Qui radio aula

Qui radio aula

di Claudia Fanti

Cari colleghi e colleghe a che punto siamo noi?

Per adesso ciò che vediamo è un punto di non ritorno.

Allora, le nostre aule sono come erano l’anno scorso e l’anno prima.

In un angolo dell’aula c’è però un pc con uno schermo piccolo piccolo, un pc di quelli a colonna, pronto per il registro elettronico! E’ già comunque un lusso anche se non richiesto perché non sappiamo che farne a parte qualche lavoretto occasionale, perché è un lusso che ci priva di un lusso più ambito e cioè di un metro quadrato di aula per spostare i banchi e adattarne la disposizione a seconda delle attività che vorremmo organizzare.

Il numero degli alunni è cresciuto.

Il dirigente è una persona che dovrebbe avere tentacoli per arrivare dappertutto dato che è un reggente.

Gli alunni e le alunne con disagi di diversa tipologia aumentano, gli insegnanti di sostegno diminuiscono.

Non ci piace l’Invalsi, non ci piacciono i voti. Diciamolo, molti fra noi sono cambiati, come pure la didattica invalsizzata, timorosa, pronta e agghindata di verifiche preparatorie all’appuntamento con questi bellimbusti sputasentenze: prove e pagelle con le caselle nelle quali scrivere i sacri numerini.

Le supplenze sono azzerate: le copriamo noi docenti di ruolo, quindi sono a terra le nostre antiche compresenze che tanto servivano per far fronte alle difficoltà. Quindi gli aspiranti insegnanti resteranno a sognare punteggi per il futuro che non arriverà mai. La circolare del 2010 è lettera morta!

I materiali di facile consumo? Non ci sono:  li compriamo noi, altrimenti non sapremmo che fare. D’altra parte non sarebbero chiamati “facile consumo” se non si consumassero in un batter d’occhio, o no?

A voi, cari colleghi e colleghe, interessano i discorsi sulle magnifiche sorti progressive dei nostri governanti? Mi pare proprio di non aver udito un solo commento positivo né nei corridoi né in Collegio, quindi perciò d’altronde il verbo è “arrangiarsi”.

Ma non è proprio così, si sono aperte da poco le libere adesioni alla formazione sulle Indicazioni, la libera adesione a reti di scuole interessate alle Indicazioni ministeriali: la corsa a prendervi parte come è stata? Libera o un po’ condizionata dai discorsi dei vostri dirigenti? A me non è parso che ci sia stata un’adesione corale. E a voi?

I vostri stipendi sono aumentati? No, non fa nulla, noi e le famiglie siamo i volontari preferiti dal ministero: investiamo i nostri soldi per tappare le falle.

Vi è mai capitato di fare un acquisto perché la vostra classe aveva vinto un premio in denaro? Alla mia classe sì, ma meno male e grazie al cielo è accaduto una sola volta e ritengo che sia meglio non accada mai più: sì, perché il calvario per poter spendere quanto vinto, non è ancora finito: tra i preventivi ai negozi, i se e i ma degli stessi per vendere a una classe qualcosa, le e-mail da spedire, la segreteria della scuola incerta sul da farsi, è  un vero e proprio percorso a ostacoli.

Non possiamo avere consapevolezza certa di come finiremo: certo è che la politica, gli annunci dei partiti in materia, per ora, non hanno dato segnali di comprendere che per la stragrande maggioranza delle scuole e degli insegnanti sarebbe magnifico sentir dire almeno una volta che la riforma Gelmini sarebbe da cancellare. Soltanto questo annuncio potrebbe alleviare la perdita di potere d’acquisto dei nostri salari e il loro reiterato blocco in nome del bene, alquanto sospetto, dell’Italia.

Una volta eliminata la riforma, si potrebbe cominciare a ragionare di molto altro.

Certo della fattibilità di una pedagogia serena, attenta a  trovare soluzioni ai problemi che pure resterebbero in campo: come condurre classi numerosissime? Quali strategie per i bambini e le bambine straniere inseriti in corso e a fine anno? Cosa fare se qualche alunno picchia e insulta? In quale modo aiutare le famiglie? Quale e quanta tecnologia di supporto? Quali tempi occorrerebbero per ogni disciplina? Come fare per dare trasversalità a una buona programmazione? Quale aggiornamento? Come fare affinché sia differenziato e che ogni insegnante della scuola in cui lavorate porti agli altri un contributo da rielaborare ed eventualmente utilizzare? In quale modo valutare in maniera sensata?

Le domande a cui potremmo trovare una risposta tutti insieme si affollano, intanto andiamo avanti ogni mattina e ogni pomeriggio. A casa lavoriamo e compiliamo documenti, elenchi, prepariamo colloqui con tutte le famiglie che stanno arrancando perfino per comprare gomme e matite. Sono le nostre partner sgarrupate come noi, con le speranze che vorrebbero far capolino ma vengono puntualmente schiacciate prima di arrivare alla fine del mese che, quello sì, è un traguardo prescrittivo! E noi a sostenere, a saltare, cantare, tagliare cartoncini, sollecitare pensiero e parole nei loro figli che nelle nostre speranze vorremmo avessero un futuro più roseo del presente.

Per questi figli abbiamo adottato in tante e da tempo sistemi di scuola non competitivi, accoglienti, rispettosi delle loro intelligenze, siamo pronte a stimolare in loro domande, a non fornire risposte preconfezionate. Vogliamo per loro un mondo nel quale possano far valere le convinzioni e le istanze di una democrazia matura, nella quale la meritocrazia non la faccia da padrona e  al posto della quale i cittadini e le cittadine del futuro pratichino il sostegno, la collaborazione, la condivisione o l’appoggio per comprendere se stessi e gli altri.

Abbiamo dalla nostra, come ho detto tente volte, il pensiero, le letture, le conversazioni, la possibilità di guardare la natura gratuitamente e di percepirne insieme le sofferenze e i punti di forza…Abbiamo noi stessi insieme con bambine e bambini. E’ tanto per insegnanti abituati a lavorare con il niente. E’ tanto e prezioso. Continuiamo a testa bassa a resistere, a dare dignità a noi stessi, agli alunni, alle alunne…e al presente, riempiendolo di voglia di cambiare le cose che non vanno, di visioni di ciò che potrebbe essere e ancora non è.

Scuola come ambiente di apprendimento

Scuola come ambiente di apprendimento
Una trasformazione non più rinviabile

 di Umberto Tenuta

tenutaDal  discorso  socio-psico-pedagogico degli ultimi secoli emerge l’inderogabile esigenza che le aule scolastiche si trasformino in ambienti di apprendimento[1] finalizzati ad assicurare a tutti gli alunni la piena formazione della loro personalità, attraverso l’acquisizione di conoscenze, capacità e atteggiamenti: sapere, saper fare, saper essere[2].

È ormai inaccettabile che i docenti continuino a tenere lezioni dalla cattedra, nella classica configurazione del pontifex che dall’altare legge[3] i libri sacri (testi scolastici), anche se oggi il docente può utilizzare le tecnologie interattive multimediali (LIM), mentre gli alunni (come ieri i fedeli) stanno seduti nei banchi a due posti, anziché a otto o dodici, come nelle cattedrali medioevali  e nelle scuole fino ai primi decenni del XX secolo.

Occorre che i banchi biposti o, peggio, monoposti siano raggruppati per costituire tavoli per tre/cinque alunni, opportunamente motivati ad operare con materiali concreti (comuni e strutturati), prima che virtuali, iconici o simbolici[4].

L’attività didattica (matetica) deve svolgersi attraverso le unità di apprendimento[5], anziché attraverso le unità didattiche.

Clayton[6] offre il seguente schema:

<<Il docente dovrebbe:

a. determinare i risultati auspicati;

b. esaminare i singoli alunni e valutare i loro livelli di sviluppo e di apprendimento, i loro stili ed i loro ritmi di apprendimento;

c. specificare gli obiettivi dell’insegnamento alla luce dei punti a) e b);

d. selezionare le informazioni, i temi di studio, i metodi e le tecnologie educative e didattiche;

e. motivare gli alunni ad impegnarsi in attività che presume li portino all’apprendimento;

f. dirigere e guidare le attività di apprendimento;

g. offrire la sintesi magistrale dei risultati cui gli alunni sono pervenuti attraverso le attività di ricerca;

h. promuovere attività di consolidamento delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti acquisiti;

i. valutare i risultati del processo di apprendimento di ogni alunno;

j. attivare interventi compensativi, di recupero, di approfondimento e di arricchimento.

Una tale impostazione dei processi di apprendimento si configura come un radicale cambiamento della consueta impostazione didattica fondata sulla lezione ovvero sull’insegnamento[7].

Le unità di apprendimento debbono essere realizzate soprattutto in forma cooperativa (Cooperative learning)[8], muovendo da situazioni vissute dai singoli alunni in forma problematica (Problem solving)[9].

Questa esigenza di cambiamento non può essere disattesa per nessun motivo, nemmeno dalla inadeguata retribuzione dei docenti, perchè costituisce la ragione di essere della scuola[10].

Se questo cambiamento non si attua, la scuola può essere chiusa, paradossalmente con minor danno, anzi col vantaggio che la mancata frequenza della scuola almeno non danneggia gli alunni demotivandoli, in quanto la scuola che per motivare gli alunni utilizza i voti negativi, anziché motivarli, li demotiva, come denunciava Don Milani[11].

Altri paesi hanno capito questa esigenza e ne ha hanno tratto vantaggio gli alunni, la convivenza civile, l’economia ecc.

 

Bisogna lanciare questo grido di allarme, uscendo dal tunnel dell’indifferenza, della mancanza di coraggio nel denunciare questa situazione, tra le più critiche della nostra società.

La scuola costituisce il bene più grande di una nazione e, perciò, la sua efficienza e la sua efficacia costituiscono il principale impegno di tutti i cittadini prima che del Governo e del Parlamento.

I problemi che affliggono la nostra società non si risolvono solo con misure economiche ma soprattutto con misure educative.

Pertanto, i cittadini, i genitori, i docenti, i dirigenti, i sindacati debbono ritrovarsi impegnati a chiedere che finalmente in Italia sia risolto il problema della efficacia e della efficienza del suo sistema educativo, costi quello che costi, perché è la priorità assoluta della nazione.

 

Questo appello −che per i genitori è un disperato grido di dolore− noi lanciamo con tutta la nostra forza, senza alcuna retorica, perché, come uomini di scuola, siamo troppo preoccupati per tutti i mali ai quali oggi vanno incontro i giovani, mali che sono tali anche per la società tutta.



[1] TENUTA UMBERTO, L’attività  educativa e didattica nella scuola elementare. Come organizzare l’ambiente educativo e di apprendimento secondo i nuovi programmi. Umberto Tenuta. Editrice La Scuola (Scuola d’oggi). 1989.

[2] In merito cfr.: Cresson, E., , Insegnare ad apprendere. Verso la società conoscitiva, Libro bianco su istruzione e formazione, Lussemburgo, Commissione Europea. 1995; Tenuta U.,  Atteggiamenti, capacità, conoscenze, http://www.edscuola.it/archivio/didattica/atteggiamenti.html .

[3] Dal latino Legere , da cui lectio (Lezione).

[4] A titolo orientativo, si possono consultare: AGAZZI R., Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia, 1968; MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000; BISSI R., I sussidi didattici, La Scuola, Brescia, 1976;DOMENIGHINI L., Sussidi didattici e scuola di base – Orientamenti educativi e metodologici, La Scuola, Brescia, 1980; UMBERTO TENUTA, L’attività educativa e didattica nella scuola elementare – Come organizzare l’ambiente educativo e di apprendimento, La Scuola, Brescia, 1989; UMBERTO TENUTA, Quarta Rappresentazione: Rappresentazione Virtuale, in http://www.rivistadidattica.com/metodologia/metodologie_60.htm

[5] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, Unità di apprendimento, in: www.rivistadidattica.com

[6] CLAYTON T.E., Insegnamento e apprendimento, Martello, Milano, 1967, p. 14.

[7] Dal latino insigno, in – signo, segnare, incidere, imprimere  (nella mente)

[8]  In merito cfr. COMOGLIO M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Cooperative learning, LAS, Roma, 1986; COMOGLIO M., CARDOSO M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative Learning, LAS, Roma, 1996; COMOGLIO M. (a cura di), Il Cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di animazione e formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1999; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura), I contesti sociali dell’apprendimento.Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995.

[9] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti- Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNC-KER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti- Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Per la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuo-la, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

[10] <<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>

– FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249 –

[11] DON MILANI, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina ,  2007.

I BES nelle attività di insegnamento/apprendimento: vincoli e opportunità

I BES nelle attività di insegnamento/apprendimento: vincoli e opportunità

di Maurizio Tiriticco

Relazione tenuta da Maurizio Tiriticco al convegno

“BES: innovazione didattica, inclusione, limiti burocratici” – Roma, 11 novembre 2013

 

Con la Legge dell’8 ottobre 2010, n. 170, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, si sono riconosciute la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento (DSA), che, pur manifestandosi in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, possono però costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. Nella legge si dispone che la diagnosi dei DSA venga effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale e che sia comunicata dalla famiglia all’istituzione scolastica di appartenenza dello studente. L’istituzione è tenuta ad adottare una “didattica individualizzata e personalizzata [1], con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate.” In seguito, il Miur, con il dm n. 5669 del 12 luglio 2011 ha individuato le modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di insegnamento/apprendimento fin dalla scuola dell’infanzia, nonché le forme di verifica e di valutazione per garantire il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di DSA nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università.

In seguito, con la Direttiva del 27 dicembre 2012, il Miur afferma che “è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto del modello diagnostico ICF (International Classification Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul principio di funzionamento e sull’analisi del contesto, il metodo ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni”.

Occorre ricordare che l’attenzione ai bisogni di ciascun alunno era già implicita nel dm del 9 febbraio 1979, con cui furono varati i “nuovi programmi” per la scuola media”. Segue il testo relativo alla definizione e alla descrizione delle fasi della programmazione educativa e didattica. Si tratta di una scelta che – si afferma nel dm –

postula un progetto educativo didattico che comprende organicamente i seguenti momenti:

a) individuazione delle esigenze del contesto socio-culturale e delle situazioni di partenza degli alunni:

b) definizione degli obiettivi finali, intermedi, immediati che riguardano l’area cognitiva, l’area non cognitiva e le loro interazioni:

c) organizzazione delle attività e dei contenuti in relazione agli obiettivi stabiliti;

d) individuazione dei metodi, materiali e sussidi adeguati;

e) sistematica osservazione dei processi di apprendimento;

f) processo valutativo essenzialmente finalizzato sia agli adeguati interventi culturali ed educativi sia alla costante verifica dell’azione didattica programmata;

g) continue verifiche del processo didattico, che informino sui risultati raggiunti e servano da guida per gli interventi successivi.

La programmazione può prevedere anche l’organizzazione flessibile e articolata delle attività didattiche (attività interdisciplinari interventi individualizzati, nonché raggruppamenti variabili di alunni, anche di classi diverse, e utilizzazione di docenti specializzati nell’ambito consentito dalla legge n. 517)”.

La metodologia indicata, in effetti, è estensibile a ogni grado di istruzione, in quanto in estrema sintesi rappresenta pur sempre il percorso di insegnamento/apprendimento fondato sulla strategia del curricolo. E non esiste istituzione scolastica che non possa e non debba attenersi alle indicazioni di cui al citato dm del 1979.

Tale metodologia postula con forza la necessità di rilevare i bisogni di ciascun alunno, i suoi concreti “livelli di partenza”, in modo da progettare e realizzare percorsi che consentano il suo massimo coinvolgimento e quello di tutti e di ciascuno. Era ovvio già allora che ciascun soggetto in apprendimento, soprattutto in un percorso obbligatorio, rappresenta specifici bisogni educativi, dei quali occorre necessariamente tenere il debito conto.

Sotto questo profilo, il nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione” (come viene definito dall’articolo 2 della legge 53/03, in attuazione del nuovo assetto dell’Istruzione pubblica, di competenza dello Stato, e dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni: sistema avviato dal novellato Titolo V della Costituzione) già da quel lontano 1979 è stato sensibilizzato a tenere in debito conto i bisogni educativi di ciascuno! Ed è anche vero che ciascun alunno – e ciascun soggetto in generale – rappresenta bisogni specifici o, se si vuole, speciali!

Del resto, sono di fatto speciali tutti i bisogni di ciascuno di noi, in quanto ciascuno di noi ha una sua specificità.

Quindi, tenuto in debito conto quanto già legiferato nel lontano 1979, quale necessità c’era di ricorrere a nuovi dispositivi normativi, citando anche indicazioni dell’OMS, per ricordare a scuole e a insegnanti che gli alunni di ogni ordine e grado sono portatori di bisogni educativi diversi e differenziati? E ancora: non abbiamo anche una legislazione in materia di alunni portatori di handicap (e chiamiamoli anche diversamente abili) che risale alla legge 517 del lontano 1977? Una legge che non solo ha rivoluzionato il nostro modo di fare scuola, ma ha anche suscitato interesse e favore anche all’estero? [2]

E allora, che cosa c’è di nuovo nel legiferare su disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali? Se tali disturbi e bisogni sono di una gravità tale da richiedere una particolare certificazione, la normativa già c’è e fa capo alla citata legge del ’77. Di converso, se tali disturbi non sono così gravi da richiedere una specifica certificazione, non sono forse sufficienti le indicazioni del dm del ’79, che propone e impone a scuole e insegnanti una corretta rilevazione iniziale dei diversi “livelli di partenza” degli alunni di una data classe, proprio per “curvare” l’intera programmazione educativa e didattica alle esigenze di ciascun alunno, nessuno escluso, se vogliamo tirare in ballo anche il monito di Don Milani?

Non è forse un tirare il can per l’aia tutta questa fumeria di pagine e pagine di raccomandazioni che ritroviamo nella recente normativa sui DSA e sui BES? Con tutta il retroterra che ci viene dalle pubblicazioni dell’OMS, come il necessario toccasana di cui i nostri insegnanti sarebbero assolutamente digiuni? Il discorso è – o sarebbe – semplice: la si chiami come si vuole, ma, se l’“insufficienza” di un alunno rilevata in partenza è grave, occorre la certificazione medica; se, invece, in sede di rilevazione iniziale non è grave e non richiede una particolare certificazione, è il consiglio di classe che è chiamato ad operare con gli strumenti didattici di cui dispone! In effetti sono anni che parliamo di rinforzo, di sostegno, di recupero e sono anni che le nostre scuole si muovono in tali direzioni! Nel lontano 1994 fu il ministro D’Onofrio a mandare in soffitta gli esami di riparazione di settembre e a istituire i corsi di recupero, tuttora vigenti.

Vogliamo forse dire che dal ’94 a oggi – è trascorso circa un ventennio – la nostra scuola non è stata in grado di mettere a frutto tali corsi? Se è così, allora il problema è un altro: quello di attrezzare scuole e insegnanti perché le attività di recupero – che poi sono strettamente legate alla rilevazione dei livelli di partenza e a tutte quelle sette fasi della programmazione educativa e didattica di cui al dm del ’79 – vengano compiutamente eseguite! E attività di rinforzo, sostegno e recupero non possono e non debbono essere svolte quando una simile necessità è rilevata fin dalla iniziale “rilevazione dei livelli di partenza”? Anche perché non occorre essere pedagogisti patentati per comprendere che è più produttivo un recupero precoce che un recupero tardivo.

Sembra avere poco senso disquisire su DSA e BES, e ricorrere anche tutte le rispettabilissime pubblicazioni straniere in merito. Come se i nostri insegnanti siano considerati poco capaci ad affrontare quelle situazioni di partenza di cui ciascun alunno è portatore. In effetti, tali pubblicazioni sono più che altro rivolte a scuole che non sono solite integrare portatori di handicap, per cui una rigorosa attenzione a DSA e BES diventa oltremodo necessaria.

La nostra situazione è ben diversa! A meno che non si voglia affermare che in tanti anni non siamo stati capaci di insegnare/apprendere secondo la progettazione educativa e didattica introdotta nel ’79! Il che potrebbe anche essere in parte vero, però ritengo che non dobbiamo imparare nulla né di nuovo né di estremamente necessario dalle indicazioni dell’OMS. La questione è un’altra: occorre adoperarsi fino in fondo perché si lavori seriamente e concretamente in ogni ordine di scuola sulla base di quelle indicazioni del ’79, forse in una certa misura disattese, soprattutto nell’istruzione secondaria di secondo grado. Questa dovrebbe essere la scelta di fondo! Ed è scorretto agitare dichiarazioni d’oltralpe e sigle in lingua inglese all’interno delle quali non c’è nulla di autenticamente nuovo! Non credo che le nostre conoscenze in merito alla lotta di sempre contro l’emarginazione e la dispersione siano insufficienti! Pur riconoscendo che c’è sempre qualcosa da imparare, invece di intimidire i nostri insegnanti come se fossero degli sprovveduti di fronte ai bisogni educativi di ogni tipo, si provveda a sostenerli stanziando le necessarie risorse! Dopo decenni di tagli, vogliamo anche colpevolizzarli perché sarebbero incapaci di affrontare situazioni di disagio?

Intimidiamoli con i Bes, e il gioco è fatto!!! L’amministrazione è salva! E vuole fare ricadere sulle scuole e sugli insegnanti responsabilità che non sono loro, ma dell’amministrazione stessa la quale, forse, in materia di proposta continua e fattiva – ad esempio, formazione in servizio largamente diffusa – su come “si lavora” secondo le indicazioni di un insegnamento/apprendimento curricolare, non è stata mai sollecita. Basti pensare a due concetti che da soli sconvolgerebbero la usuale pratica didattica: l’insegnamento per competenze e la didattica laboratoriale! Non c’è documento del Miur che non si attardi su tali concetti! Ma di indicazioni operative e di formazione dei docenti su tali materie neanche l’ombra!

E’ facile poi lanciare parole nuove, DSA, BES e così via e colpevolizzare gli insegnanti! E che sotto sotto non si nasconda un altro intento? Quello di tagliare posti di sostegno e avviare una politica di “non certificazione” medica? In effetti, sotto la voce BES può passare tutto e di più.

In conclusione, quali sono le effettive ricadute che si avrebbero con una generalizzazione dei BES? O meglio del richiedere ai consigli di classe di censire quali sono gli alunni portatori di BES e procedere con piani di studio personalizzati? Una constatazione: si vuole forse tornare a quei piani di studio personalizzati avviati dalla legge 53/03, meglio nota come riforma Moratti, e dal successivo dlgs 59/04, che la stragrande maggioranza delle scuole del primo ciclo rifiutarono? E lo respinsero proprio perché con tali piani si rompeva l’unitarietà del Sistema educativo di istruzione. E non a caso, con le successive Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, di cui al dm 31 luglio 2007 (ministro Fioroni) e poi con le Indicazioni di cui al dm 16 novembre 2012 (ministro Profumo) siamo tornati alla strategia del curricolo, o meglio a quella strategia della progettazione educativa e didattica che contiene già al suo interno l’attenzione ai concreti bisogni educativi di ciascun alunno, che sono sempre diversi e, se si vuole, particolari, esclusivi… e speciali anche!

Seguono alcune considerazioni conclusive.

UNO – A mio avviso, le concrete ricadute che si avrebbero con una formale richiesta di censire, classe per classe, quali sono gli alunni portatori di BES e procedere con piani di studio personalizzati (si veda nella nota 1 la profonda differenza che corre tra la personalizzazione e l’individualizzazione) sarebbero le seguenti: si attribuirebbero agli insegnanti “normali”, già oberati, il compito di valutare atteggiamenti e comportamenti degli alunni in profondità! Ma, se un alunno è portatore di qualcosa di veramente speciale, c’è solo la perizia medica che lo può valutare, a fronte del quale il giudizio dell’insegnante deve sempre cedere il posto. Con l’attribuzione di questa incombenza agli insegnanti disciplinari, è cosa certa che lo Stato risparmierebbe sugli insegnanti di sostegno. E si andrebbe anche verso una confusione tra insegnamenti “normali” e insegnamenti “differenziati”.

DUE – Poiché per ogni alunno portatore di BES occorre un Piano di Studi Personalizzato, quindi orientato a competenze di fatto di livello inferiore a quelle delle Indicazioni Nazionali o delle Linee guida, si correrebbe un serio rischio: che l’“ignoranza” dei nostri studenti, pur se giustificata da una premessa BES, e, nei tempi medio-lunghi, quella dell’intera popolazione (si vedano gli esiti della recente ricerca Isfol-Piaac) tendano a crescere!!!

TRE – Occorre anche considerare la differenza che corre tra l’istruzione obbligatoria decennale e l’istruzione secondaria di secondo grado. Nel primo caso, per ciascun alunno si potrebbero certificare le competenze che effettivamente ha conseguito, indipendentemente dall’espressione di un giudizio di valore, le quali costituirebbero implicitamente anche un giudizio per l’orientamento. Nel secondo caso, si moltiplicherebbero i diplomi con quei giudizi differenziati che non sono certamente di aiuto per la ricerca di una collocazione lavorativa di un certo profilo.

QUATTRO – E’ scontato affermare che ogni insegnante valido – se è solito insegnare secondo la strategia della progettazione curricolare – tiene sempre in massimo conto i bisogni educativi dei suoi alunni, sempre a prescindere da norme aggiuntive, quelle che si stanno proponendo con una attenzione particolare ai BES e che sembrano “mirare al ribasso”. Si vuole forse indicare agli insegnanti di essere più “buoni!” e “comprensivi”? Con il rischio di muoversi verso una scuola “più facile”? Ricordiamolo: una scuola che sia veramente inclusiva non è affatto una scuola più facile e permissiva!

CINQUE – E’ chiaro che ogni soggetto è diverso da un altro! Ma, se i BISOGNI di un soggetto sono veramente SPECIALI, allora è un altro conto. E’ la legislazione che “tiene conto” di questi soggetti già c’è!

Concludendo: quand’è che un BE diventa S, cioè Speciale? La ricerca ICF-OMS è assolutamente generica a questo riguardo, quando invece sappiamo che i casi delle reali disabilità hanno i loro protocolli. E infine, per una provocazione finale: se ci sono i BES, non dovremmo avere anche gli IES? Gli Insegnamenti Educativi Speciali? Ma questi già li abbiamo, a meno che non si voglia dire che la formazione iniziale e continua dei nostri insegnanti non è all’altezza dei bisogni degli alunni di oggi! Occorre sempre ricordare che l’insegnare richiede competenze di alto profilo, in primo luogo psicopedagogiche e metodologico-didattiche, che debbono esplicitarsi in tempi distesi, se si vogliono veramente intercettare tutti i bisogni reali di cui ciascun alunno è portatore.

Ma se poi si ritiene che i nostri insegnanti non siano all’altezza di situazioni “difficili”, allora si promuova una campagna di formazione continua in servizio sostenuta, ovviamente, da tutte le risorse finanziarie e organizzative che sono necessarie! Anche perché non c’è lavoratore che non voglia costantemente rinnovare le sue competenze professionali.

Sappiamo tutti che insegnare oggi in una società difficile, a fronte di bambini e di adolescenti sempre più inquieti richiede professionalità, pazienza e, soprattutto, tempi distesi. A questo proposito, mi piace concludere citando il pensiero di Gianfranco Zavalloni, autore di un libro dal titolo molto eloquente, La pedagogia della lumaca, per una scuola lenta e non violenta, edizioni Emi, Bologna, 2008. L’autore ritiene che in un periodo storico in cui il “mordi e fuggi” e l’”apparire” sembrano più importanti della pazienza del comprendere e della essenzialità dell’essere, pensare a una scuola a spazio aperto e a tempo pieno, veramente inclusiva, debba costituire il progetto per il futuro. Afferma Zavalloni: “La scuola di oggi, riflettendo le tendenze di buona parte della società umana, è centrata sul mito della velocità, dell’accelerazione e della competizione, come criterio di selezione al quale i bambini vengono educati fin dai primi anni di vita. Genitori e insegnanti dovrebbero riflettere sul tempo educativo e sulla necessità di adottare strategie didattiche di rallentamento, per una scuola lenta e non violenta”.

La lumaca insegna! Anche e soprattutto a recuperare gli alunni in difficoltà!


[1] E’ opportuno sottolineare che i due concetti di individualizzazione e di personalizzazione inducono attività di insegnamento-apprendimento diverse: nel primo caso si adottano attività differenziate, ma si mantengono fermi gli obiettivi di apprendimento comuni; nel secondo caso, sono selezionati e declinati obiettivi differenziati e adatti a “quel” determinato alunno.

[2] La legge recita quanto segue. La scuola elementare “attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps”. Nella scuola media “sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps”.

PERCHE’ NESSUNO SI PERDA

Invito_11 NOVEMBRE 2013“PERCHE’ NESSUNO SI PERDA”
AEF, Regione Lombardia, Associazioni datoriali, Associazioni di Categoria insieme per la formazione professionale
Mercoledì 13 novembre, Palazzo Turati, via Meravigli 9/b, Milano – ore 10.30

AEF, Associazione Coordinamento degli Enti di formazione professionale della Lombardia, in occasione dell’iniziativa a livello nazionale “Perché nessuno si perda”, proposta da ACLI, CDO e dai SALESIANI a sostegno della formazione professionale, è lieta di invitarLa all’incontro che si terrà mercoledì 13 novembre, presso Palazzo Turati, via Meravigli 9/b alle ore 10.30.
Si confronteranno sul futuro dei giovani le Istituzioni, le Parti Sociali e le Associazioni di Categoria.

Programma della mattinata:

Gli organizzatori:
Antonio Bernasconi e Diego Montrone – AEF

I promotori del documento:
GIOVANBATTISTA ARMELLONI – presidente ACLI Lombardia
DON CLAUDIO SILVANO CACIOLI – Superiore Maggiore Salesiano , presidente Regionale CISM-LOM
SALESIANI Lombardia
ANTONIO INTIGLIETTA – presidente CDO Lombardia
Gli altri interventi:
VALENTINA APREA – Assessore Istruzione, Formazione e Lavoro Regione Lombardia
MARCO ACCORNERO – Segretario Generale Federazione Regionale Lombarda delle Associazioni Artigiane
Lombardia
MASSIMO BENOLLI – Direttore generale Lombardia Confederazione Italiana Agricoltori
GRAZIANO BRENNA – Vice presidente Unindustria
ASSOLOMBARDA (in attesa del nome)
CONFCOOPERATIVE (in attesa del nome)
GIGI PETTENI – Segretario generale CISL Regione Lombardia

Conclusione degli organizzatori

XI Giornata nazionale della sicurezza scolastica

XI Giornata nazionale della sicurezza scolastica: numerose iniziative in programma, tra il 22 novembre e il 3 dicembre, in 5mila scuole

Torna la Giornata nazionale della sicurezza scolastica, promossa da Cittadinanzattiva e giunta quest’anno alla undicesima edizione, con iniziative in programma tra il 22 novembre e il 3 dicembre in varie città e in circa 5mila scuole.

A Roma, Corciano (PG), Torino, Milano, Ischia, Bagnacavallo di Ravenna si terranno interventi concreti di abbattimento delle barriere o di donazione di ausili per studenti disabili, resi possibili grazie alla campagna Assente ingiustificato, promossa da Cittadinanzattiva insieme a UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). In alcune scuole del Piemonte (Torino), dell’Umbria (Spoleto, Foligno, Terni, Corciano) e della Basilicata (Matera, Policoro), saranno nominati 655 giovanissimi Responsabili Studenti Sicurezza. A Lamezia Terme si svolgerà una iniziativa pubblica di presentazione dei dati sulla sicurezza delle scuole cittadine. In numerose scuole, inoltre, gli studenti consegneranno ai sindaci cartoline per conoscere lo stato di attuazione e diffusione dei Piani di emergenza comunali. Infine, molte scuole realizzeranno prove di evacuazione e primo soccorso con studenti e personale anche con disabilità.
Nel corso della Giornata, inoltre, sarà distribuito materiale informativo agli studenti, in relazione alla classe di età, sui temi della sicurezza e salute: la Locandina sulla prima colazione, la Guida multimediale “La salute vien clicc@ndo?”, un gioco di carte sui numeri utili, due sondaggi sull’uso responsabile del web e sui numeri dell’emergenza.
Il materiale della Giornata e il programma delle iniziative sarà disponibile a breve online sul sito web www.cittadinanzattiva.it.

La XI Giornata nazionale della sicurezza scolastica fa parte della  Campagna Impararesicuri e si svolge con i patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, del Dipartimento della Protezione Civile, in collaborazione con quest’ultimo e con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, con il sostegno di Otto per Mille Chiesa Valdese, Federchimica – Assosalute, CIA.

Sostegno, sull’unificazione delle aree non sono convinti nemmeno i senatori

da Tecnica della Scuola

Sostegno, sull’unificazione delle aree non sono convinti nemmeno i senatori
di A.G.
Assieme al decreto Istruzione sono passati alcuni ordini del giorno (M5S e LN-Aut) favorevoli all’attuale suddivisione legata alle competenze dei prof. Del resto, se un alunno ha un deficit nell’area logico matematica ha diritto ad un docente che provenga da tale area. Come previsto dalla norma “faro” in materia: la Legge 104/92. Intanto, in alcune province la soppressione delle aree sarà immediata.
Sembra essere nata sono una cattiva stella l’unificazione graduale delle aree di sostegno nella scuola superiore, approvata con il decreto istruzione convertito in legge a Palazzo Madama lo scorso 7 novembre. Dopo i “tira e molla” che hanno contrassegnato l’iter di approvazione degli articoli sul tema, dal Senato esce un testo sulla materia decisamente indebolito da alcune approvazioni non formali della stessa Aula: un ordine del giorno trasversale, G.15.108, a firma di diversi senatori all’opposizione – appartenenti al M5S e al Gruppo LN-Aut Bignami, Blundo, Catalfo, De Pin, Gambaro, Candiani Puglia, Anitori – ha infatti invitato il Governo a ripristinare l’attuale suddivisione nelle quattro aree.
Secondo l’Anief, che ha fatto un’analisi degli ordini del giorno approvati al Senato, questa situazione è “segno che ancora la questione merita di essere affrontata in maniera seria e sistematica e non avventurosa, rispettosa di una seria riflessione sulle certificazioni e sull’esperienza maturata negli ultimi vent’anni d’integrazione scolastica, mai purtroppo effettuata dopo le ultime sperimentazioni dell’I.C.A.R.E. come rimarcato fin dall’inizio da Anief”. Viene da chiedersi, se c’era l’esigenza di avviare un confronto e una seria riflessione in materia, perché non si sia approfondita la questione prima che l’unificazione approdasse in Parlamento. I dubbi dell’Anief, del resto, sono quelli di tanti addetti ai lavori: che tipo di sostegno potrà dare un insegnante tecnico pratico, tanto per fare un esempio, al liceale disabile assegnato nelle tante materie mai affrontate durante i propri studi?
E anche negli ordini del giorno approvati al Senato prima del via libera definitiva al dl, attraverso “raccomandazioni” o con la formula “valutare l’opportunità di”, si sottolineava che “l’attività formativa del docente specializzato non può prescindere dalle sue competenze e conoscenze di base, dalla sua formazione scientifica, umanistica o tecnica”. Ma anche che “il diritto all’istruzione del disabile e quello di avere insegnanti di sostegno con competenze specifiche”. E che quindi “se un alunno ha un deficit nell’area logico matematica, ha diritto ad un docente che provenga da tale area”, mentre “unificare le aree significherebbe inoltre sganciare l’attività di sostegno dalla professionalità del docente”. Tutte indicazioni, del resto, previste dall’articolo 13, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Intanto, però, il decreto Istruzione 104 è diventato legge. E l’unificazione troverà adozione immediata, in primavera, in tutte le province dove sono esaurite le graduatorie.

Docenti e studenti fumatori, si fa dura: d’ora in poi solo sigarette elettroniche e nei cortili

da Tecnica della Scuola

Docenti e studenti fumatori, si fa dura: d’ora in poi solo sigarette elettroniche e nei cortili
di Alessandro Giuliani
Nel decreto Istruzione convertito in legge salta il divieto di utilizzo della “bionda elettronica” nei luoghi pubblici, introdotto a giugno con il decreto Iva-Lavoro. Però rimane nei luoghi chiusi delle scuole. Del resto, le massime istituzioni sanitarie sostengono che dalla loro assunzione non è possibile escludere il rischio di effetti dannosi per la salute dei giovani. In arrivo circolari e chiarimenti dal Miur.
Senza clamori, anzi alla ‘chetichella’ sarebbe il caso di dire. Così è scomparso dal testo definitivo del decreto Istruzione, convertito in legge nei giorni scorsi, il divieto di utilizzo della sigaretta elettronica nei luoghi pubblici, introdotto a giugno con il decreto Iva-Lavoro. Rimane però in vigore nei locali chiusi delle istituzioni scolastiche statali e paritarie e dei centri di formazione professionale: solo nei cortili delle scuole, come in tutti gli spazi esterni alle aule scolastiche, quindi, l’uso della sigaretta “virtuale” potrebbe compensare la proibizione (questa confermata) delle sigarette reali.
Il divieto nelle scuole si è reso necessario dopo che il ministero della Salute ha deciso di introdurlo “al fine di non esporre la popolazione scolastica a comportamenti che evocano il tabagismo”. La decisione è stata presa dopo che il Consiglio superiore di Sanità aveva ravvisato che pur mancando “studi che dimostrino l’effettiva efficacia e sicurezza di detti dispositivi nel favorire la cessazione dell’abitudine al fumo, nonché evidenze scientifiche che escludano, a causa del loro utilizzo, l’insorgere di possibili effetti che inducano il mantenimento della dipendenza da nicotina o promuovano l’avvio e la transizione al fumo di sigarette”, va comunque raccomandato “in attesa di disporre di evidenze sulle tematiche sopracitate, l’adozione di misure analoghe a quelle previste per il controllo del fumo di tabacco, in particolare di quelle per i soggetti minori”. Anche ‘Istituto superiore di Sanità si era espresso in tal senso, precisando che “le sigarette elettroniche utilizzate con ricariche contenenti nicotina …. presentano potenziali livelli di assunzione di nicotina per i quali non è possibile escludere il rischio di effetti dannosi per la salute umana, in particolare per i consumatori in giovane età”.
Con l’approvazione dell’emendamento “4.25”, presentato dal presidente della commissione Cultura della Camera Giancarlo Galan (Pdl) e approvato dai deputati il 23 ottobre scorso, è stata invece stralciata l’ultima parte del comma 10-bis dell’articolo 51 della legge Sirchia (introdotto appunto con il dl Iva-Lavoro), con la quale erano state applicate alle sigarette elettroniche le norme “in materia di tutela della salute dei non fumatori” previste per i tabacchi. Cancellando proprio quest’ultima frase, di fatto viene reso possibile ‘svapare’ la ‘bionda elettronica’ dove invece permane il divieto per le sigarette tradizionali: uffici, ristoranti, cinema, mezzi pubblici e bar.
“Ho recepito l’appello proveniente da una nuova filiera produttiva – ha spiegato all’Ansa il presidente della Commissione Cultura della Camera – , per altro in forte espansione, massacrata da tassazione e da pesanti divieti di utilizzo e pubblicità a causa di un intervento normativo improvviso e forse poco approfondito. La prima stesura dell’emendamento che avevo proposto al dl Istruzione – ha aggiunto Galan – era più restrittiva rispetto alla riformulazione che mi ha proposto il Governo, con la quale, stralciando del tutto una parte del decreto di giugno, di fatto si permette di fumare la e-cig in tutti i luoghi pubblici, a giusta eccezione delle scuole. Non mi permetto di dare alcun giudizio medico scientifico su questo prodotto, sono un ex-fumatore da tempo, anche se gli ultimi studi sembrerebbero confortanti, come testimoniato dal Prof. Veronesi. Da convinto liberale quale sono – ha concluso Galan -, ho solo ritenuto opportuno non affossare un nuovo modo di fare impresa con una regolamentazione ostruzionistica”.
Cosa accadrà ora nelle circa 8.200 scuole italiane? Laddove non sono ancora comparse circolari interne, già dopo l’estate, in corrispondenza del nuovo anno scolastico, verranno presto pubblicate comunicazioni in merito. È probabile, inoltre, che anche della direzione generale del Miur provengano indicazioni a Usr, ambiti territoriali e, di conseguenza, alle istituzioni scolastiche.

Chi decide i compensi dei collaboratori del DS?

da Tecnica della Scuola

Chi decide i compensi dei collaboratori del DS?
di Lucio Ficara
Come già avvenuto lo scorso anno anche per il 2013/14 la contrattazione inizierà in ritardo. Il MEF, infatti, deve ancora comunicare al Miur l’esatto ammontare delle economie precedenti.
Anche questo anno scolastico, così come era accaduto l’anno scolastico scorso, la contrattazione integrativa d’Istituto stenta ad essere avviata, a causa del ritardo del MEF nel comunicare al MIUR la certificazione delle economie, per quantificare le risorse effettivamente disponibili. Bisogna ricordare che, come già accaduto l’anno passato, anche per quest’anno c’è il problema di trovare risorse finanziarie, che presumibilmente verranno trovate tra le economie destinate al miglioramento dell’offerta formativa delle scuole,  per  consentire il pagamento degli scatti di anzianità del personale scolastico, che nel 2012 sarebbe dovuto scattare, e che invece, a causa del blocco degli scatti di anzianità, non è ancora scattato. Queste problematiche, legate alle congrue decurtazioni dei fondi destinati alle scuole per la contrattazione integrativa, stanno determinando un ritardo dell’avvio delle contrattazioni stesse e un potere contrattuale-retributivo più limitato, proprio a causa della diminuzione sostanziale delle disponibilità finanziarie che le scuole andranno a ricevere. I dirigenti scolastici, che avrebbero dovuto formalizzare, ai sensi dell’art.6 del CCNL scuola, la propria proposta contrattuale entro il 15 settembre per giungere alla sottoscrizione del contratto entro il 30 novembre, si trovano in forte difficoltà, proprio per l’indisponibilità di conoscere le risorse finanziarie che avranno assegnate. Molte scuole non hanno ancora avviato, per tali motivi, le contrattazioni integrative, incorrendo nell’inconveniente di attuare una proroga tacita del contratto stipulato l’anno precedente. Se l’intenzione delle RSU e del DS è quella di rinnovare  il contratto integrativo sarebbe opportuno avviare la contrattazione, scrivendo che non appena il MIUR comunicherà l’ammontare del fondo del miglioramento dell’offerta formativa, sarà contrattato anche l’avanzo del MOF 2013. In tempi di vacche magre è necessario stringere la cinghia e la contrattazione offre la possibilità di agire in chiave di risparmio, tagliando tutti gli sprechi possibili. In un clima di accordo, tra RSU e DS, bisognerebbe trovare la sintesi, che permetta un uso delle risorse finanziarie, sempre meno cospicue, che vada nella direzione dell’equità e della qualità. Sarebbe opportuno non esagerare con la retribuzione, che a volte risulta eccessiva, dei collaboratori dei dirigenti scolastici. A tal proposito si ricorda che la retribuzione  dei collaboratori del dirigente scolastico è materia contrattuale, ed è regolata dall’art. 88 del contratto scuola. Infatti il  DS contratta con RSU i compensi individuali dei suoi collaboratori, funzioni strumentali, incarichi specifici. L’art. 9 del CCNL scuola prevede che i compensi per il personale coinvolto nelle attività delle aree a rischio sono definiti in sede di contrattazione d’istituto, sulla base dei criteri generali assunti in sede di contrattazione regionale. Purtroppo anche per la gestione di questi fondi ci risulta esserci sacche di spreco di risorse, sia a livello di criteri regionali, che in seconda istanza a livello di singole scuole. Anche l’utilizzo dei fondi per le funzioni strumentali, regolate dall’art. 33 del contratto, a volte rappresentano uno spreco. Infatti è rarissimo che una funzione strumentale, anche se ha svolto male il suo compito, non venga retribuita. In buona sostanza nell’utilizzo del fondo d’Istituto, è opinione generalizzata negli ambiti interni alle scuole, fatto salvo chi veramente svolge con pieno merito le sue funzioni, risiede un evidente spreco di risorse pubbliche. C’è chi sostiene, forse eccessivamente, che il FIS sia una sorta di bancomat, che i dirigenti scolastici usano, con il bene placito di RSU compiacenti. Questo forse è il tallone di Achille di un’autonomia scolastica, che pretenderebbe rettitudine nella gestione delle risorse.

Aggiornamento obbligatorio: il problema vero è quello delle risorse

da Tecnica della Scuola

Aggiornamento obbligatorio: il problema vero è quello delle risorse
di R.P.
I sindacati stanno protestando perchè il decreto scuola parla di obbligo a proposito dell’aggiornamento che è invece materia contrattuale. Ma il problema vero è un altro: la norma prevede uno stanziamento di soli 10 milioni, limitato al 2014.
L’art. 16 del decreto 104 “La scuola riparte” non cessa di suscitare polemiche. Da più parti si continua infatti a parlare di aggiornamento obbligatorio finalizzato in particolare a migliorare le prestazioni degli studenti nelle prove Invalsi. Ma, forse, varrebbe la pena di leggere il testo della norma per capire cosa davvero sia stato approvato dal Parlamento. Il comma 1 del decreto originario così recitava: “Al fine di migliorare il rendimento della didattica, particolarmente nelle zone in cui i risultati dei test di valutazione sono meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo, e potenziare le capacità organizzative del personale scolastico, per l’anno 2014 è autorizzata la spesa di euro 10 milioni… per attività di formazione obbligatoria del personale scolastico …” Il testo approvato dice invece una cosa diversa: “Al fine di migliorare il rendimento della didattica, con particolare riferimento alle zone in cui è maggiore il rischio socio-educativo, e potenziare le capacità organizzative del personale scolastico, è autorizzata per l’anno 2014 la spesa di euro 10 milioni… per attività di formazione e aggiornamento obbligatori del personale scolastico…” E’ sparito un inciso, quello relativo ai risultati dei test di valutazione, mentre l’attività di “formazione obbligatoria” è diventata “attività di formazione e aggiornamento obbligatori”. Sul principio dell’obbligo di aggiornamento sembrano non esserci dubbi anche se si tratta di capire in che modo potrà essere attuato, ma la priorità sarà data alle aree a rischio socio-educativo; gli esiti dei test Invalsi non sono più un parametro di cui tenere conto. Comprensibili le perplessità sindacali che osservano che l’aggiornamento è materia di contrattazione integrativa ma il nodo vero ci sembra un altro: la legge prevede uno stanziamento di 10milioni di euro (e per di più solo per il 2014, dal 2015 in avanti si vedrà) che è pari esattamente alla decima parte di quanto veniva stanziato 15 anni fa ai tempi dei ministri Berlinguer e De Mauro e ad un terzo di quanto era disponibile all’epoca di Letizia Moratti. Nello stesso comma vengono elencati i temi che dovranno essere affrontati nelle attività di aggiornamento e balza subito agli occhi che manca del tutto ogni riferimento alle Indicazioni nazionali per primo ciclo di istruzione che invece avrebbero meritato ben altra attenzione (d’altronde nel passaggio alla Camera alcuni deputati del PD avevano proposto un emendamento in tal senso, ma senza esito). Insomma le disposizioni dell’art. 16 non ci sembrano adeguate alle esigenze della scuola, ma non esattamente per i motivi che i sindacati stanno evidenziando.

In arrivo (ma quando?) un nuovo testo unico della scuola

da Tecnica della Scuola

In arrivo (ma quando?) un nuovo testo unico della scuola
di R.P.
La proposta è stata avanzata formalmente dal ministro Carrozza al Consiglio dei Ministri dell’8 novembre. Ma i tempi sono lunghi, non meno di un anno.
Un nuovo testo unico con tutte le norme sul sistema scolastico: se ne parla da tempo, e forse il 2014 potrebbe essere l’anno giusto per realizzare il progetto. Nel Consiglio dei Ministri dell’8 novembre il Ministro Maria Chiara Carrozza ha manifestato ufficialmente l’intenzione di procedere su questa strada ed ha avuto il via libera del Governo che ha deciso di parlarne più approfonditamente in una prossima seduta. Ma qual è la procedura per adottare un testo unico e,soprattutto, di che cosa si tratta, in concreto. I testi unici sono normalmente raccolte ordinate di norme già esistenti e non contengono disposizioni aggiuntive. Si tratta insomma di atti puramente “compilativi” che richiamano leggi precedenti In genere i testi unici, soprattutto dopo la riforma delle funzioni del Governo del 1988, vengono adottati sotto forma di decreti legislativi e quindi necessitano, a monte, di una delega da parte del Parlamento. In questo caso, dunque, è necessario che il Governo predisponga preliminarmente un disegno di legge-delega che dovrà essere approvato dalle Camere. Il Parlamento dovrà stabilire la durata della delega ed entro i tempi fissati (in genere 9-12 mesi) il Governo dovrà finalmente predisporre il testo unico, acquisendo eventuali pareri (Commissioni di Camera e Senato e  Consiglio di Stato in particolare). Attualmente la scuola dispone già di un testo unico che però risale al 1994 ed è dunque anteriore a gran parte delle norme ordina mentali che sono state approvate negli anni ’90 (autonomia scolastica) e dal 2003 in avanti (riforma Moratti e regolamenti ordinamentali emanati in applicazione della legge 133/2008). Si sta parlando molto, in questi giorni, anche di una delega al Governo per modificare altre materie (reclutamento, organi collegiali e stato giuridico soprattutto), ma per il momento nei comunicati ufficiali del Consiglio dei Ministri non c’è ancora traccia di questo.

Abolire Invalsi?

da Tecnica della Scuola

Abolire Invalsi?
di Aldo Domenico Ficara
Se, in base ai risultati delle prove Invalsi, una classe, appartenente ad una scuola che si trova in zone del Paese disagiate dal punto di vista economico, risultasse al di sotto della media, il docente dovrà seguire un corso di formazione e aggiornamento utile ad insegnargli ad insegnare meglio.
In altre parole i docenti delle scuole in cui i risultati dei test di valutazione siano stati meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo saranno invitati o meglio comandati alla frequenza di corsi di formazione obbligatori. Questa novità ha provocato dure reazioni da parte dei Cobas e del Movimento 5 Stelle. I primi, con un articolo di Piero Bernocchi, dicono: “l’art.16 impone ai docenti, che lavorano nelle zone in cui i risultati dei quiz Invalsi siano inferiori alla media nazionale, l’obbligo di andare “a ripetizioni” di quiz, di partecipare cioè ad un addestramento coatto, ad una sorta di “rieducazione”, che li renda succubi dell’apprendimento tramite indovinelli; e addirittura impone di svolgere tale attività anche “presso imprese..all’interno del contesto aziendale, al fine di promuovere lo sviluppo professionale specifico dei docenti. Gli insegnanti dovrebbero andare ad apprendere come insegnare i quiz in aziende estranee alla scuola e che per lo più non sanno neanche come salvare se stesse, una volta venute meno le laute sovvenzioni statali”. I secondi, attraverso cinque parlamentari: Maria Marzana, Sergio Battelli, Giuseppe Brescia, Chiara Di Benedetto, Francesco D’Uva, Gianluca Vacca e Simone Valente, tutti componenti della Commissione Istruzione della Camera, hanno tenuto una conferenza stampa durante la quale, tra le altre cose, hanno proposto anche l’abolizione dell’Invalsi. Una misura che, insieme ad altre auspicate dai deputati pentastellati, darebbe la possibilità di reperire fondi da destinare a misure concrete in favore della scuola. I fondi “dovrebbero essere reperiti attraverso l’abolizione del finanziamento alle scuole paritarie e all’editoria, la tassazione delle rendite finanziarie, la drastica riduzione delle auto blu, la sospensione della missione in Afghanistan, l’abolizione di Invalsi e Indire”.

Il perito agrario può fare il bidello

da Tecnica della Scuola

Il perito agrario può fare il bidello
“Illogico e illegittimo non consentire l’accesso a chi abbia conseguito un titolo superiore ed equipollente a quello richiesto dalla norma”: e così il tribunale di Udine la riammette nella qualifica di collaboratrice scolastica
Potrebbe essere un precedente importante questo per sovvertire le graduatorie degli addetti alle aziende agrarie, una trentina di persone nella sola provincia di Udine. La donna, riporta Il Messaggero veneto, vista l’esclusione, perché non avrebbe i requisiti culturali di accesso previsti per il profilo di tecnico delle aziende agrarie, il cosiddetto collaboratore scolastico tecnico addetto alle aziende agrarie, essendo l’agrotecnico un diploma “inferiore” rispetto al perito agrario, si è rivolta ai giudici. E loro hanno sottolineano «la totale equipollenza dei titoli di studio di maturità professionale di agrotecnico e di perito agrario conseguiti in istituti tecnici di analogo indirizzo – scrivono nella sentenza –, con la conseguenza che appare non solo illogico ma anche illegittimo non consentire l’accesso alla graduatoria in esame a chi abbia conseguito un titolo superiore ed equipollente a quello richiesto dalla norma, essendo evidente che la qualifica richiesta per l’inserimento in graduatoria, e cioè quella di operatore agro ambientale ottenuta con un corso triennale, equivale al perito agrario che ha frequentato un corso quinquennale». «L’istituto tecnico è dotato di un’azienda agraria utilizzata nel corso degli studi – scrivono i giudici nella sentenza – ed è quindi paradossale la tesi dell’amministrazione che i periti agrari non abbiano esperienze pratiche e sperimentali in tale settore». Ecco perché il tribunale civile ha accolto il reclamo disponendo l’inserimento immediato della 40enne ingiustamente esclusa nella graduatoria di collaboratore scolastico tecnico addetto alle aziende agrarie, condannando l’Usr e il Miur al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio: 3 mila euro.

Scuola Digitale: Miur impegnato a “quantificare” le necessità infrastrutturali

da TuttoscuolaFOCUS

Scuola Digitale: Miur impegnato a “quantificare” le necessità infrastrutturali

Una programmazione efficace e trasparente degli interventi previsti dal Piano di sviluppo delle tecnologie didattiche è presupposto fondamentale per sostenere un progetto di didattica digitale. Secondo Domenico Airoldi, Ceo di Magnetic Media Network, “l’adozione di un numero considerevole di oggetti informatici non può prescindere dalla creazione di un’infrastruttura di rete idonea a supportare il traffico che verrà generato. Le scuole hanno bisogno di attrezzarsi al meglio”.

Una rete informatica WI-FI, veloce e bene organizzata, capace di sostenere il traffico di dati dovuto al funzionamento contemporaneo di centinaia di apparecchi tecnologici – aggiunge padre Don Giovanni Sala dell’istituto “Beata Vergine di S.Lucia” di Bologna – è  la condizione necessaria per sostenere l’innovazione nelle scuole, essenziale per lo sviluppo delle tecnologie digitali”. Attualmente quasi tutte le scuole sono connesse, ma principalmente per la gestione amministrativa. I collegamenti, dimensionati per il lavoro amministrativo, non possono essere sufficienti per fini didattici.

Per questo è apprezzabile la recente iniziativa assunta dal direttore generale Letizia Melina di promuovere l’aggiornamento delle informazioni concernenti “la reale consistenza delle dotazioni multimediali delle scuole al nuovo anno scolastico 2013/2014”.

La definizione di un quadro delle necessità infrastrutturali del processo di innovazione tecnologica in atto nel sistema scuola concorre a velocizzare lo sviluppo delle reti a Banda Larga attraverso le iniziative e gli obiettivi dell’Agenda Digitale che ha previsto, oltre alla costruzione di un cloud per la scuola italiana dedicato alla didattica, anche lo sviluppo dell’infrastruttura di rete.

La diffusione degli esiti della ricerca può costituire un esempio di contributo a quella informazione che è la base per comprendere meglio le situazioni, per spingere tutti a cambiare strategie, operare meglio e, quindi, superare la tendenza a frenare l’innovazione

11/11/2013 – Obiettivo/Azione E.2 – Proroga termine di presentazione progetti 20 novembre 2013

Oggetto: PON FSE “Competenze per lo sviluppo” – Obiettivo/Azione E.2 – Interventi per la creazione di reti su diverse aree tematiche e trasversali (educazione ambientale, interculturale, competenze di base, ecc.) Piano di formazione per lo sviluppo delle competenze linguistico-comunicative e metodologico-didattiche dei docenti di scuola primaria privi di requisiti (DPR 81/09 art. 10 c. 5) Proposta di affidamento di attività di formazione per i docenti della scuola primaria – II Annualità – II Contingente.
Proroga termine di presentazione progetti 20 novembre 2013

Nota prot. 11561 dell’8 novembre 2013

11/11/2013 – Regione Campania – Avviso per la presentazione delle proposte relative alle Azioni C1 e C5

Oggetto: PON POR FSE “Competenze per lo sviluppo” Regione Campania – Avviso per la presentazione delle proposte relative alle Azioni C1 “Interventi formativi per lo sviluppo delle competenze chiave – Comunicazione nelle lingue straniere” e C5 – Tirocini/stage (in Italia e nei paesi Europei). Annualità 2014.

Circ. prot. 11547 dell’8 novembre 2013