I dirigenti scolastici sono dirigenti per concorso

A proposito del “Jobs Act” di Renzi

I dirigenti scolastici sono dirigenti per concorso

Il neo segretario del PD Matteo Renzi nell’anticipazione alla stampa del Jobs Act ipotizza l’eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico.

Non sappiamo se nelle intenzioni del proponente anche il dirigente scolastico viene considerato “pubblico”.

Finora lo è stato poco, in termini di considerazione e di retribuzione. Al contrario di molti dirigenti di enti più o meno pubblici o territoriali, ha dovuto dimostrare di possedere un titolo di studio elevato (almeno una qualche laurea) e superare un pubblico concorso.

Afferma Renzi che “Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no”.

Nella scuola non esistono dirigenti che non hanno vinto concorsi, i pochi che hanno saltato il reclutamento concorsuale ci sono nella burocrazia ministeriale e sono stati scelti dalla politica, quasi sempre non per riconosciute competenze, ma per qualità che possiamo soltanto immaginare.

“Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali” afferma ancora Renzi, e siamo d’accordo, ma ci piace di più pensare a una buona burocrazia, che nella nostra Italia da un po’ di tempo manca e proprio perché c’è stata l’invadenza della cattiva politica, che ha curato gli interessi di bottega, anziché quelli del Paese.

Un dirigente scolastico, reclutato con una seria procedura concorsuale e sostenuto nella sua difficile azione quotidiana è un investimento per il futuro della scuola e per la crescita dell’Italia.

 

Gregorio Iannaccone

Presidente Nazionale

Valutare il sistema di istruzione? Certamente, ma…

Valutare il sistema di istruzione? Certamente, ma…

due testimoni a confronto

 

Caro Maurizio,

credo che il dibattito su Invalsi e valutazione d’istituto debba partire anche dal rapporto che ha assunto la scuola nei confronti del Ministero dopo la modifica del Titolo V della Costituzione.

Il Ministro Luigi Berlinguer nel presentare la scuola dell’autonomia parlava appunto di un rovesciamento di ruolo tra singolo istituto scolastico e l’Amministrazione centrale. La piramide si era rovesciata: la Scuola, in piena autonomia e responsabilità, diveniva la protagonista dell’offerta formativa che organizzava per e sul territorio: non c’era più al suo vertice la struttura complessa ed elefantiaca di Viale Trastevere con la corte di Sovrintendenze regionali e i Provveditorati agli studi in ogni provincia. Prima di ciò le scuole erano dirette da precisi certosini “applicatori di disposizioni ministeriali” su cui venivano selezionati e misurati e, se avevano da quelle deviato, in qualche raro caso, bacchettati. Ora il capo dell’istituto scolastico da funzionario direttivo, cioè dotato di ampi poteri di supremazia gerarchica e di autonomia esecutiva delle direttive generali dell’Amministrazione centrale diventa dirigente, cioè quella figura che, operando sul grado gerarchico più elevato, è preposto alla direzione dell’intera organizzazione scolastica che gli è stata assegnata esplicando tale attività con ampi poteri discrezionali, pur nel quadro delle direttive e delle norme ministeriali.

Ma il processo di autonomia delle scuole non è andato avanti come doveva essere e come è scritto nella legge; anzi il Ministero, in questo ultimo decennio, ha prodotto più atti amministrativi che mai, fino a dettare perfino istruzioni sull’abbigliamento scolastico degli allievi: il grembiule! Questo provvedimento di normativa scolastica ha monopolizzato i media per mesi più dei tagli ai bilanci delle scuole, più dei contratti non siglati, più del sostegno ridotto, più dei laboratori obsoleti.

Ora, al di là della situazione di crisi contingente che determina pesantemente le scelte di politica finanziaria anche per quanto riguarda la scuola, la nostra “lavagna bianca” su cui disegnare la “schola nova” è inserita in uno scenario che ne definisce comunque i parametri essenziali: la nuova scuola è scuola dell’autonomia, è scuola in cui gli organi collegiali coordinati dal dirigente scolastico realizzano l’offerta formativa costruita in relazione alla domanda del territorio. Il territorio, le famiglie, con o senza test, valutano sempre l’efficacia di quella offerta realizzata.

Ma la certificazione finale fatta da una singola scuola ha una valenza erga omnes e il Ministero dell’istruzione ne è il garante verso l’intero Paese. Vuol dire che il diploma di “Tecnico di informatica e telecomunicazioni” conseguito a Palermo o a Bolzano ha lo stesso valore giuridico a Torino e a Pescara, anzi, per la libera circolazione dei titoli di studio nella UE, vale anche a Madrid e a Berlino. Quindi fino a che il “pezzo di carta” mantiene valore legale il Ministero non solo ha il diritto ma ha il dovere di verificare i livelli di conoscenza e competenza raggiunti dagli allievi al termine di un percorso di studi o di un suo segmento. Alla fine non importa più se Francesco è stato assente e la professoressa di italiano era malata o la scuola non aveva i laboratori aggiornati o se ci sono state dieci elezioni in un quinquennio. Sul diploma c’è scritto: “Perito in informatica e telecomunicazioni in quanto possiede le seguenti competenze…”.. . Lo legge il diplomato, la famiglia, l’imprenditore, il manager, l’entrepreneur, l’arbeitgeber, ecc. ecc.

Quindi mentre chiediamo al Ministero di permettere alla scuola dell’autonomia di organizzare ed esprimere la propria progettualità liberamente e responsabilmente, disponendo di risorse umane e finanziarie certe e stabili, e avendo come riferimento solo gli obiettivi d’uscita definiti centralmente, discutiamo del come ma non del se costruire un percorso di valutazione di sistema.

In sintesi: più alto è il coefficiente di autonomia più alto deve essere il controllo degli esiti.

Un abbraccio

Campagnano, 13 gennaio 2014

Sergio Bailetti

Caro Sergio!

Io voglio ed esigo che ci sia una Valutazione di Sistema, ma… il fatto è che il Sistema, quello con la Esse maiuscola – non c’è ancora! Quando con Berlinguer nel 99 varammo l’autonomia – e c’eravamo anche io e te… Gino, eravam grandi e là non eran nati, dice il poeta – il progetto era più che chiaro: ampi poteri alle Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA), e all’amministrazione centrale compiti di orientamento, programmazione, risorse, valutazione, ma… Ricorda! In contemporanea – anzi, due anni prima, nel ‘97 – avevamo varato quella riforma dell’esame di Stato che avrebbe dovuto concludersi non più con la valutazione della personalità del candidato (ex maturità, legge 119/69), ma con la certificazione delle concrete competenze da lui acquisite. Così si esprime la legge 425/97 all’articolo 6: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”.

Ma il ministero non fu in grado, allora – i tempi erano strettissimi – di indicare, definire e descrivere quali fossero le competenze che le istituzioni scolastiche avrebbero dovuto certificare. E adottò un modello di certificazione estremamente scarno e incompleto, che aveva un carattere sperimentale e sarebbe dovuto durare solo due anni!!! Invece… il modello è ancora vigente e… di fatto non certifica nulla! Su questa materia c’è ancora oggi il silenzio assoluto. Pertanto, purtroppo, abbiamo un esame di Stato che non valuta la maturità e non certifica le competenze! E’ un ibrido!!! Poi Berlinguer (dopo la parentesi di De Mauro) è stato sostituito dalla Moratti e quelle innovazioni, appena avviate, in mano al centro-destra sono finite nel cestino. Intanto l’UE spingeva e varava anche l’EQF (il quadro europeo delle qualifiche e dei titoli di studio). La proposta è del 2006, l’approvazione definitiva del 2008. Ma l’EQF il nostro governo lo ha recepito solo con l’Accordo quadro del 2012!!! E’ tutto dire!

Siamo indietro, rispetto ai nostri giovani e rispetto a quanto attende il mercato del lavoro europeo. La prima cosa che un’amministrazione seria e consapevole dovrebbe fare è quella di indicare chiaramente quali sono le competenze terminali che, per ogni singolo percorso di studi secondari, devono essere certificate e come! Io penso – e vorrei – che ciò avvenisse in tempi brevi, perché, come sai, con la tornata di esami del 2015, andrà a completo regime il riordino avviato con l’anno scolastico 2010/11.

Solo allora, dopo che il nostro “Sistema Educativo di Istruzione Formazione” sarà in grado di certificare competenze, potremo parlare di una valutazione di sistema che sia veramente tale, che sia credibile e che dia indicazioni alle scuole e all’amministrazione su che cosa va e che cosa non va! Detto molto semplicemente!

E sarà necessario che le istituzioni scolastiche autonome e gli insegnanti soprattutto siano informati e coinvolti nell’intero processo, perché certificare competenze non è cosa agevole e richiede criteri e strumenti diversi da quelli che riguardano il misurare e il valutare. E’ per questo insieme di ragioni che vado predicando da tempo che occorre rilanciare quella “cultura della valutazione” sulla quale abbiamo lavorato negli ultimi decenni del trascorso millennio e che abbiamo di fatto abbandonato.

Finché l’amministrazione insisterà nell’imporre alle scuole (altro che Istituzioni Scolastiche Autonome) quelle prove Invalsi che le scuole non capiscono e che sono lontane mille miglia dai quei criteri valutativi che da sempre la stessa amministrazione impone loro, quella dei voti decimali, non andremo da nessuna parte! E manderemo a carte quarantotto anche la certificazione delle competenze terminali, quelle dei nostri diciannovenni.

Quindi, ben venga la Valutazione di Sistema, ma prima mettiamolo in grado di funzionare!

Una noticina terminale. Ti rappresento le seguenti incongruenze, che, del resto, penso che tu conosca:

a) l’amministrazione pretende che siano certificate le competenze alla fine della terza media; ma non indica quali sono e ogni scuola si inventa le sue: cui prodest? E non si capisce quali competenze possa e debba avere acquisito un quattordicenne che non ha ancora concluso il suo percorso di studi obbligatorio;

b) l’obbligo di istruzione termina a 16 anni di età; l’amministrazione ha compiutamente individuato, definito e descritto sia le competenze di cittadinanza che quelle culturali. Però, non solo non pretende che le competenze di cittadinanza, che sono quelle che aprono la prospettiva dell’apprendimento permanente, siano debitamente certificate, in quanto non compaiono del modello di certificazione, ma non si preoccupa neanche di sapere se e come siano certificate le competenze culturali. E ogni scuola – in linea di massima – adempie all’operazione, quando adempie, solo perché la norma lo chiede! Senza alcuna convinzione e senza alcuna ricaduta sul prosieguo degli studi dello studente.

Ricambio l’abbraccio! Anzi, te ne invio due!

Roma, 13 gennaio 2014

Maurizio Tiriticco

SCATTI 2012: CONCILIAZIONE FALLITA, SCIOPERO SEMPRE PIU’ VICINO

SCATTI 2012, GILDA: CONCILIAZIONE FALLITA, SCIOPERO SEMPRE PIU’ VICINO

Fallito il tentativo di conciliazione, la Gilda degli Insegnanti prosegue la battaglia per gli scatti di anzianità ed è pronta allo sciopero. Si è concluso con una fumata nera l’incontro avvenuto oggi pomeriggio a viale Trastevere dopo la convocazione del sindacato guidato da Rino Di Meglio da parte del ministero dell’Istruzione. “Abbiamo verificato che non esistono le condizioni per un accordo e dunque andremo avanti con la mobilitazione. Bisogna risolvere al tavolo contrattuale la vertenza delle progressioni di carriera 2012 e 2013 – spiega Di Meglio – per evitare che la questione diventi una sorta di lotteria, generando un’inaccettabile disparità tra chi ha percepito gli scatti e chi, invece, non li ha avuti e rischia di non averli mai”.

Se nei prossimi giorni il Governo non interverrà concretamente, dunque, lo sciopero ci sarà ma resta da stabilire quando: “Ci riserviamo di decidere la data auspicabilmente con gli altri sindacati – afferma il leader della Gilda – così da mantenere l’unità e creare un fronte compatto in grado di incidere con forza sulla politica del Governo e di ottenere un risultato positivo per tutto il personale della scuola”.

Nuove molestie burocratiche per i dirigenti scolastici sui siti web e la trasparenza

Nuove molestie burocratiche per i dirigenti scolastici sui siti web e la trasparenza

Circolano in questi giorni sul web informazioni e comunicazioni allarmistiche circa nuovi adempimenti previsti dal d.lgs. 33/2013 [Decreto legislativo n.33 del 14 marzo 2013. Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicita’, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni] tendenti a creare ansia e ad aggravare la già complessa situazione degli adempimenti a carico dei capi di istituto magari con la spada di Damocle di nuove sanzioni.

Ebbene a scanso di equivoci e in breve rassicuriamo subito i dirigenti scolastici circa l’inapplicabilità alle scuole di quanto previsto dal decreto e tra essi l’ inapplicabilità delle norme che impongono di designare un Responsabile per la trasparenza e di adottare il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità.

Così come non era applicabile alle scuole la designazione del Responsabile della prevenzione della corruzione, non lo è neanche questa nuova figura che vale solo per le amministrazioni centrali dello Stato dove si applica a dirigenti di prima fascia, mentre è noto che i dirigenti scolastici sono di seconda fascia.

Rimane solo fermo l’obbligo di aggiungere nel sito web dell’istituzione scolastica la sezione “Amministrazione trasparente” e quello di pubblicare la prevista documentazione senza alcun obbligo di designare un Responsabile per la trasparenza e di adottare il connesso Piano triennale con tutte le relative procedure.

Emergenti Pd: A chi deve esser grata la Carrozza?

da TuttoscuolaFOCUS

Emergenti Pd: A chi deve esser grata la Carrozza?

Siamo dunque all’assurdo: dopo i diritti acquisiti e i diritti offesi siamo giunti ai diritti restituiti. Mi auguro che tutto ciò sia un equivoco”. Sono bastate poche parole a Davide Faraone, responsabile Scuola e Welfare del PD per imprimere il 7 gennaio scorso uno stop al pasticcio che stava maturando sulla questione degli scatti di stipendio. E probabilmente il merito della soluzione della questione per la quale il ministro Carrozza – che se l’è vista brutta – ha detto che deve essere “grata a Renzi”, è proprio del tempismo dell’intervento del neo responsabile scuola del partito di maggioranza.

Palermitano, 38 anni, Faraone è stato indicato dal neosegretario del Pd Matteo Renzi, subito dopo la sua vittoria nelle primarie, come responsabile di due settori cruciali per il paese. E quello sugli scatti non è l’unico intervento fatto da Faraone in queste prime settimane di lavoro. Sullo sblocco delle assunzioni dei docenti di sostegno ha detto: “L’eccesso di burocrazia e la logica della calcolatrice non si sposano con le esigenze di settori, peraltro già duramente colpiti, quali quelli della scuola e del sociale. E’ inutile parlare di famiglia e stato sociale se poi gli atti vanno esattamente nella direzione opposta. Il gioco delle tre carte deve finire”. Pochi giri di parole, insomma, nello stile di questo emergente della politica, che non parla solo di scuola: “Letta non abbia paura di Renzi”, ha detto pochi giorni dopo le primarie. E poi riguardo alle dimissioni del viceministro all’Economia e collega di partito Fassina: “Ho trovato clamorosa e spropositata la sua reazione a una fesseria, una battuta come tante” (il famoso “Fassina chi?, ndr). “Comunque, siamo sereni, non ci facciamo intimidire”.

Aggiornamento docenti: osare di più è necessario

da TuttoscuolaNews

Aggiornamento docenti: osare di più è necessario

Il Miur sembra avere deciso di spingere sul pedale della scuola digitale, pubblicando, con apprezzabile tempestività, l’elenco delle 40 istituzioni scolastiche o reti di scuole selezionate come poli formativi destinatari dei circa 600mila euro per interventi volti all’aumento delle competenze relative ai processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica. La formazione in servizio è lo strumento che consente, infatti, ai docenti di entrare da protagonisti nella nuova dimensione della scuola digitale. L’articolazione dei percorsi di formazione in servizio dei docenti, così come delineati nella circolare ministeriale n. 22/2013 appare suscettibile di buoni esiti, perché finalmente è prevista una integrazione-interazione dell’aggiornamento con la “ricerca”.

Un’attenta riflessione dell’atto d’indirizzo mette, tuttavia, in evidenza alcune debolezze che rischiano di vanificare i buoni tentativi di avviare una sistematica formazione in servizio di docenti e dirigenti.

Le più evidenti sono: la mancanza di quello stretto legame che dovrebbe essere assicurato tra le Scuole e le Università, tra chi opera e chi fa ricerca scientificamente, per fare uscire il “sistema scuola” dal progressivo impoverimento culturale favorito da una politica scolastica miope insieme al cieco garantismo che connota spesso l’azione sindacale; il silenzio sulle dovute verifiche degli esiti della formazione in servizio con una conseguente valutazione dei risultati (su standard nazionali) in termini di miglioramento dei livelli di preparazione e di efficacia dell’apprendimento degli alunni.

Viene taciuta infine la necessità di quella “accountability” che deve accompagnare ogni percorso tracciato nel solco dell’autonomia prevista dal DPR275/99 e mai autenticamente approdata nelle scuole italiane.

Buttiamo lo Stato fuori dalla scuola. «La soluzione ai problemi dell’istruzione non sono le scuole paritarie»

da Tempi.it

Buttiamo lo Stato fuori dalla scuola. «La soluzione ai problemi dell’istruzione non sono le scuole paritarie»

Istituti autonomi nella gestione delle risorse umane e dell’offerta formativa, ma pagate dal paese. È questa la proposta dell’economista Andrea Ichino, perché «bisogna far funzionare bene le scuole pubbliche».

Scuola come Atlantide, continente sommerso da un formidabile blocco di potere. Un esercito di parrucconi che si oppone da quasi mezzo secolo all’unica riforma che sarebbe veramente necessaria a sollevare dalla polvere e rimettere finalmente in marcia un paese incartapecorito nella continuazione dello stato corporativo dell’istruzione statale unica, fascista sebbene con altri nomi, costantemente al ribasso, epperò “uguale per tutti”. Della proposta firmata da Guido Tabellini e Andrea Ichino (Liberiamo la scuola, e-book del Corriere della Sera), si è parlato come dell’acqua fresca sulla pietra. Tanti complimenti. E poi il solito nulla (in attesa delle ricorrenti come le feste di Natale e Pasqua manifestazioni degli studenti, sempre plaudite dalla grande stampa perché di esse si nutre il funzionariato che sull’immobilismo della scuola da morta gora ci campa).
Per i dettagli della proposta Ichino-Tabellini rinviamo a una magnifica intervista del mensile forlivese Una città (www.unacittà.it) che è probabilmente il domicilio dell’unica sinistra italiana veramente nuova e dove Giorgio Calderoni e Gianni Saporetti hanno sviscerato in lungo e in largo l’autenticità della liberazione contenuta nella proposta dei due economisti. Con Andrea Ichino, Tempi cerca invece di capire, oltre agli aspetti più innovativi della sua “scuola autonoma”, se quel 10 per cento circa di scuole paritarie che compongono il sistema pubblico dell’istruzione italiana – e che fanno risparmiare intorno ai 7 miliardi di euro l’anno a uno Stato cieco e ingrato – non debbano unirsi all’obiettivo di rivoluzione del sistema. Piuttosto che, ogni anno, star lì a pietire quattro soldi di elemosina da Roma.

Riforme. Questa la parola d’ordine per il 2014 che sembra convincere in modo bipartisan sia la politica sia quanti ricoprono a vario titolo ruoli e responsabilità nelle istituzioni italiane. Nel comparto scuola, però, da quarant’anni a questa parte, ogni intervento riformatore sembra arenarsi perché il sistema è bloccato dalla mancanza di risorse.

Agli italiani viene costantemente detto che gli interventi riformatori sono bloccati dalla mancanza di risorse, ma i dati Ocse (Education at a Glance) esaminati dal Rapporto del Forum “Idee per la crescita” (vedi e-books del Corriere della Sera) mostrano una realtà diversa. Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia rispetto alla media dei paesi Ocse in tutti e tre i livelli di istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio, nel caso della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7.218 dollari per studente mentre la media Ocse era 5.957 (e il confronto è in termini reali, ossia a parità di potere d’acquisto della moneta). È vero che i governi Berlusconi hanno tagliato pesantemente la spesa per l’istruzione e lo hanno fatto nel modo peggiore possibile, ossia colpendo alla cieca non solo chi meritava di essere punito, ma anche chi con fatica e senza riconoscimenti teneva in piedi la scuola italiana. Tuttavia, nel 2008-2009 la spesa per studente secondario italiano era comunque di 9.112 dollari, di poco inferiore alla media Ocse di 9.312. Ha ragione chi nota che lo Stato italiano spende poco per la scuola in proporzione al Pil e in proporzione alla spesa pubblica totale, ma quello che conta per valutare se le risorse sono scarse o sufficienti è la spesa per studente. E il motivo per cui questa spesa, nonostante tutto, è alta in Italia deriva dal forte calo demografico che ha caratterizzato il nostro paese. Lo Stato italiano non spende poco per i suoi studenti, spende male! Le riforme sono bloccate dalla incapacità dell’amministrazione statale di gestire la scuola: è fallimentare anche solo la gestione ordinaria, figuriamoci quella straordinaria che sarebbe necessaria per attuare riforme in modo efficiente! Ecco perché, con Guido Tabellini abbiamo sostenuto, nel libro Liberiamo la scuola, che l’unica riforma urgente sia di consentire l’“opting out” dalla amministrazione statale. Ossia consentire, in via sperimentale, controllata e valutata, a chi vuole gestire diversamente scuole e università pubbliche di poterlo fare in modo completamente autonomo riguardo alla gestione delle risorse, soprattutto umane, e della offerta formativa.

Professore, per dirla con il titolo del suo libro, è venuto il momento di “liberare la scuola”. Ci può delineare in sintesi in cosa consiste la sua proposta di “liberazione” del nostro sistema di istruzione attraverso le “free school”, scuole completamente autonome nella gestione dell’istruzione, ma pagate interamente dallo Stato?

La nostra proposta integra l’esperienza delle Charter schools in America e delle Grant Maintained schools nel Regno Unito (entrambi ascensori sociali nei loro paesi, quando si collocano, e spesso accade, in quartieri disagiati). Come nelle Charter schools, presidi, genitori, docenti o enti esterni potranno formare comitati che si candidano a gestire una scuola. Non sarà però l’autorità statale a contrattare il programma, che sarà invece sottoposto all’approvazione di elettori definiti in rapporto al bacino di utenza della scuola. In caso di approvazione, a maggioranza degli aventi diritto, il comitato gestirà la scuola in totale autonomia per quel che riguarda il personale (in particolare assunzioni, retribuzioni ed eventuali licenziamenti degli insegnanti), le attrezzature e il disegno dell’offerta formativa. L’autonomia avrà però un controllo. Gli studenti delle nuove scuole autogestite dovranno superare gli stessi test ed esami che ogni altro studente dovrà affrontare. Ma cambierà il formato della Maturità che sarà strutturata per “singole materie”, invece che per “pacchetti di materie” in modo da porre fine all’anomalia del sistema italiano che non consente agli studenti di modulare gradualmente il loro percorso formativo in funzione degli studi universitari da intraprendere successivamente. Le scuole autogestite non dovranno sottrarre risorse a quelle tradizionali: riceveranno inizialmente un fondo pari al loro costo storico annuo globale. Successivamente, saranno finanziate in proporzione agli studenti che riusciranno ad attrarre. Non potranno chiedere rette di iscrizione, ma potranno raccogliere finanziamenti privati, subordinati a un prelievo a favore di un fondo di solidarietà per le scuole che non possano accedere alle stesse risorse. Poiché a regime saranno gli studenti a finanziare le scuole con le loro scelte, lo Stato dovrà investire nel ruolo fondamentale di valutazione dei diversi istituti e di diffusione capillare delle informazioni che dovranno consentire alle famiglie, anche quelle meno agiate, di scegliere a ragion veduta. Per ridurre il rischio di “scuole ghetto”, da evitare soprattutto ai livelli più bassi di istruzione, gli istituti autogestiti saranno limitati nella libertà di stabilire i criteri di ammissione. La burocrazia ministeriale, troppo rigida e lenta, ha dimostrato di non saper gestire la scuola in un modo soddisfacente per tutti. È giunto il momento di consentire a chi, democraticamente, vuole provare una strada diversa, di poterlo fare.

Diciamocelo, la scuola italiana è in un vicolo cieco. Con quasi un milione di addetti e centinaia di migliaia di precari, le risorse dello Stato non servono neppure a coprire le spese correnti. Quanto può durare questa agonia?

Come ho già detto, le risorse ci sono: vanno solo usate meglio, liberando le energie che la scuola italiana ha e che in questo momento sono bloccate dalle pastoie ministeriali. È necessario anche allontanare dalla scuola quegli insegnanti che non sanno fare bene il loro mestiere e sappiamo tutti che purtroppo non mancano. Già soltanto questa misura, osteggiata dai sindacati che sostengono che i problemi sono altri, libererebbe risorse che potrebbero essere usate meglio. Le buone scuole le fanno innanzitutto i buoni insegnanti. Quindi è su questi che bisogna puntare, togliendo dalle scuole italiane quelli che costituiscono solo un freno, soprattutto a danno degli studenti più poveri, dato che i ricchi una soluzione per ovviare ad un insegnante incapace la trovano sempre. I sindacati devono spiegare perché il diritto al posto di lavoro di un insegnante incapace debba prevalere sul diritto di uno studente, soprattutto se povero, a ricevere un’istruzione adeguata. Nell’esperienza delle Grant Maintained schools inglesi, è stato soprattutto il rinnovamento della classe docente il maggior fattore di successo. Queste scuole libere di gestire le risorse umane, sono state in grado di attrarre insegnanti migliori retribuendoli in modo adeguato. E i risultati sono stati immediati.

Crede che le scuole paritarie dovrebbero aderire alla sua proposta invece di rassegnarsi ogni anno a rinegoziare sussidi sempre più esigui? Pensi a casi come quelli di Bologna o Milano, dove tra tasse comunali e tagli ai finanziamenti ad asili e scuole paritarie, rischiamo una seria emergenza educativa. E parliamo di due città italiane che hanno i migliori standard europei. I gestori di queste scuole protestano, giustamente. Ma non crede che serviranno a ben poco le proteste se anche questo mondo scolastico, largamente cattolico, non convergerà non nella difesa delle scuole paritarie, ma nella battaglia per una riforma laica, di sistema, liberale come la sua?

Non credo che la soluzione ai problemi della scuola italiana siano le scuole paritarie o private. La soluzione è far funzionare bene le scuole pubbliche, affidandole a gestori capaci. Lo Stato ha dimostrato di non saper gestire in modo efficiente le scuole e quindi dobbiamo provare ad affidare la loro gestione a soggetti diversi, come illustrato nella nostra proposta. Credo che una concentrazione di pressione politica e sociale per una riforma laica e liberale come quella che ho proposto con Guido Tabellini, sia più efficace della difesa di specifiche scuole paritarie, perché è una proposta che va al cuore del problema della scuola italiana. Nella nostra proposta lo Stato mantiene un ruolo di controllo, regolazione e soprattutto informazione al servizio delle famiglie, perché saranno le famiglie, con le loro scelte, a finanziare le scuole. Ma per poter scegliere a ragione veduta le famiglie dovranno disporre di informazioni ampie e dettagliate su tutte le scuole e sulle storie post-diploma dei loro studenti.

È possibile, se ci fosse la volontà politica, avviare una sperimentazione della sua proposta già a partire dall’anno 2014-2015? Ha trovato attenzione nell’attuale governo? E dal ministro Carrozza?

Credo che il ministro Carrozza non abbia nemmeno letto la nostra proposta. L’ho invitata a discuterla, quando l’ho presentata alla Fondazione Corriere della Sera, ma ha declinato l’invito. Iniziare la sperimentazione della nostra proposta richiederebbe solo un po’ di coraggio con rischi contenuti. Basterebbe verificare se in qualche scuola ci fosse interesse per tentare la sperimentazione, e consentire le elezioni che dovrebbero sancire l’opting out. Non servirebbero tante scuole, ne basterebbe qualcuna e se questi esperimenti isolati avessero successo allora altre scuole seguirebbero. Ma chi preferirà continuare con il vecchio sistema potrà farlo senza perdita di risorse. Temo però che per provare dovremo aspettare un nuovo ministro… con un orizzonte più lungo.

Il Fatto sonda “La scuola che vorrei”

da Tecnica della Scuola

Il Fatto sonda “La scuola che vorrei”
di P.A.
Il Fatto ha lanciato un sondaggio coi suoi lettori sulla falsariga del questionario proposto dalla ministra dell’istruzione sulla “Scuola che vorrei”. Il resoconto mette in luce tanta voglia di modernità e che la scuola che vorrebbero è innanzitutto pubblica, con le (poche) risorse a disposizione destinate alle statali. 
Ma soprattutto, dice il sondaggio, i lettori del Fatto sembrano non avere dubbi: la scuola che vorrebbero è innanzitutto pubblica. Basta finanziamenti alle private e alle paritarie. Per quanto riguarda programmi e materie di studio, si sente una forte esigenza di incrementare le ore di inglese, a partire già dalla scuola primaria, affiancandole lo studio di un’altra lingua, ma con un approccio diverso: più “conversation” e applicazioni al vissuto quotidiano. La spaccatura è invece abbastanza netta sull’opportunità di conservare alcune materie tradizionali della scuola italiana. Via alcune materie anacronistiche come il latino e il greco, o la storia antica specie nei licei scientifici che dovrebbero – a detta di alcuni lettori – cedere il passo all’informatica e alla tecnologia. Ma c’è anche chi chiede di puntare di più proprio sulle materie classiche, ed in particolar modo sulla storia dell’arte, che rappresentano la cifra distintiva della scuola italiana rispetto al resto del mondo. Indicazioni discordanti, che muovono probabilmente in direzione di una riforma complessiva del ciclo di studi, da accorciare e magari specializzare maggiormente già negli ultimi anni della scuola secondaria. Condivisa, invece, è l’opinione che, a prescindere dalle materie, gli insegnamenti vengano condotti in maniera troppo teorica e speculativa, senza pratica. Per far questo sarebbe il caso di approntare finalmente quella rivoluzione digitale di cui si parla da anni. E più in generale di migliorare infrastrutture e strutture della scuola, troppo spesso fatiscenti. Per quanto riguarda gli insegnanti sono costretti a svolgere il proprio lavoro in condizioni inaccettabili, ma a cui pure si chiede un salto di qualità rispetto al passato. Le storie di precari sfruttati e malpagati sono all’ordine del giorno. Tuttavia, la qualità dei docenti italiani non viene ritenuta del tutto soddisfacente. Molti studenti lamentano lo scarso aggiornamento professionale ed è forte la richiesta di una sistema di valutazione delle scuole, ma non affidata all’Invalsi. Quanto al rebus sul reclutamento, le richieste sono tante e contrastanti: sanare la posizione dei precari storici, esaurendo una volta per tutte le graduatorie e per i vincitori del Tfa il diritto all’insegnamento evitando i Pas Per il futuro, invece del concorso, meglio, il metodo britannico e assegnare agli istituti il compito di assumere i docenti migliori. Ma un sistema simile in Italia potrebbe funzionare? È una delle tante domande a cui il ministro Maria Chiara Carrozza dovrà rispondere. Perché, al di là del sondaggio online, resta del Miur la responsabilità di trovare le soluzioni giuste ai problemi della scuola. Il ministro – sottolineano i lettori – non lo dimentichi.

Buttare lo Stato fuori dalla scuola

da Tecnica della Scuola

Buttare lo Stato fuori dalla scuola
di P.A.
“La soluzione ai problemi dell’istruzione non sono le scuole paritarie”. Scuola come Atlantide, continente sommerso da un formidabile blocco di potere. Andrea Ichino discute a Tempi.it la sua idea di istruzione e della sua proposta formulata insieme con Guido Tabellini
Su Tempi.it la proposta firmata da Guido Tabellini e Andrea Ichino, per rivoluzionare e rendere più efficiente l’istruzione italiana contro “l’esercito di parrucconi che si oppone da quasi mezzo secolo all’unica riforma che sarebbe veramente necessaria a sollevare dalla polvere e rimettere finalmente in marcia un paese incartapecorito nella continuazione dello stato corporativo dell’istruzione statale unica, fascista sebbene con altri nomi, costantemente al ribasso, epperò “uguale per tutti”. Per i dettagli della proposta Ichino-Tabellini, scrive sempre Tempi, rinviamo a una magnifica intervista del mensile forlivese Una città (www.unacittà.it) che è probabilmente il domicilio dell’unica sinistra italiana veramente nuova e dove Giorgio Calderoni e Gianni Saporetti hanno sviscerato in lungo e in largo l’autenticità della liberazione contenuta nella proposta dei due economisti. Le riforme non è vero che languiscono per mancanza di risorse, “i dati Ocse (Education at a Glance) esaminati dal Rapporto del Forum “Idee per la crescita” (vedi e-books del Corriere della Sera) mostrano una realtà diversa. Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia rispetto alla media dei paesi Ocse in tutti e tre i livelli di istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio, nel caso della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7.218 dollari per studente mentre la media Ocse era 5.957 Tuttavia, nel 2008-2009 la spesa per studente secondario italiano era comunque di 9.112 dollari, di poco inferiore alla media Ocse di 9.312. Lo Stato italiano non spende poco per i suoi studenti, spende male! Le riforme sono bloccate dalla incapacità dell’amministrazione statale di gestire la scuola”, per cui la proposta è di liberare la scuola. E come? Ecco la proposta: integrare “l’esperienza delle Charter schools in America e delle Grant Maintained schools nel Regno Unito (entrambi ascensori sociali nei loro paesi, quando si collocano, e spesso accade, in quartieri disagiati). Come nelle Charter schools, presidi, genitori, docenti o enti esterni potranno formare comitati che si candidano a gestire una scuola. Non sarà però l’autorità statale a contrattare il programma, che sarà invece sottoposto all’approvazione di elettori definiti in rapporto al bacino di utenza della scuola. In caso di approvazione, a maggioranza degli aventi diritto, il comitato gestirà la scuola in totale autonomia per quel che riguarda il personale (in particolare assunzioni, retribuzioni ed eventuali licenziamenti degli insegnanti), le attrezzature e il disegno dell’offerta formativa. L’autonomia avrà però un controllo. Gli studenti delle nuove scuole autogestite dovranno superare gli stessi test ed esami che ogni altro studente dovrà affrontare. Ma cambierà il formato della Maturità che sarà strutturata per “singole materie”, invece che per “pacchetti di materie” in modo da porre fine all’anomalia del sistema italiano che non consente agli studenti di modulare gradualmente il loro percorso formativo in funzione degli studi universitari da intraprendere successivamente. Le scuole autogestite non dovranno sottrarre risorse a quelle tradizionali: riceveranno inizialmente un fondo pari al loro costo storico annuo globale. Successivamente, saranno finanziate in proporzione agli studenti che riusciranno ad attrarre. Non potranno chiedere rette di iscrizione, ma potranno raccogliere finanziamenti privati, subordinati a un prelievo a favore di un fondo di solidarietà per le scuole che non possano accedere alle stesse risorse. Poiché a regime saranno gli studenti a finanziare le scuole con le loro scelte, lo Stato dovrà investire nel ruolo fondamentale di valutazione dei diversi istituti e di diffusione capillare delle informazioni che dovranno consentire alle famiglie, anche quelle meno agiate, di scegliere a ragion veduta. Per ridurre il rischio di “scuole ghetto”, da evitare soprattutto ai livelli più bassi di istruzione, gli istituti autogestiti saranno limitati nella libertà di stabilire i criteri di ammissione. La burocrazia ministeriale, troppo rigida e lenta, ha dimostrato di non saper gestire la scuola in un modo soddisfacente per tutti. È giunto il momento di consentire a chi, democraticamente, vuole provare una strada diversa, di poterlo fare”. “È necessario anche”, sostiene Ichino, “allontanare dalla scuola quegli insegnanti che non sanno fare bene il loro mestiere e sappiamo tutti che purtroppo non mancano. Già soltanto questa misura, osteggiata dai sindacati che sostengono che i problemi sono altri, libererebbe risorse che potrebbero essere usate meglio. Le buone scuole le fanno innanzitutto i buoni insegnanti. Quindi è su questi che bisogna puntare, togliendo dalle scuole italiane quelli che costituiscono solo un freno, soprattutto a danno degli studenti più poveri, dato che i ricchi una soluzione per ovviare ad un insegnante incapace la trovano sempre. I sindacati devono spiegare perché il diritto al posto di lavoro di un insegnante incapace debba prevalere sul diritto di uno studente, soprattutto se povero, a ricevere un’istruzione adeguata. Nell’esperienza delle Grant Maintained schools inglesi, è stato soprattutto il rinnovamento della classe docente il maggior fattore di successo. Queste scuole libere di gestire le risorse umane, sono state in grado di attrarre insegnanti migliori retribuendoli in modo adeguato. E i risultati sono stati immediati.” L’altra idea di Ichino è quella di sperimentare la proposta, ma la ministra Carrozza “ ha declinato l’invito. Iniziare la sperimentazione della nostra proposta richiederebbe solo un po’ di coraggio con rischi contenuti. Basterebbe verificare se in qualche scuola ci fosse interesse per tentare la sperimentazione, e consentire le elezioni che dovrebbero sancire l’opting out. Non servirebbero tante scuole, ne basterebbe qualcuna e se questi esperimenti isolati avessero successo allora altre scuole seguirebbero. Ma chi preferirà continuare con il vecchio sistema potrà farlo senza perdita di risorse. Temo però che per provare dovremo aspettare un nuovo ministro… con un orizzonte più lungo”.

Nella mobilità d’ufficio c’è un calcolo dell’anzianità illogico

da Tecnica della Scuola

Nella mobilità d’ufficio c’è un calcolo dell’anzianità illogico
di Lucio Ficara
Se vi dicessero che nella mobilità d’ufficio il punteggio assegnato ad un docente con anzianità di servizio di 8 anni è inferiore al punteggio assegnato sempre per anzianità di servizio ad un pari collega che insegna solo da cinque anni, voi ci credereste? Molto probabilmente no, come è logico che sia.
Tra i vari calcoli arzigogolati sui punteggi di anzianità del servizio pre-ruolo e di ruolo, nella mobilità d’ufficio, può accadere che il docente più anziano abbia meno punti di servizio prestato, rispetto a quello più giovane. Questo è dovuto alle incongruenze di un desueto meccanismo di calcolo del punteggio di anzianità di servizio, che infrange con ogni evidenza, la direttiva europea 1999/70. Facciamo due calcoli esemplificativi, per spiegarvi come questo può accadere. Consideriamo due docenti, il docente A e il docente B. Il primo docente, cioè “A”, ha un’anzianità di servizio di 8 anni, di cui 6 pre-ruolo e 2 di ruolo. Il secondo docente, cioè “B”,  ha un’anzianità di servizio di 5 anni, tutti svolti in ruolo. Mentre il docente “A” riceve 28 punti di anzianità di servizio, così calcolati: per i primi 4 anni di anzianità pre-ruolo valgono 3 punti per anno, i successivi 2 anni pre-ruolo valgono soltanto 2 punti per anno ed infine i due anni di ruolo valgono 6 punti per anno, il docente “B” ottiene 30 punti di anzianità di servizio, cioè 6 punti per ognuno dei cinque anni di servizio di ruolo. Ecco spiegato come un docente con meno anzianità di servizio, può sopravanzare nel punteggio, chi ha un maggiore numero di anni di esperienza d’insegnamento. La causa di questa anomalia è dovuta alle tabelle dei punteggi per i trasferimenti a domanda e d’ufficio, inserite nell’ipotesi di contratto di mobilità 2014-2015 firmata il 17 dicembre 2013. D’altronde queste tabelle di valutazione del punteggio, proprio nella parte anomala, appena descritta, vanno ad infrangere anche la clausola 4 della direttiva europea 1999/70. Cosa è scritto in questa clausola 4? In tale clausola è evidenziato quanto segue: “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”. Queste osservazioni, che non sono di poco conto,  dovrebbero trovare la volontà sindacale e dell’Amministrazione di cambiare il CCNI sulla mobilità , proprio nella parte delle tabelle dei punteggi, aggiornandole anche rispetto alle chiarissime direttive europee.

Ragazzo disabile scrive un libro col mento, una copia a papa Francesco

da Redattore Sociale

Ragazzo disabile scrive un libro col mento, una copia a papa Francesco

Lucia Vaccaio, la docente che ha curato la traduzione in italiano del libro di Lorenzo Genovese, esalta il valore umano del testo e le capacità artistiche del giovane affetto da distrofia muscolare. “L’uso del dialetto ha dato autenticità ad aspetti nascosti di una società contadina di cui si rischia di perdere le tracce”

PALERMO – Incredula e affascinata da una capacità artistica che per nulla è stata messa in ginocchio dalla grave disabilità del giovane che, da quando aveva tre anni, soffre di una grave forma di distrofia muscolare. Sono state queste le prime sensazioni di Lucia Vaccaro che ha curato la traduzione in lingua italiana di “U latru di ficupali” cioè “Il ladro di Fichidindia”.

“Al di la del valore intrinseco che può avere il libro – spiega -, il valore umano che ha questo testo è ineguagliabile e incommensurabile perché siamo riusciti a dare la giusta visibilità al talento di un giovane che ha una vitalità intensa dal punto di vista mentale. Il giovane ha fatto questo lavoro nel suo tempo libero, che consiste in mezz’ora di pc al giorno, perché tutto il resto della giornata è impiegato nel cercare di adattarsi alla sua malattia”.

“Il giorno in cui Lorenzo, durante una conversazione, mi riferì che stava scrivendo una ‘minchiata’ – racconta Lucia Vaccaro -, restai sorpresa perchè non avevo idea di come una persona con la sua disabilità, immobile da bambino, potesse parlare di ‘scrittura’. Ma mi svelò subito il segreto: la sua passione per la tecnologia informatica lo aveva portato ad utilizzare un sistema per scrivere attraverso una web-cam che capta i movimenti del mento e manda impulsi alla tastiera dello schermo”. “Quello che lessi mi lasciò senza parole: non avrei mai immaginato che un giovane potesse utilizzare il dialetto con una capacità descrittiva come lui aveva fatto – racconta -. Provai un po’ di difficoltà all’inizio a leggere la storia, ma pian pianino la lettura di quello che lui chiamava umilmente ‘minchiata’ mi prendeva sempre di più per il potere evocativo che il dialetto ha in sé e il modo in cui era stato utilizzato”.

“L’uso del dialetto contribuisce, infatti, a dare autenticità ad aspetti nascosti di una società contadina di cui si rischia di perdere le tracce e contribuisce alla rivalutazione del dialetto come patrimonio comune da salvaguardare e trasmettere – continua la docente -. La versione italiana non rende con la stessa forza del dialetto le immagini e le situazioni descritte, ma è stata fortemente voluta dall’autore, per fare conoscere l’opera a tutti quelli che vogliono apprendere di un paese che ancora vive nel rispetto di valori come l’autenticità delle relazioni umane e la coesione sociale”. “Scrive, infatti, in un dialetto di cui si è un poco persa la memoria e per questo può considerarsi un’operazione culturale di alto livello – ribadisce ancora Lucia Vaccaro -. La cosa bella è proprio questa sua grande capacità descrittiva perché, a volte il siciliano, riesce a rendere delle immagini meravigliose. Inoltre la storia è molto teatrale e potrebbe essere resa anche in questa chiave, perché ci sono dei personaggi siciliani, realmente esistiti, descritti in questo modo con una serie di particolari divertenti e anche ironici”.

L’importanza della scelta della traduzione del “testo a fronte” aiuterà, non solo i lettori che non conoscono il dialetto, ma anche coloro che, pur conoscendolo, ne usano solo una parte, peraltro contaminata da locuzioni della lingua italiana. Il libro, con una grande partecipazione di pubblico è stato presentato a Buscemi, nella sala San Giacomo lo scorso 28 dicembre. “Lorenzo, che parla attraverso una cannula respiratoria collegata a una macchinetta mobile – aggiunge la prof.ssa Vaccaro – è anche molto simpatico e ironico e, soprattutto non si piange addosso. E’ un ragazzo molto integrato nella comunità in cui vive e la presentazione del libro è sta ben lontana da una evento di carattere pietistico che lui non avrebbe gradito”.

Una copia del testo è stata mandata a Papa Francesco a cui Lorenzo ha voluto dedicare il libro per la sua sensibilità nei confronti degli ‘ultimi’. “La segreteria vaticana ci ha contattato – dice ancora – e non si esclude che ci possa essere una risposta del Santo Padre nel modo in cui riterrà più opportuno. (set)

”U latru di ficupali”: il libro scritto col mento da un ragazzo disabile

Quattro righe al giorno per 7 anni con il solo movimento del mento, registrato da una telecamera collegata ad una tastiera virtuale. Il lavoro portato avanti da Lorenzo Genovese, giovane affetto da una grave forma di distrofia muscolare, è ora un libro che racconta, in dialetto siciliano, la società contadina di Buscemi

Un lavoro certosino, lento e graduale che in sette anni ha permesso a Lorenzo Genovese, giovane affetto da una grave forma di distrofia muscolare, di portare a termine il suo libro “U Latru di Ficupali”, che tradotto dal dialetto siciliano significa “Il ladro di fichidindia”. Il suo impegno quotidiano, è stato quello di poter scrivere quattro righe al giorno con il solo movimento del mento registrato da una telecamera collegata ad una tastiera virtuale.

Il racconto trae spunto dalle lunghe serate d’inverno trascorse dal ragazzo, fin da quando era bambino, ad ascoltare i nonni, gli zii, la mamma e il papà mentre ricordavano e raccontavano la loro vita nel paese. Tutto ciò ha stimolato in Lorenzo una grande curiosità per la vita del passato che lo ha spinto, giorno dopo giorno, a cimentarsi nella scrittura di questo racconto. A parlare di lui e della sua opera artistica è la professoressa Lucia Vaccaro che ne ha curato la traduzione in italiano nelle pagine ‘a fronte’del libro perché il testo è stato scritto tutto nel dialetto siciliano del piccolo centro ibleo che lui conosce molto bene.

Lorenzo Genovese è nato a Buscemi, un piccolo centro dell’altopiano ibleo in provincia di Siracusa. Costretto all’immobilità da quando aveva tre anni, il giovane, che adesso di anni ne ha 27, ha sempre vissuto la sua disabilità con grande dignità, circondato dall’affetto e dall’aiuto dei familiari e della sua comunità siciliana che, da sempre, lo ha accolto, abbattendo qualsiasi barriera architettonica e mentale. “Il giovane vive oggi insieme al padre che è ‘le sue braccia’ perché, purtroppo, la mamma è morta l’anno scorso per una grave malattia – racconta la docente -. Il ragazzo, dopo essersi diplomato nell’istituto agrario di Palazzolo Acreide (Sr), aveva anche intenzione di iscriversi ad una facoltà universitaria on-line ma le sue condizioni di salute non glielo hanno permesso”. “Lorenzo ha frequentato un corso di studi sempre ben integrato a scuola e nella sua comunità – spiega la docente – anche grazie all’aiuto che i compagni e le istituzioni locali non gli hanno mai fatto mancare, valorizzando la sua vita di relazione. La scomparsa prematura della mamma non ha scoraggiato la sua vena artistica e la sua voglia di vivere. Pur avendo, infatti, perso un sostegno fisico e morale insostituibile è riuscito ad intensificare ancor più il suo impegno”.

“U latru di ficupali” è un racconto che contribuisce a salvaguardare una tradizione linguistica e un passato storico di vita agreste siciliana che in pochi ormai ricordano”, continua Lucia Vaccaro. “La sua opera non è una storia che si dipana semplicemente in una sequenza di episodi ma una dettagliata e quasi teatrale descrizione di situazioni: un susseguirsi di bozzetti in cui i personaggi e le loro azioni lasciano il posto alla bellezza di un dialetto che li descrive con una grande intensità”.

Questo piccolo centro ibleo diventa occasione di incontro di buscemesi provenienti da tutto il mondo, soprattutto in occasione della festa della “Madonna del Bosco”, elemento unificante e di identità, oggi come nel passato quando, come raccontano i più anziani, in tempo di guerra, capitava che soldati al fronte si riconoscessero dall’esclamazione “Maronna ro’ vuoscu, aiutatimi” (“Madonna del Bosco, aiutatemi”). E’ questo il luogo in cui viene raccontata la storia di Turidu e Taneda che vivono la loro giovane vita fatta di rapporti familiari e di vicinato intricati, ma intrisa anche di spirito bucolico e piena di una struggente malinconia e amaro pessimismo quando, davanti all’impossibilità di cambiare un destino segnato, il giovane è costretto a lasciare il paese per andare in guerra. (set)

Maestra ti voglio bene

Maestra ti voglio bene

di Umberto Tenuta

 

Maestra, voglio dirti una cosa, una cosa importante per me.

Voglio dirti: Maestra, ti voglio bene!

Maestra, ti voglio bene, ti voglio un sacco di bene!

Ti voglio un sacco di bene, perché la mattina arrivi sempre con la gioia sul volto tuo bello, con la gioia che ti esce dagli occhi tuoi verdi.

Ti voglio bene, ti voglio un sacco di bene, perché la mattina ci saluti ad uno ad uno, chiamandoci per nome come fai coi figli tuoi.

Ti voglio bene, perché la mattina non sali subito sulla pedana e non ti siedi severa dietro la cattedra, ma resti con noi, in mezzo a noi, e ci domandi ad uno ad uno che cosa vogliamo fare, quale avventura vogliamo correre con la nostra sfrenata fantasia.

Ti voglio bene, perché raccogli tutte le nostre domande, e non privilegi nessuno, ma tutti ci fai sentire importanti, importanti per te.

Maestra, ti voglio bene, perché non dai mai risposte alle nostre domande, ma ci inviti a ripercorrere il lungo cammino degli uomini che si sono poste le stesse domande e si sono impegnati a trovarle, scoprirle, approfondirle sempre più.

Ti voglio bene, perché non ci mortifichi con le tue risposte ma sai aspettare che le risposte le troviamo noi.

Ti voglio bene, perché ci metti subito a disposizione tutti gli strumenti utili a trovare le risposte, strumenti che trovi nel ripostiglio di casa tua, nel ripostiglio della nostra scuola, nelle nostre tasche, invitandoci a portare a scuola tutto quello che la sera precedente la mamma vorrebbe gettare nella spazzatura e che invece viene a riempire il grande laboratorio della scuola.

Maestra, noi tutti ti vogliamo bene, perché non ci costringi a stare ore ed ore in profondo silenzio nei banchi, ma ci fai sedere a gruppi intorno a tavoli che somigliano a quelli intorno ai quali i nostri papà la sera si ritrovano al bar con gli amici.

Ti voglio bene, perché non privilegi nessuno di noi e ci lasci sempre scegliere chi deve coordinare il gruppo, a condizione che ci alterniamo in questo compito.

Ti voglio bene, perché ci dai solo alcuni orientamenti di massima sul lavoro di ricerca che dobbiamo fare noi, tutti assieme, coi contributi di ciascuno di noi.

Ti voglio bene, perché alla fine della ricerca i coordinatori dei gruppi si ritrovano per confrontare e sintetizzare i risultati delle nostre ricerche.

Ti voglio bene, perché alla fine, solo alla fine, tu prendi in mano i risultati delle nostre scoperte e li sintetizzi così bene che ciascuno di noi pensa che tu dici quello che noi abbiamo detto.

Ti voglio bere, perché tu non solo consenti ma anche ci solleciti a registrare e videoregistrare tutto quello che vogliamo con i nostri tablet e  smartphone che ormai ciascuno di noi si porta nelle cartelle al posto dei voluminosi libri di storia, geografia, scienze, italiano…

Ti voglio bene ancora, perché non ci fai annoiare con le scialbe pagine dei nostri libri di lettura ma ci fai leggere, quando ne abbiamo voglia e senza alcuna costrizione, le fiabe più belle, da Andersen a Perrault, a Collodi, a Rodari…

Susanna ti vuole bene, perché non ci obblighi a imparare a memoria le poesie ma ci leggi e ci fai leggere le poesie più belle, lasciando poi a noi la libertà di impararle a memoria, come facciamo con le canzoni ascoltate alla televisione.

Norberto ti vuole bene perchè non ci fai eseguire pagine e pagine di operazioni che per noi non hanno alcun significato, ma ci fai comprendere che cosa significano i simboli + − : x anche ricorrendo a quella storia fantasiosa degli Insiemi che sono il nostro gioco di entrare ed uscire dai cerchi di corda colorata che tu chiami Diagrammi di VENN.

E Roberta ti vuole bene perché non ci fai imparare la Geografia sul sussidiario ma sulle pareti dei palazzi che si trovano vicino alla scuola: là troviamo Rettangoli e Quadrati, Rombi e Trapezi, e ancora ancora Triangoli e Cerchi

La mia compagna Adele ti vuole bene perché ci fai giocare a creare le simmetrie coi fogli di carta, con le tempere e con gli acquerelli sui fogli colorati, e con quello strumento che i nostri babbi ci hanno costruito e che tu chiami GEOPIANO.

Maestra noi, tutti tuoi studenti, piccoli filosofi, e non più  scolari, ti vogliamo bene.

Anche Sandra ti vuole bene, perché ci fai raccontare e illustrare la storia della nostra breve vita, a cominciare da quando la mamma ci portava in giro nel suo pancione.

Filippo ti vuole bene, perché ci fai andare in giro per il nostro paese a scoprire case vecchie vecchie vecchie, che più vecchie non si può, e i nostri genitori ci hanno raccontato che lì abitavano i loro nonni, i nonni dei loro nonni…

Alberta invece ti vuole bene perché ci fai correre per monti e per valli, per fiumi e per mari, per cieli lontani e per mari abissali.

Giuseppe ti vuole bene perchè ci fai dipingere come i veri pittori, con tempere, carboncini, gessetti, pastelli, con le dita sui tablet…Tu sai, Maestra, quanti bei capolavori ogni settimana noi fissiamo sulle grandi tavole appese alle pareti per fare bella la nostra aula che per noi è una casa.

Assunta, poi, ti vuole bene perché non ci fai studiare la grammatica sul libro ma andando alla ricerca, magari sui tablet, delle parole che restano sempre uguali e che tu chiami parole invariabili, e delle parole che invece cambiano le lettere finali A in E, O in I… e ci fai cercare poi anche le parole che si sposano (tu dici coniugano!) con la O, la I, la A, e con IAMO, ATE, ANO.

Alberta ti vuole bene perché ci fai correre per monti e per valli, per fiumi e laghi, per terre lontane e vicine; perché ci fai costruire un monte di sabbia e di argilla sul quale versiamo bottiglie di acqua che scompaiono per poi riapparire come sorgenti di acqua pura.

Maestra, non dico poi quanto ti vuole bene Angela per la musica che accompagna sempre e in un sottofondo leggero le nostre attività e perchè ci fai apprendere a suonare il flauto dolce che noi preferiamo ad ogni altro strumento, dopo i coperchi, i barattoli, i fischietti…

E tutti, poi, o nostra maestra, ti vogliamo bene perché tu ci somigli tanto, sempre a giocare con noi, bambina piccola, la più grande bambina che noi abbiamo mai conosciuto e che somiglia tanto alla mamma nostra.

 

Maestra, solo un giorno, noi non ti vogliamo bene!

Il sabato.

Quando la campanella della scuola suona a mortuorio e noi dobbiamo andare via, sapendo che la domenica non possiamo venire scuola.

 

NB

Maestre  e  nomi sono personaggi di pura fantasia, ma il mio augurio è che in essi si ritrovino tutti gli studenti delle nostre amate scuole e tutti i maestri che ogni giorno vivono la festosa gioia di conoscere e di apprendere di tutti i giovani che nelle aule delle nostre scuole vivono la meravigliosa avventura della loro nascita alla condizione umana, la più grande avventura delle donne e degli uomini di tutti i tempi, grandi e piccini che essi siano.

 

Sugli scatti, tutti vincitori; sui precari, nessuna battaglia!

“Sugli scatti, tutti vincitori; sui precari, nessuna battaglia!”
“PD e Confederali “scattano” sugli scatti e mandano i diritti dei precari… in ferie!”

Il ritiro del surreale e umiliante provvedimento del governo (cioè del MEF) relativo al recupero “in comode rate mensili” degli scatti stipendiali già legittimamente erogati ai docenti di ruolo, ha generato trionfalismi ridicoli da parte del PD e dei sindacati confederali, CGIL, CISL e UIL, che si sono contesi il merito di aver salvaguardato interessi e dignità dei docenti, una categoria da anni diffamata (concorsone-truffa), sfruttata (proposta di aumento unilaterale dell’orario di lavoro a 24 ore), depauperata (tagli, dimensionamenti e blocco degli stipendi) e vessata (valutazione INVALSI, imposta da Confindustria).
I docenti precari ritengono offensivi, stucchevoli e paradossali i toni di esultanza assunti dalle succitate forze politiche e sindacali, che hanno favorito ovvero non hanno per nulla osteggiato, finora, i ripetuti tentativi di liquidare la Scuola pubblica profilata dalla Costituzione, e trovano gravissimo che il tentativo di mettere le mani in tasca ai docenti sia stato comunque ritenuto plausibile e verosimile, perché ciò denota profondo disprezzo per gli insegnanti e per la Scuola, evidentemente percepita come comparto “sacrificabile”.

Chi grida alla vittoria conosce bene il percorso di lotta che i docenti precari hanno intrapreso fin dalla controriforma Gelmini, mettendo in campo azioni di protesta ben più incisive e drammatiche dell’estemporanea petizione online che avrebbe, secondo i promotori, persuaso il governo a dare dietro-front sul furto degli scatti. Non solo! Chi esprime soddisfazione per lo scippo momentaneamente scongiurato sa benissimo che ai precari è stato tolto molto di più: i 130.000 supplenti e incaricati assunti a settembre e licenziati a giugno da anni, infatti – in spregio alle direttive dell’UE, che ha messo in mora l’Italia per l’inaccettabile permanentizzazione del precariato -, non avranno più diritto alla monetizzazione delle ferie non godute (1000 euro all’anno circa), in base al decreto legge n. 95/2012 convertito in legge 135/2012 e alla nota MEF n. 72696 del 4 settembre 2013.
Tale provvedimento, per di più, è stato esteso retroattivamente anche all’anno 2012/2013, il che determina un’ulteriore e gravissima sperequazione di trattamento tra docenti di ruolo e precari, per i quali dovrebbero valere le stesse norme contrattuali e le stesse tutele. Come mai nessuno dei rampanti nuovi esponenti dei partiti e sindacati che avocano a sé la recente vittoria relativa agli scatti ha ritenuto opportuno far circolare petizioni o denunciare questo sconcio furto silenzioso e negletto, ordito ai danni di personale già penalizzato dalla mancanza di posti, di continuità didattica e di prospettive?

Sospettiamo e temiamo che questi “blitz” abbiano lo scopo di intimidire i docenti per facilitare l’accettazione di un nuovo contratto peggiorativo, ovvero per zittire ogni reazione critica alla politica neoliberista che sta sfasciando e snaturando la Scuola. Per questo i precari si riuniranno a Roma il 19 gennaio prossimo. E’ tempo di dire “basta” ai ricatti e ai finti dilettantismi; è tempo di tornare a parlare di diritti inalienabili dei lavoratori, e di riprenderci una Scuola che mai come in questi anni in cui parole d’ordine quali “merito” e “valutazione” hanno tenuto banco, è stata screditata e svalutata.

PRECARI UNITI CONTRO I TAGLI

13/01/2014 – Asse II – Obiettivo/Azione H.2 – Prosecuzione delle attività formative in Puglia, Sicilia e apertura iscrizioni sul sistema informativo

Oggetto: Asse II – Obiettivo/Azione H.2 “Percorsi di formazione sulle procedure di acquisto della PA in ottemperanza alle direttive europee e comunque finalizzate a promuovere la trasparenza dell’azione amministrativa e la legalità” – Progetto “Sviluppo delle competenze dei dirigenti scolastici e dei DSGA nella programmazione e gestione di attività e progetti: formazione e social networking” nelle Regioni Obiettivo Convergenza. Prosecuzione delle attività formative in Puglia,  Sicilia e apertura iscrizioni sul sistema informativo.

Nota prot. 107 dell’8 gennaio 2014

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 9

Gazzetta Ufficiale

Sommario

DECRETI PRESIDENZIALI

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 21 ottobre 2013


Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1º
ottobre 2012, recante: «Ordinamento delle strutture generali della
Presidenza del Consiglio dei ministri». (14A00047)

 

 

Pag. 1

 

 

DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI

MINISTERO DELLA SALUTE

 


DECRETO 16 dicembre 2013


Sostituzione del decreto 4 dicembre 2012, contenente l’elenco delle
aziende zootecniche o gli impianti di allevamento autorizzate ad
acquistare prodotti intermedi, per esclusivo consumo aziendale.
(14A00084)

 

 

Pag. 3

 

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

 


DECRETO 27 dicembre 2013


Modifica parziale del decreto 29 dicembre 2005, in materia di
imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte aeree minori
della Sardegna. (14A00083)

 

 

Pag. 44

 

 

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

 


DECRETO 27 dicembre 2013


Approvazione delle condizioni di ammissibilita’ e delle disposizioni
di carattere generale per l’amministrazione del Fondo di garanzia per
le piccole e medie imprese, di cui all’articolo 2, comma 100, lettera
a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e all’articolo 15 della
legge 266/97 a seguito dell’istituzione della Sezione speciale
«Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari
opportunita’». (14A00046)

 

 

Pag. 45

 

 

ESTRATTI, SUNTI E COMUNICATI

MINISTERO DELL’INTERNO

 


COMUNICATO


Comunicato relativo al provvedimento concernente l’ente locale in
condizione di dissesto finanziario – comune di Turrivalignani.
(14A00118)

 

 

Pag. 48

 

 

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo del giorno 2
gennaio 2014 (14A00119)

 

 

Pag. 48

 

 

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo del giorno 3
gennaio 2014 (14A00120)

 

 

Pag. 48

 

 

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo del giorno 6
gennaio 2014 (14A00121)

 

 

Pag. 49

 

 

 


COMUNICATO


Cambi di riferimento rilevati a titolo indicativo del giorno 7
gennaio 2014 (14A00122)

 

 

Pag. 49

 

 

SUPPLEMENTI ORDINARI

 


LEGGE 27 dicembre 2013, n. 147


Ripubblicazione del testo della legge 27 dicembre 2013, n. 147,
recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita’ 2014).», corredato delle
relative note. (Legge pubblicata nel Supplemento ordinario n. 87 alla
Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013). (14A00107)

 

(Suppl. Ordinario n. 4)