Blocco degli scatti stipendiali del personale scolastico

La CISAL-SCUOLA Nazionale  ha assunto una posizione di netta contrarietà rispetto al blocco degli scatti stipendiali del personale scolastico, previsto in uno schema di Decreto attualmente all’esame delle Camere.

 

La CISAL Scuola, per il tramite della delegazione confederale della CISAL che ha recentemente sostenuto una audizione dinanzi alle competenti commissioni parlamentari, ha chiesto il ritiro del provvedimento, evidenziando che una proroga del blocco già in essere non è sostenibile dai lavoratori della Scuola, oltretutto sottoposti al più generale blocco dei rinnovi contrattuali a cui è stato assoggettato l’intero pubblico impiego.

 

Guglielmo Trovato, a nome della CISAL Scuola, ha evidenziato come le retribuzioni del personale scolastico italiano siano tra le più basse d’Europa, a dimostrazione di come, al di là di mere enunciazioni di principio che non trovano attuazione nella realtà, nel nostro Paese si continua a disinvestire nella formazione scolastica.

 

Secondo Trovato il mancato investimento nella Scuola Pubblica, che continua ad essere una costante delle politiche di tutti i Governi succedutisi negli ultimi anni, è uno di quei fattori che impediscono una ripresa di competetività del sistema Italia

 

CISAL SCUOLA NAZIONALE

Guglielmo Trovato

Promuovere o non promuovere gli alunni

Promuovere o non promuovere gli alunni

di Umberto Tenuta

E’ imminente la fine dell’anno scolastico ed i docenti si accingono a valutare gli alunni, ai fini della loro promozione o bocciatura.

Al riguardo, è opportuno tenere presente che, come si affermava nel RAPPORTO FAURE, <<ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>[1] e che tale affermazione si ritrova sostanzialmente riprodotta nell’art. 1 del Regolamento dell’Autonomia scolastica, laddove si afferma che <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>> (Art. 1 del D.P.R. 8.3.1999, n. 275).

In effetti, la normativa pone come obiettivo includibile il successo formativo di tutti i singoli alunni e, al riguardo indica la strategia da seguire, costituita dal miglioramento della efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.

Altrove[2] abbiamo scritto che il successo formativo non può essere condizionato dalle potenzialità dei singoli alunni, ma dipende dalle strategie formative che i docenti ed il loro collegio mettono in atto.

Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agireLa specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>[3].

Il compito della scuola è quello di promuovere l’umanizzazione dei giovani, il loro divenire uomini, acquisendo i valori che sono propri dell’umanità, in una forma singolare che è frutto del contesto formativo e del progetto della propria umanità che ogni singolo giovane via via esprime.

Come scrive il Doll: <<Per capacità potenziali dei singoli noi intendiamo quelle potenzialità di grandezza imprevedibile, che possono scaturire dall’interno della personalità: potenzialità che possono venire sviluppate o ridotte col processo educativo… le capacità potenziali non sono considerate come delle qualità congenite nell’individuo, che divengono attuali attraverso un processo di maturazione su cui non influisce in alcun modo l’ambiente. Anzi, queste capacità si sviluppano e si “manifestano nello scambio dinamico di influssi fra l’individuo e il suo ambiente”. Vengono definite capacità “potenziali” perché sono un modo di essere dell’individuo, sono una capacità individuale di reagire positivamente e in modo praticamente imprevedibile: “senza alcun preconcetto quanto ai …limiti” delle capacità potenziali…. L’essenza della concezione ebraica e greca dell’uomo era invece di porre l’accento sulla personalità umana dotata di capacità potenziali illimitate, di considerare positivo il fatto che gli sviluppi della personalità umana sono imprevedibili…>>[4].

Non esiste la scolaresca, costituita da venticinque studenti, ciascuno dei quali deve essere aiutato nel suo impegno a costruire la propria personalità, originale, irripetibile, singolare.

Non esiste una scolaresca di venticinque studentii[5] che possono essere impegnati negli stessi apprendimenti, con le stesse strategie e tecnologie, magari costituite dalla voce del docente, dal libro di testo e, a volte, dalle stesse tecnologie educative. Il compito fondamentale dei docenti è quello di personalizzare l’attività formativa, individuando attraverso quali attività ogni studente riesce a realizzare la sua irripetibile personalità.

E’ questo il significato della valutazione formativa[6]

Ovviamente, la valutazione formativa ha significato se si attua in una scuola che privilegia le unità di apprendimento[7] e non le lezioni.


[1] FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249.

[2] In merito al successo formativo di tutti i singoli alunni, vedi i saggi dello scrivente in RIVISTA DIGITALE DELLA didattica (www.rivistadidattica.com) e nella rubrica DIDATTICA&EDSCUOLA a cura di Umberto Tenuta  ( www.edscuola.it/dida.html ).

[3] KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp. 25-27.

[4] DOLL R. C., L’istruzione individualizzata, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pp. XI, 19, 21.

[5] Preferiamo indicare gli scolari con il termine studenti, inteso nel suo significato etimologico di “colui che ama” imparare per formarsi: . Studente da studium che in latino significa anche “passione, desiderio, impulso interiore“.. Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: del volume FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998). In merito, vedi: LEZIONI NOIOSE BASTA: VIVA LA GIOIA DI APPRENDERE! di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

6 In altri termini, <<la valutazione è il momento della esperienza educativa… nella quale l’educatore riesce a comprendere per quale itinerario riuscirà a prestare il suo aiuto, quello cioè che legittima la sua funzione, affinché la ricchezza del potenziale educativo (intelligenza, linguaggio, affettività, socialità, volontà, memoria, ecc.) si traduca in libertà personale, in coscienza (intesa, alla maniera dello Spranger, come sorgente normativa), in volontà morale, in creatività: senza nessuna manomissione, senza alienazione di sorta>>(AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, La Scuola, Brescia, 1974 e UMBERTO TENUTA, Valutazione: selettiva o formativa?, in http://www.edscuola.it/archivio/didattica/valselform.html.

7 In merito cfr. il saggio UNITÀ DIDATTICHE E UNITÀ DI APPRENDIMENTO di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

2 GIUGNO: MINISTRO CARROZZA CONSEGNA COSTITUZIONE AI DICIOTTENNI

2 GIUGNO: MINISTRO CARROZZA CONSEGNA COSTITUZIONE AI DICIOTTENNI

“Tra i tanti testi che avete letto e leggerete nel vostro percorso di studi e di vita, sono certa che la Costituzione conserverà un posto speciale. Nei suoi articoli sono custoditi i valori più alti della nostra Repubblica che oggi celebriamo, i fondamenti della convivenza civile che sapranno guidarvi nelle vostre scelte di domani. Buona Festa della Repubblica”.

Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza, in occasione della Festa del 2 giugno, consegnando una copia della Costituzione ai ragazzi del comune di Buti (Pisa) che compiono diciotto anni.

Finalmente un obbligo di istruzione in chiave europea!

Finalmente un obbligo di istruzione in chiave europea!

 di Maurizio Tiriticco

Dopo anni e anni… finalmente!… Era ora! Il nostro Governo ha assunto le sue decisioni in merito al Quadro Europeo delle Qualifiche, o meglio alla necessità di dichiarare a quale degli otto livelli indicati dall’Unione europea fin dal 5 settembre del 2006 (è la data della proposta di Raccomandazione, poi approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 23 aprile 2008) corrisponda ciascuno dei nostri titoli di studio.

Si veda al proposito l’“Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008. Accordo ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del dlgs 28 agosto 1997, n. 281, n. 252”, sottoscritto il 20 dicembre 2012.

Dall’Accordo si evincono le seguenti corrispondenze tra i livelli europei e i nostri titoli di studio:

livello1 – diploma di licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione;

livello 2 – certificato delle competenze di base acquisite in esito all’assolvimento dell’obbligo di istruzione;

livello 3 – qualifica di operatore professionale;

livello 4 – diplomi conclusivi del secondo ciclo di istruzione; diploma professionale di tecnico; certificato di specializzazione tecnica superiore;

livello 5 – diploma di Istruzione Tecnica Superiore;

livello 6 – laurea; diploma accademico di primo livello;

livello 7 – laurea magistrale; diploma accademico di secondo livello; master universitario di primo livello; diploma accademico di specializzazione (I); diploma di perfezionamento o master (I);

livello 8 – dottorato di ricerca; diploma accademico di formazione alla ricerca; diploma di specializzazione; master universitario di secondo livello; diploma accademico di specializzazione (II); diploma di perfezionamento o master (II).

Nell’Accordo leggiamo anche che occorre “adottare le misure necessarie affinché, a far data dall’1 gennaio 2014, tutte le certificazioni delle qualificazioni rilasciate in Italia… riportino un chiaro riferimento al corrispondente livello del Quadro Europeo delle Qualificazioni per l’apprendimento permanente”.

Gli 8 livelli europei sono scanditi secondo tre descrittori, ormai noti anche nel nostro Paese: conoscenze, abilità e competenze; e di ciascun livello si indicano le rispettive corrispondenze.

Per quanto riguarda la conclusione del primo ciclo italiano, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze generali di base;

abilità: abilità di base necessarie per svolgere mansioni/compiti semplici;

competenze: lavorare o studiare sotto supervisioni diretta in un contesto strutturato.

Com’è noto, la competenza relativa al lavoro non riguarda il nostro ordinamento, in quanto “l’età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria” (dlgs 345/99, art. 5), quindi dopo il compimento dei 16 anni di età. E’ opportuno ricordare che ai 15 anni di età è possibile accedere all’apprendistato di primo livello, finalizzato al compimento dell’obbligo di istruzione, al conseguimento di una qualifica di primo livello e a un diploma professionale (si veda il Testo Unico sull’apprendistato, dlgs 167/2011).

Per quanto riguarda il conseguimento dell’obbligo di istruzione decennale (si consegue nei percorsi del secondo ciclo di istruzione, nei percorsi dell’istruzione e formazione professionale regionale e nell’apprendistato), gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio;

abilità: abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando regole e strumenti semplici;

competenze: lavorare o studiare sotto supervisioni diretta con una certa autonomia.

Il quarto livello interessa gli studenti che concludono e superano il secondo ciclo di istruzione. Gi esiti di apprendimento, di cui al quarto livello europeo, sono i seguenti:

conoscenze: conoscenze pratiche e teoriche in ampi contesti in un ambito di lavoro e di studio;

abilità: una gamma di abilità cognitive e pratiche necessarie per creare soluzioni a problemi specifici in un ambito di lavoro e di studio;

competenze: autogestirsi all’interno di linee guida in contesti di lavoro o di studio solitamente prevedibili, ma soggetti al cambiamento; supervisionare il lavoro di routine di altre persone, assumendosi una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento delle attività di lavoro e di studio.

L’accordo entrerà in vigore – come già detto – a partire dal primo gennaio 2014. Ciò non significa che fin da quest’anno non si debba porre attenzione a quanto da esso stabilito e alle corrispondenze che corrono tra le finalità e gli obiettivi che sono proposti dalla nostre norme – nella fattispecie, per quanto riguarda l’istruzione, ciò che è prescritto nelle Indicazioni nazionali del primo ciclo, in quelle dei licei, nelle Linee guida degli istituti tecnici e professionali e nei decreti relativi all’innalzamento dell’obbligo di istruzione, dm 139/07 e 9/10 – e quanto indicato dai livelli della Raccomandazione europea.

Comunque, dal prossimo anno la certificazione dovrà diventare una “cosa” seria, come si suol dire, soprattutto in considerazione del fatto che i titoli di studio rilasciati dalle istituzioni scolastiche e formative di un Paese membro dell’Unione europea sono leggibili e spendibili negli altri Paesi membri. E, stante la difficile situazione lavorativa, la mobilità di cittadini e titoli di studio all’Interno dell’Unione assumerà in un prossimo futuro proporzioni sempre più massicce.

Pertanto, la certificazione delle competenze, a tutt’oggi ancora per certi versi “snobbata” dalle nostre istituzioni scolastiche, assumerà un rilievo sempre più importante e necessario. Va anche ricordato che, in tale prospettiva, la certificazione delle competenze alla conclusione del secondo ciclo di istruzione, a tutt’oggi ampiamente “snobbata” in quanto il Miur non ha mai indicato quali siano le competenze da certificare, nella tornata di esami del 2015 – al compimento del riordino avviato nell’anno scolastico 2010/11 – diventerà operativa.

Com’è noto le Linee guida degli istituti professionali e tecnici indicano con chiarezza le competenze disciplinari terminali; invece, le Indicazioni per i licei sono più vaghe in tale materia. Comunque, il Miur dovrà adottare i necessari provvedimenti perché l’attuale procedura dell’esame venga riformulata. L’attuale modello di certificazione (dm 26/09), anche se plurilingue, si limita a indicare i punteggi ottenuti dal candidato, non le competenze certificate. Pertanto, occorrerà rivedere la normativa che regola le procedure dell’esame. I tempi ci sono, ma… speriamo che l’amministrazione non si riduca all’ultimo momento.

E non sarebbe la prima volta!

Roma, festa della Repubblica 2013

J.R. Lansdale, Cielo di sabbia

Uno scrittore in formazione

di Antonio Stanca

lansdaleMolti i temi, realtà, violenza, crudeltà, fantasia, umorismo, infanzia, nostalgia, magia, razzismo, molti i generi, noir, horror, western, fantascienza, molti i linguaggi, quotidiano, colto, e tutto in un solo autore, lo scrittore americano Joe Lansdale.

E’ nato a Gladewater, Texas, nel 1951 ed ora, a sessantadue anni, vive con moglie e figli nella vicina città di Nacogdoches. Prima di scrivere ha letto molto, di autori diversi, e quando aveva poco più di vent’anni ha esordito. Primi lavori sono stati racconti su giornali e riviste, al 1980 risale il primo romanzo Atto d’amore. Nel 2001 con In fondo alla palude vinse il premio Edgar Award e se circa venti sono finora i suoi romanzi moltissimi sono i racconti e le novelle. Quest’anno è comparso in Italia, edito da Einaudi, un suo romanzo del 2011 intitolato Cielo di sabbia e tradotto da Luca Conti (pp. 234, € 11,50).

Si tratta di una lunga vicenda vissuta da tre ragazzi, due fratelli Jane e Tony ed un loro amico Jack. Persi i genitori in Oklahoma, una regione americana devastata da tempeste di sabbia e ridotta alla distruzione delle sue cose e alla morte di molti abitanti, i tre fuggono in cerca d’altro, intraprendono un viaggio con mezzi di fortuna e s’imbattono in una serie interminabile di avventure, alcune pericolosissime poiché vissute a contatto con persone cattive e crudeli, capaci di ogni misfatto. I ragazzi percorrono molte zone dell’America degli anni ’30, del periodo della Depressione segnato da una povertà e da una miseria largamente diffuse. Vivono di stenti, si adattano ad ogni circostanza, affrontano qualunque imprevisto, passano dal piacere al dolore, dalla speranza alla disperazione, dal bene al male. Continua, senza soste, è questa loro condizione né riescono ad intravedere un’altra. Si sono, però, proposti un compito, il loro viaggio, iniziato senza alcuna meta e senza alcun preciso obiettivo, ha assunto una direzione ed una finalità. Riusciranno ad ottenere tanto ed alla fine si separeranno ognuno rassegnato alla propria condizione. Come in una favola si conclude la loro lunga storia.

Pure altre volte, in altre narrazioni Lansdale aveva combinato temi e generi diversi e tutto aveva saputo esprimere tramite un linguaggio semplice, chiaro, capace di attirare fin dalle prime pagine e rendere con facilità anche situazioni tra le più intricate. Un grande scrittore può essere considerato se si tiene conto di come riesca a trasformare la realtà del suo Paese in un romanzo avvincente, ad affidare ad esso tanti significati, tanti valori, tanti scopi, ad insegnare tramite esso senza mai farlo diventare complicato nell’espressione. E’ un lungo esercizio sul linguaggio quello che Lansdale ha fatto e continua a fare in ogni opera. Molte volte lo rende luminoso, trasparente. Il suo è il caso di uno scrittore che si è formato lentamente, che non ha rinunciato a nessun tipo di espressione, che tante ha accolto e sviluppato e che continua a cimentarsi in molte direzioni perché non ancora finita ritiene la sua formazione.

Sul diritto degli studenti maggiorenni al sostegno scolastico

Sul diritto degli studenti maggiorenni al sostegno scolastico
T.A.R. Sicilia – Catania ordinanza n. 65 del 14.1.2010 e C.G.A.R. Siciliana ordinanza n. 379/2010 del 12.4.2010.

Le due ordinanze del 2010 affrontano un tema delicato e decisamente importante a seguito dell’adozione da parte del dirigente di un Istituto Superiore Professionale di Barcellona P.G. (Me) di due successivi provvedimenti con cui l’Istituto comunicava alla madre dell’alunno che lo stesso poteva non beneficiare dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno atteso il compimento della maggiore età.

La madre dello studente disabile – sua amministratrice di sostegno – ricorreva pertanto innanzi al T.A.R. Sicilia – Catania chiedendo l’annullamento dei predetti provvedimenti e l’accertamento del diritto del figlio ad avvalersi dell’insegnante di sostegno.

Inaspettatamente, invece, il T.A.R. Sicilia – Catania con l’Ordinanza n. 65 del 14.1.2010 nel pronunciarsi sul ricorso lo respingeva, “alla luce delle difese spiegate dall’amministrazione e, in particolare, della nota del 4.1.2010 del dirigente scolastico, depositata in data 12.1.2010, ove si mette in rilievo il raggiungimento della maggiore età”.

L’ordinanza veniva ritualmente impugnata innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che, con ordinanza n. 379 del 12.4.2010, accoglieva l’appello sancendo il diritto incondizionato al docente di sostegno per l’alunno benché maggiorenne, richiamando la sentenza n. 80 del 26.02.2010, con la quale la Corte Costituzionale aveva pronunciato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 414 della L 244/2007nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza di classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente”.

Sul punto occorre chiarire che le “Linee guide per l’integrazione degli alunni disabili” del 2009, invitano gli Uffici Scolastici Regionali a valutare attentamente per gli alunni maggiorenni “se il principio tutelato costituzionalmente del diritto allo studio e interpretato dalla Legge 59/97 come diritto al successo formativo per tutti gli alunni, possa realizzarsi, fermo restando le deroghe previste dalla normativa vigente, attraverso la permanenza nel sistema di istruzione e formazione fino all’età adulta (21 anni)”.

Quindi la normativa scolastica consente la permanenza degli studenti diversamente abili nel sistema di istruzione italiano fino al compimento del 21° anno di età, garantendo agli stessi tutti i relativi diritti, anche quello al sostegno, rendendosi poi necessario l’avvio al lavoro attraverso la piena attuazione di norme che ne garantiscono il diritto per le persone con disabilità, ex lege 12.3.1999 n. 68 etc., ovvero se l’avvio non è possibile, “il passaggio della presa in carico ad altri soggetti pubblici”, come previsto dalle Linee.

Pertanto, alla luce della citata giurisprudenza, anche per gli studenti maggiorenni diversamente abili, iscritti negli istituti superiori, l’ordinamento giuridico italiano è chiamato a garantire il diritto all’istruzione, all’inserimento scolastico ed allo sviluppo della persona riconosciuto dalla Costituzione e dalla L. 104/92, in presenza del quale l’Amministrazione non può esercitare scelte discrezionali, né comprimere tale diritto, ma deve limitarsi a garantire la piena realizzazione dello stesso.

L’Amministrazione, pertanto, non può esercitare scelte discrezionali né comprimere il diritto del soggetto diversamente abile maggiorenne ma deve provvedere all’assegnazione di un numero di ore di sostegno adeguato alle esigenze educative e di istruzione dello stesso, fino alla sua permanenza nel sistema di istruzione italiano garantita, come detto, fino al compimento del 21° anno di età.

Leonardo Sagnibene

Cinzia Olivieri

L. Franchetti, La Sicilia nel 1876

franchettiLeopoldo Franchetti, La Sicilia nel 1876. Le condizioni politiche e amministrative, introduzione di Jacques de Saint Victor, postfazione di Jean-françois Gayraud, Edizioni di storia e studi sociali, Palermo, 2013, pp. 328

Mafia, economia e democrazia ieri e oggi. Perché è importante rileggere Franchetti

di Antonella Genuardi

È appena uscita in libreria, per le «Edizioni di storia e studi sociali», nella collana «Questioni storiche» diretta dal saggista Carlo Ruta, una nuova edizione dell’opera principale di Leopoldo Franchetti, l’inchiesta in Sicilia del 1876, con un approccio particolare, che sollecita a rileggere il lavoro dello studioso toscano. Lo storico francese Jacques de Saint Victor, nell’introdurre l’opera, propone infatti una tesi inedita, argomentando che l’analisi di Franchetti sulla mafia, elaborata con le più raffinate metodologie sociologiche dell’epoca, risulta, a conti fatti, strutturalmente omologa a quella della democrazia di Alexis de Tocqueville. Si tratterebbe in sostanza di due facce della stessa medaglia, o addirittura dello stesso oggetto di studio passato al vaglio da prospettive differenti. Scrive Saint Victor: «Tocqueville analizza, a partire dagli Stati Uniti, la nascita e lo sviluppo di un fenomeno che andava consolidandosi in maniera ineluttabile. Franchetti, al contrario, studia, a partire dalla Sicilia, un’altra forma di democratizzazione, molto più inquietante, quella che egli chiama “la democratizzazione della violenza”, che alcuni avrebbero potuto credere limitata alla società meridionale arretrata, e che purtroppo presenta oggi una scottante attualità perché queste derive mafiose tendono a diffondersi nell’economia mondializzata». Lo storico francese conclude: «In fondo si potrebbe dire che si tratti di due intellettuali della democrazia: uno, Tocqueville, analizza come questa si conquista, mentre l’altro, Franchetti, studia come si perde o perché costituisce solo un involucro».

Alla sua uscita, nel 1877, l’inchiesta di Leopoldo Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, puntata soprattutto sulle situazioni storiche e sociali che avevano generato la mafia e i ritardi dell’isola, non suscitò molti entusiasmi nell’opinione pubblica. Giornali e notabili siciliani, in particolare, accusarono l’autore di pregiudizi contro la loro terra. Ma l’intellettuale toscano ricordava che aveva portato a termine quell’impegno proprio perché i siciliani potessero usufruire un giorno della pace civile di cui godevano altri italiani del continente. Dalla sua straordinaria inchiesta egli non trasse vantaggi significativi. La sua carriera, sul piano politico, fu in fondo modesta se comparata con quella del suo amico e collaboratore Sydney Sonnino, che divenne presidente del Consiglio. Ma le sue riflessioni sono divenute una pietra miliare negli studi sul fenomeno mafioso, e tanto più oggi rivelano la loro lungimiranza.

In un’epoca in cui le analisi di Tocqueville sulla democrazia americana appaiono indebolite dalle derive oligarchiche di questa nazione, la lucida analisi dello studioso italiano – osserva Saint Victor – non sembra più in sintonia con un mondo soggetto a derive mafiose che appaiono inarrestabili? Da decenni si parla di «meridionalizzazione» del Nord, per sottolineare l’importanza crescente assunta dal «modello siciliano». In realtà, sembra proprio che ovunque valga la triste legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia sempre quella buona. Se Tocqueville fu allora il profeta del secolo americano, Franchetti non fu, per certi versi, il profeta delle derive criminali del nostro tempo?

Questa edizione è intesa a sottolineare allora l’attualità di quel lavoro di analisi, che, malgrado l’indubbio interesse di cui gode da parte degli studiosi dei fenomeni mafiosi, rimane ancora oggi confinato, in una certa misura, negli archivi delle letterature ottocentesche sulle condizioni della Sicilia. E proprio per rimarcare quest’attualità strategica e l’importanza di nuovi approcci conoscitivi e analitici, il testo è corredato di un’ampia postfazione del criminologo parigino Jean-François Gayraud, sulle condotte criminali del capitalismo nel tempo della globalizzazione. Scrive Gayraud: «L’opera del barone Leopoldo Franchetti è unica per la sua chiaroveggenza in un periodo in cui la mafia appena baluginava nella conoscenza pubblica. La pertinenza delle analisi di questo studioso sarà compresa in definitiva soltanto dopo un secolo, dopo il 1980, con le inchieste del magistrato Giovanni Falcone». Sono argomentati quindi i processi economici e sociali che, nel mondo odierno, fanno assumere ai fenomeni criminali caratteri sistemici. «Il crimine organizzato – esordisce il criminologo francese – è stato a lungo una questione un po’ marginale e periferica, tale da meritare solo un trattamento giornalistico, attraverso notizie più o meno sensazionali, e l’intervento solo repressivo e mirato dello Stato. Quest’epoca è passata, o almeno dovrebbe esserlo. Il crimine organizzato si è introdotto infatti nel cuore stesso delle società contemporanee, fino a diventare una questione di dimensione geopolitica e, insieme, macroeconomica».

La professione degli insegnanti. Un profilo sbiadito

da Tuttoscuola

La professione degli insegnanti. Un profilo sbiadito

di Benedetto Vertecchi

(Tuttoscuola, XXXVIII, 529, 2013, pp. 16-17)

Vale la pena, prima di entrare nel vivo della riflessione che occupa la gran parte del testo che segue, avviare un’operazione di ripulitura del linguaggio corrente nel campo dell’educazione scolastica. È opportuno, infatti, evitare l’uso di parole che fanno ricorso a un registro improprio (per esempio, quiz invece di quesito) o che, prese a prestito da altre lingue, sono impiegate solo per parte del significato originale, come test invece di prova. Test si riferisce, infatti, a qualunque tipo di prova, strutturata o non strutturata che sia, mentre nell’uso nostrano si è operata una sineddoche, che ne limita il significato all’indicazione delle sole prove strutturate. Dirò, entrando nel merito della riflessione che intendo sviluppare, che la prima selezione dei candidati al concorso per l’insegnamento è consistita nel sottoporli a una prova strutturata. Si chiedeva, per ciascuna domanda, di riconoscere la risposta corretta fra le quattro proposte. S’intende che le altre tre (distrattori) avevano solo l’intento di evitare un riconoscimento troppo facile. In breve, si trattava di una prova organizzata secondo il modello cosiddetto a scelta multipla, i cui primi esempi incominciarono a essere proposti all’attenzione dei cultori di problemi educativi, oltre mezzo secolo fa, da studiosi attenti agli sviluppi della ricerca educativa internazionale, e in special modo di quella valutativa, come Aldo Visalberghi e Luigi Calonghi. Vale la pena di riprendere alcune delle riflessioni sulle quali Visalberghi si soffermava in Misurazione e valutazione nel processo educativo (Milano, Comunità, 1955) [1]. Nella valutazione occorre distinguere, innanzi tutto, le procedure attraverso le quali si rilevano i dati relativi alle prestazioni fornite da chi è sottoposto alla prova (misurazione, o assessment) dal giudizio che si esprime a partire da tali dati (valutazione). La misurazione può essere più o meno accurata, effettuata in modo tradizionale o tramite il ricorso a strumentazioni di varia complessità. Tuttavia, è la valutazione che dà significato ai dati. In altre parole, il più perfezionato strumentario per la misurazione degli apprendimenti serve a poco se utilizzato prescindendo da una definizione accurata degli intenti dell’attività che si sta svolgendo, in funzione dei quali si procede all’espressione di un giudizio.

Nel caso della selezione dei candidati all’insegnamento, l’attenzione dei commentatori, ma anche quella di molti dei candidati, si è rivolta soprattutto agli aspetti tecnici delle prove, al loro contenuto, al modo in cui i quesiti erano formulati. In breve, il dibattito ha riguardato soprattutto la misurazione, lasciando sullo sfondo, o trascurando del tutto, la valutazione. Eppure, dal mio punto di vista, ciò che è accaduto è qualcosa di estremamente importante per il fatto che ha ridisegnato il profilo professionale degli insegnanti. Non che sulla prova non si potessero esprimere riserve: in particolare, se prescindiamo dalla modernizzazione consistente nell’uso della rete per la presentazione dei quesiti, per l’acquisizione delle risposte e per il calcolo dei punteggi, si è trattato di proporre varianti di modelli consueti e utilizzati per selezioni da operare in contesti molto diversi, dall’ammissione ai corsi di studio universitari ai concorsi per il reclutamento di personale da parte delle aziende. Proprio a partire da questa costatazione ci si dovrebbe chiedere – e in questo modo entreremmo nel vivo di una riflessione valutativa – quale fosse il profilo di insegnante implicito nella selezione effettuata.

Se le medesime procedure di selezione, che comportano l’uso di uno strumentario affine, sono utilizzate in relazione a esigenze diverse, la prima conclusione cui si può giungere è che non si tratta di procedure per definire le quali abbia rilevanza l’attività che dovrà essere svolta. In pratica, se avessimo a disposizione le prove e disponessimo degli elenchi di chi ha raggiunto la soglia richiesta, ma non disponessimo di alcuna informazione di contorno (ovvero, non sapessimo che la prova è stata sostenuta nell’ambito di un concorso per il reclutamento di personale per le scuole), non saremmo in grado di delineare per quale ragione un così gran numero di persone abbia accettato di sottoporsi ad un rituale così stressante. Il profilo implicito nelle prove è, infatti, troppo sbiadito perché da esso si possa inferire che lo scopo da conseguire era quello di provvedere le scuole d’insegnanti.

Ci si deve chiedere, allora, per quale ragione, dovendosi selezionare personale per svolgere funzioni che, almeno per alcuni aspetti, sono chiaramente definibili, si sia incominciato sottoponendo i candidati a una prova cui corrisponde un profilo del tutto sbiadito. Possiamo ipotizzare più risposte, che nel complesso offrono un quadro tutt’altro che positivo del nostro sistema educativo:

– la prima è che lo Stato, dovendo assumere personale per le scuole, mostra di non avere nessuna fiducia nella certificazione degli studi che garantisce, riconoscendone il valore legale. La prova di selezione iniziale ha avuto, infatti, il carattere di un controllo del possesso di conoscenze di base, corrispondenti a un profilo di livello molto inferiore a quello nominalmente attestato dai titoli richiesti per la partecipazione al concorso. Se questo è vero, si dovrebbe incominciare col rivedere radicalmente i modi attraverso i quali le università certificano gli studi (e, ovviamente, anche l’organizzazione e i contenuti dei corsi di studio);

– la seconda richiede che, a partire dalle domande, si individuino gli elementi che compongono la cultura desiderata per gli insegnanti. Si direbbe che ci si trovi di fronte ad una richiesta di conoscenza globalizzata, i cui elementi costitutivi sono, grosso modo, quelli sui quali da un paio di decenni insistono con particolare enfasi le analisi dell’Ocse. Il fatto è che tali analisi hanno come criterio di riferimento lo sviluppo economico e, come criterio valutativo, la considerazione di livelli delle prestazioni osservate nel breve periodo. Nel caso dell’insegnamento è difficile pensare che una logica di breve periodo possa costituire un criterio per la definizione di un profilo desiderato. Ciò per due buone ragioni: da un lato il profilo deve sostenere l’attività degli insegnanti in un tempo lungo, quello in cui svolgeranno la loro professione, dall’altro anche il profilo degli allievi dovrà essere pensato in funzione di esigenze che si manifesteranno in un tempo lungo, quello della vita;

– c’è, infine una terza risposta, nella quale confluiscono anche molte delle considerazioni esposte per le altre due: si direbbe che non si consideri più l’insegnamento come una professione intellettuale, nella quale il sapere e il saper fare siano strettamente collegati. Si suppone che gli insegnanti dispongano di una cultura modesta, certificata da titoli cui si riconosce scarso credito, e di un minimo di sapienza professionale, almeno in parte acquisita partecipando ad attività delle quali sono responsabili le medesime istituzioni nei confronti delle quali si manifesta così scarsa fiducia. In altre parole, si sancisce il declassamento della professione degli insegnanti. Gli interventi sul funzionamento delle scuole da parte potere esecutivo, anche se apparentemente rivolti a favorire la modernizzazione del sistema educativo, costituiscono nei fatti la negazione dell’autonomia affermata sul piano dei principi. Gli insegnanti finiscono con l’assumere funzioni esecutive che non comportano la necessità di formulare un progetto originale, volto a indirizzare l’educazione verso traguardi desiderati.

Se a qualcosa sta servendo il concorso in atto (al di là della stabilizzazione, purtroppo solo per una parte modesta dei candidati, del rapporto di lavoro) è che anche in Italia, come ha denunciato – con riferimento agli Stati Uniti – Noam Chomsky in un articolo pubblicato sul New York Times, siamo di fronte a un disegno di disgregazione del sistema educativo pubblico. Si stanno ricreando steccati che troppo frettolosamente si erano considerati abbattuti. Le scelte che riguardano la professione degli insegnanti sono la cartina di Tornasole che rivela quale sia l’orientamento della politica scolastica.

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[1] Il testo può essere liberamente acquisito in formato digitale dalla biblioteca virtuale del Dipartimento di Progettazione Educativa e Didattica (DiPED), ora disattivato – in applicazione della sedicente riforma Gelmini – all’indirizzo http://www.diped.it/spazio-gutenberg.

In pensione una docente di “Quota 96” per sentenza del giudice del lavoro di Roma

da Tecnica della Scuola

In pensione una docente di “Quota 96” per sentenza del giudice del lavoro di Roma
di Pasquale Almirante
La sentenza del giudice del Lavoro di Roma è del 27/8/2012, ma solo da poco si è conosciuta perché la docente aveva presentato ricorso individuale. Il Giudice ne riconosce il pieno diritto e la pone il quiescenza dal 1° settembre 2012
Una sentenza, quella del giudice del Lavoro di Roma, che incoraggia e sprona i circa 3.500 lavoratori della scuola di “Quota 96” ad andare aventi nella battaglia per il riconoscimento del loro diritto alla pensione, benché ormai l’anno scolastico volga al termine e il 31 agosto è prossimo. Le motivazioni del giudice di Roma, che ha permesso alla docente di andare in pensione avendo maturato i diritti, è la seguente: “Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma accerta il diritto della ricorrente ad essere collocata in quiescenza dal 31.8.2012 con trattamento pensionistico dal 1.9.2012, disponendo che l’amministrazione consenta l’espletamento delle attività per ottenere il trattamento pensionistico in tempo utile. Condanna l’Amministrazione resistente alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 1.250,00 oltre accessori” . E nelle motivazioni della sentenza, il giudice fa proprio riferimento alla specificità della scuola e della continuità didattica. “E’ proprio questo il caso della scuola in cui il DPR 351/98 stabilisce che, a prescindere dal momento della maturazione dell’anzianità legislativa richiesta, il diritto al collocamento a riposo decorre dal successivo primo settembre, ossia previa conclusione dell’anno scolastico”.
Argomentazione quella del giudice di assoluta saggezza e correttezza giuridica, anche perché, aggiunge: “Dal momento che la nuova legge (Fornero n.d.r.) si occupa esclusivamente della riforma dei requisiti del trattamento pensionistico e non anche dei problemi connessi alla sua decorrenza deve ritenersi che tale ultimo aspetto continui ad essere regolato dalla vecchia normativa in base alla quale è sempre risultata pacifica nel comparto scuola la distinzione tra momento di maturazione del diritto a pensione e momento della sua decorrenza, coincidente con la fine dell’anno scolastico successivo”. Si potrà dire a questo punto, e tutto il personale della scuola incappato nelle superficiali e affrettate maglie della Legge Fornero lo dice dal primo momento: e ci voleva tanto per capirlo? E infatti, non era già nei gangli dell’assoluta ordinarietà del diritto, il fatto che i dipendenti del Miur subiscono il torto evidente e lapalissiano di aspettare la fine dell’anno scolastico per andare in pensione, anche se lo hanno maturato prima? Contestualmente, l’avvocato del Comitato “Quota 96” sta operando proprio su questo specifico versante per fare invalidare la legge o comunque per intervenire, se la politica mantiene i suoi impegni col personale della Quota 96, “con normativa secondaria, ripartendo proprio dalla circolare della Funzione pubblica ove nell’ultimo capoverso non chiarisce la situazione del personale della scuola, limitandosi a ricordare che la scuola ha una unica “finestra” di uscita collegata alla durata dell’anno scolastico. La successiva circolare del Miur, nell’applicare la normativa Fornero per il personale della scuola, “richiama la circolare della Funzione Pubblica, quasi a non volersi assumere responsabilità in merito alla corretta applicazione della normativa.” I lavoratori della scuola “Quota 96” fra l’altro contano anche sui provvedimenti giurisdizionali favorevoli ai ricorrenti, come il parere pro-veritate del Prof. Imposimato e l’Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale da parte del Tribunale di Siena, a cui si aggiunge anche questa sentanza del Giudice del Lavoro di Roma.  Tutti elementi questi che portano a ritenere che possano essere le motivazioni giuridiche per una diversa applicazione “prima facie” della normativa Fornero che ha interessato, per la scuola, 2 diversi anni scolatici – 2011/2012 e 2012/2013.

In Molise gli esclusi dal concorso a cattedra si organizzano

da Tecnica della Scuola

In Molise gli esclusi dal concorso a cattedra si organizzano
di Aldo Domenico Ficara
Avevamo già scritto in un articolo del 26 maggio che c’erano malumori tra gli esclusi dal concorso a cattedra in Molise.
Infatti, il post concludeva così: “Si può affermare senza essere smentiti che mentre il concorso per dirigenti scolastici in molte regioni naviga a vista sotto il peso di ordinanze del Consiglio di Stato e sentenze del Tar Lazio e Tar periferici, il concorso a cattedra inizia a rivolgere lo sguardo alle aule della giustizia amministrativa con il possibile rischio di un suo annullamento“. Non siamo stati smentiti, nonostante alcune testate di informazione scolastica si affrettavano a etichettare l’articolo come allarmistico, perché solo due giorni dopo (28 maggio 2013) nel corso di una riunione presso lo studio legale Iacovino in Via Berlinguer, 1 a Campobasso, è stata sancita la costituzione del Comitato per la tutela degli esclusi dalla prova orale del Concorso docenti 2013 o Comitato degli aspiranti docenti. Le prerogative del Comitato sono le seguenti: Individuare eventuali irregolarità commesse dalle commissioni nominate dall’Ufficio Scolastico Regionale del Molise per la selezione di n. 11 docenti destinati alla scuola dell’Infanzia e n. 26 docenti riservati alla Primaria. La prima fase della selezione è consistita in una prova nazionale computer-based, elaborata cioè al computer e corretta da un apposito software. L’aver superato la prova preselettiva con un punteggio di almeno 35/50, ha consentito l’accesso ad una seconda fase selettiva, a carattere regionale. È in questa fase, consistita nella compilazione per iscritto di quattro brevi elaborati, che sembra essere venuta meno l’oggettività che la commissione giudicatrice deve cercare sempre e comunque di garantire. Numerose possibili irregolarità sono emerse dopo che decine di accessi agli atti avanzati all’Usr del Molise hanno consentito agli esclusi di esaminare giudizi e voti assegnati agli elaborati. Il Comitato si propone di condurre una battaglia legale per accertare la veridicità delle paventate irregolarità, facendo emergere i responsabili di una eventuale procedura concorsuale pubblica viziata. È compito del presidente coordinare le attività di concerto con gli altri soci, indire riunioni in base alle necessità del momento e promuovere una campagna di adesione al comitato. Nulla vieta a tale comitato di assumere autonome iniziative come l’organizzazione di conferenze e l’attivazione di un forum telematico di informazione per i soci.
All’occorrenza il presidente si fa portavoce dei soci che segnalano problemi e situazioni poco chiare rispetto alla partecipazione al Concorso docenti 2013, perché è giusto che tutti si sentano rappresentati e ascoltati.

Università, “bonus” n. chiuso: determinante la media voti nell’istituto, ma dell’anno prima

da Tecnica della Scuola

Università, “bonus” n. chiuso: determinante la media voti nell’istituto, ma dell’anno prima
di Alessandro Giuliani
La novità si evince dai criteri di valutazione pubblicati dal Miur: il voto conseguito alla maturità, almeno 80/100, sarà ponderato con quelli della singola sede dell’a.s. precedente. Protestano gli studenti: così si discriminano i candidati non solo di città diverse, ma anche di istituti della stessa città. Chiesto l’avvio di un tavolo di discussione. Ma luglio è dietro l’angolo.
Il Miur ha finalmente reso pubblici i criteri di valutazione riguardanti il “bonus maturità”, introdotto negli ultimi giorni di gestione dell’ex Ministro Profumo, il 24 aprile scorso attraverso apposito decreto ministeriale, che avrà un’incidenza notevole sul punteggio finale da assegnare ai candidati ai corsi di laurea a numero chiuso. Il bonus, dai 4 ai 10 punti, come già si sapeva verrà assegnato, in proporzione, solo a coloro che hanno concluso le superiori con un voto che va da 80 a 100 centesimi. Ma la novità dell’ultima ora è che il voto di diploma va ponderato anche rispetto alla media dei voti conseguiti nello stesso istituto scolastico nell’anno scolastico precedente e non nell’anno in cui si è conseguito il diploma. Quindi in questa prima selezione varranno quelli del 2011/12.
Secondo Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell’Udu, si tratta di una notizia tutt’altro che positiva, perché “confrontando il calcolo dei percentili nella tabella pubblicata dal Ministero, si notano subito le disparità non solo tra città diverse, ma anche tra istituti della stessa città. Queste discriminazioni, sommate all’anticipo dei test a luglio e al sempre ostico sistema di risposte a crocette, scoraggiano sempre più gli studenti e impediscono loro di accedere alla facoltà scelta”.
L’Udu coglie l’occasione per ribadire la richiesta al ministro Carrozza di un tavolo di discussione “per superare questo sistema iniquo di selezione aprioristica affinchè si possa garantire realmente il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione”.
Anche per Daniele Lanni, portavoce della Rete degli Studenti medi, il regolamento del Miur è da rivedere attraverso un confronto con i rappresentanti degli studenti: “l’esame di Stato già di per sè ha tantissimi problemi, e spesso e volentieri non riesce minimamente a valutare correttamente gli studenti per quel che vale il loro percorso di studi. Dare una ulteriore importanza al voto di maturità rende questa ingiustizia ancora più grande, e stabilisce delle nuove barriere al mondo della conoscenza, che già non è un mondo aperto a tutti”.
Luglio è però vicino. È davvero difficile che le modifiche possano essere accolte ed attuate prima di questa nuova tornata selettiva. Già l’avvio del confronto, però, sarebbe una buona notizia.