L’insegnamento: incontro fra la libertà del docente e quella del discente

SINTESI DEGLI INTERVENTI
del Convegno dal titolo
L’insegnamento: incontro fra la libertà del docente e quella del discente
organizzato dall’ Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante
nell’ambito delle iniziative promosse dal Coordinamento dei Centri Culturali Cattolici diocesani per la celebrazione dell’Anno Costantiniano
il 9 maggio 2013 presso la sede dell’Associazione
in via Col di Lana 12 Milano

Redazione a cura di Lucia Parisi e Alfonso Indelicato

INTRODUZIONE
Sollecitata dal responsabile dei Centri Culturali Cattolici diocesani Mons. Dott. Giovanni Balconi a contribuire alle iniziative per la celebrazione dell’Anno Costantiniano, l’AESPI ha risposto secondo la propria vocazione, che è quella di organizzare eventi che riguardano la scuola. E poiché l’Anno Costantiniano parla di libertà, ecco che abbiamo pensato di interrogarci sul significato, e l’estensione, e i limiti, che questo concetto trova fra le mura delle nostre istituzioni scolastiche, nella quotidiana dialettica fra insegnante e allievo. Il tema è affascinante e grandioso, ed è inutile specificare se ci avesse preoccupato o meno il doverlo affrontare, una volta presa la decisione. Ci ha però subito confortato (oltre a una certa pratica nell’organizzazione di eventi maturata negli anni) il sapere che ci avrebbero aiutato – intervenendo come relatori – uno studioso di vaglia come il Prof. Giacomo Samek Ludovici, e un uomo che di scuola sa tutto per averla vissuta sia come docente che come Dirigente, il Cav. Angelo Mocchetti. Mancava uno studente per affrontare l’argomento da tutte le prospettive, e l’abbiamo trovato nell’amico Francesco Quattrociocchi, giovane laureando ancora fresco di studi liceali. A questi collaboratori non occasionali ma amici dell’Associazione ha fatto da comprimario chi scrive questa introduzione. Il Presidente Prof. Angelo Ruggiero
ha introdotto l’evento insieme a Mons. Balconi, che finora non è mai mancato ai convegni che l’AESPI organizza in qualità di Centro Culturale Cattolico, e che possiamo sperare vorrà ancora accompagnarci in questo cammino di ricerca.

“SINTESI” NON “ATTI”
La redazione degli atti di un convegno è operazione laboriosa. Come tale, per un’Associazione allo stesso tempo agile ed impegnata su diversi fronti come la nostra, non è facile intraprenderla e portarla a compimento. Per questo motivo in occasione di convegni e di corsi abbiamo intrapreso già da qualche tempo una strada diversa. In luogo, cioè, di pubblicare gli interventi testuali integrali oppure delle relazioni compiutamente sviluppate e redatte, preferiamo raccogliere le sintesi degli interventi, siano esse sotto forma di bozza, di appunti o di semplice scaletta. L’operazione ha due vantaggi: in primo luogo esime noi dal fastidio di sbobinare e i relatori da quello stendere le relazioni; in secondo luogo, permette di offrire ai lettori testi più vivi e spontanei, i quali inoltre sono la traccia del lavoro così come nasce nella mente del convegnista e così come egli lo realizza in progress o, come preferiamo dire noi cultori di un certo patriottismo linguistico, eundo.

L’intervento di Mons. Balconi
Mons. Balconi ha ricordato che L’Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo moderno. In un certo senso con l’Editto di Milano emergono per la prima volta nella storia le due dimensioni che oggi chiamiamo “libertà religiosa” e “laicità dello Stato”. Sono due aspetti decisivi per la buona organizzazione della società e della politica. Gli avvenimenti che seguirono, ha proseguito Balconi, segnarono l’inizio di una storia lunga e travagliata. La situazione sarebbe cambiata profondamente – certo su un piano di riflessione teologica più che fattuale – con la promulgazione della dichiarazione “Dignitatis humanae” del dicembre ’65, la cui straordinaria qualità consiste nell’aver trasferito il tema della libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona. Se l’errore non ha diritti, ha ricordato il nostro illustre ospite, una persona ha dei diritti anche quando sbaglia. Chiaramente non si tratta di un diritto al cospetto di Dio: è un diritto rispetto ad altre persone, alla comunità e allo Stato. Si aprono qui diverse problematiche: ricerca religiosa e la sua espressione comunitaria; libertà religiosa e pace sociale.
Infine Mons. Balconi ha ricordato che la città di Milano e le terre lombarde sono e saranno sempre più abitate da tanti nuovi italiani. Saremo dunque chiamati a fare i conti con civiltà e culture differenti. La Chiesa ambrosiana è a sua volta chiamata ad un’opera di trasformazione della propria presenza nella società plurale, società in cui i cristiani continueranno a testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione pubblica delle fede. Il nostro – egli ha concluso – è un
tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale e del politico. L’insieme deve brillare in ogni frammento a beneficio della comunità cristiana e di tutta la società civile: vita buona e buon governo vanno infatti di pari passo.

Insegnare alla libertà, educare alla libertà
di Giacomo Samek Lodovici:
Scaletta dell’intervento
1. Nesso tra verità e libertà: la verità rende liberi
2. Educare significa proporre una visione (ritenuta) vera del bene umano
3. Per un certo liberalismo la scuola non deve educare, bensì proporre tutte le principali visioni del bene sullo piano, in modo che lo studente scelga
4. Critica di questa prospettiva:
– la neutralità è impossibile: qualsiasi resoconto di un avvenimento, questione, argomento è una sintesi degli aspetti (ritenuti) rilevanti e ciò è possibile solo sulla base di criteri rilevanza
– di fatto la scuola non è mai davvero neutrale: è uno specchio dell’impostazione culturale prevalente in una società
5. Per educare alla libertà è fondamentale che la scuola promuova e sviluppi il senso critico degli allievi, in modo che possano il più possibile conoscere la verità, la quale rende liberi (cfr. n. 1)
6. Per educare alla libertà ogni docente deve, prima di ogni cosa, realizzare il riconoscimento nei riguardi dell’allievo: fargli capire che vuole il suo bene, il suo fiorire.
Giacomo Samek Lodovici è docente di Storia delle dottrine morali e di Filsofia della storia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ autore di diverse pubblicazioni, fra le quali ricordiamo i volumi: La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d’Aquino; L’esistenza di Dio; L’utilità del bene; Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo; L’emozione del bene; Alcune idee sulla virtù. E’inoltre autore di numerosissimi saggi brevi ed articoli su prestigiose riviste di filosofia e teologia. Come relatore ai convegni, Samek Lodovici ha una singolare prerogativa: poiché si presenta in modo estremamente distinto e discreto, chi non lo conosce potrebbe aspettarsi da lui affermazioni anodine e concilianti. Invece egli pur con voce bassa e tratto signorile sviluppa argomenti ed attinge a conclusioni che con il politichally correct ben poco hanno a che vedere. Nulla è lontano dalle sue posizioni quanto la debolezza del pensiero contemporaneo o la liquidità che si vuole attribuire alla società odierna. Il filosofo è uomo dai valori forti, vorremmo dire perenni, che egli declina con
inesorabile garbo per chi ne accetta ed anche per chi ne rifiuta il profondo valore spirituale.

Libertà e cambiamento
di Angelo Mochetti
“ Si educa attraverso ciò che si dice, di più attraverso ciò che si fa, ancor di più attraverso ciò che si è” – Ignazio di Antiochia.
Parafrasando quanto sopra anche la mia presentazione risentirà della mia esperienza e del mio modo di essere. Alcune domande resteranno aperte, ma non sarà un male perché la curiosità è il preludio alla conoscenza.
Nella mia attività di dirigente ho potuto sperimentare lo scambio di contenuti con i docenti, la pazienza, l’attesa, il non dipendere troppo da se stessi.
Libertà: stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politica (Devoto-Oli)
La libertà di cui parleremo è la libertà possibile.
La leadership del docente, come altre leadership , si manifesta all’interno di un sistema. Una libertà dl tutto staccata dal sistema di appartenenza porta in un vicolo cieco. Parleremo quindi di libertà possibile e di cambiamento possibile.
La libertà di insegnamento trae la sua origine dall’interpretazione dell’articolo 33 della nostra Costituzione. In base a tale articolo vi sono interpretazioni che rimandano al diritto civile, alle definizioni da enciclopedia, all’interpretazioni sindacali. Su questo argomento occorre anche ricordare la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Gli stessi regolamenti che il Parlamento Europeo emana hanno valore di legge per gli stati membri. Le stesse recenti sentenze sul velo islamico e sull’esposizione del crocifisso rimandano a tali fonti legislative.
L’argomento della libertà di insegnamento è ripreso anche dalla legge ordinaria. Ricordiamo a questo proposito il D. Lgs. n°297/1994 , art.1.
Le norme che definiscono la libertà di insegnamento forse non sono sufficienti. La domanda fondamentale, infatti, è: “Come garantire la libertà di insegnamento?” I profili estrinseci di tale professione hanno altri nomi: “stato giuridico degli insegnanti”; “organizzazione del lavoro”; “rapporto di lavoro”; “rapporti all’interno degli organi collegiali”; etc. … Si tratta di profili giuridici e contenuti che possono modificare i principi generali di libertà. Ricordo inoltre che dal 1993 i contratti di lavoro scolastici sono di natura privatistica ( legge 421/1992 art.2, comma 1). Lo stesso Dirigente come parte pubblica firma contratti interni di istituto con le RSU. Come si vede sono molteplici le situazioni che, pur senza dichiararlo, incidono sulla libertà di insegnamento.
Per definire il successo di un sistema scolastico e in qualche modo la sua libertà, ovviamente non bastano i concetti e le garanzie di legge. In un mondo globalizzato il confronto si fa planetario e l’OCSE ha stabilito una serie di indicatori per definire le possibilità concrete di successo di un sistema scolastico. Gli indicatori sono organizzati e classificati in sei aree:
1) il contesto generale in cui si sviluppa l’educazione in ogni Paese
2) le risorse finanziarie e umane in essa investite
3) i tassi di accesso e partecipazione ai diversi livelli di istruzione e di conseguimento dei vari titoli di studio
4) le caratteristiche, pedagogiche e organizzative, dell’ambiente scolastico in cui l’educazione ha luogo
5) l’inserimento sociale e professionale dei giovani a conclusione della formazione
6) i livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti in discipline chiave
Inoltre i termini sottesi alla libertà di insegnamento sono:
CODICE DEONTOLOGICO: la deontologia professionale si incarna nella professione e diventa espressione dell’autonomia e della libertà
ETICA: modo di comportarsi nel rapporto con gli altri nella dimensione pubblica. Presuppone la libertà di scelte consapevoli. Poggia sul senso di responsabilità.
MORALE: voce della coscienza, legge interiorizzata, rapporto con se stessi in una gerarchia di valori. Giusto e ingiusto. Poggia sul senso di colpa
ETICA DELLA RESPONSABILITA’ A SCUOLA: la caratteristica fondamentale è la relazione educativa .Si avvale di contenuti, programmi, valori … ma anche abitudini, convenzioni, atteggiamenti … la percezione dell’altro è basata sull’aspettativa della sua coerenza.
L’ETICA DELLA CURA: scrive il filosofo Hans Yonas “ La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere … Che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto più oscura risulta la risposta tanto più nitidamente delineata è la responsabilità …” Specularmente : “Soltanto chi detiene una responsabilità può agire in modo irresponsabile”
LIMITE DELL’ETICA DELLA CURA. La storia della pedagogia moderna europea può essere fatta risalire a l’“Emilio” di Jean Jacques Rousseau. Da quel momento educatori e docenti si sono trovati davanti l’enorme compito di concepire il rapporto educativo centrato sulla “psicologia dello studente”. L’enfasi sull’aspetto psicologico rischia però di sviare da una pedagogia centrata sull’ascolto didattico. L’apprendimento è un processo complesso legato a quattro aspetti che si sostengono fra loro: motivazione, socialità,
esperienza diretta, sostenibilità personale. Il contesto del gruppo classe è per questo fondamentale. Ricordo a questo proposito la funzione dei neuroni specchio che sono una classe di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un’azione, sia quando la si osserva compiuta da altri, in particolare da pari, e se sostenuta dai quattro aspetti dell’apprendimento citati.
In termini di apprendimento vanno altresì ricordate le ultime disposizioni ministeriali in merito ai bisogni educativi speciali: alunni disabili, alunni con disturbi evolutivi specifici, alunni in situazioni di svantaggio.
LO STUDENTE. Lo studente è una costruzione sociale che, nell’epoca moderna, risale ai collegi dei gesuiti a partire dalla metà del 1500. Per circa quattro secoli non ci saranno diritti ma solo doveri fino al 1900 quando irrompe lo studente massa. Nel 1912 in Italia le scuole superiori contavano duecentomila studenti, ma già nel 1962 ( anno in cui veniva costituita la media unica dell’obbligo) gli studenti delle scuole superiori raggiungevano un milione e, alla fine degli anni settanta diventavano due milioni. In poco più di cinquanta anni gli studenti aumentano di dieci volte. L’istruzione, l’educazione cambiano. Le regole di integrazione nella società, i modelli di riferimento, le aspettative circa il futuro si modificano. Si affermano forme di indifferenza e di relativismo. La condizione reale dello studente massa costringe la scuola a cambiare. Ricordiamo gli organi collegiali della scuola ( 1974), lo statuto degli studenti e delle studentesse ( 1998) e il patto di corresponsabilità tra famiglie e scuola.
CAMBIANO LE RELAZIONI FAMIGLIARI. Tutti i problemi dell’educazione si rinnovano secondo una nuova complessità. I genitori con gli anni hanno ridotto notevolmente la quota di autorità da somministrare ai propri figli, promuovendo la trasformazione della famiglia tradizionale, normativa ed etica, in una famiglia affettiva, maggiormente orientata alla contrattazione e alla relazione. Come conseguenza si sono creati generazioni di adolescenti che ritengono legittimo e importante esprimere prima di tutto se stessi, secondo uno schema di consolidato individualismo.
UN CAMBIAMENTO POSSIBILE. L’etica della responsabilità collegata all’etica della cura coincide con l’etica professionale.
– La prima misura per un docente è la parola consapevole. Prima il pensiero e poi la parola consapevole. Persino i numeri prima di diventare tali per essere spiegati sono stati un’idea, un pensiero.
– La scuola ha il compito di formare le nuove generazioni, ma senza l’esempio della coerenza degli adulti poco si potrebbe fare. Per educare gli studenti all’etica pubblica si può partire sollecitando la riflessività della classe . La classe è una comunità in cui si può provare a cambiare e far cambiare, esaltando l’onestà dei comportamenti e rifuggendo gli atteggiamenti opportunistici.
– La vulnerabilità dell’essere informazione interpella le dimensioni sopra citate
– E’ opportuno interrogarsi sulle proprie strategie di insegnamento per promuovere in tutti, nel rispetto del merito, il successo formativo. Prima di tutto, ognuno porta se stesso all’interno della classe. Gli atteggiamenti non si possono insegnare e il piacere di imparare è correlato al piacere di insegnare. Quando il sapere è solo nozionistico e cumulativo la mente tende a divenire convergente e smette di cercare altre soluzioni
– Per far sì che dei ragazzi diventino adulti autonomi occorre lasciare loro spazio, tuttavia si diventa adulti anche con il rigore e l’autorità di chi insegna
– Non siamo migliori di chi ci ha preceduto e non siamo padroni unilaterali di noi stessi perché ognuno di noi viene ad essere ciò che è grazie alla civiltà in cui è immerso, alle tradizioni e alle generazioni che lo hanno preceduto… dobbiamo almeno restituire quanto ricevuto!
Angelo Mocchetti è laureato in Scienze Politiche ed ha conseguito il Master per qualifica dirigenziale presso l’Università Bocconi. E’ stato Dirigente scolastico in diversi istituti situati nella provincia milanese e in quella varesina, vicino alla sua Rescaldina dove ha ricoperto anche delicati incarichi amministrativi: fra i tanti quelli di Assessore alla Cultura e Vicesindaco. Attualmente dirige l’Istituto Comprensivo di Cesate ed è reggente dell’Istituto Comprensivo Alighieri di Rescaldina. E’ autore di numerosi interventi su periodici letterari, membro di giurie di concorsi artistici e poetici, cultore di storia locale. Uomo di profonda cultura e sensibilità, ha preferito condurre la sua vita e la sua carriera nella dimensione appartata ma umanamente ricca della provincia, cercando di evitare le luci della ribalta. Ci è riuscito solo in parte, perché sovente le luci lo hanno cercato e si sono inesorabilmente indirizzate su di lui: è recente la sua nomina a Cavaliere della Repubblica, venuta dopo diversi altri riconoscimenti e prima di altri ancora che, malauguratamente per il suo connaturato riserbo, lo aspettano al varco.

Post-gentilianesimo e post-positivismo nella scuola d’oggi
di Alfonso Indelicato
Nella supposizione che sia il docente a coartare la libertà intima (si tratta degli atti eliciti, non di quelli imperati) dell’alunno, e non viceversa, mi sono chiesto a quale tipologia possa appartenere questo docente.
Propongo in proposito una distinzione netta, a costo che sembri, se non caricaturale, estremizzata. Vedo da una parte il docente sicuro di sé (al limite del narcisismo), individualista, insofferente degli aspetti burocratici della professione; dall’altra l’insegnante che si coordina scrupolosamente coi
colleghi, che frequenta corsi di aggiornamento sulla didattica, che si interessa di valutazione, che “si mette in discussione”. E’ chiaro che fra le due tipologie c’è uno sterminato ventaglio di tipi intermedi.
Ora, è chiaro che la prima tipologia sommariamente delineata è una tipologia “gentiliana”, consapevolmente o meno da parte del soggetto che la incarna, mentre la seconda si può ricondurre alla scuola pedagogica positivistica, quella facente capo, almeno in Italia, ad Aristide Gabelli e allo stesso Ardigò, almeno quando di pedagogia si occupava.
Secondo ogni idealismo detto “romantico” la realtà è spirito, pensiero. Non esiste realtà alcuna al di fuori del pensiero. Questo è l’assunto fondamentale comune alla triade dei filosofi idealisti tedeschi (F S H).
Il nome di attualismo, la cifra specifica dell’idealismo gentiliano, deriva dal ridurre tutta la realtà a spirito (spiritualismo assoluto) e dall’intendere lo spirito come ‘atto’ non nel senso aristotelico di realtà pienamente realizzata (actum), ma all’opposto nel senso di actus, o realtà che è in quanto si fa. Atto è la stessa autocoscienza come processo pratico e teorico insieme di fondazione di sé.
Ciò premesso, vediamo i conseguenti punti fermi della pedagogia di Gentile:
Rifiuto del presupposto dualistico, unità di educatore ed educando nello Spirito (non è un’identificazione o una proiezione);
Educazione come sintesi tra docente e discente nell’atto concreto dell’educazione;
L’educazione è atto spirituale che unisce due spiriti, nel senso che i due soggetti diventano una cosa sola nello Spirito, che è uno.
Nel momento in cui io insegno il contenuto X, compio un atto spirituale. Nel momento in cui lo studente apprende X, compie lo STESSO atto spirituale: ecco
la sintesi concreta “Ma il maestro che parla, non pensa ad altro che a ciò di cui parla; è tutto raccolto in quel pensiero, né può distrarsi. La scuola, l’ambiente tutto e lo scolaro non sono più niente di nuovo per lui, non fermano e non attirano più la sua attenzione; egli non se n’accorge più; tutto è stato assorbito nella sua determinata soggettività, la cui vita nuova è invece nell’argomento che gli offre materia alla presente lezione (SdPcSF). Come chi è assorto nella lettura dell’Ariosto, non solo non sente il peso dell’aria che grava su tutta la superficie del suo corpo, né quello dei panni ond’è vestito: non solo si scorda la fame, la sete, e quanti altri bisogni e guai maggiori può avere addosso; ma non vede il libro che gli porge il farmaco salutare,non ne sente il peso che pur ne regge, non bada ai caratteri, romani o elzeviri, ond’è impresso; volta le pagine senz’avvedersene; è tutto nel mondo della sua fantasia. E come, se a un tratto mancasse una pagina al suo volume o una grossa macchia impedisse il corso della lettura, o un improvviso sbatter d’usci
spezzasse l’incanto, il lettore si ritroverebbe allora col suo libro in mano e s’avvedrebbe di aver letto quel libro, e di non essere già stato nel mondo lieto e meraviglioso della immaginazione ariostea; così, se qualche cosa venga a turbare quella situazione felice in cui il maestro si trova nell’atto della sua lezione, se una folata di vento dalle aperte finestre trascini seco a volo le carte d’un tavolino, o se quell’alunno che se ne stava zitto e intento come bevesse il discorso del maestro cogli occhi, rompa in uno sguaiato sbadiglio, è ovvio che il povero maestro sia smontato. La parola gli muore sulle labbra, perché il pensiero gli si è interrotto a mezzo, perché quella sua determinata soggettività si è improvvisamente rimutata di dentro(dal “Sommario di pedagogia come scienza filosofica”).
Insomma insegnante e alunno scompaiono nella loro materialità soggettiva e sono “uno” nell’argomento trattato, insegnato-imparato. E’ un concetto suggestivo, il quale effettivamente illustra in modo efficacissimo quella magia che si crea in classe durante certe lezioni (giorni fortunati!) quando l’insegnante spiega e si accorge che i suoi studenti anticipano le sue parole, e la spiegazione diventa un pensare insieme. E’ però un concetto che evidentemente baipassa tanti problemi (quelli della struttura anche materiale dell’istituto, quella dell’organizzazione, ecc. ecc.) ma ha quanto meno il pregio di sottolineare ciò che è essenziale nell’esperienza scolastica;
Certo il rischio è quello dell’autoreferenzialità e dell’autoritarismo quando manchi l’autorevolezza.
Corollari: Gentile critica la pedagogia positivistica in quanto meccanica, astratta, vuota e mnemonica.
Pedagogia non è una scienza distinta dalle altre, è filosofia (“Sommario di pedagogia come scienza filosofica”).
Non esiste il metodo didattico.
Non esiste “programma” (ma vedi il ferreo coordinamento di materia) perché la stessa materia culturale può essere vivificata in modi diversi, nell’unicità irripetibile dell’atto educativo.
Abolito il tirocinio per le maestre.
Ed ora veniamo all’altra tipologia di docente, assai meno individualistica, anzi per nulla tale (ricordiamo che nella mitologia di certo didattismo degli anni ’80 c’era l’insegnante “intercambiabile”, capace di sostituire in tutto e per tutto il collega assente). Bene, non si creda che questo sia privo problemi.
Il “facilitatore di cultura”, amante dei quiz a risposta chiusa, che non compra libri di testo se non sono didattizzati, è davvero meno autoritario del prof gentiliano? In apparenza sì, ma sentiamo cosa scrive in proposito Lucia Lumbelli in “Per un’osservazione sistematica degli errori di comunicazione nella
prassi scolatica” tratto da “Pedagogia della comunicazione verbale” ed. Franco Angeli.
Osserva la Lumbelli che anche quando ci si propone un modello di insegnamento antiautoritario e inclusivo, in cui si sottolinea il valore della libertà espressiva, di fatto quelli che l’autrice chiama – con riferimento alla teoria sistemica – “disturbi di comunicazione”. Insiste particolarmente sul doppio legame della comunicazione paradossale. Questa si ha una persona in posizione one-up dà a chi è in one-down un comando che in realtà comprende due sottocomandi in reciproca contraddizione, in modo che qualunque scelta faccia incorre in errore.
Ecco alcuni esempi di questo tipo di comunicazione:
a) “Dai Tiziana, scrivi tutto quello che vuoi, scrivi cose carine”
b) “Se non vi interessa non leggo più, però vi do 4 in Storia”
c) “Avevate una nazione a scelta. Tu cosa hai portato?” Il Paraguay” “Naturalmente. Hai scelto la più corta”.
d) “Dimmi quali sono i sentimenti che ti hanno colpito di più.” “L’amore tra i protagonisti.” “Ma no, questi non sono i più importanti.”
e) “Sì, il compito è andato bene. Ma è farina del tuo sacco?”
Ora, questo “disturbo” è particolarmente presente non nella comunicazione autoritaria, ma in quella che lascia spazio all’espressività del discente, ossia (chiamiamola così) finto-antiautoritaria.
Insomma sarei tentato di concludere che il docente “democratico” conserva in pectore un io gentiliano il quale reclama i suoi diritti, vuole i suoi spazi, ma
poiché viene inibito e censurato dal primo, riemerge in forme ambigue, vendicative, destabilizzanti.
Meglio, allora, il docente individualista e fascinatore?
Alfonso Indelicato è laureato in Filosofia teoretica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esperto di Comunicazione Efficace e Psicologia della Scrittura, dal 1992 è iscritto all’Albo del Tribunale di Milano quale perito grafico. Ha tenuto corsi di scrittura creativa aperti alla cittadinanza, con riscontro sulla stampa milanese. E’ stato dirigente provinciale della GILDA degli Insegnanti e membro del Collegio Nazionale dei Probiviri della stessa. Insegnante di Italiano e Storia presso gli Istituti secondari di II grado, è dal 2010 in comando presso l’ Associazione Europea Scuola e Professionalità insegnante, di cui cura le relazioni esterne.

Libertà di insegnamento e libertà di apprendimento
di Francesco Quattrociocchi
La libertà di insegnamento non può andare in contrasto con la libertà di apprendimento e quindi va tutelato il diritto dello studente a ricevere un’educazione obiettiva e completa.
Legittimamente i docenti hanno le loro idee ma a volte capita che cerchino di inculcarle agli allievi, e ciò avviene in maniera subdola e senza che questi siano messi nella condizione di documentarsi, informarsi, farsi un’idea e magari di discutere. E’ la pratica del lavaggio del cervello degli studenti ad opera di quegli insegnanti che confondono l’insegnamento con l’ideologia.
Sono due generazioni, quelle dei docenti e dei discenti, che dalla loro diversità potrebbero solo trarne vantaggio se si intendessero le loro visioni come complementari piuttosto che sentirle come conflittuali solo perché poste partendo da piani differenti.
In aula, dove insieme all’apprendimento didattico si dovrebbe favorire la formazione del giovane che si sta per affacciare al mondo degli adulti, il confronto tra visioni critiche differenti, anche se non opposte, non è il punto d’avvio di alcun dibattito (che chiaramente non si intende portare avanti) né il punto d’arrivo (c’è un unica verità di cui l’intellighenzia è custode).
Purtroppo qualche docente e qualche preside, nostalgico del ’68, dimentica che il muro di Berlino è caduto e che con esso è finita un’epoca. E’ la politica dell’egemonia della sinistra nella scuola, orchestrata in primo luogo dai sindacati, gli stessi che si sono sempre opposti a qualsivoglia tentativo di riforma della scuola perché vista come una minaccia al sessantottismo a vantaggio del merito.
In questo scenario è ovvio che anche la realtà storica e culturale sia stata manipolata a favore della stessa parte politica che pretende di dominare la cultura: basti pensare al ricordo delle foibe che sui libri di storia delle superiori ha meritato appena qualche paragrafo e che solo negli ultimi anni, grazie alle battaglie del centrodestra, ha preso dignità.
Da studente non mi sono mai trovato, come invece amici di altre realtà, nei giorni di manifestazione ad essere “caldamente invitato” da professori irriducibili a seguire la lezione in piazza per manifestare dissenso. Chiaramente chi non avesse rispettato questo obbligo sarebbe stato interrogato alla prima occasione utile sull’argomento della “lezione all’aperto”.
Piuttosto quello che mi è capitato è di aver notato, da studente, un ripetersi di coincidenze particolari: a ridosso di campagne elettorali e referendum si verifica un insolito interesse da parte di certi insegnanti per alcuni specifici temi di attualità. Ho vissuto in prima persona il caso dell’improvviso fascino per l’“idraulica” in concomitanza del referendum sulla gestione dei servizi idrici. Il tema, affrontato senza nessuna analisi delle posizioni contrarie, sembrava più una questione di propaganda politica.
Un altro fatto da annotare è l’abitudine di alcuni insegnanti a sfavorire gli alunni
che hanno il coraggio di farsi una propria opinione (soprattutto se di una certa
posizione). Questo atteggiamento, scorretto e arrogante, è di una certa
gravità perché penalizza gli studenti doppiamente: nell’immediato e nelle
scelte future poiché crea nei più deboli la convinzione di non valere
abbastanza e li porta quindi a rivedere a ribasso le proprie aspirazioni.
In un’epoca in cui tutto è messo in discussione, pare ormai che da parte della
famiglia e della scuola non ci possa più essere una comune visione
dell’educazione dei giovani; tutto ciò porta al declino della tradizionale dignità
dell’insegnante e alla svendita del futuro degli studenti.
Francesco Quattrociocchi ha 22 anni. Si è diplomato al Liceo Scientifico Vittorio
Veneto di Milano e ha proseguito gli studi all’Università Bicocca nella facoltà di
Economia e Commercio presso la qule è attualmente inscritto.
Fin dagli anni del liceo si è occupato della diffusione delle informazioni di
interesse degli studenti e di interventi di attuazione del diritto allo studio, attività
che continua anche in Ateneo come componete della rappresentanza
studentesca.

Lettera su docenti INIDONEI all’insegnamento

Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Ai Presidenti di Camera e Senato
Al Ministro dell’Istruzione
e p.c.
Al Ministro dell’Economia
Al Ministro della Pubblica amministrazione e semplificazione

Dopo aver ascoltato per mesi promesse di interessamento a risolvere la situazione dei docenti inidonei all’insegnamento e utilizzati in altri compiti, prendiamo ora atto che ogni iniziativa del Parlamento e dei Ministeri coinvolti si scontra con il nodo della copertura finanziaria necessaria per annullare la norma della spending review che determina il passaggio nel ruolo ATA con le conseguenze drammatiche che abbiamo più volte evidenziato.
Vogliamo ora porre l’attenzione su un aspetto che viene trascurato quando ci si ferma al mero calcolo dei numeri e della spesa: la salute degli insegnanti. Studi autorevoli italiani e stranieri hanno evidenziato che di scuola si ammala e si muore. I dati delle cessazioni 2013 indicano che su 10.860 totali, 1220 lo sono per inidoneità, per inabilità da L.335, per superamento del periodo massimo di malattia o per decesso: l’11,2%. Questi dati sono destinati a crescere visto che la riforma Fornero ha sconsideratamente dilatato i termini dell’età pensionabile.
Il CONBS ha promosso uno studio al suo interno -che alleghiamo- sulle cause che portano gli insegnanti a chiedere l’inidoneità e i risultati confermano quanto già stabilito a livello internazionale: l’insegnamento comporta notevole esposizione ed usura psicofisica e le diagnosi di inidoneità sono nella stragrande maggioranza di tipo psichiatrico.
Annullare regole e garanzie per l’utilizzazione in altri compiti significa costringere del personale malato a restare in cattedra con grave danno anche e soprattutto all’utenza stessa; inoltre l’allungamento dell’età pensionabile ha significato esporre maggiormente il personale insegnante al rischio di stress e patologie.
Riteniamo pertanto che i decisori legislativi debbano prendere atto di tale situazione e riconsiderarla totalmente
– abrogando i commi 13 -14 – 15 dell’articolo 14 della legge n. 135 del 2012
– concedendo la dispensa a quei docenti inidonei che  ne facciano richiesta, o per età anagrafica o per gravità di patologia, considerato che di tale scelta avrebbero potuto beneficiare prima dell’entrata in vigore del DPR 171/2011
– vigilando che gli Uffici scolastici territoriali si attengano a quanto dettato dal Contratto collettivo integrativo 2008 e che i Dirigenti scolastici rispettino i contratti individuali
– sanando la “questione Quota 96” ed eventualmente estendendone la possibilità come via d’uscita, in considerazione che l’età media dei docenti inidonei è elevata.

Il Conbs ha formulato varie ipotesi per una migliore fruizione dei servizi resi dai docenti utilizzati e si dichiara disponibile ad approfondire le tematiche, considerato che da 11 anni studia le problematiche degli insegnanti inidonei e assiste i suoi aderenti in tutte le circostanze connesse.

Distinti saluti

Coordinamento Nazionale Bibliotecari Scolastici

Le problematiche dell’insegnamento e percezione di alcune proposte di riforma

Le problematiche dell’insegnamento e percezione di alcune proposte di riforma
Indagine 2013

di Swg per Gilda degli Insegnanti

INDAGINE GILDA-SWG: DOCENTI MORTIFICATI MA NON RASSEGNATI

INDAGINE GILDA-SWG: DOCENTI MORTIFICATI MA NON RASSEGNATI

Avvertono il peso dei problemi che attanagliano la categoria, primo fra tutti la carenza di
risorse assegnate alla scuola, ma non ci stanno ad assistere supinamente alla deriva della
loro professione. Sofferenti, dunque, ma per nulla rassegnati: ecco la fotografia dei docenti
italiani scattata dall’indagine “Le problematiche dell’insegnamento e percezione di
alcune proposte di riforma”, realizzata dalla Swg per la Gilda degli Insegnanti.
Dalla ricerca, condotta su un campione rappresentativo di insegnanti intervistati
telefonicamente e on line dal 10 al 26 luglio 2013, emerge che il problema ritenuto più
importante riguarda le scarse risorse destinate alla scuola (“molto importante” 78%,
“abbastanza importante” 17%), seguito dalla scarsa importanza sociale di cui gode la
categoria (“molto importante” 71%, “abbastanza importante 23%). Al terzo posto della
black list si colloca il numero eccessivo di alunni per classe (“molto importante” 70%,
“abbastanza importante” 24%). A pari merito in classifica si posizionano subito dopo il
blocco degli scatti di anzianità e l’età troppo elevata per la pensione (66% “molto
importante”, 27% “abbastanza importante”). Ex equo anche per altre due note dolenti
segnalate dagli insegnanti: gli stipendi troppo bassi (60% “molto importante”, 33%
“abbastanza importante”) e l’inadeguatezza delle strutture e il degrado degli
ambienti (59% “molto importante”, 34% “abbastanza importante”).
La proposta della separazione del contratto tra docenti e non docenti
Il 56% degli intervistati dichiara di condividere la proposta di separare le aree
contrattuali. A proposito del rinnovo del contratto della scuola, la proposta di distinguere
già a livello nazionale la quota di Fondo d’istituto spettante ai docenti da quella spettante
al personale non docente raccoglie il 58% dei consensi.
Il nodo della valutazione delle scuole
Prevalgono i pareri favorevoli al principio della valutazione delle scuole (51%), ma il
fronte di chi si oppone non è esiguo (37%). Esaminando le risposte in base al livello di
insegnamento, si nota che a condividere il principio della valutazione delle scuole sono
soprattutto gli insegnanti della scuola dell’infanzia e di quella secondaria di secondo grado
(60% in entrambi i casi), mentre nelle primarie (42% sì, 45% no) e nelle secondarie di
primo grado (44% sì, 42% no) risultano essere in sostanziale equilibrio. Una possibile
spiegazione di questi dati potrebbe risiedere nella netta bocciatura inflitta dalla stragrande
maggioranza dei docenti all’esperienza dei test Invalsi, giudicati dal 78% degli intervistati
indicatori non utili per la valutazione delle scuole che invece per il 46% dovrebbe essere
affidata a un organo composto sia da soggetti esterni che interni alla scuola.
Per quanto riguarda la retribuzione dei collaboratori del dirigente
scolastico, il 74% degli intervistati condivide la proposta di attingere ai fondi del contratto
dei dirigenti piuttosto che a quello d’istituto.
Se costretti a scegliere tra Fondo d’istituto e scatti di anzianità, il 69% manterrebbe i
secondi.
L’ipotesi di un aumento delle ore di insegnamento incassa un coro pressoché unanime
di no: il 91% afferma che “l’orario professionale dei docenti, comprensivo del lavoro
sommerso, è già a tempo pieno e non adeguatamente retribuito” mentre per l’86%
l’incremento dell’orario provocherebbe nuovi tagli sull’organico e, dunque, diventerebbe
benzina sul fuoco del precariato. Il 67% degli intervistati, però, dichiara che sarebbe
disposto a lavorare di più a fronte di un congruo aumento di stipendio.
Per quanto riguarda l’organizzazione della didattica e le funzioni gestionali e
amministrative, il 65% sarebbe favorevole a una proposta di legge tesa a separare i due
ambiti attraverso l’istituzione del preside eletto dal collegio dei docenti con incarico a
termine.
Ampio (70%) il consenso espresso in merito alla proposta della Gilda di
“ammorbidire” le regole per i pensionamenti degli insegnanti, consentendo di
cumulare negli ultimi 5 anni di servizio part-time e metà pensione.
La proposta, formulata recentemente dal ministro Carrozza, di legare le progressioni di
carriera e di retribuzione anche a fattori riguardanti il merito, riducendo quindi la
rilevanza del parametro anzianità, è accolta positivamente da poco più della metà degli
intervistati (54%), ma 3 su 10 di dichiarano contrari. A esprimere riserve sono
principalmente i docenti più anziani, gli insegnanti della scuola primaria e quelli provenienti
dalle regioni meridionali.
“Il sondaggio che abbiamo presentato oggi – spiega il coordinatore della Gilda degli
Insegnanti, Rino Di Meglio – è stato condotto da un ente indipendente rispetto alla Gilda
ed è uno strumento che adottiamo periodicamente per verificare l’efficacia della nostra
azione culturale e sindacale e per capire le tendenze della categoria”.
Tra le tematiche esaminate dal sondaggio, Di Meglio pone l’accento in particolar modo sul
dato riguardante scatti di anzianità e Fondo d’Istituto: “E’ molto significativo che oltre i due
terzi degli insegnanti condivida la priorità, data dalla Gilda nella sua ultima battaglia, agli
scatti di anzianità rispetto al Fondo d’Istituto. Inoltre – prosegue il coordinatore nazionale –
è interessante notare che l’area dei contrari a questa tesi corrisponde quasi esattamente
alle rappresentanze della Cgil”.
Di Meglio si dichiara, infine, molto soddisfatto del fortissimo aumento (+14%) riscontrato
nella visibilità della Gilda tra i docenti, “segno tangibile – commenta – che il nostro
impegno a favore degli insegnanti ha riscosso un ampio riconoscimento, evidenziato
anche dal costante aumento degli iscritti”.

Edilizia scolastica e sicurezza: dal D.L. “FARE” un’opportunità per i dirigenti

Sicurezza nelle scuole

Edilizia scolastica e sicurezza: dal D.L. “FARE” un’opportunità per i dirigenti

Con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia “Fare” (GU n.144 del 21-6-2013 – Suppl. Ordinario n. 50 ) sono state stanziate risorse per innalzare il livello di sicurezza degli edifici scolatici. L’art. 18, commi da 8 a 8 septies, stabilisce che le amministrazioni comunali e provinciali possono presentare entro il 15 settembre alle Regioni «progetti esecutivi immediatamente cantierabili di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici». A loro volta le Regioni dovranno stabilire una graduatoria delle situazioni più critiche da presentare al MIUR entro il 15 ottobre 2013. Par di capire che detti progetti saranno finanziati con le risorse disponibili in base alla ripartizione regionale dell’ammontare complessivo stanziato dalla Legge (150 mln per il 2014). I dirigenti possono cogliere l’opportunità per ribadire agli enti locali le richieste di messa in sicurezza degli edifici delle loro istituzioni scolastiche. Queste richieste, ai sensi del terzo comma dell’art. 18 del D.Lgs. 81/2008, sollevano dalle responsabilità connesse alla normativa antinfortunistica.

Scuola, libri sempre più cari. E la vera “stangata” potrebbe arrivare nel 2014

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, libri sempre più cari. E la vera “stangata” potrebbe arrivare nel 2014

Il Miur non ha rimodulato i tetti di spesa, ma i prezzi di copertina continuano a salire. Aumenta anche il “corredo”, tra diari e cancelleria. E con la cancellazione dell’obbligo di adottare solo testi che mantengono il contenuto invariato per 5 anni, “nel 2014 il mercato dei libri usati verrà azzerato”. A meno che il ministero non intervenga subito

di Lorenzo Vendemiale

Il ministro Maria Chiara Carrozza lo ha annunciato su Twitter: “Abbiamo deciso di non emanare il decreto sulla rimodulazione dei tetti di spesa sui libri di testo scolastici all’inflazione”. Che significa: nessun aumento del limite entro cui devono rientrare tutti i volumi obbligatori (non quelli ‘consigliati’, però) da acquistare per l’anno scolastico. Un provvedimento importante, che è stato accolto con soddisfazione anche dal movimento studentesco Studicentro: ”E’ una scelta che condividiamo e che va nella giusta direzione”.

Eppure, i costi per l’educazione continuano a salire. I docenti per stilare gli elenchi attuali si sono riuniti a maggio, e lo hanno fatto in base ai tetti dell’anno scorso (poi confermati). In conto, però, hanno messo un aumento pari al tasso di inflazione programmata (1,5%), per “salvaguardare i diritti patrimoniale dell’autore e dell’editore” (come recita il decreto ministeriale del 2 luglio). “Peccato che gli stipendi degli statali siano bloccati ormai da tre anni”, commenta Rosalba Di Placido, responsabile nazionale Scuola del Codacons.

Così l’aumento c’è stato, anche superiore alle aspettative. Secondo Federconsumatori, nel 2013 mediamente per libri e dizionari si spenderanno 521,00 euro per ogni ragazzo, il 2,8% in più rispetto allo scorso anno. Per alcune classi, però – specifica la nota -, gli aumenti sono più marcati, e raggiungono anche il 5-6%. E’ quanto si riscontra anche con una prova empirica: basta confrontare gli elenchi dei libri di testo appena pubblicati con quelli dell’anno scorso, prendendo a campione classi e scuole diverse in giro per l’Italia. Per quel che riguarda l’istruzione secondaria, confrontando tre licei classici, scientifici e tecnici a Milano, Roma e Palermo si scopre un incremento medio di circa 13 euro, equivalente al 4,5%. La situazione non cambia per l’istruzione secondaria di primo grado: qui in tre scuole medie fra Bologna, Firenze e Bari l’aumento medio risulta essere di 8,50 euro (ovvero del 5,5%). Dati in linea anche con le stime fornite dal Codacons, che parla di un incremento medio del 5% per i libri. E conclude: “Purtroppo non ci si può far nulla”.

In realtà, la legge prevede che la delibera collegiale sulla dotazione libraria sia soggetta a successivo controllo amministrativo: se l’elenco sfora il tetto previsto ci si può appellare ai revisori dei conti. Ma è consentita una ‘tolleranza’ del 10%. Dunque il ricorso è utile solo nei casi più eclatanti (“abbiamo ricevuto qualche segnalazione dal nord Italia di aumenti anche del 40%”, fa sapere il Codacons); ma “non per tutti questi incrementi diffusi, minori in termini di percentuale ma ugualmente incidenti“.

Poi ci sono i costi accessori. Anche qui Federconsumatori ha fatto i conti: quest’anno il ‘corredo‘ scolastico costerà il 2,4% in più, passando in media da 488 a 499,50 euro. Ad aumentare sono soprattutto astucci, diari e zaini di marca, il cui prezzo sale anche del 4% nei supermercati (che però si mantengono comunque più competitivi rispetto alle cartolerie).

Per il 2013/2014, dunque, il prezzo dell’educazione si annunciano più cari. Ma il peggio deve ancora venire. E’ noto, infatti, che – al di là di tetti e prezzi di copertina -, il segreto per ridurre le spese è ricorrere ai libri usati, magari da passarsi di fratello in fratello, o da acquistare presso gli appositi ‘mercatini’. In questo senso, si è rivelata molto utile una norma varata dall’ex ministro Gelmini, che – con l’articolo 5 del dl 137/2008, poi trasformato in legge – sanciva l’obbligo di adottare libri che mantengono invariato il proprio contenuto per 5 anni.

Questo vincolo, però, è stato eliminato dalla legge 221/2012 del governo Monti: il provvedimento rientrava nell’ottica dell’introduzione dei testi digitali nel 2014/2015, e che avrebbe dovuto garantire un risparmio notevole (fino al 30%). Il Ministro Carrozza, però, ha bloccato tutto: le scuole non sono pronte, non se ne parlerà prima del 2015/2016. Ma intanto la norma sullo ‘sbloccamento’ dei libri di testo resta: entrerà in vigore il primo settembre (almeno per quest’anno, dunque, il rischio è scongiurato). E sarà “un enorme favore agli editori, che potranno cambiare i loro testi, e – con modifiche anche piccole e poco significative – alzare ulteriormente i prezzi e soprattutto costringere all’acquisto di volumi originali. Così il mercato dell’usato verrà praticamente azzerato“, conclude Di Placido.

La vera stangata per le famiglie italiane, insomma, sarà questa. Salvo nuovi interventi da parte del Ministero: nelle prossime settimane il decreto sulla scuola dovrebbe finalmente arrivare in Consiglio dei ministri (si parla del 9 settembre). E nel testo si dovrebbe parlare anche di libri di testo e digitale.

Il concorsone per i professori si trasforma in una beffa

da Repubblica.it

Il concorsone per i professori si trasforma in una beffa    

Immessi in ruolo solo 3mila 123 insegnanti sugli oltre 11mila vincitori del bando. In pratica solo il 27 per cento. Problemi di bilancio e intoppi nelle Regioni hanno trasformato la gioia in delusione per gli aspiranti docenti

di SALVO INTRAVAIA

PER MIGLIAIA di vincitori il concorsone nella scuola si trasforma in beffa: dovranno aspettare anni prima di vedere la cattedra. Trascorso il 31 agosto  –  ultimo giorno per effettuare le nomine in ruolo  –  è tempo di bilanci per il concorso bandito con enfasi nel 2012 dall’ex ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, dopo 13 anni di attesa. Ma l’esiguo numero di posti messi a disposizione dal ministero dell’Economia e gli intoppi incontrati in alcune regioni nell’espletamento delle operazioni del concorso  –  Lazio in testa  –  hanno trasformato il concorso atteso per anni da centinaia di migliaia di persone in una delusione.
Partiamo dai numeri. Secondo alcuni conteggi effettuati da Repubblica.it, sono stati immessi in ruolo dal concorsone non più di 3.123 neoinsegnanti che in 12 mesi di studio si sono sobbarcati una procedura concorsuale complicatissima: test di preselezione, uno o più scritti e prova orale con simulazione di una lezione. I posti messi in palio dal bando di concorso erano 11.542. Così, sono riusciti a coronare il sogno del posto fisso nella scuola soltanto 27 candidati su 100. Tutto il  resto dovrà attendere la conclusione delle relative selezioni regionali o che il ministero dell’Economia assegni ulteriori posti per assumere i vincitori di concorso.
Nel Lazio, non è stato possibile assumere nessuno dei 1.443 potenziali vincitori perché lo scorso 21 agosto il direttore generale, Giuseppe Minichiello, ha preferito mettere le cose in chiaro anzitempo: “Per il protrarsi dei lavori delle commissioni, non sarà possibile pubblicare entro il 31 agosto nessuna graduatoria definitiva del concorso”. Stesso discorso in Toscana, dove sono state pubblicate le graduatorie di tre classi di concorso soltanto, in Calabria e Veneto, dove i lavori di alcune commissioni slitteranno a settembre, e in Sicilia, dove le classi di concorso che mettevano a disposizione il maggior numero di posti (Lettere e i due concorsi di scuola primaria e dell’infanzia) non sono state ancora rese note.
Ma a ridurre ancora il numero delle assunzioni ci ha pensato viale XX settembre che non ha messo a disposizione il numero di posti promesso dal bando. Gli 11.202 posti assegnati alla scuola dal ministero dell’Economia un paio di settimane fa sono stati divisi a metà fra vincitori di concorso e precari delle liste ad esaurimento. In Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto i vincitori di concorso possono stare abbastanza tranquilli: sono stati assunti oltre metà dei vincitori di concorso e per l’anno prossimo potrebbero essere accontentati tutti gli altri. Situazione abbastanza tranquilla in Umbria e Friuli Venezia Giulia, con percentuali di assunzione vicine al 50 per cento. È al Sud che le cose si complicano.
Basta fare un esempio limite, ma che rende l’idea della situazione. In Molise il concorsone per la scuola elementare metteva a disposizione 26 posti. La procedura concorsuale si è conclusa per tempo con tanto di pubblicazione della graduatoria di merito. E l’Ufficio scolastico regionale avrebbe quindi potuto assumere tutti i vincitori della selezione entro fine agosto, ma il ministero

dell’Istruzione ha assegnato al Molise due soli posti per le assunzioni, che vengono divisi a metà tra concorso e precari delle liste ad esaurimento. A questo ritmo  –  una assunzione all’anno da concorso  –  occorreranno 26 anni per assumere l’ultimo avente diritto. Chissà cosa ne penserà Concetta Spidalieri, che si trova nella scomoda posizione del vincitrice di concorso con la prospettiva di attendere qualche decennio per ottenere la cattedra?

Paritarie in crisi. Un destino segnato?

da TuttoscuolaNews

Paritarie in crisi. Un destino segnato?

Intervistato dal giornale online Linkiesta.it il sottosegretario Gabriele Toccafondi, con delega per le scuole non statali, fa il punto sulla condizione di quasi dissesto del sistema delle scuole paritarie, ricostruendone con precisione l’origine e gli sviluppi attuali.

La situazione appare drammatica oltre che notevolmente intricata. In pratica il bilancio previsionale del 2014 stabilisce un taglio ai fondi destinati al finanziamento del sistema paritario che sfiora il 50% (da 538 milioni a 260). Inoltre 80 milioni dell’ultimo contributo statale sono stati ‘congelati’ per effetto del decreto del governo Monti che vincolava lo scongelamento dei fondi, che passano attraverso le Regioni, all’adozione da parte di queste ultime di misure di alleggerimento dei costi della politica. Misure che solo alcune di esse hanno introdotto.

La conseguenza è che molte scuole paritarie rischiano di non poter pagare gli stipendi ai loro dipendenti. Toccafondi riferisce che il ministro Carrozza ha scritto una lettera al ministero dell’Economia per sollecitare lo scongelamento degli 80 milioni di euro del 2013. Ma lo scoglio principale è rappresentato dal taglio del bilancio previsionale 2014, che ammonta a 250 milioni di euro.

La soluzione starebbe nel prevedere il reintegro dei fondi con un provvedimento in sede di discussione parlamentare sulla legge di stabilità, o direttamente da parte del governo. Ma c’è il rischio che la fragilità delle ‘larghe intese’ possa portare a un rinvio delle decisioni. “Quando arriverà la legge di stabilità in Parlamento potremmo ritrovare una contrapposizione talmente forte da non comprendere cosa c’è in gioco”, dice il sottosegretario.

Il paradosso, come si nota in un post pubblicato da Linkiesta, è che “il Governo ha dovuto lottare contro se stesso, arrivando persino ad imporre a Toccafondi di ritirare il suo emendamento che anche l’opposizione avrebbe votato per ripristinare i fondi”.

Sette mosse che fanno scuola

da Il Sole 24 Ore

Sette mosse che fanno scuola

Assunzioni di docenti e Ata In arrivo il piano triennale del personale, si parte con almeno 44mila stabilizzazioni. Il braccio di ferro con l’Economia Si tratta per far andare in pensione con le vecchie regole 5-6mila persone

Claudio Tucci

Aumento delle risorse per il fondo di funzionamento ordinario delle scuole (da attuare magari gradualmente nei prossimi anni). Proroga del piano triennale di assunzioni di docenti e Ata (cioè, gli amministrativi), per coprire il fabbisogno di personale dall’anno scolastico 2014/2015 all’anno scolastico 2016/2017 (dove si stima, per effetto della legge Monti-Fornero, un turnover totale di 44mila posti). In più, un intervento sul decreto Profumo sui libri digitali, per rivedere tempi e modi di adozione dei testi in formato digitale, ma anche i tetti di spesa; e norme ad hoc per alleviare gli esborsi delle famiglie per il corredo librario. Inizia a prendere forma il decrero sulla scuola annunciato da Maria Chiara Carrozza, che dovrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri lunedì 9 settembre, e comunque prima dell’avvio del nuovo anno scolastico. E se il ministro parla di «provvedimento rivolto essenzialmente a studenti e famiglie» (invitando però a non avere «aspettative troppo elevate»), dalle primissime bozze di misure allo studio dei tecnici del ministero di Viale Trastevere si profilano anche interventi, di peso, sul potenziamento dell’autonomia scolastica e sul personale (soprattutto precario). Sul primo punto, «si lavora per innalzare la quota di funzionamento ordinario delle scuole, puntando a incrementarlo del 15-2o%», spiega il capo dipartimento dell’Istruzione, Luciano Chiappetta. La situazione oggi del budget per il funzionamento regolare degli istituti è piuttosto variegata: si passa da una punta di19-20 euro a studente in alcune zone, a valori più modesti di 9 euro a studente, in altre. Se la misura passerà il vaglio finanziario (che si sta trattando con l’Economia) la quota di 19-20 euro si alzerebbe a 23-24 euro; e quella di 9 curo passerebbe a poco più di n euro. «Una decisa inversione di tendenza – sottolinea Chiappetta – a tutto vantaggio del buon funzionamento degli istituti». Tra le ipotesi per coprire questo aumento di spesa ci sono le economie derivanti dai nuovi appalti per il servizio di pulizia delle scuole. Il braccio dì ferro con Vìa XX Settembre è anche sul fronte del personale. A partire dal piano triennale di nuove assunzioni. Qui si discute dei posti dì diritto in più da attribuire al sostegno e degli altri posti (da coprire con nuovi assunzioni) che si formerebbero mettendo insieme gli spezzoni orari (le ore eccedenti l’orario normale di cattedra). Lo sblocco di queste due questioni potrebbe far salire ancor di più il numero di stabilizzazioni fino al 2o16/2017, oltre le già conteggiate 44mila (che coprono il turnover). Nel decreto Carrozza troverebbe spazio, ma riformulata, la norma “salva presidi”, per superare l’impasse, in alcune regioni (soprattutto Lombardia), dovuto all’annullamento dei giudici del concorso presidi 2011. L’obiettivo è confezionare una norma immune da possibili nuovi contenziosi. In forse (anche qui c’è da convincere Fabrizio Saccomanni) c’è pure la questione dei docenti inidonei all’insegnamento che la spending review n. 95 declassa ad Ata (norma tuttavia ancora non attuata). Il Miur punta a evitare il “declassamento”, che sbloccherebbe anche la mancata immissione in ruolo quest’anno di 3.730 Ata (ritenuta non necessaria dal Mef in caso di transito nei ruoli amministrativi di questi circa 3.500 profinidonei). Più difficile è l’ok del Tesoro sulla norma su «Quota 96», per consentire a circa 5-6mila unità di andare in pensione con le regole pre Monti- Fornero. Sarebbe una misura troppo costosa. Novità invece potrebbero arrivare sul fronte Its, con all’orizzonte possibili nuovi finanziamenti. «Già oggi sono previsti13 milioni nel triennio. Puntiamo a incrementarli ulteriormente – sottolinea il direttore generale per gli ordinamenti e l’autonomia scolastica, Carmela Palumbo – e legare poi la distribuzione delle risorse a un monitoraggio, che guardi anche agli esiti occupazionali dei ragazzi». In cantiere c’è pure la norma che fa scendere aut anni la possibilità di entrare nei percorsi di alternanza scuola-lavoro. Una norma su cui preme il sottosegretario, Gabriele Toccafondi: «Aiuta i ragazzi ad avere un primo approccio con il mondo delle imprese; e anche a recuperare l’abbandono scolastico».

Ma è Giusto Punire le Classi dove ci sono più Studenti Bravi?

da Corriere della sera

Ma è Giusto Punire le Classi dove ci sono più Studenti Bravi?

Elena Ugolini

L e polemiche sorte dopo la pubblicazione sul sito del Ministero dei bonus per le ammissioni alle facoltà a numero chiuso, fa capire perché in questi anni molte università abbiano deciso di introdurre i test d’ingresso. Nel nostro Paese i voti dell’esame di Stato al termine delle scuole superiori non sono comparabili perché ognuna delle 12.144 commissioni usa criteri diversi. Esiste una grande varianza di risultati tra Nord Sud e ci sono differenze anche all’interno delle stesse scuole. La mappa dei risultati pubblicata due giorni fa ricalca quella delle indagini Invalsi e Pisa, anche se disegna un’Italia capovolta: i voti piu alti sono al Sud e i voti più bassi sono al Nord. A chi credere? Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha cercato, in extremis, di stabilire un criterio per non favorire gli studenti che frequentano scuole di «manica larga», e per evitare l’ingiustizia derivata da una situazione in cui si usano 12.144 parametri diversi. Ma, in presenza del valore legale del titolo di studio, è molto difficile giustificare il fatto che con lo stesso voto, ad esempio 90, si possa prendere il bonus oppure no. Siamo davanti all’assurdo di studenti eccellenti che si trovano penalizzati perché vengono da classi molto buone dove la percentuale di ragazzi bravi era «troppo» alta! Penso sia arrivato il momento di ripensare a come è costruito l’esame di maturità. Non possiamo continuare ad essere schizofrenici. Esiste un unico ministero dell’Istruzione e dell’Università, ma sembra ne esistano due. Ai nostri studenti chiediamo di prepararsi al meglio per la maturità e, al contempo, imponiamo loro di studiare materie diverse per superare i test di ammissione. Diamo loro un voto di maturità con una commissione esterna che costa ogni anno 180 milioni di euro e poi ne riparametriamo il valore ex post. In alcuni Paesi è l’università che fa gli esami di maturità, negli Usa e in Gran Bretagna esistono delle prove standardizzate come il Sat o gli e-levels, in altre Nazioni come la Francia, la selezione per l’ammissione alla facoltà di Medicina avviene dopo il primo anno di università e un breve tirocinio in ospedale. Scegliamo una strada sensata che sappia valutare e quindi valorizzare la preparazione dei nostri ragazzi, senza disorientarli. Sarebbe sbagliato perdere, ad esempio, la parte legata all’orale. È un tratto distintivo della nostra preparazione che molti Paesi ci invidiano perché chiede la maturazione della capacità di argomentare e di comunicare in modo efficace. Sarebbe assurdo, tuttavia, non valorizzare i risultati di prove esterne standardizzate che potrebbero contribuire a costruire il curriculum in uscita di uno studente e ad avere esiti comparabili.

Se un solo ispettore controlla 2.076 scuole

da Corriere della sera

Se un solo ispettore controlla 2.076 scuole

Un ispettore ogni 13 scuole in Gran Bretagna, uno ogni 22 scuole in Francia, uno ogni 2.076 scuole nel Lazio. Bastano tre numeri per capire quanto il nostro sistema scolastico sia fuori controllo e come l’autonomia sia stata vissuta come «tana libera tutti». Lo denuncia un dossier di Tuttoscuola. Che lancia sei idee per cambiare tutto. A partire dalla rottura del vecchio patto scellerato «ti pago poco, ti chiedo poco» per passare a un altro: «ti do di più, ti chiedo di più».Che l’autonomia sia una cosa seria non si discute. Anzi, gli esperti concordano nel ritenere che proprio un’ampia autonomia dovrebbe spingere le scuole a assumersi più responsabilità. Fino a essere costrette a migliorare la loro offerta agli studenti e alle famiglie per poter essere «competitive» in un mondo in cui il «pezzo di carta» di per sè è sempre meno importante. Il guaio è che la concessione di un’autonomia sempre più larga a partire da 2000 col riconoscimento anche della parità alle «non statali», denuncia Tuttoscuola, doveva essere parallela a un aumento dei controlli. È successo il contrario. «Prima» c’erano in organico 695 «ispettori», oggi 301. Solo sulla carta, però. In realtà, a causa di circa 200 vuoti, sono solo un centinaio: «In intere regioni, con centinaia di istituzioni scolastiche e migliaia di insegnanti, opera a volte un solo ispettore». Come nel Lazio, appunto, dove il poveretto, contando non solo gli istituti centrali ma anche le «dependance», dovrebbe vigilare su 4.603 scuole. E poi ci sono due ispettori a disposizione dell’ufficio scolastico regionale in Piemonte, uno in Liguria, uno nelle Marche, neppure uno in Toscana. Zero carbonella. C’è chi dirà che si possono sempre inviare per un’ispezione dei dirigenti scolastici investiti volta per volta del ruolo. Sarà… Restano i buchi, però. Aggravati dai tempi biblici con cui è stato avviato il rammendo: «Il concorso per reclutare nuovi dirigenti tecnici (con funzioni ispettive) è stato bandito quasi sei anni fa per coprire 144 posti vacanti, ma si è concluso solo nella primavera di quest’anno con circa 70 vincitori, che però non sono stati ancora nominati. Si parla della prossima primavera… E nel frattempo sono diventati vacanti per pensionamento altre decine di posti». Non bastasse, quel concorso ha avuto una grandinata di ricorsi per il sospetto che abbiano vinto «amici degli amici». Auguri. Una domanda emerge angosciante dalla lettura del dossier, che ricorda storture inaccettabili sui deficit di qualità e di equità («come spiegare che a Milano solo un maturando su 381 è valutato meritevole di lode, e a Crotone uno ogni 35?») e la necessità di una dura lotta all’abbandono scolastico. Quanto potremo resistere tra i Grandi con il 65% degli italiani tra i 16 e i 65 anni con livelli di «competenze funzionali effettive» valutate «fragili» o addirittura «debolissime»? Mentre sta rimettendosi a girare il pianeta scolastico, al quale Corriere.it dedicherà un «Canale Scuola» quotidiano, la rivista di Giovanni Vinciguerra lancia, accanto alle denunce, sei idee «un po’ rivoluzionarie» per cambiare «una scuola dove si è sballottati da una sede a un’altra, dove è riservato lo stesso trattamento a chi lavora duro e con passione e a chi ha la testa altrove, dove si guadagna tutti una miseria» e «dove la carta igienica e quella per le fotocopie le portano i genitori». Primo: basta con le scuole «chiuse agli studenti per molte ore al giorno durante i periodi di lezione e per mesi interi al di fuori». È uno «spreco enorme». Gli spazi scolastici potrebbero restare aperti al pomeriggio e anche fino a fine luglio per offrire agli studenti «servizi aggiuntivi» che oggi le famiglie pagano ai privati: dalle lezioni di musica ai «summer camp», dai corsi di lingue alla ginnastica artistica. Organizzandoli in proprio, grazie ai dipendenti che ne ricaverebbero più soldi in busta paga, o affidandoli a privati dietro precise garanzie. Certo, occorrono elasticità e fantasia, ma non solo le scuole potrebbero ricavarne fondi da reinvestire ma «si sbroglierebbe anche l’inaccettabile matassa dei precari». Secondo: per recuperare risorse servono tagli «chirurgici». Esempio? Ci sono 10mila «microscuole» primarie con meno di 50 alunni, «che costano in termini di personale il doppio delle altre (fino a 8 mila euro per alunno, contro i 3.500 euro di una scuola standard con 100 alunni)». Guai a toccare quelle in montagna e nelle piccole isole: sono sacre, anche a costo di rimetterci. Ma tantissime «sono lì spesso per motivi di campanile». I risparmi sarebbero «reinvestiti in spesa “buona”, a partire da edilizia, banda larga, laboratori, palestre». Terzo: occorre «liberare e premiare le energie degli insegnanti. Sono loro che “fanno” la scuola. Certo, guadagnano poco. Il 10-15% in meno della media dei colleghi europei. Ma riallineare la retribuzione per tutti costerebbe oltre 3 miliardi di euro l’anno. Troppo per l’Italia di questi anni». Ma «allora concentriamo le risorse e gli sforzi per premiare chi vuole dare di più» rompendo con «la carriera dei docenti legata solo all’anzianità di servizio». Quarto: guerra agli abbandoni con «corsi di recupero obbligatori e sistemi di incentivi e disincentivi d’intesa con le famiglie. Per esempio: se non hai concluso l’obbligo scolastico non puoi comprare/guidare il motorino o partecipare a programmi sportivi del Coni». Perché non possiamo più permetterci di avere «il 20% dei nostri 18-24enni in possesso al massimo della licenza media». Quinto: più autonomia, ma anche più controlli, più trasparenza nei conti e «una rigorosa valutazione dei risultati» che premino le scuole virtuose e si spingano con quelle che non raggiungono determinati standard «fino alla chiusura», come accade in America. Sesto: «digitalizzazione delle scuole (per tutti)». Non è accettabile che l’Italia abbia in totale solo 14 scuole statali «2.0», cioè digitalizzate, su oltre 9.000. Né che ci siano soltanto, citiamo il Rapporto «Review of the Italian Strategy for Digital Schools» voluto da Francesco Profumo, 6 Pc ogni 100 studenti contro i 16 europei e il 6% delle scuole altamente digitalizzate contro il 37% del resto d’Europa. Insomma, «la scuola digitale può offrire un grande contributo al cambiamento del Paese, ed è un treno che non può essere perso».

Gian Antonio Stella

Docenti di sostegno ecco cosa cambia per le famiglie

da Corriere della sera

Docenti di sostegno ecco cosa cambia per le famiglie

di  Melania Di Giacomo

«Da quattro anni con i tagli alla spesa pubblica si è cercato di ridurre il numero delle ore di sostegno a scuola, le famiglie si sono coalizzate, hanno fatto vari ricorsi al Tar e li stanno vincendo. Quindi è necessario che il ministero corra ai ripari». Salvatore Nocera, vicepresidente di Fish, una delle due grandi federazioni delle associazioni di disabili inquadra così la situazione. Ora che si parla di un piano di stabilizzazione, per portare gli insegnanti di sostegno da 65 a 90 mila, le famiglie rivendicano di più. Oltre a un numero adeguato occorre un aggiornamento continuo sulla disabilità per tutti i docenti. Mentre è al lavoro sul decreto che dovrebbe prevedere il piano per l’immissione in ruolo di insegnanti, il ministero dell’Istruzione dovrà anche pensare a come risolvere la questione bonus maturità (assegnato in base al voto di diploma e utile per l’accesso alle facoltà a numero chiuso), dopo che le tabelle ufficiali hanno evidenziato le enormi differenze tra scuole. «Abbiamo rispettato la legge», ha detto il ministro Maria Chiara Carrozza, e «ci stiamo impegnando per una revisione per il prossimo anno accademico». La stabilizzazione l’hanno già attenuto 1.648 insegnanti di sostegno, una parte degli 11.268 docenti per i quali il ministro Carrozza ha annunciato l’assunzione. Una goccia nel mare, se si considera che l’anno scorso, per coprire le esigenze, il ministero ha assegnato altre 38 mila supplenze. Inoltre, degli insegnanti di ruolo censiti dal Miur nel 2011-2012 solo il 60,4% nella scuola primarie a il 65,9 nella secondarie è impegnato a tempo pieno nello stesso plesso scolastico. Tra scuola elementare e media, dice l’Istat nell’ultima rilevazione disponibile (quella per l’anno scolastico 2011-2012), sono 145 mila gli alunni con disabilità. Di questi, uno su cinque non è in grado di fare attività quotidiane, non è cioè autonomo nel mangiare, spostarsi o andare in bagno, il 7,8% non è capace di fare nessuna delle tre cose e bisogna seguirlo costantemente. In questi casi più gravi hanno bisogno di un’insegnante che li segua nelle 22 ore curricolari, e il risultato è che in molti casi, per gli altri bambini il sostegno è un «collage» di ore. Quando questo accade si crea un rapporto critico con le famiglie che si sentono private di un loro diritto. «È capitato che mio figlio vagasse per la scuola, rincorso da bidelli. Perché il professore non poteva andare a riprenderlo lasciando la classe scoperta», racconta ridendo amaro Gianpaolo Celani dell’associazione italiana persone down (Aidp), papà di un ragazzino che va alle medie. A febbraio al momento dell’iscrizione le famiglie presentano le certificazioni con il grado di disabilità dell’alunno. In base a quante certificazioni sono state presentate vengono stanziati i fondi per la copertura delle ore di sostegno. Il monte ore necessario è poi diviso, scuola per scuola, tra gli insegnanti di ruolo, il resto lo coprono con delle nomine annuali, se è possibile, o con delle supplenze brevi. Ecco perché — misura sempre l’Istat — il 14,8% alle elementari e il 10% alle medie hanno cambiato insegnante durante l’anno scolastico. E non è solo una questione di numeri: «Gli insegnanti “normali” — aggiunge Celani — non hanno una strategia educativa per i disabili. L’insegnante di sostegno dovrebbe fare da fulcro, se non c’è una persona di riferimento è il caos». Stessa cosa la dice Nocera: «Abbiamo sull’inclusione dei disabili una legge che sulla carta è bellissima. Ma si è creata una deriva. I docenti curriculari delegano a quelli di sostegno, in contrasto con quella che era l’impostazione originaria. Vogliamo che riprendano in mano la situazione come per tutti gli altri alunni».

Si riparte col collegio e coi “rimandati”, ma i problemi rimangono

da Tecnica della Scuola

Si riparte col collegio e coi “rimandati”, ma i problemi rimangono
di Pasquale Almirante
Oggi in quasi tutte le scuole italiane convocati i collegi dei docenti, ma ci sono pure oltre 650mila alunni della secondaria superiore che attendono di sostenere esami per la classe successiva
Si riparte coi collegi dei docenti in quasi tutte le scuole italiane per programmare le attività per il nuovo anno scolastico, mentre per uno studente su quattro delle scuola secondaria di secondo grado ci sono da recuperare i famigerati debiti formativi. Sono in tutto il 26,5% degli oltre 2 milioni e mezzo di alunni delle superiori, per un totale complessivo di oltre 650mila studenti, che in questi giorni dovranno sostenere gli esami di recupero, per poi proseguire nella classe successiva o ripetere quella di provenienza. Sicuramente per costoro e per le famiglie si apre ancora un periodo di ansia e di attese e soprattutto per gli alunni degli istituti tecnici dove la percentuale di studenti in “sospeso” è del 30,5%, seguiti dal 29,2% dell’istruzione artistica, dal 28,7% degli istituti professionali e dal 22,2% dei licei. Come è noto la maggior parte dei rimandati si ha nelle classi prime delle secondarie di secondo grado e soprattutto per quelli degli istituti tecnici e professionali, mentre sono i ragazzi del sud i più neghittosi. E se questi sono i problemi degli studenti, le difficoltà dei docenti sono ben altri a cominciare dell’assegnazione delle cattedre, considerata la scarsità di docenti in ruolo il cui insufficiente numero sicuramente non potrà garantire, come è invece negli auspici della ministra Carrozza, il regolare avvio delle lezioni in tutte le scuole italiane. E sul tavolo rimane ancora la dolorosa questione del personale docente inidoneo all’insegnamento e il contemporaneo blocco di assunzioni del personale amministrativo, oltre alla vicenda “Quota 96” sul fronte pensionistico. Il nodo da sciogliere, per entrambi, è quello della copertura finanziaria. Ancora, c’è il problema degli insegnanti di sostegno, troppo pochi rispetto al numero degli alunni con difficoltà. Dai problemi dei docenti a quelli dei presidi, per il cui reclutamento il concorso sta segnando fibrillazioni soprattutto in Lombardia, dove tante scuole rimarranno scoperte in attesa di reggenza, mentre in Sicilia si è aperto un contenzioso tra i vincitori del 2011 e quelli del 2004 recuperati dalla legge 202/10. Tutte queste criticità dovrebbero essere sul tavolo del Consiglio dei ministri del 9 settembre. I tecnici del Ministero dell’Istruzione sono al lavoro per approntare un “pacchetto” di misure ad hoc e soprattutto per individuare le necessarie coperture finanziarie.

Nella scuola 100mila posti liberi

da Tecnica della Scuola

Nella scuola 100mila posti liberi
di P.A.
Le 44mila in tre anni annunciate dal Ministro Carrozza non bastano, per Anief i posti da assegnare sono oltre 100mila: 14.200 cattedre ancora libere, 37.000 di sostegno, 25.000 Ata, 25.000 pensionati in due anni
E Anief prosegue il suo comunicato dicendo che “non si può assumere al ribasso: solo nelle graduatorie ci sono 250mila precari. A cui si aggiungo 20mila abilitati con Tfa ordinario e migliaia di vincitori di concorso rimasti a spasso. Indispensabili anche una serie di misure parallele: sbloccare ‘Quota96’, aumentare le ore di tempo scuola, portare l’obbligo formativo a 18 anni, far tornare autonome 2mila scuole oggi in reggenza. I 44mila docenti e Ata da assumere corrisponde per Anief a meno della metà dei 100mila posti effettivamente liberi nel prossimo triennio, mentre viene ricordato che “assieme alle assunzioni, da aumentare, bisogna permettere di collocare in pensione il personale ultra 60enne con almeno 36 anni di contributi. Che non può attendere ancora cinque anni per andarsene. “Occorre prima di tutto favorire il pensionamento del personale con oltre 60 anni di età e 35 di contributi, catalogato come ‘Quota96’, ottusamente costretto a rimanere in servizio per via della riforma Fornero. Occorre poi agire sul tempo scuola, tornando alle ore di offerta formativa precedenti alla Legge 133 del 2008 voluta dai ministri Tremonti e Gelmini, e portare l’obbligo formativo a 18 anni”.
“È evidente che la scuola italiana”, continua il sindacato, “doveva assorbire la riforma Fornero in modo diverso. Il nostro Paese, infatti, annovera già da tempo i docenti più vecchi dell’area Ocse, con l’età media attorno ai 50 anni. E manda in ruolo la maggior parte dei precari sempre a quella età. Ora, con le nuove norme che obbligano ad andare in quiescenza non prima dei 65-67 anni, ci ritroveremo con un numero altissimo di insegnanti stanchi e demotivati, costretti a trasmettere conoscenze a classi-pollaio di 30 e più alunni. In questo momento, dice Anief, vi sono oltre 14mila cattedre rimaste libere. A cui vanno aggiunti 37mila posti di sostegno e circa 25mila tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. Considerando un minimo di altri 25mila pensionamenti nel prossimo biennio, si superano i 100mila posti.

Carrozza: sul bonus maturità, abbiamo rispettato legge

da Tecnica della Scuola

Carrozza: sul bonus maturità, abbiamo rispettato legge
di P.A.
“Di fatto noi abbiamo rispettato la legge”. Lo ha detto il ministro per l’Istruzione Maria Chiara Carrozza, a margine di un dibattito alla Festa del Pd di Firenze, ai giornalisti che le chiedevano delle polemiche riguardo al bonus maturità, che sarebbe uno strumento di assegnazione di punteggio troppo discrezionale.
“Questo meccanismo genera problemi perchè il voto non è omogeneo ed è sempre soggettivo. Nella revisione del regolamento – ha aggiunto Carrozza – abbiamo cercato di tenere conto della singola commissione, e non di tutta la scuola; e poi abbiamo cercato di dare allo stesso voto gli stessi punti, come è previsto dalla legge.  Noi abbiano adesso una commissione bonus dove hanno lavorato professori di molte università e anche il responsabile del nostro ufficio legislativo. Ci stiamo impegnando per arrivare ad una revisione che possa entrare in funzione il prossimo anno accademico. Vedremo – ha concluso il ministro – dove inseriremo queste modifiche”.