da Corriere della Sera
La replica dei commissari
«Nessuna resa dei conti sull’Invalsi»
Dopo le accuse di Ichino sulla fine dell’era degli economisti soppiantati dai pedagogisti. De Mauro: «Non ne so nulla»
Valentina Santarpia
Non c’è nessun orientamento prestabilito per la nomina del nuovo presidente dell’Invalsi. I commissari incaricati dal ministro all’Istruzione Maria Chiara Carrozza, che martedì 10 dicembre si riuniranno per iniziare i lavori per la scelta della rosa di candidati tra cui selezionare il successore di Paolo Sestito, rispediscono al mittente le accuse di Andrea Ichino e smentiscono qualsiasi illazione sulla futura nomina. Secondo Ichino, gli esperti scelti dal ministro sarebbero «persone che in maggioranza si sono espresse contro il recente operato dell’Invalsi» e che quindi sceglieranno «un presidente che cambierà radicalmente la faccia dell’Invalsi e porrà fine alle misurazioni standardizzate introdotte negli anni recenti, per passare ad altre forme di valutazione delle scuole sulle quali fino ad ora si sono sentite solo idee molto vaghe e confuse». Sarebbe la fine, questa la tesi di Ichino, dell’epoca degli economisti di Bankitalia – da Cipolloni a Sestito – per entrare nell’era dei pedagogisti.
LA REPLICA DEL PRESIDENTE – «Non so niente di queste beghe tra fazioni», sbottail presidente della commissione, l’ex ministro all’Istruzione Tullio De Mauro, oggi professore emerito nella facoltà di Scienze umanistiche all’università La Sapienza di Roma. «Mi hanno raccontato che Ichino ha attaccato violentemente i test Invalsi, ma il nostro compito non è quello di cambiarli: dobbiamo solo scegliere delle persone degne, esperte di didattica, di scuola e di rendimento e presentare una rosa al ministro». L’Invalsi allora va bene così com’è? «Bisognerebbe dargli più autonomia, dovrebbe essere davvero un organo terzo e non dipendere dal ministero. Ma questo non è compito nostro, andrebbe cambiata la legge. I test vanno bene, andrebbero articolati meglio, cosa che non sempre è stata fatta: ma anche questa è un’altra questione che non ci riguarda».
IL COMMISSARIO-PEDAGOGISTA VERTECCHI – Ancora più duro Benedetto Vertecchi, professore di Pedagogia sperimentale presso l’università degli studi di Roma Tre, anche lui tra i membri della commissione: «Vorrei sapere Ichino dov’è andato a pescare le cose che ha scritto: dice che siamo tutti pedagogisti, ma in realtà De Mauro è un linguista, Clotilde Pontecorvo una professoressa di Psicologia, Cristina Lavinio una docente di didattica delle lingue moderne, Giorgio Israel è un matematico… l’unico pedagogista sono io, e sono pure sperimentale. La pedagogia è rappresentata al 10% nella commissione! Spero che Ichino sia più preciso quando parla degli argomenti di sua competenza, perché in questo caso ha fatto solo una frittura mista di luoghi comuni: glielo perdono solo perché non è il mestiere suo». Ma allora non c’è nessuna linea comune, in vista della stesura del bando con cui si sceglierà il nuovo presidente? Secondo Vertecchi, assolutamente no: «Conosco molto bene da anni tutti i membri della commissione, eppure non ci siamo ancora neanche sentiti per telefono: l’idea di una sorta di accordo tra noi è frutto di pura fantasia. Noi ci dovremo solo preoccupare che il nuovo presidente sia una persona competente e che abbia reale esperienza di ricerca valutativa, che abbia un’apertura ampia nei confronti dei sistemi educativi e uno sguardo di lungo periodo, e non solo sull’immediato. Non deve essere come un imprenditore – puntualizza Vertecchi nel delineare l’identikit del nuovo presidente Invalsi –che guarda solo ai risultati economici immediati, ma deve avere un’idea di cultura ampia e non precondizionata, che tenga conto delle diversità di cultura». Una visione poco economicista, quella di Vertecchi? «Guardi, io non voglio esprimere un orientamento – conclude il professore – Ma ammetto che la mia speranza è che ci sia un salto di qualità nella valutazione del sistema: quest’ossessione di parlare di competenze è una follia, perché non si può separarle dalle conoscenze. Vorrei che la scuola ritrovasse la sua autonomia e fosse in grado di esprimere una sua cultura, non quella che gli viene imposta dal mercato. E’ per questo che ho trovato vergognosi i dati Ocse-Pisa: il quadro teorico da cui partono è che i Paesi devono considerare l’educazione indipendentemente dalle proprie culture, e che ciò che conta è la rapidità con cui si perseguono obiettivi dell’economia globalizzata. E’ come chiedere a tante persone di tutto il mondo di preparare la stessa minestra: gli unici ingredienti in comune saranno l’acqua e il sale, tutto gli altri saranno diversi in base all’offerta del mercato locale. Nella valutazione la situazione non è dissimile: dobbiamo tener conto del poco che gli studenti hanno in comune e del molto per cui differiscono. L’Invalsi finora ha sfornato dati, dati, dati. Adesso è giunto il momento che faccia un passo in avanti, abbracciando anche una capacità interpretativa».
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