pronti a cantare «le magnifiche sorti e progressive» del cambiamento in senso moderno della scuola. Ci sono però anche alcune perplessità. Ad esempio c’è chi fa notare che il risparmio per le famiglie argomento portato a suffragio di questa innovazione è soltato teorico: perché per utilizzare i libri digitali bisogna acquistare specifici supporti informatici (computer portatile, tablet, e-reader ecc.). In molti, inoltre, esprimono la preoccupazione che l’eliminazione dei libri cartacei determini un problema di mancanza di punti di riferimento certi, stabili, autorevoli, in un ambiente virtuale, quello di Internet, in cui si trova tutto e il contrario di tutto. Tra costoro si colloca il filosofo Giovanni Reale, autore, presso l’Editrice La Scuola, di un vivace pamphlet intitolato Salvare la scuola nell’era digitale (pagine 110, curo 10.00). Reale pone l’accento su un aspetto che spesso sfugge, ma che sul quale non si può non essere d’accordo: «Occorre non trasformare in ‘fini’ quelli che sono semplici ‘mezzi’, che pure hanno una grande e innegabile portata, ma che, comunque, devono assolvere non altro che la loro funzione di mezzi». In altre parole, è un po’ semplicistico e illusorio pensare di migliorare la qualità dell’insegnamento soltanto attraverso l’introduzione di nuovi strumenti tecnici. Reale perciò cerca di smontare la visione che sta alla base delle nuove normative, una visione «fondata su un paradigma culturale fortemente ‘integralistico’, che ingabbia la realtà nelle dimensioni della tecnologia e dell’informatica». Perché scuola significa, al di là dei mezzi che si utilizzano per fare lezione, soprattutto rapporto educativo. E la qualità di un rapporto è data dalle persone. Forse, dunque, sarebbe il caso di partire da lì, dal valorizzare, sul piano motivazionale e anche su quello economico, i professionisti della scuola, cioè i docenti.

Accordo Miur-Coni: arrivano i nuovi Giochi Sportivi Studenteschi

da Tecnica della Scuola

Accordo Miur-Coni: arrivano i nuovi Giochi Sportivi Studenteschi
di Alessandro Giuliani
L’accordo, firmato il 13 aprile a Napoli dal ministro Profumo e dal presidente del Coni Malagò, fa parte della rivisitazione dei Giochi della Gioventù: dovrà essere completato entro giugno. Nuovi investimenti andranno a rafforzare l’azione dei prof di educazione fisica delle superiori. Previsto il potenziamento dell’attività sportiva nei luoghi di disagio sociale come strumento di legalità e prevenzione della dispersione.
Accordo Miur-Coni per tramutare lo sport come modello educativo per le nuove generazioni, ma anche per combattere il disagio sociale e trasmettere i valori più autentici legati al rispetto delle regole e all`impegno. Prosegue sotto questi auspici la collaborazione tra le due istituzioni per la realizzazione del Piano Nazionale per la promozione dello sport a scuola. “Il progetto, che già negli anni precedenti ha visto l`impegno congiunto delle stesse istituzioni – ha spiegato il Miur attraverso un lungo comunicato – si arricchisce adesso di un rinnovato accordo di intenti”.
Il documento definisce, per i prossimi anni scolastici, obiettivi da raggiungere, tempi, modalità e risorse da impegnare ed è stato firmato il 13 aprile a Napoli dal ministro Francesco Profumo e dal presidente del Coni Giovanni Malagò, in occasione della visita al V Circolo Didattico ‘E. Montale’. “L`impegno finanziario di Miur e Coni sarà cospicuo, e verrà utilizzato per la revisione dei Giochi Sportivi Studenteschi, il progetto di educazione allo sport nella scuola primaria, la promozione delle attività sportive nei luoghi di maggiore disagio sociale, l`ammodernamento degli impianti sportivi scolastici, le iniziative della Carta dello Studente legate allo sport, la stesura di nuove Linee guida per le attività di educazione fisica, motoria e sportiva”. L’intesa prevede innanzitutto la rivisitazione dei Giochi Sportivi Studenteschi, dalle fasi di istituto alle selezioni provinciali, regionali e nazionali, fino alle competizioni internazionali organizzate in accordo con l`International School Sport Federation. Il progetto prevede un piano organico di attività sportive dove confluiscano anche quelle proposte con i nuovi Giochi della Gioventù. Il lavoro dovrà essere completato entro giugno 2013, e potrà contare nuovi investimenti finanziari che andranno a rafforzare l`azione che già svolgono tutti gli insegnanti di educazione fisica nelle istituzioni scolastiche di secondo grado di tutta Italia, grazie ai fondi messi a disposizione dal Miur e dalle organizzazioni sindacali per l`attività di avviamento alla pratica sportiva. In aggiunta per queste attività il Miur ha stanziato circa 3,5 milioni di euro (l`anno scorso 3 milioni di euro); a questi si somma per il 2012 e il 2013 anche 1,5 milioni di euro da parte dell`Ufficio Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
A partire dal 2009/10 è attiva una sperimentazione di educazione allo sport nella scuola primaria – realizzata da Presidenza del Consiglio, Miur e Coni – che ha inizialmente coinvolto mille plessi di scuola primaria in 30 province italiane ed è arrivata, nell`anno scolastico 2012/13 all`ultima annualità prevista. Il progetto oggi coinvolge tutte le province italiane, con l`adesione di circa 3.000 plessi scolastici e il coinvolgimento di oltre 2.700 laureati in scienze motorie/diplomati ISEF. L`iniziativa ha un positivo riscontro da parte di operatori, alunni e famiglie, e i dati fino a oggi raccolti rappresentano, per importanza dei contenuti e per quantità, un`esperienza unica in Italia. Obiettivo dell`Intesa è assumere decisioni e strategie in merito alla prosecuzione dell`esperienza. Per le attività di avviamento allo sport dei ragazzi delle scuole elementari sono stati investiti 3 milioni di euro. L`anno precedente i fondi a disposizione erano 2 milioni. Grazie all`accordo con il CONI gli insegnanti delle scuole primarie vengono affiancati da diplomati in Scienze Motorie per la realizzazione di attività motorie dedicate a questa fascia di età. Un altro oggetto dell’intesa tra Miur e Coni è il potenziamento dell’attività sportiva nei luoghi di disagio sociale e dello sport come strumento di legalità e prevenzione della dispersione. Già in passato sono state realizzate attività di promozione sportiva in luoghi di particolare disagio sociale giovanile, per prevenire la dispersione scolastica e l`emarginazione. I buoni risultati di questi interventi impongono di proseguire lungo la strada della promozione dello Sport come strumento di legalità e di prevenzione del disagio sociale. Per questo motivo sarà rafforzata la sinergia operativa ed economica nelle aree più a rischio del Paese, e negli Istituti penali per i minorenni, in favore delle attività motorie e sportive, viste come mezzo di apprendimento. I fondi messi a disposizione del Miur per queste attività sono pari a un milione di euro. L`anno precedente non erano state stanziate risorse.
L’accordo prevede inoltre il monitoraggio del patrimonio degli impianti sportivi scolastici e una strategia per nuovi interventi. Gli impianti sportivi scolastici sono infatti patrimonio delle comunità locali, molto utilizzati anche da società e associazioni sportive. Spesso rappresentano sul territorio l`unico spazio idoneo per l`organizzazione di eventi sportivi che altrimenti non potrebbero avere luogo. Tra gli impegni assunti con l`intesa Miur-Coni il monitoraggio entro settembre 2013 dello stato degli impianti sportivi scolastici, e l`organizzazione di eventuali interventi di miglioramento.
La Carta dello studente: coinvolgere le Federazioni sportive per iniziative e agevolazioni. La Carta dello Studente è un`iniziativa che promuove l`accesso alla cultura e offre nuovi luoghi di confronto a tutti gli studenti. Le agevolazioni e le iniziative proposte dal MIUR e dai suoi partner riconoscono lo status di studente e premiano la partecipazione attiva alla vita scolastica e civile. Il progetto, nato nel 2008, ha distribuito circa 4 milioni di badge nominativi agli studenti delle scuole statali e paritarie del II ciclo di Istruzione, su tutto il territorio italiano. La Carta viene distribuita annualmente a tutti gli studenti frequentanti il primo anno. Tra gli obiettivi che l`Intesa vuole raggiungere, l`adesione delle Federazioni Sportive all`iniziativa, da realizzare sempre entro giugno 2013. Nell`anno 2009 sono state fornite indicazioni sulla riorganizzazione delle attività di educazione motoria, fisica e sportiva nelle scuole secondarie di primo e secondo grado. Il documento ha richiamato l`attenzione sulla pratica motoria e sull`efficacia delle ore aggiuntive di avviamento allo sport, dimostrando il ruolo di assoluto rilievo che il MIUR ha attribuito alle attività motorie nella crescita dei giovani. Proprio in vista della nuova impostazione che si vuole dare all`attività sportiva, è opportuna una stesura di nuove linee guida, e la presentazione del portale nazionale di riferimento per lo Sport a Scuola, realizzato dal Miur e raggiungibile all`indirizzo www.giochisportivistudenteschi.it
Il sito offrirà alle scuole una piattaforma di informazione e formazione per alunni e docenti.

Neanche 1 studente su 3 partecipa ai viaggi di istruzione

da Tecnica della Scuola

Neanche 1 studente su 3 partecipa ai viaggi di istruzione
A causa delle difficoltà economiche delle famiglie e dei tagli alla scuola neanche uno studente su tre parteciperà quest’anno alle gite scolastiche che iniziano con l’arrivo della bella stagione: è del 20% la riduzione attesa delle partenze rispetto allo scorso anno scolastico. Cambiano anche le destinazioni e si affermano alternative come le ‘fattorie didattiche’ che sono ormai 1.300 in Italia.
E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che la crisi ha colpito anche il turismo scolastico con un taglio delle partenze, la scelta di mete più vicine e il minor tempo di permanenza. Per effetto delle difficoltà economiche delle famiglie e della riduzione dei fondi per la scuola si stima che quest’anno – sottolinea la Coldiretti – ci sarà un calo di almeno il 20% rispetto ai 930mila studenti delle scuole superiori che nell’anno scolastico 2011/2012 hanno partecipato a una gita scolastica, secondo l’osservatorio sul turismo scolastico del Touring club italiano. In molti casi – continua la Coldiretti – sono gli stessi genitori a chiedere di eliminare le uscite extrascolastiche durante l’anno per contenere le spese, ma anche per evitare discriminazioni tra i ragazzi che non possono più permettersi di partecipare. Ma una vera scure – precisa la Coldiretti – è rappresentata da una crescente indisponibilità dei docenti che non si vedono più riconosciuta l’indennità di missione nonostante debbano caricarsi di una pesante responsabilità, come dimostrano i ripetuti e gravi episodi di cronaca. Il risultato non è solo la drastica riduzione dei viaggi ma – sostiene la Coldiretti – anche un radicale cambiamento delle destinazioni che privilegiano in misura crescente le escursioni mordi e fuggi in giornata. Per tagliare i costi nella stragrande maggioranza dei casi si dice addio alla pizzeria o al ristorante e si ritorna praticamente ovunque al pranzo al sacco spesso preparato direttamente dalla scuola o a casa dai genitori. Diversa è anche la scelta del souvenir del viaggio con la sostituzioni di statuine, gadget e magliette con prodotti tipici del luogo visitato come formaggi, salumi, miele, sott’oli o vino da portare ai genitori. Non è una caso che negli anni della crisi i turisti italiani e stranieri hanno aumentato la spesa per vino e alimenti che fa registrare un incremento record del 43% negli ultimi quattro anni per un valore di 10,1 miliardi, in netta controtendenza con il calo fatto registrare da tutte le altre voci secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Isnart. In questo contesto un vero boom si registra per il turismo ecologico ed ambientale come dimostra il fatto nei parchi e nelle aree protette il 20% dei visitatori sono proprio i giovani in gita scolastica. La vera novità degli ultimi anni sono, però, le fattorie didattiche che si sono moltiplicate nelle campagne diventando le mete più gettonate delle gite organizzate soprattutto nelle scuole primarie.
Secondo il censimento della Coldiretti con il ministero dell’Istruzione, sono presenti in Italia 1300 fattorie didattiche autorizzate dove gli alunni delle scuole elementari e medie possono trascorre una giornata all’aria aperta a diretto contatto con le coltivazioni e gli animali, che in molti non hanno mai visto. Si tratta, secondo la Coldiretti, di una pedagogia viva dell”’imparare facendo” attraverso attività pratiche ed esperienze dirette come seminare, raccogliere, trasformare, manipolare e creare che privilegia il contatto con il reale attraverso l’incontro con il mondo animale e vegetale.

Il Tar decide nel concorso a ds in Calabria:procedure ok

da Tecnica della Scuola

Il Tar decide nel concorso a ds in Calabria:procedure ok
di Aldo Domenico Ficara
Il Tar Calabria con la sentenza n. 427 dell’11 aprile 2013 rigetta il ricorso per l’annullamento del concorso a dirigente scolastico e ritenere corretta l’intera procedura, compreso il “giallo” delle buste trasparenti
Il Tar Calabria con la sentenza n. 427 dell’11 aprile 2013 rigetta il ricorso per l’annullamento del decreto dirigenziale prot. n. 12362 del 10/7/2012 con cui è stata approvata la graduatoria di merito del concorso a dirigenti scolastici; del decreto dirigenziale prot. n. a00drcal-13719 del 27/7/2012; degli elenchi affissi e pubblicati, dopo l’espletamento della prova orale, sulla porta d’ingresso dell’immobile, sede del concorso, nelle date 15/7/2012 e 21/5/2012; dei verbali della commissione esaminatrice concernenti la prova orale; del decreto dirigenziale prot. n. 18004 del 28/09/2011; del verbale della commissione esaminatrice n. 6 del 19/1/2012 e di ogni altro atto connesso, conseguente e/o presupposto. In evidenza la decisione di ritenere corretta la procedura della prova orale in quanto la Commissione, ogni giorno, prima dell’inizio della prova orale, ha predisposto per ogni candidato 50 quesiti e specificamente: 30 per le aree tematiche a)-b)-c)-d)-e) f; 10 per l’area tematica g) prevista dall’art. 8 comma 9 del bando articolata in una parte teorica e una parte pratica; 10 per l’area tematica h. Inoltre le buste contenenti i quesiti sono state riposte in cinque contenitori; da ogni contenitore il candidato ha estratto una busta per il numero complessivo di cinque buste che, si ripete, investivano tutte le aree tematiche di cui all’art. 8 del bando. Le trenta buste contenente i trenta quesiti relativi alle aree tematiche a)-b)-c)-d)-e) f) sono state distribuite in tre contenitori ciascuno dei quali contenente dieci quesiti e identificati con la lettera A), B), C), al fine di evitare il rischio di un’estrazione a sorte di più domande ricadenti sugli stessi ambito disciplinari (verbale n. 44 dell’11 maggio 2012). Altrettanto in evidenza la questione sulla trasparenza delle buste contenenti i dati anagrafici consegnate alla fine delle prove scritte In questo punto il Tar Calabria dice che Il motivo è infondato perché il campione di busta depositata in giudizio dall’amministrazione resistente è oscurata all’interno e resa sicura dall’apposizione di un cartoncino leggero di colore in grado certamente di assicurare l’anonimato.

Per le banche meglio essere insegnanti che medici

da Tecnica della Scuola

Per le banche meglio essere insegnanti che medici
di Aldo Domenico Ficara
Quasi l’11% degli insegnanti ottiene mutui, contro il 7,6% dei medici, con cui coprono il 54% del valore dell’immobile, mentre per i medici solo il 33%: e poi si dice che i prof sono bistratti
Dall’analisi delle tabelle raffigurate alla fine dell’articolo e riprese dal sito Mediaset TgCom24 riguardanti una ricerca, effettuata da Facile.it in collaborazione con Mutui.it, si può estrapolare il grado di fiducia di un ente erogatore di mutui nei confronti di alcune categorie di lavoratori. Si evidenzia in primo luogo che quasi l’11% degli insegnanti riesce a ottenere un mutuo, contro il 7,6% dei medici, inoltre tale mutuo per gli insegnanti copre il 54% del valore complessivo dell’immobile, mentre per i medici solo il 33%.  Quindi si può affermare che la tanto bistrattata categoria degli insegnanti gode un’ottima fiducia dagli istituti di credito. Questa indagine dice anche qual è il valore dei prestiti concessi: ai dirigenti vanno quelli più elevati (la media è di 140mila euro). Seguono i liberi professionisti (131mila), mentre in terza posizione gli insegnanti (129mila euro).  Operai e pensionati in fondo alla classifica: i primi per disponibilità economica limitata, i secondi per limiti di età, si devono accontentare rispettivamente di 108mila e di 100mila euro.

Professione                           Percentuale di mutui ottenuti sul totale delle domande
Quadro                                                         14,3%
Insegnante                                                   10,7%
Medico                                                           7,6%
Pensionato                                                   7,0% Dirigente                                                        6,6%
Libero professionista                                 5,5%
Impiegato                                                      5,3%
Forze Armate                                                4,4%
Operaio                                                          3,5%

Professione                               Percentuale erogata sul valore totale dell’immobile Forze Armate                                                           63%
Operaio                                                                     61% Impiegato                                                                58%
Insegnante                                                              54% Libero professionista                                           39%
Quadro                                                                     39%
Dirigente                                                                  38% Pensionato                                                              34%
Medico                                                                      33%

Il documento dei ‘saggi’ sulla scuola

da tuttoscuola.com

Il documento dei ‘saggi’ sulla scuola

Riportiamo qui di seguito il testo integrale del paragrafo 4.4, del documento ‘economico’ predisposto dagli esperti nominati dal presidente Napolitano, intitolato ‘Potenziare l’istruzione e il capitale umano’, dedicato specificamente all’istruzione. L’intero documento, insieme a quello che si occupa delle questioni istituzionali, è pubblicato nel sito del Quirinale.

 

“Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l’innovazione e l’aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese. D’altra parte, la formazione si interseca strettamente con ricerca, innovazione e sviluppo: di conseguenza, la sua efficienza dipende dalla rapida connessione di tutti questi elementi e, dunque, dalla capacità del nostro Paese di rendere quanto più “corta” possibile questa filiera.

Secondo le classifiche internazionali sull’argomento, l’Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto ai principali paesi europei. Esso riguarda sia le competenze maturate dai giovani al termine della scuola dell’obbligo, sia la quota di laureati sulla popolazione. Inoltre, la formazione svolta dalle imprese è significativamente inferiore a quella tipica degli altri paesi europei.

Non è questa la sede per valutare nel dettaglio ipotesi di intervento sui sistemi educativi. Ciononostante, si ritiene che sia possibile adottare nel breve termine misure in grado di alleviare alcune situazioni particolarmente gravi o di influire, al contempo, sulla sostenibilità a lungo termine di un’area particolarmente rilevante per la pubblica amministrazione come la sanità.

Contrastare l’abbandono scolastico

In Italia l’abbandono precoce della scuola è assai più diffuso che nel resto d’Europa: nel 2011 il 18,2 per cento dei giovani non ha completato il percorso di studi secondario, contro una media europea del 13,5 per cento: tra gli stranieri la percentuale è vicina al 45 per cento. L’identikit degli studenti a rischio di dispersione è chiaramente delineato: si tratta di maschi, tipicamente immigrati di prima generazione, provenienti da un background socio-economico e culturale svantaggiato e che hanno già perso almeno un anno nel corso del primo ciclo (elementari e medie). Se non invertita, questa tendenza farà sì che, nella migliore delle ipotesi, la futura forza lavoro non avrà le competenze minime richieste da processi produttivi in rapida evoluzione; nella peggiore, genererà emarginazione e rischi per la sicurezza in numerose aree, specialmente nelle grandi città.

Va definito urgentemente un programma speciale per la riduzione dell’abbandono scolastico, specialmente nelle aree territoriali a rischio criminalità, rafforzando l’Azione “Contrasto alla dispersione scolastica” prevista nel Piano d’Azione Coesione. Tale programma dovrebbe valorizzare le esperienze di successo, evitando misure universalistiche e concentrandosi su interventi tempestivi e mirati nei confronti dei soggetti più vulnerabili. Ad esempio, le analisi disponibili indicano come il miglior strumento di contrasto all’abbandono sia il prolungamento della scuola al pomeriggio negli anni del primo ciclo, mentre oggigiorno il tempo pieno alle elementari è diffuso solo in alcune regioni (non a caso, quelle in cui la dispersione è minore) ed è di fatto inesistente nelle scuole medie.

Le attività scolastiche nel pomeriggio non dovrebbero però essere una mera replica delle lezioni frontali della mattina. L’estensione del tempo scolastico consentirebbe, infatti, di scomporre i gruppi classe, lavorando su piccoli numeri, sperimentando metodologie didattiche innovative (ad esempio, apprendimenti cooperativi e attività sociali) e individuando percorsi specifici per i ragazzi maggiormente a rischio. Per questi ultimi, l’insegnamento individualizzato dovrebbe riguardare in modo prioritario il rafforzamento delle competenze di base: comprensione dei testi, competenze logico-matematiche e applicazione del metodo scientifico. Inoltre, gli istituti scolastici dovrebbero dotarsi di strumenti di misurazione, a cadenza regolare, dei progressi compiuti dagli studenti a rischio di dispersione.

 

Promuovere il merito, aumentare le opportunità

La mobilità sociale si è drasticamente ridotta, al punto che le generazioni nate negli anni ’80 hanno molte meno opportunità di evolvere nella scala sociale rispetto alle generazioni precedenti. La condizione della famiglia di origine condiziona pesantemente l’esito scolastico e i percorsi di vita. Si iscrive all’università solo il 14 per cento dei figli di operai, a fronte di un valore pari al 59 per cento per i figli della borghesia. Parallelamente, i finanziamenti per il “diritto allo studio” sono stati drasticamente ridotti negli ultimi anni.

Questa tendenza va immediatamente invertita. Si suggerisce, quindi, che la Conferenza Stato- Regioni vari, quanto prima, il decreto sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei requisiti di eleggibilità per il diritto allo studio universitario. Inoltre, il Fondo Integrativo Statale delle borse di studio, recentemente ridotto a livelli minimi, va aumentato in modo consistente, anche per sottolineare che lo Stato intende offrire reali opportunità verso gli studenti meritevoli provenienti da famiglie meno abbienti. Per questo, tale Fondo deve essere portato a 250 milioni di euro annui, il che corrisponde ad un raddoppio della posta dedicata a questa materia prima dei drastici tagli operati per il biennio 2013-2014.

 

Investire in istruzione per migliorare la salute e ridurre i costi del sistema sanitario

La speranza di vita è cresciuta molto, portando il nostro Paese a divenire uno dei più longevi al mondo. D’altra parte, una quota crescente della popolazione anziana, soprattutto donne, vive numerosi anni in cattiva salute. Parallelamente, sta aumentando l’incidenza di comportamenti (obesità, sedentarietà, abuso di alcool, fumo, ecc.) che mettono a rischio la salute delle presenti generazioni (soprattutto quelle giovanili – oltre il 35 per cento dei bambini è sovrappeso) e generano elevati costi sul sistema sanitario nazionale (il Ministero della Salute stima in 28.000 i decessi prematuri all’anno imputabili esclusivamente all’inattività fisica).

L’istruzione gioca un ruolo fondamentale nel determinare il rischio di mortalità: nella popolazione fra i 25 e i 64 anni le donne con livello di istruzione più basso hanno un rischio di mortalità circa doppio rispetto alle donne della stessa età con titolo di studio più elevato, mentre tra gli uomini meno istruiti il rischio è dell’80 per cento più elevato rispetto ai più istruiti. Di conseguenza, dedicare risorse all’insegnamento di stili di vita salutari è un investimento sul futuro, oltre che uno strumento per migliorare la qualità della vita odierna.

Per questo si propone di avviare iniziative di prevenzione quali, ad esempio:

–  Il potenziamento delle iniziative finalizzate ad insegnare stili di vita salutari nelle scuole e nelle università, promuovendo, sul modello americano, l’eliminazione dai distributori automatici collocati nelle scuole di cibo e bevande ad alto contenuto calorico;

–  l’introduzione di un sistema di certificazione per iniziative realizzate all’interno delle aziende volte alla salute dei dipendenti, da realizzare secondo le linee guida disponibili a livello internazionale;

–  la sensibilizzazione dei medici di base al fine di prescrivere esercizio fisico ai pazienti, con eventuale deduzione fiscale delle spese per l’esercizio svolto su prescrizione medica o per l’acquisto di strumenti per l’esercizio fisico.

 

La scuola digitale e la cultura dei dati

Il cambiamento della scuola passa anche attraverso la capacità di sfruttare quello che le nuove tecnologie offrono, soprattutto per la costruzione degli ambienti di apprendimento. Per far questo è indispensabile il miglioramento dell’infrastruttura di rete delle scuole, attualmente dimensionata per la gestione amministrativa, anche in vista dell’adozione dei libri digitali, prevista progressivamente dal 2014, la quale stimolerà una forte domanda di formazione e di innovazione attraverso i linguaggi digitali. 
Inoltre, con il miglioramento dell’accesso ai dati va sviluppata una nuova cultura della decisione basata sui dati, che superi le barriere disciplinari e apra la strada agli approcci sistemici e quantitativi che sono ora possibili e necessari. Ogni cittadino può oggi contribuire a piattaforme partecipative per la raccolta dei dati, fungendo come sensore volontario per la creazione di osservatori digitali della società, dell’economia, e della salute pubblica, così generando quelli che si chiamano i Big Data. La capacità di questi osservatori di coinvolgere i cittadini come partecipanti attivi dipende dallo sviluppo, a partire dal livello scolastico, di una cultura attiva del dato, che predisponga i cittadini di domani ad un ruolo attivo nei confronti del proprio ambiente e delle proprie condizioni socio-economiche”.

Per l’Anief, fare il dipendente pubblico non conviene più

da tuttoscuola.com

Per l’Anief, fare il dipendente pubblico non conviene più

Le penalizzazioni cui sono stati sottoposti i dipendenti pubblici nell’ultimo ventennio sono state talmente pesanti e vessatorie che oggi in Italia conviene nettamente essere assunti dalle aziende private: gli storici vantaggi di essere dipendenti dello Stato non ci sono più“. Lo ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità, direttivi e quadri PA, nel corso della tavola rotonda “Status della dirigenza in venti anni di contrattazioni”, organizzata all’interno del convegno Confedir-Unadis “Venti anni dalla privatizzazione del pubblico impiego: la dirigenza dello Stato tra riforma, controriforma e prospettive future”, in corso di svolgimento al Centro Congressi Cavour di Roma.

Pacifico ha ricordato come in Italia l’approvazione negli ultimi due decenni di una serie di decreti legislativi, in particolare il 29/1993, il 165/01 e il più recente 150/09, noto anche come decreto Brunetta, per mere ragioni di finanza pubblica ha in realtà introdotto una sempre più spinta privatizzazione  del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, con evidenti riflessi negativi sulla carriera di dirigenti e dipendenti dello Stato, anche in deroga a precise scelte negoziali e diritti non comprimibili.

L’esperienza privatistica nel pubblico – ha sottolineato il sindacalista Anief-Confedir – ha influito sulla materia delle pensioni, del trattamento di fine servizio, della produttività e del merito, della razionalizzazione, dei licenziamenti, della mobilità, della stabilizzazione, subendo una controriforma che ha reso precari gli impegni assunti negli anni dai Governi con le parti sociali, sotto la scure dei mercati, fino a penalizzare ingiustificatamente e discriminativamente i lavoratori assunti nel pubblico rispetto al comparto privato“.

Durante l’intervento, Pacifico ha ricordato che i Governi degli ultimi anni si sono particolarmente accaniti contro i dipendenti pubblici: non è stata prevista alcuna ‘finestra’ sulla riforma delle pensioni attuata dalla riforma Fornero, si è tornati alla trattenuta del 2,5% sul Tfr, si è attuato il blocco del contratto per il quadriennio 2010-2013 con riduzione del potere d’acquisto degli stipendi a 23 anni fa, si è attuata la riduzione degli organici della PA (-275.000 posti di lavoro negli ultimi sei anni) con conseguente applicazione  della mobilità coatta-cassa integrazione, si è introdotta

la deroga alla stabilizzazione dei precari della scuola e della sanità prevista dalla Unione Europea (direttiva 1999/70/CE).

Su quest’ultimo punto, la mancata assunzione dei precari di lungo corso, con almeno 36 mesi di servizio, il sindacalista ha ricordato che l’Italia si è già meritata, da parte dell’Ue, l’avvio di pericolose procedure d’infrazione: “la logica che prevale – ha detto Pacifico – è ormai quella di un sistema che ha fatto della precarietà in questi ultimi anni uno strumento di finanza pubblica per conseguire risparmi altrimenti irraggiungibili ma in spregio al principio di non discriminazione censurato dai tribunali del lavoro“.

Pacifico si è infine soffermato sulla proposta di intesa sulle nuove relazioni sindacali, avanzata il 6 marzo 2013 dal Governo alle parti sociali, in aderenza al decreto Brunetta: “ignorando l’espressione negativa della Consulta (sentenza n. 223/12) sul blocco degli automatismi di carriera dei magistrati (art. 9, c. 21, L. 122/2010), il Governo uscente ha caldeggiato la sostituzione, a partire dagli anni successivi, degli scatti di stipendio con il sistema premiale della performance  individuale, sempre che siano reperite risorse aggiuntive derivate da nuovi risparmi”.

Futuro confuso

Futuro confuso

di Stefano Stefanel

La scuola italiana vive da molti anni un periodo estremamente confuso, con troppe riforme mal gestite e peggio realizzate e una costante turbolenza su qualsiasi argomento. La ricerca e l’innovazione sono diminuite, i risultati Ocse-Pisa rimangono deludenti, l’Invalsi certifica un’Italia scolastica a troppe velocità. Non c’è accordo su quasi nulla ed ogni provvedimento è costretto a defatiganti azioni di convivenza con quello che c’era prima e che viene difeso a qualunque costo. La scuola è però viva, piena di ottimi professionisti, disorientata ma non rassegnata, stanca di riforme ma in attesa di nuove riforme. Insomma una situazione difficile da governare, dove l’autonomia convive con il centralismo e le tendenze manageriali con l’assemblearismo. Alcuni dati però sono certi e inoppugnabili: l’Italia è uno dei paesi col più basso tasso di Pil investito nella scuola e gli investimenti italiani nella scuola sono diminuiti negli ultimi anni. Non sembra difficile ritenere che questa tendenza deve essere invertita e gli investimenti sulla scuola sono necessari e fondamentali, anche come semplice dato di civiltà.

         Il problema sorge quando ci si deve mettere d’accordo su dove e come investire e la somma di tutte le proposte ascoltate nella recente campagna elettorale finisce per rendere necessari almeno una mezza dozzina di punti di Pil. Siamo di fronte ad una “missione impossibile”. Durante la recente terribile campagna elettorale si sono lette queste proposte:

–       stabilizzare circa 300.000 precari

–       assumere neo laureati (50 mila circa)

–       mettere in sicurezza tutte le scuole (40 mila circa)

–       dotare studenti e docenti di tablet o smartphone a spese dello stato (8 milioni di pezzi circa)

–       generalizzare il tempo pieno nelle scuole primarie

–       trasferire i residui attivi accertati dalle scuole ma non confermati dal Miur

Ho citato solo alcune voci, ma chi conosce un po’ la scuola sa che non siamo di fronte a qualcosa di realistico. E, infatti, a campagna elettorale conclusa della scuola non si parla più, i “saggi” di Napolitano non mi pare l’abbiano neppure nominata e il Sistema Nazionale di Valutazione si appresta a partire sulla scuola così com’è.

 

QUELLA FRASE NASCOSTA E SIGNIFICATIVA

         Il rapporto Eurydice Funding of Education in Europe. The Impact of the Economic Crisis  (http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/documents/thematic_reports/147EN.pdf) mette in evidenza in modo indiscutibile il calo della spesa dell’Italia per l’istruzione in rapporto con la crescita o la stabilizzazione della stessa spesa in tutti I paesi dell’area Ocse. Ad un certo punto del rapporto troviamo però questa frase: “the noticeable decrease in total public expenditure in Italy after 2008 is mainly due to the decision (Law 133/2008) to make national public spending more efficient, and to retrospective payments made in 2008, which did not corresponded to that fiscal year”. Il rapporto Eurydice sostiene dunque che l’Italia ha tagliato la spesa sulla scuola solo per poter tagliare gli sprechi. Non entro nel merito della polemica, che ormai ha più di cinque anni, poiché da una parte si sostiene che questi tagli sono stati “selvaggi” e hanno impoverito il sistema, dall’altra si sostiene che erano necessari per tenere in piedi il sistema Italia e che hanno toccato solo evidenti sprechi. Mentre dunque è certo che c’è stato un decremento della spesa, non è altrettanto certo se questi tagli abbiano indebolito la scuola, visto che i risultati nel complesso rimangono negativi. Certa è invece la reazione della scuola ad ogni sollecitazione: mantenere il più possibile inalterato il sistema nel suo complesso. Si chiedono riforme, ma poi appena ne arriva uno si cerca di conservare tutto.

 

FINLANDIA LONTANA

Un recente articolo apparso su La Repubblica (Helsinki, la scuola perfetta. Libri gratis e nessun bocciato, 3 aprile 2013) ha cercato di evidenziare gli elementi più caratterizzanti della scuola finlandese, modello planetario di buona scuola. Il problema è che la scuola finlandese ha alcuni elementi così lontani dalla nostra organizzazione che paradossalmente mostrano che se loro sono primi noi non possiamo che essere ultimi. Prendendo spunto da quell’articolo (che conferma quanto ho potuto vedere di persona durante una Studyvisit a Jyväskylä nella Finlandia centrale) possiamo isolare questi elementi della scuola finlandese:

–       7,2% è la percentuale di Pil investito nella scuola

–       la Finlandia è al 1° posto in tutte le prove Ocse-Pisa (che lassù nessuno contesta)

–       in Finlandia non si boccia (è lo studente che può chiedere di rimanere un anno in più a scuola)

–       in Finlandia si incomincia scuola a 7 anni e si finisce a 18 anni

–       3.000 ore so quelle che i bambini/ragazzi finlandesi fanno in meno di quelli italiani nel segmento 7-14 anni

–       le tasse scolastiche sono di circa 80 euro l’anno per tutti

–       le classi non sono rigide fino a 14 anni, poi non ci sono più

–       gli insegnanti vengono scelti, assunti e licenziati da chi dirige la scuola

–       le scuole possono attivare e sopprimere materie

–       tutti gli studenti studiano secondo un piano personalizzato

–       tutte le scuole sono ipertecnologizzate, ma gli studenti possono utilizzare i propri strumenti multimediali per studiare

–       i libri sono gratuiti per tutti (ma sono pochi)

–       non c’è il personale ata, ma strutture di servizio definite dalle singole scuole.

Mi fermo qui perché il ragionamento che ritengo sia necessario fare riguarda proprio i due elenchi che ho fatto in questo articolo. Gli investimenti sulla scuola italiana devono ripartire perché un paese serio, ma in difficoltà, non può non capire che solo la scuola può fargli risalire la china. Ma le due agende non sono compatibili: quella finlandese racconta di una scuola che vuole essere servizio, quella italiana che vuole essere posto di lavoro. Su questo punto bisogna decidere.