Permessi retribuiti per il diritto allo studio

Permessi retribuiti per il diritto allo studio per tutto il personale scolastico. Scadenza della domanda entro il termine perentorio del 15 novembre 2013.

Il sindacato SAB tramite il segretario generale prof. Francesco Sola, al fine di fornire massima informazione tra il personale scolastico interessato comunica che il 15 novembre, in generale ed in modo perentorio, salvo diverse scadenze stabilite dai vari Uffici Scolastici Regionali, scadono i termini di presentazione delle domande per usufruire, nell’anno solare 2014, dei permessi retribuiti ( max 150 ore ) per il diritto allo studio ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 395/1988, per dirigenti, docenti ed ATA di ruolo e precari.

Può presentare domanda, da inoltrare per via gerarchica, tramite la scuola di servizio, all’ATP (ex USP, ex Provveditorato agli Studi), tutto il personale scolastico, dirigenti scolastici, docenti e non docenti, compresi i supplenti che possono far vantare la sottoscrizione di un contratto annuale a tempo determinato sottoscritto o con l’ATP o direttamente con i dirigenti scolastici per la:

-frequenza di corsi finalizzati al conseguimento del titolo di studio proprio della qualifica di appartenenza o di corsi finalizzati al conseguimento di un titolo di studio di livello pari o superiore a quello già posseduto o di un diploma di laurea o titoli equipollenti, oppure del diploma di laurea in Scienze della formazione primaria e scuole di specializzazioni SISS;

-frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di qualifiche professionali, attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico compresi i corsi per il conseguimento del titolo di sostegno e l’abilitazione riservata per strumento musicale nella scuola media;

-frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio in corsi post-universitari, master, specializzazione e perfezionamento universitario o frequenza di corsi al fine di migliorare le proprie capacità e conoscenze nell’ambito del Comparto Scuola;

-frequenza TFA e PAS da attivare a breve;

-corsi di sostegno per il personale docente in esubero e non;

Il termine del 15 novembre è perentorio, salvo diversa scadenza stabilita dai vari uffici scolastici regionali; le domande devono essere vistate dal dirigente scolastico dove si presta servizio e devono essere riprodotte nuovamente anche da chi frequenta i corsi TFA, ecc…,  in quanto i permessi sono riferiti ad anno solare e non scolastico.

Il sindacato SAB, vista l’imminenza della scadenza delle domande, informa inoltre che i modelli possono essere ritirati gratuitamente nelle sedi del SAB o scaricate dal sito

F.to   Prof. Francesco Sola

Segretario Generale SAB

I cinquant’anni della scuola media (in crisi d’identità)

da Corriere della Sera

Da riforma democratica a modello da rivedere

I cinquant’anni della scuola media (in crisi d’identità)

I dati Ocse: anello debole del sistema

Gianna Fregonara

La scuola media italiana compie cinquant’anni. Anzi li ha compiuti 18 giorni fa perché fu proprio dal primo ottobre del 1963 che tutti i bambini italiani poterono continuare la scuola dell’obbligo con tre anni di «Media Unica» che sostituiva la divisione, creata dalla riforma Bottai nel 1940 tra scuola di avviamento professionale e scuola media per chi avrebbe proseguito gli studi.
«Una grande riforma democratica dopo la riforma Gentile», l’ha definita il ministro Maria Chiara Carrozza. Ma che cosa resta oggi, cinquant’anni dopo? Qualche dato: nel 1962 i bocciati furono il 16 per cento degli studenti, nel 2007 solo il 3 per cento. Le rilevazioni Ocse-Pisa però sono impietose e dimostrano che le medie sono diventate l’anello debole del sistema educativo italiano. A 15 anni sei ragazzi su dieci non sanno da che cosa dipende l’alternarsi del giorno e della notte. Secondo uno studio della Fondazione Agnelli, pubblicato due anni fa da Laterza, i risultati dei test di matematica tra la quarta elementare e la seconda media segnano un abbassamento dei punteggi del 23 per cento. E ancora: gli insegnanti sono in media i più vecchi del sistema scolastico e uno su tre lascia il posto dopo un anno in cerca di altri approdi, alle superiori soprattutto. Si capisce perché alla domanda diretta i ragazzi italiani rispondano che a loro la scuola media non piace, che si sentono a disagio più dei loro coetanei in Germania, Inghilterra e Francia.
«Ricordo le medie come un momento oscuro. Non si è né bambini né adulti, è difficilissimo – racconta lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati, che sulla scuola ha appena scritto L’elogio del ripetente -. Odiavo la scuola e le merendine e chissà cosa avrei risposto a chi mi avesse detto che pochi anni dopo sarei entrato in una classe a insegnare le Ricordanze di Leopardi alla mia prima supplenza alle medie della borgata Giardinetti a Roma».
Se è vero che la «Media Unica» ha avuto un ruolo importantissimo nell’alzare il livello di scolarizzazione negli anni Sessanta oggi dimostra tutta la sua età. «È una sfida vinta soltanto in parte – spiega Raffaele Mantegazza del dipartimento di Scienze umane per la formazione della Bicocca -, è una scuola che è rimasta senza identità specifica, schiacciata tra primaria e secondaria. È una scuola che ha scelto di privilegiare l’aspetto cognitivo rispetto a quello emotivo e pedagogico. Sono anni difficili per i ragazzi quelli della preadolescenza, in cui c’è una elaborazione anche psico-sessuale molto importante che la scuola ignora del tutto».
E invece sono gli anni in cui si comincia ad essere un po’ più adulti, in cui «l’acquisizione critica del sapere» andrebbe privilegiata. «Ma siamo rimasti ad una impostazione fordista della scuola, unica organizzazione che non si sia evoluta – spiega il pedagogista Giuseppe Bertagna dell’Università di Bergamo -: c’è solo uno studio libresco, disciplinare e separato, troppo strutturato».
Di come riformare o rilanciare la scuola media si è discusso ciclicamente ad ogni proposta di riforma, ma non molto è cambiato. «Per esempio è dal 1977 che sono previste 160 ore di attività interdisciplinari di risoluzione di problemi, di compiti per gruppi – insiste Bertagna -, ma non si sono quasi mai fatte perché prevederebbero la rivoluzione degli organici e del modo di insegnamento».
Anche per Mantegazza la soluzione si chiama «flessibilità»: «Tanto per cominciare ci vorrebbero percorsi differenziati per maschi e femmine perché negli anni delle medie hanno tempi di sviluppo molto diversi. Ci vorrebbero classi aperte in cui i gruppi si formano a seconda di quello che si deve fare o studiare. Infine manca la continuità con le scuole superiori: come è possibile che, mentre alle medie quasi tutti vengono promossi, arrivati in prima superiori dopo quattro o cinque mesi almeno due su dieci sono in serie difficoltà?». I dati del ministero in parte lo spiegano: quattro ragazzi su dieci alle medie passano l’esame con la sufficienza. «Le medie non sono formative – conclude Bertagna – e non è soltanto questione che un undicenne di oggi è molto diverso da un undicenne di cinquant’anni fa. Le medie dovrebbero integrare la scuola con la società e con il lavoro, ma è stato trascurato il fare, l’esperienza applicata: così l’Italia non raggiungerà gli obiettivi di Europa 2020 per i propri ragazzi».

Carrozza: “Porterò il test Invalsi anche all’Università”

da LaStampa.it

Carrozza: “Porterò il test Invalsi anche all’Università”

Il ministro Carrozza: i laureati avranno valutazioni più adeguate

roma

 Maria Chiara Carrozza, ministro dell’Istruzione, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco denuncia: in Italia studiare conviene meno che in altri Paesi. È così?

«Il discorso del governatore Visco prende in considerazione non solo le responsabilità del sistema scolastico e universitario ma anche quelle del sistema imprenditoriale. Le imprese non investono, cercano qualifiche più basse rispetto a quelle offerte dai giovani. Io penso che esista un problema; la qualifica non corrisponde alla competenza».

E quindi chi studia non è detto che sia preparato?

«Esatto, e invece, conta quello che si sa fare mentre nel dibattito politico c’è troppa attenzione al punteggio per ottenere i titoli necessari. Preferisco i concorsi che premiano la competenza e vorrei che le università venissero valutate».

In modo diverso da quanto accade ora?

«Ho sostenuto fin dall’inizio del mio incarico i sistemi di valutazione Invalsi e Anvur, ho anche messo a disposizione tutti i dati in nome della trasparenza. È necessario però valutare le competenze in uscita dall’università e confrontarle».

Come?

«Partendo dal metodo Invalsi che va migliorato e adattato all’università: voglio sapere se gli studenti escono dagli atenei con una laurea in grado di essere alla pari con quelle di altri Paesi».

Quindi un test Invalsi anche all’università ma in quale momento?

«All’uscita dall’università. Nell’ultima analisi Ocse-Pisa c’era un dato che secondo me è drammatico: la media dei laureati italiani ha competenze paragonabili a quelle di uno studente di scuola secondaria del Giappone. Le politiche dell’istruzione degli ultimi 20 anni hanno portato scarsi risultati, è necessario cambiare rotta».

Che cosa farà per cambiare rotta?

«Università, scuola e ricerca vengono gestite attraverso norme comuni all’intera pubblica amministrazione, che possono essere adeguate per gli Uffici del Catasto ma non i campi in cui si fa conoscenza. In questi ambiti ci vuole altro, norme diverse che rispettino la specificità del lavoro dei professori ».

Un esempio?

«Il blocco del turn-over è stato drammatico per l’università e ancora di più per la scuola. È stato un muro che ha bloccato ogni possibilità di rinnovamento. Io invece penso che sia necessario garantire un cambiamento in base a selezioni che seguono criteri internazionali. Vorrei anche che il mondo dell’istruzione scolastica e quello universitario si parlassero. Se i ragazzi escono da scuola con una preparazione non all’altezza dei loro coetanei degli altri Paesi ,anche l’università non può funzionare».

Il mondo dell’università ha conosciuto anche molti scandali.

«Le università devono avere bilanci comprensibili e rendiconti trasparenti. I giovani scappano anche perché il sistema non permette di premiare il merito né di avere gestioni controllate delle università che vanno male. Chiederò ai revisori dei conti per i bilanci delle università di fare ancora più controlli ma non basta. Proporrò un rinnovamento in modo da rendere l’intero sistema più trasparente e da rispettare la specificità dello studio e della ricerca. I bilanci vanno risanati, va eliminato il blocco del turn-over e semplificate le normative burocratiche».

Quando pensa di poter avanzare una proposta completa?

«Ci sto lavorando».

Sta lavorando anche ad una modifica del sistema di valutazione delle competenze dei ragazzi?

«Sì, vorrei migliorarlo rispetto al sistema attuale e proporre un unico sistema di valutazione per gli studenti dalla scuola primaria all’università».

La formazione post-diploma può rappresentare un’alternativa all’università?

«Stiamo valutando gli istituti. Sono da potenziare ma solo quelli che hanno raggiunto certi risultati».

De Mauro: l’80% degli adulti non è in grado di capire un articolo di giornale

da Tecnica della Scuola

De Mauro: l’80% degli adulti non è in grado di capire un articolo di giornale
di A.G.
Duro intervento del linguista ed ex ministro dell’istruzione al teatro Petruzzelli di Bari: in Italia c’è una situazione di analfabetismo grave, più grave che in altri Paesi. Poi coglie l’occasione per rilanciare la trasformazione delle classi scolastiche in “laboratori continui” in modo da costruire “ricercatori permanenti”.
Si allargano i consensi per l’uscita a piedi uniti del governatore di Bankitalia Visco sulla scuola italiana. Tra questi c’è anche il linguista ed ex ministro dell’istruzione Tullio De Mauro, che commentando gli interventi, tra cui quello di Visco – svolti al teatro Petruzzelli di Bari al convegno ‘Investire in conoscenza, cambiare il futuro” organizzato dalla Fondazione ‘Con il Sud’ e dal ‘Forum del libro’ – ha detto a chiare lettere che in Italia “c’è una situazione grave, più grave che in altri Paesi, di analfabetismo”.
“Mi hanno fatto pensare tutti non tanto alle condizioni della nostra scuola, ma a quella della popolazione adulta. Non sappiamo bene cosa fare”, ha aggiunto. Per poi ricordare che “l’80% degli adulti non è in grado di capire un articolo di giornale, come ha detto il governatore di Bankitalia Visco. Personalmente ho difficoltà a leggere i giornali italiani perché sono un po’ inutili per come sono scritti. Oggi abbiamo una media di 12,1 anni di scolarità, come i maggiori Paesi sviluppati. Per sviluppare il Paese i nostri politici hanno fatto la scelta dell’accumulo di capitali e di realizzare le infrastrutture, in Giappone invece hanno fatto la scelta del ‘dovete studiare tutti”’.
De Mauro ha rilanciato l’idea, indicata da Visco nel suo intervento, di trasformare le classi scolastiche in “laboratori continui” in modo da costruire “ricercatori permanenti”.
C’è ora da capire se siamo davanti ad un auspicio fattibile oppure ad un progetto ambizioso che però non troverà mai attuazione.