Conclusa molto positivamente la “tre giorni” di sciopero contro la scuola-quiz

Conclusa molto positivamente la “tre giorni” di sciopero contro la scuola-quiz

Contro gli indovinelli Invalsi hanno scioperato in tutto decine di migliaia di docenti e Ata

Oggi manifestazioni in sessanta città: a Roma incontro con la delegazione MIUR

Si è conclusa molto positivamente la “tre giorni” di scioperi contro la scuola-quiz e gli indovinelli Invalsi. Dopo le prime due tappe nelle Elementari e Medie, con migliaia di classi che hanno rifiutato l’umiliante pratica malgrado i pesanti interventi di molti presidi con illegali sostituzioni del personale in sciopero e “riorganizzazioni” del servizio, oggi lo sciopero ha coinvolto le scuole Superiori con risultati anche migliori di quelli precedenti. Complessivamente, nelle tre giornate, hanno boicottato la farsa quizzarola decine di migliaia di docenti ed Ata con circa diecimila classi che, grazie anche all’importante contributo delle famiglie e degli studenti, non hanno svolto gli indovinelli: e non ingannino i dati ministeriali, che si riferiscono alle sole classi-campione, poco più del 5% del totale, ove la pressione degli invalsiani e dei presidi è assillante. Oggi si sono svolte una sessantina di manifestazioni e iniziative di protesta nelle piazze e davanti alle scuole. Di particolare rilievo il sit-in al MIUR di Roma, dove centinaia di docenti ed Ata, malgrado una pioggia inclemente, hanno protestato esprimendo l’intero arco di richieste Cobas, che sono state poi da noi esposte alla nutrita delegazione ministeriale, guidata dal sottosegretario Rossi Doria.

Si è trattato di un lungo incontro in cui abbiamo ulteriormente precisato quanto sia distruttiva la valutazione di scuole, docenti e studenti sulla base dei quiz strutturati, e la drammaticità dell’impoverimento culturale prodotto dal cosiddetto “teaching to test” e cioè dal miserrimo insegnamento finalizzato unicamente alla risoluzione dei quiz. Le richieste al proposito che i Cobas hanno fatto ai rappresentanti del MIUR sono state: a) che vengano tolti i quiz dall’esame di terza Media; b) che non siano introdotti all’esame di Maturità; c) che la pratica dei quiz Invalsi torni ad essere procedura facoltativa, affidata alle decisioni dei Collegi docenti delle singole scuole. Conseguentemente, abbiamo richiesto la cancellazione del Sistema di (s)valutazione fondato sui suddetti quiz e imposto di soppiatto dal precedente governo senza alcuna discussione parlamentare. La delegazione Cobas ha poi denunciato il furto di salario perpetrato ai danni dei lavoratori/trici con il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, richiedendo al più presto la fine di entrambi i blocchi; e ha posto l’urgenza di annullare la deportazione dei docenti “inidonei” e l’espulsione degli Ata precari, procedendo nel contempo all’assunzione  dei precari su tutti i posti disponibili e alla restituzione nella scuola del diritto di assemblea per tutti/e.

Il sottosegretario Rossi Doria e lo staff ministeriale hanno registrato le nostre richieste e si sono impegnati a rispondere in tempi ragionevolmente rapidi, precisando che le competenze del nuovo gruppo dirigente sono ancora da definire con precisione e che sugli argomenti da noi segnalati è in corso un confronto all’interno del governo, i cui risultati non erano in grado di anticipare. In via ufficiosa, comunque, per quel che riguarda gli “inidonei”, i precari Ata e gli ITP, risulta certo che ora è tutto bloccato, anche perché ci sono due disegni di legge che chiedono l’abrogazione dell’articolo della spending review che prevedeva la deportazione degli “inidonei” con la perdita conseguente del lavoro per precari Ata e ITP, sui quali il Parlamento dovrà entrare nel merito. L’incontro si è concluso con un impegno ad un nuovo confronto appena il governo e il MIUR avranno preso decisioni in merito ai punti e alle richieste avanzati dalla delegazione Cobas e dai docenti ed Ata in sciopero in questi giorni.

Piero Bernocchi   portavoce nazionale Cobas

Inaccettabile la proroga del blocco della contrattazione e degli incrementi retributivi

Inaccettabile la proroga del blocco della contrattazione e degli incrementi retributivi: i
dipendenti pubblici hanno già pagato un conto salato

Il 3 maggio scorso è stato trasmesso alla Presidenza del Senato e a quella della Camera lo
schema di decreto del Presidente della Repubblica recante “Regolamento in materia di
proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici
dipendenti”. Con tale atto, il Governo Letta, recependo quanto lasciato in eredità dal
Governo Monti che aveva predisposto lo schema lasciando al successivo esecutivo di
decidere in merito, intende bloccare fino a tutto il 2014 ogni meccanismo di adeguamento
degli stipendi, ivi compresa l’erogazione dei previsti incrementi dell’indennità di vacanza
contrattuale per il biennio 2013-2014, ed estendere all’anno 2013, per il personale della
Scuola, la sospensione della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi
economici. Vengono altresì bloccate, senza possibilità di recupero, le procedure
contrattuali e negoziali ed i conseguenti incrementi economici ricadenti negli anni 2013-
2014.
Ribadendo quanto già espresso nel Comunicato del 1° marzo u.s., la FP-CIDA e la CIMO
dichiarano del tutto inaccettabile questo reiterato blocco: dirigenti, professionisti, quadri
delle Pubbliche Amministrazioni hanno già pagato un conto salato sul versante retributivo
e su quello di una consistente riduzione delle dotazioni organiche: hanno con ciò già dato il
loro contributo per il risanamento economico del Paese.
Per le categorie dei dirigenti, professionisti e quadri, rappresentate dalla FP-CIDA e dalla
CIMO, i tagli degli organici a parità di volume di attività complessiva si sono tradotti in una
crescita esponenziale delle responsabilità individuali, senza corrispondenti riconoscimenti
economici. Tale situazione non potrà mancare di produrre in prospettiva effetti negativi sul
buon andamento delle amministrazioni e degli enti pubblici.
Il blocco quadriennale della contrattazione, ancor più se ulteriormente protratto,
impedirebbe inoltre al confronto negoziale di intervenire con le necessarie manovre
perequative a favore di categorie fino ad ora ingiustamente penalizzate.
La FP-CIDA e la CIMO chiedono pertanto al Governo e al Parlamento, che ha avviato nei
giorni scorsi l’esame del provvedimento, la sospensione del decreto e l’avvio urgente di un
confronto per una revisione delle politiche nei confronti dei pubblici dipendenti, in
particolare dei dirigenti e delle alte professionalità, che ristabilisca un clima di serenità
nelle pubbliche amministrazioni, a vantaggio di tutta la collettività, con il ripristino di una
regolare attività contrattuale, il superamento dei gravi problemi del precariato, la
riapertura di itinerari di reclutamento certi nei tempi e nelle modalità.

Giorgio Rembado – Presidente FP-CIDA
Riccardo Cassi – Presidente CIMO-ASMD

Riflessione sulla prova Invalsi 2013 per la classe seconda primaria

Riflessione sulla prova Invalsi 2013 per la classe seconda primaria

 di Maurizio Tiriticco

I quesiti che si formulano, quando intendiamo rilevare date conoscenze, rientrano in tre categorie:

a) la categoria test (non si pensi al pezzo di carta su cui tracciare la crocetta, ma all’operazione mentale che viene sollecitata). E’ l’item (la proposizione) che afferisce a dati “oggettivi”, accettati come veri o come falsi: V/F. Esempi: tre per tre eguale nove (V); Napoleone è morto il 5 maggio 1821 (V); Parigi è la capitale del Regno Unito (F); nella chimica O è il simbolo dell’idrogeno (F); ‘certamente’ è un avverbio (V); la Costituzione italiana è stata approvata il 27 dicembre 1947 (V). La veridicità o meno degli item è già nota a chi li formula. Un item può essere proposto anche come quesito: Quand’è morto Napoleone? Qual è la capitale della Francia? L’item della categoria test rinvia sempre a un contesto dato come V/F, non come vero o falso in assoluto. Al limite, se sul testo di storia c’è scritto che Napoleone è morto nel 1820, questo dato – che pur sappiamo errato – è comunque vero… per quel ‘determinato’ contesto!!! E ancora, non è corretto definire ‘giusta’ – come leggiamo nelle istruzioni della prova Invalsi – una risposta che, invece, è ‘corretta’, o ‘esatta’ oppure ‘errata’: non è bene dire ‘sbagliata’, perché lo sbaglio (abbaglio) rinvia a disattenzione, non a sapere/non sapere. Inoltre, l’aggettivo ‘giusto’ rinvia a valori morali, che nulla hanno a che fare con proposizioni esatte o errate. Forse non è stato Giusto tagliare la testa a Carlo I Stuart, però è stato Vero!

b) la categoria reattivo. E’ il quesito a cui ciascuno può dare la risposta che vuole, e che pertanto non rientra nel criterio V/F: che cosa pensi di Napoleone? O della vicenda di Carlo I Stuart? A tale quesito ciascuno può dare risposte diverse. E gli storici, a proposito di Napoleone e della prima rivoluzione inglese ne sanno qualcosa! Due ragazzi discutono sulla ragazza appena conosciuta: si tratta di quella persona e non di un’altra (V/F) ma l’apprezzamento che se ne dà è l’esito di un’altra operazione che possiamo definire: Ok/Non ok. I due amici hanno visto il medesimo film (dato oggettivo), ma ne danno giudizi diversi (dati soggettivi). L’elaborazione di un tema rientra nella “risposta reattiva”: nessun tema può essere eguale a un altro. Le famose macchie di Rorschach, nelle quali ciascun paziente può vedere cose diverse (o un drago che sputa fuoco o una farfalla che vola tra i fiori!), sono di fatto dei reattivi, anche se comunemente si dice “test di Rorschach”. Le risposte a quesiti reattivi non sono note a chi formula i quesiti e vanno accettate per quelle che sono. Possono piacere o meno, si possono esprimere giudizi valutativi diversi, ma non rientrano nel criterio V/F.

c) la categoria questionario. E’ il quesito che si formula per rilevare dati non noti, ma relativi a categorie note (nome e cognome, data di nascita, esperienze di lavoro effettuate, preferenza per un dato prodotto, opinioni, ecc). La risposta data può anche essere falsa, rispetto al soggetto che la esprime, non per chi amministra il questionario (posso rispondere di avere 20 anni, quando invece ne ho 30!), ma deve comunque rientrare nella categoria data.

Ciò detto, quando nell’ambito scolastico si propongono prove di verifica, è necessario decidere a quale categoria concettuale debbano afferire i singoli quesiti. Con la prova test posso rilevare soltanto le conoscenze oggettive su un dato contenuto: un fatto storico, un racconto, un testo qualsiasi, una equazione, ecc. Nell’enunciato ‘Marco mangia la mela’, il predicato è ‘mangia’; in quel racconto giallo l’assassino è il signor tale e solo il signor tale! Altra cosa è chiedere se la mela a Marco piace o se al racconto giallo si preferisce quello di avventura! Se voglio comparare più rilevazioni, come nel caso delle prove Invalsi, debbo utilizzare quesiti test e non quesiti reattivi.

Veniamo ai quesiti Invalsi assegnati alla seconda classe primaria in questa sessione 2013. Un brano di 48 righi che, per di più, richiede continui ‘ritorni indietro’ è troppo lungo e faticoso per un bambino di quella classe d’età. Le Indicazioni nazionali prevedono la padronanza nella lettura-comprensione e individuazione di informazioni principali e loro relazioni al termine della classe terza e solo per brevi testi!!! Mi chiedo: perché la rilevazione Invalsi non si fa alla fine delle classe terza? Solo perché lo prevede la norma? Mah!!!

Non si comprende a quali delle categorie suesposte – test o reattivi – vogliano afferire i singoli quesiti. Di fatto non si avverte quali operazioni vogliano provocare e censire! Operazioni logiche? Non direi! Solo i quesiti presentati come esempi alle pagine 1 e 2 rinviano alla prova test, ma poi… di quesiti test neanche l’ombra!!!

Entriamo nel merito. I quesiti A1, A2 e A3 rientrano nella categoria reattivo, non nella categoria test, in quanto non rinviano a un testo/contesto! Infatti, nelle istruzioni si legge che il racconto deve essere letto dopo! Non solo! Il solo scrivere che “la parola multa fa venire in mente qualcosa” è già scorretto in partenza in merito a una sola risposta attesa! In effetti può “far venire in mente” mille cose! E anche il “puoi aspettarti”… che cosa significa? Possiamo aspettarci di tutto da un evento che ancora non conosco! Se il quesito è oggettivo – e non potrebbe non esserlo, perché la funzione della prova è quella di verificare lo stato di salute di tutte le nostre seconde classi primarie – non si può tirare in ballo il “venire in mente”! Non potrò mai chiedere che cosa ti viene in mente se ti chiedo quanto fa due più due!!! Una operazione ‘non viene in mente’! Si effettua! E non basta! Per me la multa è ‘dispettosa’ perché il vigile ce l’ha con me da tanto tempo! Ma può essere anche ‘faticosa’, perché devo andare al Comune a pagarla! E non è affatto ‘spiacevole’, perché ho l’amico al Comune che me la cancella! E il quesito A2 insiste sul venire in mente! Un vigile solerte ‘guarda’ prima di multare! E prima di ‘scrivere’! E non è detto che non debba ‘cercare’ capziosamente l’automobile in seconda fila (almeno per i bambini di città)! Il “venire in mente” induce risposte Ok/Non ok, non risposte V/F. E anche il “puoi aspettarti…” del quesito A3! Ma che significa? Se ancora non ho letto nulla, mi posso aspettare di tutto! Dov’è l’oggettività del quesito? Mah!

E non mi si venga a dire che sono prove di logica! Sembrano domande a pera! E c’è pure una presa per i fondelli! Prima ti faccio le domande e solo dopo ti faccio leggere il racconto! E guai a tornare indietro! Siamo alla follia! E che legame c’è tra i quesiti A e i quesiti B? Mah! Il quesito B5 è formulato in modo scorretto: Giacomo o ‘pensa’ o ‘non pensa’! Non si può chiedere che cosa “può pensare”, altrimenti tutte le risposte sono corrette! Il verbo ‘potere’ non è il verbo ‘dovere’! E ancora: il verbo ‘pensare’ appare solo al rigo 23 del racconto, quando questo disgraziato di bambino (con una madre così!) pensa solo a una multa molto grossa! Che ne so che cosa pensava in altre situazioni del racconto? L’autore non lo dice. Pertanto, tutte le risposte risultano corrette! Però, gli amici dell’Invalsi ne hanno inserita una che è ‘più corretta’ delle altre! Ma negli esempi di pagina 1 non c’è traccia di questa variante! In effetti il mercoledì viene prima del giovedì! E questo è indiscutibile! Di questa pretesa e attesa sottigliezza non c’è traccia nelle indicazioni iniziali! Come dire che “Napoleone è morto il 5 maggio 1821” è più corretto rispetto a dire che “Napoleone è morto nel 1821”! No! Ribadisco: dal testo (ma un racconto meno lontano dalla concreta realtà di un rapporto madre-bambino e più accattivante era tanto difficile trovarlo?) non si evince mai che cosa veramente pensi il povero Giacomo! Possiamo solo supporlo! E poi ce lo immaginiamo un bambino che ogni sera inventa una favola per raccontarla alla mamma… e per una settimana di fila? E il nostro alunno di seconda primaria che deve pensare di questo Giacomo, afflitto quotidianamente da una madre vigilessa?

E passiamo all’intruso. Può essere il cameriere, perché non finisce con -ista! O anche perché sarebbe l’unico maschio! Ma può essere anche il/la giornalista perché è l’unico/a che, quando lavora, pensa e scrive e non usa oggetti, macchine o strumenti complessi, tranne la penna! Un bambino ha eliminato più intrusi, lasciando nell’insieme solo camionista e autista: non ha mostrato un processo logico più sottile, cioè l’associare due parole che indicano significati appartenenti ad una categoria comune? Eppure, la risposta risulta errata! E se un bambino dice che l’intruso è la libreria perché a casa sua non esistono né libri né libreria?

E ancora! I quesiti vanno sempre proposti con modi verbali certi, l’imperativo o l’indicativo. In B5 troviamo “Che cosa può pensare Giacomo?” In B6 troviamo un “potrebbe essere”; in B10 “Che cosa metteresti”; in B17 “Come completeresti”. Giacomo può pensare ciò che vuole! Altra cosa è chiedere: che cosa pensa Giacomo. Un “potrebbe essere” non è un “è”! E così via!

A ben vedere, gli unici quesiti test sono quelli di pagina 17, ma sono un po’ pochini! Per non dire poi che non è corretto proporre quesiti in relazione a parole isolate. E’ sempre bene inserirle in un dato contesto! La vita reale, anche quella delle parole è sempre contestualizzata, fatta esclusione delle parole del vocabolario! E nelle nostre scuole non facciamo apprendere le parole in ordine alfabetico! Ogni parola nuova è una scoperta sollecitata da un dato contesto!

Comunque, sono certo che molti alunni saranno stati più bravi di me… sono io che sono vecchio e passatista… e che a suo tempo si digerì il libro di Mario Gattullo, Voti, test e schede!

Io che poi – e non si direbbe – sono per le prove Invalsi e sono per la valutazione di sistema, ma – e lo scrivo per l’ennesima volta – a tre condizioni: a) che la spesa per l’istruzione sia ai primi posti del bilancio statale, perché è inutile valutare un corpo che già sappiamo che è in grande sofferenza; b) che nelle scuole si riattivi, ormai dopo almeno un trentennio, una vera cultura della misurazione, della valutazione e, oggi, della certificazione, la nuova frontiera; c) e infine che le prove dell’Invalsi non offrano il fianco a critiche di sorta!

SULLE PROVE INVALSI APPENA CONCLUSE…

SULLE PROVE INVALSI APPENA CONCLUSE…

Anche quest’anno le scuole italiane sono state impegnate nella somministrazione delle prove INVALSI e la
comunità è tornata ad interrogarsi sulla loro validità. Il tema della valutazione esterna acquista maggior vigore col
crescere della rilevanza delle prove nell’ambito della travagliata costituzione del Sistema Nazionale di Valutazione,
tuttora non giunto a compimento, poiché il Regolamento è stato approvato l’8 marzo 2013 dal Consiglio dei Ministri,
ma non ancora convertito in Decreto del Presidente della Repubblica.
La rilevazione nazionale degli apprendimenti è avvenuta ancora una volta in un quadro giuridico non definito
in tutte le sue parti e ha risentito della volontà dei vari portatori di interesse di curvarne il significato nella direzione
delle strategie più funzionali per raggiungere i propri obiettivi in merito al cruciale problema della valutazione.
L’ANDIS da sempre sostiene che la qualità della scuola, intesa come sistema responsabile ed adeguato nel
perseguire le proprie finalità istituzionali, non può prescindere da una seria valutazione. E non soltanto per l’esigenza
di allinearci ai sistemi europei e di rispondere agli impegni assunti nel 2011 dall’Italia con l’Unione Europea, in vista
della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020. L’Associazione è convinta che la valutazione serva alla scuola e
all’intero sistema dell’istruzione. Più volte è stato sottolineato che non va né compreso, né ulteriormente giustificato il
rifiuto di qualsiasi strumento volto a contribuire alla misurazione degli apprendimenti. L’ANDIS è convinta che
l’autonomia scolastica non può alimentarsi di logiche autoreferenziali, perché servono meccanismi di lettura e di
confronto su quanto accade all’interno delle scuole e nel sistema, al fine di garantire il dettato costituzionale del
diritto al successo formativo, all’equità e all’uguaglianza delle opportunità.
E’ ben chiaro che permangono problemi e criticità nell’effettuare prove standardizzate diffuse su base
censuaria e nel gestirne gli esiti; va riconosciuto tuttavia che l’INVALSI ha lavorato seriamente e bene per regolare nel
tempo il processo, migliorandolo e rendendolo più efficace anche attraverso l’interlocuzione con le scuole e le loro
rappresentanze.
Rimane spazio per migliorare e per superare la diffidenza nei confronti della valutazione, che deve essere
ulteriormente regolata in itinere e soprattutto resa sostenibile, non ricorrendo ad azioni di boicottaggio, contrarie
all’etica professionale, perché i problemi vanno risolti mantenendo aperti il dibattito e il confronto, da ampliare e
rendere più cogente.
Tra i nodi problematici da affrontare si evidenziano:
‐ ruolo dell’INVALSI all’interno del Sistema Nazionale di Valutazione ed emanazione di Direttive specifiche da
parte del MIUR;
‐ finalità della misurazione distinta dalla valutazione interna degli apprendimenti, in relazione alla Prova
Nazionale, che deve essere espunta dalla valutazione dell’Esame di Stato conclusivo del Primo Ciclo
d’Istruzione;
‐ utilizzo consapevole ed equilibrato della valutazione esterna INVALSI e della valutazione interna per
progettare i processi di miglioramento delle scuole;
‐ rimodulazione dei test INVALSI per la secondaria di 2^ grado, in relazione alle problematicità derivanti dai
diversi indirizzi.
L’ANDIS conferma che l’INVALSI deve essere potenziato per poter svolgere su tutte le scuole rilevazioni
attendibili e permanenti, approfondendo e migliorando le azioni degli ultimi anni, estendendo la ricerca anche alla
sfera dei processi e alla determinazione del valore aggiunto che costituisce condizione essenziale per la
pubblicizzazione dei risultati.
L’Amministrazione deve abbandonare realmente i compiti di gestione per potenziare quelli di controllo ed
esplicitare i provvedimenti assunti nei confronti delle criticità rilevate, sia in termini compensativi, sia in termini
sanzionatori.
Il criterio del merito deve finalmente prevalere sull’appartenenza politica ed orientare nella scelta dei
funzionari e dei dirigenti.

IL PRESIDENTE NAZIONALE
Gregorio Iannaccone

Discriminazione sugli alunni disabili dell’Invalsi

La raccolta di firme avviata dal Cesp-Cobas e dal Coord Precari Scuola bolognese ha raggiunto un primo risultato facendo finalmente emergere nell’opinione pubblica la grave questione della discriminazione degli studenti  disabili nell’ambito dei test invalsi.

Oggi la raccolta di firme, preceduta da numerosi interventi degli ultimi due anni (ad esempio vedi quelli raccolti nel volume I test Invalsi. Contributi ad una lettura critica), ha raggiunto la prima pagina dell’edizione web del Corriere della sera con una video inchiesta di Antonella Cignarale.

Inoltre Repubblica.it segnala l’interessamento della ministra Carrozza

Speriamo che finalmente si cominci a parlare in maniera critica di questi test senza fare silenzio sui numerosi elementi discriminanti e sulla loro dannosità rispetto alla qualità della scuola italiana.

 

25% DI SCIOPERO NELLA SCUOLA SUPERIORE

25% DI SCIOPERO NELLA SCUOLA SUPERIORE. UN SEGNALE PER IL NUOVO GOVERNO L’ADESIONE ALLA PROTESTA CONTRO LE PROVE INVALSI.

Lo sciopero contro le estemporanee e regressive valutazioni Invalsi ha oggi raggiunto nella scuola Superiore l’adesione del 25% dei docenti. Lo sciopero di oggi consolida la protesta effettuata già alle Medie (15% di adesioni) e nella Primaria (20% di adesioni). I dati sono espliciti ed incontrovertibili, perché li abbiamo calcolati considerando a sé ogni ordine e grado di scuola.
I dati forniti dal Ministero dell’Istruzione sono invece inattendibili, perché il sistema usato dal MIUR opera automaticamente il calcolo percentuale sul totale del personale della scuola italiana. Ad esempio, quando ha scioperato la scuola Primaria, la percentuale fornita dal MIUR non è stata calcolata sui duecentomila docenti ed ATA operanti nella scuola Primaria, bensì su tutti i 900000 docenti ed ATA operanti nell’intero sistema pubblico dell’istruzione.
La forte protesta organizzata dall’Unicobas e dai Sindacati di base deve spingere il nuovo Ministro a cancellare definitivamente la vergogna delle prove Invalsi. In caso contrario si allargherà la frattura fra il mondo della scuola militante e quello della politica e dei sindacati di partito.
Ormai sappiamo come vengono usate dal Miur le prove Invalsi. La superficialità ed il nozionismo di origine anglo-sassone, l’inadeguatezza dei test ai programmi ed alla metodologia italiana, l’unificazione dei risultati con quelli delle scuole private (che, da sole, ci fanno perdere venti posti nelle comparazioni con l’estero), tutto ciò serve a dimostrare il presunto “sfascio” della scuola pubblica. La propaganda di qualche editorialista “laudator temporis acti”, spiana la strada al sistema de-meritocratico che volevano la Gelmini e Brunetta, per imporre valutazioni burocratiche atte ad incidere sulla busta paga dei docenti.
Con la macchina ispettiva (peraltro oggi completamente latitante) ed il “bipartizan” Indire, l’Invalsi è uno dei tre pilastri pensati per “disciplinare” la scuola e traghettarla verso il sistema retributivo “a fasce”. Per la casta burocratica (e sindacal-concertativa), non tener conto dello specifico delle scuole e dei quartieri, imporre prove identiche anche per i diversamente abili servirebbe a stabilire la ‘qualità’ dei docenti, per identificare chi pagare di meno ancora del, già imposto, più basso salario europeo e mettere alla gogna su internet.
Prove siffatte dovrebbero fornire parvenza di “oggettività” ad un’omologazione dall’alto, quando studiosi del calibro di Giorgio Israel (che ha collaborato sia con Fioroni che con la Gelmini nel Comitato tecnico-Scientifico “per l’elaborazione delle linee strategiche relative alla costruzione di un sistema nazionale di valutazione”) ne dichiarano apertamente l’inapplicabilità.
Il metodo stesso di rilevazione, copiato dagli standard formativi dismessi da USA e Canada, perché responsabili di un’omologazione in basso delle competenze degli alunni, è giudicato improprio: “Il processo di valutazione deve essere inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale … esso è totalmente inadeguato in un sistema i cui contenuti sono culturali, non misurabili, non passibili di una definizione oggettiva affidabile alla gestione di ‘esperti’ esterni” (G. Israel). Tutto ciò deriva dalla vulgata della logica privatistica come panacea di tutti i mali, da quando venne imposta una “carta dei servizi” che definiva lo studente quale “cliente”. Per Israel non è che il residuo “di un’idea banalmente sbagliata e cioè che la scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e che studenti e famiglie siano l’utenza”.
Le prove Invalsi sono anche centralistiche. A fronte di un’incongrua regionalizzazione, che si vorrebbe utilizzare per imporre l’uso del dialetto “lumbard” e costruire avamposti della delirante “scuola nazionale padana”, i test non tengono nel minimo conto i differenti POF della scuola dell’autonomia e sono addirittura uguali da Canicattì a Bolzano!
Il carrozzone Invalsi (l’ex Cede di quel Vertecchi che scrisse i quiz per il concorsone di Berlinguer), spesso passato in termini consociativi da una mano all’altra, gode di cospicui finanziamenti, una parte dei quali erogati anche in funzione della somministrazione e della correzione delle schede. Un carico aggiuntivo gratis et amore dei che si cerca d’imporre ai docenti senza che ve ne sia traccia nel contratto nazionale e quando persino gli inventori delle prove (peraltro le più facilmente copiabili in assoluto) sostengono da anni che non solo non dovrebbero coinvolgere il team di classe, ma neppure alcun docente dell’istituto al quale sono proposte. Il metodo Invalsi nasce dall’assoluta sfiducia del “Palazzo” e di certa “Accademia” – che, visto come si colloca a livello internazionale, farebbe meglio a guardare in casa propria – nelle capacità valutative degli insegnanti italiani. Ma si contrappone con arroganza persino al sistema di rilevazione adottato da decenni dall’OCSE, mirato, invece che al nozionismo, alla verifica delle competenze, e che colloca ad esempio la scuola Primaria italiana, da trent’anni, fra il primo ed il sesto posto nel mondo. Farebbero tutti meglio a rileggersi l’art. 33 della Costituzione sulla libertà d’insegnamento, nonché le attribuzioni dei Collegi Docenti, unici ad aver titolo a decidere in materia di didattica e valutazione. Le tante delibere approvate nelle scuole contro le prove Invalsi dovrebbero venire considerate cogenti dal Ministero e dai dirigenti scolastici.
Ma la battaglia è sentita e combattuta anche dagli studenti e dalle famiglie, col netto rifiuto della vergognosa scheda sugli alunni che, se spinge a giudizi sommari e discriminatori su attitudini e personalità, attua persino una rilevazione di censo, istituendo così una sorta di inaccettabile schedatura. Non è altro che la riedizione sotto mentite spoglie del tristemente famoso portfolio di morattiana memoria (insieme al tutor, a suo tempo già rispedito al mittente dai Collegi dei Docenti), preteso dalla parte più retriva del padronato italiano. Un documento che doveva seguire l’individuo per tutta la vita, segnalandone ovviamente le eventuali, “pericolose” propensioni critiche. Oggi siamo alle valutazioni a quiz in stile televisivo che registrano prevalentemente attitudini meramente esecutive e monoprofessionalistiche. I test Invalsi sono il completamento della scuola minimalista prodotta dalla controriforma Gelmini. Valutazioni che ben si addicono, ad esempio, ad un Liceo Scientifico senza il latino, il quale, a proposito di destra e sinistra, starà facendo rigirare nella tomba persino Gentile.

Stefano d’Errico (Segretario nazionale Unicobas Scuola)

Sciopero nelle scuole superiori contro la scuola-quiz

Sciopero nelle scuole superiori contro la scuola-quiz

Insegnanti, Ata e studenti in piazza contro la scuola-quiz

Manifestazioni in tutta Italia. A Palermo presidio a piazza Politeama

Oggi a Palermo, come in decine di altre città italiane, docenti e Ata hanno scioperato per la difesa della scuola pubblica e della “buona” didattica, contro i quiz Invalsi e i continui tagli di risorse all’istruzione.

Come i giorni scorsi alle elementari e alle medie (7 e 14 maggio), oggi in numerose scuole superiori della provincia i quiz sono stati boicottati, alcune scuole non li hanno completamente svolti (come il L.A.S. Damiani Almeyda o il L.C. Garibaldi) perché i collegi dei docenti hanno rifiutato di sottoporre il proprio lavoro alla pseudo-valutazione standardizzata dell’Invalsi, che è l’esatto opposto del lavoro svolto quotidianamente in aula, orientato al riconoscimento e la valorizzazione delle diverse strategie cognitive degli studenti e delle studentesse. Quiz che prevedono anche l’allontanamento degli allievi diversamente abili, quando l’integrazione di tutti è una delle priorità della Scuola Pubblica italiana.

In altri istituti superiori, lo sciopero dei docenti e del personale Ata, insieme all’assenza degli studenti (alcuni dei quali minacciati di ritorsioni che denunceremo agli organi competenti) o anche al boicottaggio attivo consistito nel dare risposte casuali o annullare i test, renderanno insignificanti i risultati ottenuti attraverso dei quiz che il corpo vivo della Scuola rifiuta.

Al presidio di piazza Politeama hanno partecipato molti docenti e studenti di numerosi istituti palermitani (dal L.A.S. Catalano al L. Regina Margherita, dal L. Danilo Dolci al L.S. Croce, dal L.A.S. Damiani Almeyda all’I.T.C. Pareto, ecc.) che hanno distribuito materiali e discusso insieme sui gravi rischi che comporterebbe il definitivo inserimento dei quiz Invalsi nella quotidianità del lavoro scolastico: dal “teaching to test” al “cheating”, reazioni al sistema dei quiz che hanno già mostrato i propri effetti deleteri nei sistemi scolastici in cui i test standardizzati sono in azione da molti anni, come negli Usa o in Giappone. Nazioni che ormai si ribellano apertamente contro questi sistemi di misurazione.

Purtroppo ci giunge anche notizia del pesante intervento di qualche preside che avrebbe falsamente spacciato i test come obbligatori e minacciato gli studenti che non volevano svolgerli o che avrebbe sostituito illegittimamente il personale in sciopero. Contro questi comportamenti procederemo per via legale.

Concludiamo questa “tre giorni” di sciopero e mobilitazioni con l’auspicio che la nuova ministra renda concrete le sue recenti affermazioni: “ridimensionare i test di valutazione” ritenendo “giusto che ci sia un dibattito” e impegnandosi a “sentire le parti in causa e a fare una riflessione”. Così come si proceda nel senso delle dichiarazioni del sottosegretario Rossi Doria che, in risposta alle critiche Cobas, ha sostenuto che va evitato di snaturare l’insegnamento per preparare gli studenti ai quiz, che i quiz non vanno usati per giudicare insegnanti e studenti, ed ha espresso il suo dissenso verso la presenza dei quiz all’esame di Terza Media.

Di conseguenza, bisogna modificare quanto di distruttivo la pratica dei quiz ha già provocato nella scuola: eliminare i quiz dall’esame di Terza Media, rinunciare ad introdurli alla Maturità e confermare ufficialmente e definitivamente la non-obbligatorietà dei quiz nelle scuole, restituendo ai Collegi docenti la piena decisionalità in        merito.

E con la neoministra vorremmo discutere anche del Sistema di (s)valutazione delle scuole, del furto di salario perpetrato ai danni dei lavoratori/trici con il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità; della urgenza di annullare la deportazione dei docenti “inidonei” e l’espulsione degli Ata precari; dell’assunzione  dei precari su tutti i posti disponibili; della restituzione nella scuola del diritto di assemblea per tutti/e.

Programma NUTRA-SCIENZA: Biodiversita e Ricerca Nutraceutica

Programma NUTRA-SCIENZA : Biodiversita e Ricerca Nutraceutica

Paolo Manzelli <egocreanet2012@gmail.com>  16/MAGGIO/2013; C/o Incubatore (IUF) Universita di Firenze

Una nuova sfida della ricerca e’ orientata nel modificare i criteri di miglioramento genetico delle varieta’ di frumento al fine di favorire il recupero della qualita’ nutritiva di specie antiche di frumento  ed in particolare  finalizzata per contrastare l’ aumento di “sensibilita ed intolleranza al glutine” che e in continuo aumento nella popolazione.

La necessita’ contemporanea di  dare sviluppo alla biodiversita  della produzione del grano e dei cereali  contrasta nettamente con i precedenti criteri di miglioramento varietale delle specie  di frumento .                              La qualita della produzione e infatti stata in precedenza vista nella logica della produzione quantitativa del processo di industrializzazione agro-industriale ; pertanto tale atteggiamento ha sacrificato la biodiversita’ in funzione della uniformita’ genetica della produzione in seguito ad una valutazione a fini commerciali  del grano. Una maggiore uniformità genetica delle varietà del frumento ha  comportato  la ricerca di una maggiore selezione di singole specie , tale che fosse vantaggiosa per lo svolgimento delle pratiche agricole, sempre piu’ meccanizzate. Semi e piante uniformi agevolano infatti la meccanizzazione di operazioni come la semina e la raccolta che vanno in sincronia con la applicazione meccanica di diserbanti, pesticidi e fertilizzanti.

Pertanto i criteri di selezione genetica sono stati  ottenuti, nel secolo scorso, tramite incroci orientati ad  ottenere nuove varieta’ di frumento per la panificazione ed hanno avuto il culmine nella produzione del grano duro (1974) ottenuto mediante la mutagenesi  per  irrorazione di raggi X sul grano tenero, cio’ proprio per avere una alta concentrazione di glutine e migliorarne la pastificazione delle farine cosi che la evoluzione indotta delle granaglie e’ stata sistematicamente  orientata da criteri industriali e commerciali che hanno preferito avere disponibilita  di  produzioni agricole di grano quantitativamente omogenee , con caratteristiche geneticamente uniformi, determinando di conseguenza una erosione sistematica della naturale biodiversita delle specie di frumento.

Diversi sono oggi i criteri della ” Ricerca Nutraceutica ” per la quale la biodiversita non e’ piu’ solo intesa come salvaguardia e collezione del germoplasma di specie antiche di frumento in via di estinzione, ma viene ri-orientata  allo scopo di valorizzarne la bio-diversificazione genetica in funzione della  qualita’ nutrizionale dei frumenti.  Tale rinnovato orizzonte della ricerca e della innovazione Agro-alimentare contemporanea, si predispone a favorire un nuovo atteggiamento culturale e scientifico  della produzione agricola e della trasformazione del frumento , favorendo la crescita della disponibilita sul mercato di una elevata  differenziazione di partite di grani , aventi caratteristiche nutraceutiche non piu uniformi,  proprio per dare una efficace risposta alle varie esigenze di attuare un rapporto ottimale tra alimentazione e salute

Pertanto nell’ ambito di una netta inversione di tendenza  con i criteri che hanno condotto ad un indiscriminato aumento quantitativo della sola produttività industriale delle granaglie un importante contributo al miglioramento genetico della biodiversita dei frumenti,  viene oggi finalizzato al miglioramento della qualità nutraceutica  per tramite il recupero  del valore nutritivo delle  vecchie specie locali non più coltivate proprio in quanto,  sino ad ora, queste sono state poco utilizzate nei programmi di ricerca per il miglioramento della biodiversita genetica dei frumenti. Inoltre la nuova impostazione di ricerca/innovazione  Agro-Alimentare riconosce la importanza del fatto che alla eccessiva uniformità delle specie di grano ,che ha condotto alla erosione genetica ,sono associati  aspetti negativi, soprattutto per quanto riguarda l’impatto che ha l’ attacco di agenti patogeni sulle monoculture; al contrario la biodiversita della coltivazione di varie tipologie di cereali salvaguardia naturalmente le varie specie dagli attacchi epidemici  da parte dei vari patogeni .

Per tali ragioni un lavoro accurato di esplorazione e di ricerca ed innovazione sui nuovi criteri di miglioramento della biodiversita genetica del frumento, al fine di valorizzarne  le proprieta Nutraceutiche , particolarmente utili in particolare nel contrastare l’ aumento della “sensibilita al glutine”,  e’ stato recentemente  impostato e sviluppato dal Prof Stefano Benedettelli e dal suo staff di ricerca della facolta’ di Agraria della Universita di Firenze ,  anche al fine di evitare l’ utilizzazione intensiva di pesticidi e fertilizzanti e migliorare la produzione di tipo biologico e e la salvaguardia dell’ ambiente in relazione ai prodotti derivati dal frumento.

Da tale ricerca  sulla valorizzazione della Biodiversita  in funzione del miglioramento Nutraceutico delle specie antiche di grano nasce così il cosiddetto fenomeno di “cambiamento dei criteri di selezione varietale del grano” che innesca un ampio orizzonte  di innovazione delle produzione agricola del frumento , per il fatto che  le nuove varietà richiedono tecniche agronomiche più avanzate rispettose di criteri di eco-economia, che sono conseguenti  alla  ricerca di migliori varietà, biologiche/ nutrizionali  in un processo ciclico che porta ad un continuo e progressivo aumento della bio-diversita delle colture direttamente funzionale ad una più alta qualita nutrizionale della produzione agricola di sementi e della loro trasformazione in alimenti ad alto valore per la salute.

In conclusione nel nuovo orizzonte  dello sviluppo della “bio-economia” il valore qualitativo nutraceutico degli alimenti è inevitabilmente legato alla ricerca salutistica di sostanze con alto valore nutrizionale contenenti  cioe’ molecole bio-attive  quali . anti-ossidanti , vitamine, microelementi ed acidi grassi essenziali …ecc  che include la  capacità di preservare questi composti ad elevato valore nutraceutico  nelle loro varie trasformazioni dal campo alla tavola.

La ricerca del Programma NUTRA-SCIENZA pertanto mira a promuovere sostenere le ricerche e le innovazioni finalizzate ad identificare la “qualita -nutraceutica” degli alimenti per una strategia di sviluppo del benessere e dell’ invecchiamento attivo della popolazione, cosi come e’ richiesta dal programma Europeo HORIZON 2020.  Pertanto il programma NUTRA-SCIENZA si impegna a sostenere la disseminazione e promozione della  Ricerca innovativa del Prof Benedettelli , (che attualmente coordina un gruppo multidisciplinare di ricercatori delle Universita di Firenze,Pisa e Siena) , stimolando l’ Impresa ed i cittadini a comprendere e sostenere un progetto importante di innovazione culturale e scientifica, che nel suo complesso richiede di  innovare e condividere ricerca e i processi di trasformazione. L’ obiettivo finale di tale programmazione sara’ quello di  creare  nuovi prodotti a base di cereali di elevata sicurezza e qualita’ nutritiva, tali  che rendano sostenibile la produzione agricola futura,  basata sullo sviluppo della bio-economia per un miglioramento fondante una prospettiva benessere psico-fisico e di elevata qualita delle vita  tale che conduca nel medio e lungo periodo ( tra il 2014-2020) a un netto risparmio delle spese medico sanitarie che stanno divenendo sempre piu insostenibili.

Anno Europeo dei Cittadini 2013

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Anno Europeo dei Cittadini 2013, iniziativa promossa dalla Commissione Europea con l’obiettivo di promuovere il dibattito sui diritti di cittadinanza nei paesi membri dell’Unione Europea.

L’obiettivo non è solo quello di conoscere quali sono i diritti di cittadinanza ma anche cosa il cittadino può fare per l’Europa.

Forse non tutti sanno che essere cittadino europeo significa avere il diritto di trasferirsi e risiedere liberamente in ogni stato dell’Unione Europea, avere tariffe telefoniche in roaming alla portata di tutti, studiare all’estero, ricevere la pensione in un altro stato dell’Unione, godere dell’assistenza sanitaria in ogni stato europeo, ricevere aiuto e assistenza in caso  di cancellazione del volo, e altro ancora.

Grazie ai numerosi eventi previsti nel corso dell’anno, tutti possiamo partecipare al dibattito, parlare direttamente con i nostri rappresentanti, immaginare l’Europa in cui vorremmo vivere, confrontarci su cosa ci aspettiamo dall’Unione Europea di domani.

Conoscere il significato reale della cittadinanza europea può aiutare tutti noi a far valere i nostri diritti e a far emergere le nostre idee.

Non ci mette emozioni…

Non ci mette emozioni…

di Adriana Rumbolo 

Spesso i colloqui fra genitori e insegnanti sono intervallati da :se ci mettesse più attenzione;se ci mettesse più impegno ; se ci mettesse più volontà….mai, mai   se  ci mettessero le loro emozioni.

Non ci può essere apprendimento senza emozioni,  ha sentenziato Boncinelli!

.A volte mentre si parla dei risultati di uno studente per  insufficienza essenziale  cioè incomprensibile,  non si riflette che stiamo dando un giudizio su  un soggetto che non è stato messo in condizione di lavorare , di apprendere,    perché   come ha messo il piede a scuola  è scattato il silenziatore all’importantissima e indispensabile partecipazione  del suo cervello emotivo .

Facciamo qualche semplicissimo  esempio ribadendo sempre che , perchè ci sia apprendimento, è necessario ci sia  comunicazione  che può essere più o meno intensa .quindi, iucunde repetita iuvant,  l’apprendimento è direttamente proporzionale al coinvolgimento  emotivo.

Ammettendo  la diversità  biologica,  le risposte dei ragazzi saranno varie usufruendo così  dell’interscambiabilità che avverrà spontaneamente.

Una meraviglia!

Ho scritto in un articolo  qualche anno fa  “Il cervello nella scuola”:”Ai ragazzi è stata descritta la neocorteccia come un casco, termine a loro familiare,  che avvolge il cervello con numerose e profonde pieghe ed ha oltre tante funzioni importantissime anche il compito meraviglioso :raccogliere tutte le nostre conoscenze, le nostre esperienze

.Però il cervello non può fissare tutti i dati che gli arrivano, sono troppi.

La memoria allora a seconda della qualità  e della quantità emotiva del dato in corso, tratterrà il ricordo per una manciata di secondi (memoria sensoriale) o per una ventina di minuti  (memoria breve) o per tutta la vita (memoria  a  lungo termine ):in questo  modo si formerà il nostro sapere..

L’organo che esercita queste due funzioni è l’ippocampo il quale ha il compito di creare una rappresentazione del contesto contenente i rapporti tra l’evento esterno e la risposta emozionale.

Il sillogismo è ovvio: senza emozioni e memoria non ci può essere apprendimento .sembra  semplice ,ma i programmi scolastici  o chi li prepara non vuol tenerne conto.

Perché ? Non  lo so!!!

Ed  eccoci  all’amigdala , archivio della memoria emozionale, che ai ragazzi piacque molto conoscerla e sapere che l’aveva scoperta il grande neuroscenziato  J.LeDoux.

Il percorso diretto talamo-amigdala comporta un’elaborazione veloce, ma imprecisa, che consente di rispondere a stimoli potenzialmente pericolosi, prima di sapere esattamente che cosa siano.

Il percorso talamo-precorteccia-amigdala consente, invece, una risposta emotiva mediata dalla razionalità ( la famosa tappa valutativa)perché vengono codificati i particolari degli stimoli provenienti dal talamo, per creare una rappresentazione dettagliata e accurata che consente una valutazione ed una risposta emotiva più ponderata rispetto al percorso talamo-amigdala.

Quindi, se l’intervento immediato dell’amigdala è utile nelle situazioni pericolose, l’intervento della precorteccia  impedisce all’amigdala di scatenare emozioni dannose, come la rabbia o l’aggressività spropositate.

Le emozioni non nascono solo come risposta ad un evento che stiamo vivendo, ma anche come risposta ad un ricordo emotivamente carico oppure ad un contesto legato a uno stimolo particolare

Si spera che prima o poi  nel percorso di crescita di un soggetto  ,in cui  l’apprendimento è intenso e continuo si tenga presente il ruolo fondamentale delle emozioni.

 

Scuola digitale, il decreto Profumo sbarca al Salone del Libro di Torino: “La gradualità chiave per il successo”

da LaStampa.it

Scuola digitale, il decreto Profumo sbarca al Salone del Libro di Torino: “La gradualità chiave per il successo” 

Il 17 maggio guru dell’editoria a confronto sulla rivoluzione 2.0 nelle aule. Il presidente Anarpe Piemonte: «Strutture inadeguate e docenti ancora senza esperienza»
enrico caporale
torino

E’ giusto che la scuola sostituisca il libro cartaceo con il libro digitale? Il dibattito sulla rivoluzione firmata Francesco Profumo sbarca alla Fiera Internazionale del Libro 2013. Venerdì 17 maggio, a partire dalle ore 15.30 presso la sala Business del Lingotto Fiere di Torino, guru dell’editoria si confronteranno sul decreto tanto voluto dall’ex ministro dell’Istruzione. L’incontro, dal titolo “Editoria scolastica – creatività e progetto. Il libro: la struttura di un’idea”, è stato organizzato dall’Associazione Nazionale Agenti Rappresentati Promotori Editoriali (ANARPE) che, insieme all’Associazione Italiana Editori (AIE) e all’Associazione Librai Italiani (ALI), fin da subito ha assunto una posizione molto critica nei confronti di Profumo. Al dibattito parteciperanno Angelo Roncoroni e Giovanni Reale (autori di libri), Giulio Gorello (direttore della collana “Scienza e idee”), Cristina Vernizzi (direttore editoriale RCS spa), Giuseppe Ferrari (direttore editoriale Zanichelli spa), Davide Guarneri (presidente AGE, Associazione Italiana Genitori), Angela Nava (presidente CGD, Coordinamento Genitori Democatici), Lucia Maurenzi ed Eva Giuliano (insegnanti). Presenterà Alessandro Carta, presidente ANARPE. Un’anticipazione sui temi che verranno trattati, intanto, ce la dà Paolo Barbero, presidente ANARPE Piemonte.

Dott. Barbero, a marzo il ministro Profumo ha firmato il decreto che prevede l’adozione di libri scolastici esclusivamente digitali o misti a partire dal 2014/2015. Ma le scuole sono pronte?

«Direi di no, e per diversi motivi. Un primo problema è infrastrutturale: molte scuole non sono dotate di banda larga in tutte le aule. Un altro riguarda invece la formazione dei docenti, e non parlo solo di alfabetizzazione digitale, ma soprattutto di innovazione della didattica: la rivoluzione 2.0, infatti, necessita il superamento della lezione frontale. Si tratta di innovazioni interessati, in parte già sperimentate nel mondo anglosassone, ma difficili da realizzare per decreto».

In una recente intervista a La Stampa la neo ministra Carrozza ha affermato: «La rivoluzione digitale è ineludibile, ma prima facciamo funzionare le scuole». Idee?

«Sono pienamente d’accordo con la ministra. Ritengo che prima bisogna intervenire sull’edilizia scolastica, sui disturbi di apprendimento, i cosiddetti DSA, o sull’inserimento degli stranieri con percorsi specifici.Il digitale resta comunque un aspetto importante. Ma sarebbe opportuno spingere i docenti a sperimentare didattiche innovative attraverso le tecnologie e non imporre un cambiamento radicale a chi non ha formazione nè motivazioni sufficienti».

Secondo Profumo la digitalizzazione porterebbe alle famiglie risparmi tra il 20 e il 30 per cento. E’ davvero così?

«Diciamo che l’abbassamento dei tetti di spesa farà scendere di quella percentuale il prezzo dei libri, ma resta da capire chi metterà i soldi per l’hardware e la connessione per lo studio a casa. Il Decreto Ministeriale 221/2013 all’art. 7 dice “…si provvederà con successivo atto di natura non regolamentare a definire le modalità attraverso le quali le scuole potranno assicurare alle famiglie i contenuti digitali (….) e la disponibilità dei supporti tecnologici…”. Per ora, pertanto, è difficile pronunciarsi. Credo tuttavia che la digitalizzazione rischi di rendere ancora più marcato il divario tra studente e studente, tra chi può permettersi gli strumenti tecnologi e chi invece no. Poi c’è il discorso dell’usato. Con il cloud computing i testi di seconda mano non troverebbero più mercato: gli accessi alle piattaforme e ai cloud per la consultazione dei materiali digitali, infatti, hanno una scadenza. Così, solo chi potrà permettersi libri nuovi avrà accesso ai materiali aggiuntivi e a quelli di verifica».

Se al 30% della riduzione del tetto di spesa per l’acquisto dei libri ci aggiungiamo il 21%   di Iva applicata ai testi digitali (per i cartacei è pari al 4%, ndr), ci rendiamo conto che l’editore incasserà la metà di quanto accade attualmente. Questo che cosa comporterà per l’intero settore?

«Sicuramente aggraverà la crisi che il settore già attraversa, colpendo tutte le figure della filiera. Sempre più librerie indipendenti, ormai, sono costrette a chiudere perché non riescono a sostenere i costi dell’attività.La grande distribuzione organizzata, poi, ha causato una riduzione delle vendite in libreria anche oltre il 30%. Per gli editori, invece, le minori entrate sono gravate dall’aumento vertiginoso degli investimenti nel digitale, non compensati, per ora, da un calo delle pagine a stampa. La promozione editoriale nelle scuole rischia di non avere più energie sufficienti per presentare prodotti sempre più articolati, trasformatisi di fatto da “libri di testo” in veri e propri “progetti didattici multimediali”. Per quanto riguarda le altre figure della filiera (trasportatori, stampatori, redattori ecc…), rischia di essere una carneficina. E’ stata calcolata infatti una riduzione dell’occupazione in tre anni di circa 15% su 35.000 occupati. Senza contare che questo famoso 20-30% andrebbe a beneficio di industrie straniere produttrici di strumenti tecnologici, a danno dell’industria italiana».

Quali altre misure potrebbero essere intraprese per alleggerire il carico economico delle famiglie? Si è discusso col governo di introdurre la detraibilità dei libri scolastici?

«Ai tempi del governo Berlusconi abbiamo provato a chiedere la detraibilità dei libri di testo, ma l’allora ministro Tremonti ci rispose che non era assolutamente possibile per mancanza di fondi. Ora cercheremo di riproporre la questione, d’altronde sarebbe un segnale importante sul significato che il Paese intende dare all’investimento delle famiglie per l’istruzione dei figli».

Che feedback ha da parte di insegnati e genitori rispetto ai libri digitali?

«Come genitore posso dirle che mia figlia, maturanda quest’anno, e le sue amiche, non mostrano particolare entusiasmo verso questi “nuovi” testi. I docenti hanno invece un atteggiamento preoccupato, dovuto alle difficoltà di utilizzo degli strumenti, alla mancanza di infrastrutture adeguate e alla mancanza di esperienza didattica. Per questo ritengo che la gradualità sia la chiave del successo per una scuola 2.0».

In un comunicato congiunto la filiera del libro e della carta ha riaffermato il valore pedagogico e la centralità del libro a stampa, sottolineando i possibili effetti nocivi di un’eccessiva esposizione dei ragazzi agli strumenti elettronici. Che cosa ne pensa?

«Non ho documenti che mi informino al riguardo in modo soddisfacente, registro però una grande preoccupazione da parte di docenti e genitori. D’altronde, l’esposizione a devices tecnologici (smartphone, ebook, tablet e pc) rischia di diventare davvero eccessiva, soprattutto nei ragazzi molto giovani. Alle ore trascorse davanti a uno schermo a scuola, si sommerebbero infatti quelle dedicate allo studio individuale a casa e quelle, inevitabili, del divertimento e della comunicazione. Inoltre, è stato accertato che la riduzione delle attività manuali aumenta le difficoltà di apprendimento nei bambini».

Qual è la situazione negli altri Paesi europei?

«Secondo la classifica dei test Pisa 2009 sulla digitalizzazione nelle scuole, l’Italia si trova al ventinovesimo posto e gli USA al diciassettesimo. Al primo posto Shanghai. Seguono Corea del Sud, Finlandia, Hong Kong, Singapore, Canada, Nuova Zelanda, Giappone, Australia, Paesi Bassi. Ritengo che gli esempi da seguire siano soprattutto europei e che la distinzione non vada fatta sull’inserimento del digitale nelle aule, quanto piuttosto sulla percentuale di PIL destinata all’istruzione, con tutto quel che ne consegue in termini di strutture scolastiche, retribuzione del corpo docenti e motivazione degli stessi».

Omofobia, Carrozza: “indispensabile contrastare ogni forma di discriminazione”

Omofobia, Carrozza: “indispensabile contrastare ogni forma di discriminazione”

(Roma, 16 maggio 2013) In occasione del 17 maggio – giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia – il Ministro Maria Chiara Carrozza invita le scuole “a continuare nell’opera quotidiana di costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. A tal fine è indispensabile contrastare ogni forma di discriminazione, compresa l’omofobia”.

Il Ministero continua a dare supporto alle scuole, raccogliendo le iniziative ed esperienze realizzate sul portale www.noisiamopari.it e su www.smontailbullo.it, dove studenti, docenti e famiglie possono trovare materiale informativo e divulgativo e interventi didattici. Invitiamo dunque tutte le scuole a condividere con noi le proprie esperienze.

Il Ministero ricorda inoltre che è a disposizione per informazioni e prima assistenza in caso di discriminazioni il numero verde antibullismo 800.669.696.

Lavoro e reddito di formazione a chi ha bisogno: le risposte e le domande di 90mila studenti

da Repubblica.it

Lavoro e reddito di formazione a chi ha bisogno: le risposte e le domande di 90mila studenti

Molte risposte sorprendenti alle domande del questionario compilato da 90mila ragazzi per la Consultazione studentesca 2013 che tracciano uno spaccato di ciò che chiede un’intera generazione: lavoro, diritto allo studio, autonomia di scuola e università, reddito di formazione e valutazione degli atenei

Quasi 90mila studenti italiani spiegano alla “casta” cosa si aspettano dal nuovo governo. Le risposte alle domande della Consultazione studentesca nazionale 2013, lanciata lo scorso 15 aprile dalla Rete della conoscenza, forniscono uno spaccato abbastanza chiaro delle esigenze più immediate degli studenti di scuola superiore e universitari. Le tematiche affrontate sono diverse: si va dal diritto allo studio alle autonomie di scuola e università, passando per il reddito di formazione e la valutazione degli atenei e delle scuole. E i risultati possono rappresentare un utile punto di partenza per il nuovo Esecutivo che si è impegnato a non tagliare più scuola e università.
In poco meno di tre settimane sono stati compilati – online o su modelli cartacei – quasi 90 mila questionari. E i risultati non mancano di sorprendere. Sul diritto maggiormente negato e che provoca nei giovani maggior preoccupazione per il futuro gli studenti non hanno dubbi: sono lavoro e precarietà lavorativa – con il 72,8 per cento delle preferenze – a preoccupare di più i giovani. Diritto allo studio e qualità dell’istruzione raccolgono poco più del 9 per cento di risposte. Niente sorprese, quindi, ma un disagio ormai palpabile che rischia di vanificare gli sforzi di decine di migliaia di giovani.
E sull’autonomia scolastica e universitaria arriva la prima sorpresa. Se la maggioranza degli studenti – il 62 per cento – vede un’autonomia che permetta “alle singole scuole ed università di organizzare didattica e ricerca garantendo una rappresentanza a tutte le componenti, ma senza soggetti esterni nei luoghi decisionali”, poco meno di un quarto degli studenti – il 26 per cento – ammette l’intervento finanziario dei privati purché “la programmazione didattica e di ricerca resti sotto il controllo delle scuole e delle università sulla base di alcune linee guida nazionali”. Anche sul reddito di formazione – assegnato agli studenti soprattutto nei paesi scandinavi – la posizione degli studenti sorprende.
I ragazzi intervistati mostrano senso di responsabilità e, anziché richiedere il reddito di formazione indistintamente per tutti, auspicano – il 53,5 per cento – che venga assegnato in base al reddito familiare e al merito. Anche sul diritto allo studio ragazzi e ragazze hanno le idee abbastanza chiare: “dovrebbe essere rivolto ai privi di mezzi per garantire l’emancipazione dalla famiglia” rimettendo in moto il cosiddetto ascensore sociale, ormai bloccato da anni. A pensarla in questo modo sono stati 45 studenti su cento. Per più di un quarto degli studenti – il 28 per cento – invece, non basta essere privi di mezzi per accedere le agevolazioni sul diritto allo studio, occorre anche “raggiungere elevati risultati di merito”. E 24 su cento pensano ad una misura del genere per i soli meritevoli.
Anche sulla querelle relativa al numero chiuso le risposte dei ragazzi sorprendono, almeno in parte: per colmare il gap italiano col resto d’Europa sui laureati – ne abbiamo una quantità irrisoria – la stragrande maggioranza dei giovani, il 57,5 per cento, considera indispensabile ritornare all’accesso libero all’università. Ma uno studente su 3 – il 30 per cento – vorrebbe mantenere il numero chiuso per Medicina, Architettura, Odontoiatria, Veterinaria e per le Professioni sanitarie. E sulla valutazione, come la pensano gli studenti? Non sono, un po’ a sorpresa, contrari a priori a qualunque forma di valutazione degli studenti come avviene oggi con i test Invalsi per la scuola o col test Ava, per le competenze generaliste dei laureandi italiani, in previsione a settembre.
Per il 49 per cento dei ragazzi “bisognerebbe creare un nuovo modello di valutazione più democratico, prevedendo il coinvolgimento degli organi decisionali di scuola e università nella scelta dei criteri e dei metodi di valutazione”. E per evitare, infine, che stage e tirocini – sia a scuola sia all’università – si trasformino in una ulteriore sacca di precariato lavorativo con scarse ricadute sulla preparazione, gli studenti – il 78 per cento – auspicano l’adozione di uno “Statuto dei Diritti degli studenti e delle studentesse in stage” che garantisca attività realmente formative e specializzanti durante le quali i ragazzi “non vengano utilizzati per mansioni che non corrispondono alle proprie esigenze formative”.
“Non possiamo che prendere atto di un dato di partecipazione straordinaria – dichiara Federico Del Giudice, portavoce della Rete della conoscenza – e rilanciare rivendicazioni sulle risposte che abbiamo ottenuto. Dai risultati, emerge con forza la contrarietà degli studenti al modello di valutazione dell’Invalsi nelle scuole e sono palesi temi di attualità come il numero chiuso, su cui si registra un alto dato di contrari, oltre alla preoccupazione centrale per il futuro che è relativa alla precarietà. E’ fondamentale – conclude Del Giudice – che le forze politiche assumano immediatamente le richieste che vengono dalle scuole e dalle università e mettano in discussione le scelte portate avanti irresponsabilmente dagli ultimi governi, tagliando l’istruzione pubblica ed escludendo anno dopo anno decine di migliaia di persone dai percorsi di studio”.

Firmato il CCNI su assegnazioni e utilizzazioni

da Tecnica della Scuola

Firmato il CCNI su assegnazioni e utilizzazioni
di R.P.
Cancellati una volta per tutte i due articoli contestatissimi sulla assegnazione del personale docente e Ata ai plessi e alle sedi distaccate. I sindacati si accontentano di un rigo di generica premessa
Nella serata del 15 maggio è stata sottoscritta la pre-intesa del CCNI su assegnazioni e utilizzazioni. Rispetto al contratto definitivo dello scorso anno le differenze sono davvero minime, mentre i due articoli contenuti nella pre-intesa firmata nel giorno 2012 e contestati dal Dipartimento della Funzione Pubblica che opera il controllo sui contratti integrativi sono stati definitivamente cancellati. E’ stato eliminato infatti l’articolo sull’assegnazione del personale docente ai plessi e alle sedi, tema su cui, da tre anni a questa parte, si è sviluppato un consistente contenzioso (per superare il problema lo scorso anno si parlava di “mobilità interna” alla istituzione scolastica, ma il Dipartimento della F.P. non aveva accettato il “gioco di parole”). Così come è stato cancellato l’articolo sull’assegnazione ai plessi e alle sedi coordinate del personale ATA. Dopo le battaglie e le polemiche degli anni passati, questa volta i sindacati hanno deciso di sottoscrivere il contratto accontentandosi di una premessa che in realtà dice poco o nulla (“lo stesso CCNL, al capo II – Relazioni sindacali, artt. 3,4,5 e 6, definisce le materie di competenza della contrattazione integrativa di secondo livello e gli ambiti territoriali della stessa”) e che comunque è esattamente identica a quella dello scorso anno. Il fatto che la pre-intesa sia stata siglata da tutti i sindacati e senza polemiche fa ben sperare su un rapido iter del provvedimento che, per una volta tanto, potrebbe essere sottoscritto in via definitiva in tempi ragionevolmente contenuti.

Test Invalsi: una valutazione del sapere al ribasso?

da Tecnica della Scuola

Test Invalsi: una valutazione del sapere al ribasso?
di Lucio Ficara
Occorre riflettere bene sul reale senso delle prove che l’Invalsi utilizza per rilevare apprendimenti e competenze. C’è il rischio di trascurare aspetti decisivi come lo spirito critico e il desiderio di apprendere.
La somministrazione dei test Invalsi prosegue domani 16 maggio con le classi seconde delle scuole secondarie di II grado. La conclusione è prevista il 17 giugno con la prova che farà parte dell’esame di Stato del primo ciclo. Pensare, o ancora peggio dire, che i docenti italiani abbiano paura dei test Invalsi, è una critica assolutamente assurda e priva di ogni fondamento logico, che soltanto chi concepisce la scuola dal punto di vista monocratico, può indirizzare al cuore intellettivo ed intellettuale della scuola. Additare la classe docente, che con serietà professionale e cognizione di causa, si interroga sulla bontà dello strumento dei test Invalsi, come se fosse invalsi-fobica e temesse le ripercussioni professionali di questi test valutativi, volti ad accertare la preparazione dei propri discenti, è semplicemente una pura falsità.  Non dobbiamo dimenticare che i docenti si impegnano quotidianamente, senza risparmiarsi e senza limiti di tempo, per trasmettere ai propri discenti il sapere, in modo tale da farli uscire da quello che Kant definiva uno stato di “minorità”.  Forse questo illuminato pensiero, che appartiene a moltissimi docenti intelligenti, è veramente troppo difficile da comprendere per gli strateghi dell’Invalsi?  Da Villa Falconieri, sede ufficiale dell’ente di valutazione del sistema educativo, d’istruzione e formazione, sono assolutamente convinti che le prove Invalsi stanno migliorando efficacemente la scuola italiana.  Ma è veramente così? Ci piacerebbe dare voce a tutti quei docenti, definiti egregiamente dal Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, come i nuovi eroi di questo tempo, per spiegare ai burocrati dell’ Invalsi, amanti della scuola monocratica, cosa significhi dare ad un ragazzo gli strumenti del sapere per affrontare la complessità della quotidianità moderna.  Negli atti eroici, riconosciuti dal Presidente Boldrini, e compiuti dagli insegnati quotidianamente, c’è la capacità di trasmettere il coraggio del conoscere.  Orazio lo avrebbe chiamato “Sapere aude”, quel coraggio interiore, che ogni discente possiede, e che solo il suo “maestro-educatore” è capace di tirare fuori. Solo in questo modo l’allievo trova le motivazioni e il coraggio di conoscere, liberandosi dallo stato di minorità per appropriarsi del proprio intelletto senza il bisogno della guida del suo insegnate. Purtroppo i test Invalsi, e questo lo dicono in tanti docenti, seri ma non burocrati, non riescono a valutare il senso critico e logico dell’allievo, ma soltanto il processo meccanico ed esecutivo. I docenti che amano la scuola molto di più di quanto non lo facciano i burocrati, rilevano questo errore di valutazione e giustamente, con la forza della loro intelligenza, giudicano questi test Invalsi una vera “mostruosità”, che condannerà, se non ci saranno ripensamenti, i nostri alunni a vivere in uno stato di perenne minorità. Comunque la si voglia pensare, credo sia interesse di tutti, porsi la seguente domanda: i test Invalsi rappresentano una valutazione del sapere al ribasso oppure misurano realmente le competenze metodologiche del ragazzo?