Docente che innamora

DOCENTE CHE INNAMORA

di Umberto Tenuta

Innamorare è il primo e più importante obiettivo del docente!
«Se il nostro pensiero e le nostre parole
debbono muovere l’attività del discepolo,
bisogna che qualcosa di vivo che è in noi
passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco
ad accendere altro fuoco» (F. Enriques)

Mi chiede la docente:
Qual è il primo obiettivo da perseguire e conseguire nelle scuole di ogni ordine e grado? 
La domanda me l’aspettavo da una docente così intelligente e colta e bella! 
Ma la risposta mi è venuta spontanea, ed ho messo da parte tutti i riferimenti alle Indicazioni programmatiche ministeriali. 
Signora docente, il primo obiettivo, l’obiettivo primo da coltivare nel cuore dei giovani, di qualsiasi età, di qualsiasi scuola, di qualsiasi disciplina, il primo obiettivo è l’amore della disciplina. 
Omnia vicit amore!
Tutto può l’amore, tutte le difficoltà vince l’amore, in tutti i campi dell’umano operare. 
È l’amore che a Gesù di Nazaret ha fatto conquistare il cuore degli uomini di tutte le terre di tutte le genti di tutti i tempi.
È l’amore della conoscenza che ha portato Prometeo a rubare il fuoco agli dei ed a regalarlo agli amici fratelli. 
E l’amore di andare all’Oriente per le vie dell’Occidente che ha portato Colombo a scoprire le Americhe!
È l’amore di Beatrice che ha dato a Dante la forza di scrivere i cento Canti della Divina Commedia. 
È l’Amore che muove il cielo e l’altre stelle… 
Mi fermo qui.
Ognuno si raccolga in sé e scopra quello che l’amore gli ha consentito di fare!
Scopra dove l’amore lo ha portato!
E, d’altra parte, che fa Gian Giacomo Rousseau?
Fa nascere in Emilio l’amore della lettura, e poi d’altro non si preoccupa, perché d’altro non si occupa un grande pedagogista. 
Fa nascere in Emilio l’amore dell’orientamento, e poi non si preoccupa di spiegare la calamita, il Polo Nord, il polo Sud.
Mi diranno i docentii delle diverse discipline:
−Come facciamo a far nascere l’amore per la Matematica, una disciplina che anche i principi del foro disdegnano?
Per carità, non cominciate dalla filastrocca dei numeri!
Non cominciate dalla tavola pitagorica!
Cominciate a incantare i vostri studenti alla bellezza della simmetria delle braccia, degli occhi, delle gambe, delle orecchie.
Bellezza delle simmetrie dei petali dei fiori, delle corolle, dei calici…!
Bellezza della fillotassi!
Bellezza dal ritmo di un canto…!
Bellezza del ritmo dei numeri!
Bellezza del numero che l’universo governa e lo fa essere cosmos! 
Cominciate a incantare i vostri studenti della bellezza delle quantità, delle misure, delle forme!
Ma come si fa a innamorare i giovani, così distratti da tanti giochi oggi nelle loro mani? 
Fate come Giangiacomo!
Fate come Roberto Benigni!
Ma come si fa a innamorare i giovani della scrittura?
Fateli giocare a comunicare i loro pensieri a persone lontane, ad esprimere i loro sentimenti alle persone amate, come faceva Freinet.
Ma come si fa…?
No, non vi faccio questo torto!
Vi dico una sola cosa.
Se un docente ha studiato una determinata disciplina al posto di un’altra, ciò significa che egli quella disciplina amava. 
E, allora, non c’è problema!
Il fuoco che vi divora dentro incendia i vostri allievi. 
Certamente nella scuola non c’è posto per i mestieranti, per i pedanti, per i forzati della cultura, pardon, dell’erudizione. 
I docenti debbono essere primieramente  uomini di cultura, poeti, matematici, storici, geografi, scienziati, musicisti, pittori!
Certamente assieme all’amore dei saperi occorre anche l’arte educativa, e l’arte educativa è invenzione, fantasia, immaginazione, ma anche scienza psicologica, sociologica, pedagogica, metodologica, didattica, tecnologica, anche digitale al giorno d’oggi. 
Chi tale non è, abbandoni questo mestiere che non fa per lui e produce solo danni, danni irreparabili, danni alle vite umane, morti di anime, di cuori, di giovani. 
Dopo l’amore materno (e paterno, anche) viene l’amore delle docenti e dei docenti, amore che non è fatto solo di parole, ma di segni del cuore e della mente, amore che crea l’atmosfera della gioia di vivere, di imparare, di diventare uomini forti, uomini capaci, uomini virtuosi.
Questo amore grande che ogni docente si porta nel cuore e testimonia in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni suo sguardo al mondo che lo circonda, contagia i propri studenti e ne rafforza l’innato bisogno di alimentarsi alle fonti della cultura che gli uomini hanno creato e che gli uomini crea.

Amore e non odio nella scuola

AMORE E NON ODIO NELLA SCUOLA

di Umberto Tenuta

Lo studio, dal latino studium −nell’accezione di amore− è diventato odio, avversione, pena, sofferenza, lacrime, dolore, morte, morte di umanità, mortalità scolastica.
Per fortuna, non in tutte le scuole!
Ma se c’è, come c’è, una sola scuola nella quale un solo giovane la vive così, allora bisogna mobilitarsi, mettere in mare le scialuppe, le torpediniere, gli aerei da ricognizione, i satelliti, perché un solo giovane è un uomo, è un valore, un valore infinito, un valore che eguaglia quello di tutto il popolo italiano, di tutto il popolo dell’Europa, di tutto il popolo del mondo.
Questo appello non è nuovo, è stata lanciato più volte prima di me, da voci più autorevoli, come quella di Don Milani e di altri Grandi che i giovani amavano.
Il problema di questi giovani, per questi giovani è che lo studio è diventato dolore, sofferenza, lacrime, morte della voglia di formarsi, di crescere, di diventare adulti, uomini, uomini grandi.
Lo studio è diventato l’opposto dalla sua natura, del suo significato, che era amore, amore di alimentarsi, di nutrirsi, di crescere, di diventare adulti, uomini, uomini, qual era il loro destino di figli di donna.
Per questi giovani lo studio è vissuto come obbligo, come pena, come sofferenza, come cosa odiosa.
Ascoltano la lezione, sì, ancora la lezione, anche se con le LIM, ma sempre lezione di un docente che parla ad una scolaresca, non a venticinque persone, non a venticinque esseri umani, l’uno diverso dall’altro, ma tutti annullati nell’astratta scolaresca che, come tutti i nomi comuni, non esiste, così come non esisteva l’uomo che Diogene cercava.
Ebbene, il docente spiega alla scolaresca, alla scolaresca che non esiste, che non è presente in aula, mentre Paolo, Francesca, Emilia, Salvatore, Camilla…… non ascoltano nulla, perchè il docente non parla la loro lingua ma quella della scolaresca che non è presente, che non esiste da nessuna parte, così come non esiste da nessuna parte la sedia, la maestra, la cattedra, la strada, l’automobile…ma esiste questa sedia qua, foderata di raso rosso, questa cattedra qui, di mogano, alta novanta centimetri…
E, senza poter ascoltare un lingua a loro comprensibile, Paolo, Francesca, Rosina.. soffrono la pena di stare seduti nei banchi, in silenzio, immobili, perinde ac cadaver…
Ci rendiamo conto di questa mortalità, di queste morti, morte del cuore, morte dell’anima, morte dell’umanità di ogni figlio di donna, di ogni cucciolo di uomo?
Che cosa facciamo noi padri, noi madri, dinanzi alle sofferenze, ai pianti di morte nel cuore di questo giovane, di questi giovani?
Stiamo zitti?
Non possiamo stare zitti!
Non possiamo stare zitti!
Non possiamo stare zitti!

Dobbiamo gridare forte il nostro SOS.
Il SOS per la scuola, perché in essa non ci sia più morte, non ci siano più morti, nemmeno di un solo giovane!
Nemmeno di una sola dimensione storica, geografica, scientifico linguistica, matematica, poetica, musicale, artistica… di un singolo studente.
Dobbiamo scrivere sui portoni delle scuole tutte, materne, primarie e secondarie della Repubblica Democratica Italiana

IN
QUESTA SCUOLA
REGNA AMORE

Il nuovo apprendistato senza formazione

da l’Unità

Il nuovo apprendistato senza formazione

c’è da chiedersi se quanti hanno a cuore, non solo a parole, la formazione come punto centrale dei programmi politici possono accettare la riduzione dell’apprendistato a un contratto senza componente formativa accertata

Paolo Inghilesi – ex responsabile della formazione lavoro Cgil nazionale

ABBIAMO VISTO DI RECENTE IN TELEVISIONE IL PRESIDENTE MATTEO RENZI DICHIARARE AD ANGELA MERKEL IL SUO APPREZZAMENTO PER IL SISTEMA DUALE TEDESCO DI FORMAZIONE E LAVORO. Qualche giorno prima il ministro del Lavoro Poletti ha annunciato l’ennesima riforma dell’apprendistato che toglie alle aziende l’obbligo del piano formativo individuale e della formazione trasversale, cioè sulle competenze culturali e informatiche, finora programmata e erogata dalle Regioni. Così viene portato a compimento lo smantellamento della valenza formativa dell’apprendistato, affidata solo alla buona volontà della aziende senza nessun controllo, a fronte peraltro di forti sgravi contributivi che dovrebbero essere giustificati dall’attività formativa stessa. In Germania il sistema duale si basa invece per l’apprendistato sull’alternanza tra il momento del lavoro e quello della formazione che si svolge sia in azienda sia all’esterno presso la scuola e i centri di formazione professionale, con quantità consistenti di ore di formazione certificate. Su questo modello fu fatta la legge Treu del ’96 che prevedeva per gli apprendisti l’intreccio fra formazione interna all’impresa e quella esterna quantificata in un monte ore e certificata, alla cui realizzazione erano condizionati gli sgravi contributivi. I successivi governi di centrodestra, sotto la spinta di associazioni imprenditoriali miopi attente solo agli sgravi contributivi e noncuranti della formazione, cancellarono in buona parte gli obblighi formativi previsti dalla legge Treu, in particolare per la formazione esterna, fino a ridurli al piano formativo individuale aziendale e a poca formazione esterna sulle competenze trasversali. Oggi l’annunciato decreto legge Poletti toglie anche questi ultimi impegni formativi, in nome di una presunta semplificazione delle procedure amministrative che in realtà comporta una completa distruzione della componente formativa dell’apprendistato. Naturalmente il paragone con il sistema duale tedesco a questo punto è una mistificazione. Tutto ciò si tradurrà in ulteriore perdita di qualità professionale e di produttività della forza lavoro, privata di quella formazione in giovane età che è decisiva per lo sviluppo professionale e che in Germania è considerata come un bene prezioso sia per la competitività delle imprese che per la qualità dei lavoratori. Ma si potranno avere, come prevedono i giuristi, ad esempio Luigi Mariucci in un recente lucido intervento su l’Unità, anche effetti pericolosi sugli sgravi contributivi che in mancanza di formazione certificata per l’occupabilità rischiano di essere annullati dalla Corte di giustizia Europea, come avvenne per i contratti di formazione lavoro. A questo punto c’è da chiedersi se quanti hanno a cuore, non solo a parole, la formazione come punto centrale dei programmi politici (parlamentari, amministratori regionali, forze sociali e in primis lo stesso Renzi che pure ha messo al centro dei suoi progetti questo tema) possono accettare la riduzione dell’apprendistato a un contratto senza componente formativa accertata contro la tendenza dei maggiori Paesi europei, a partire dalla Germania, a rafforzarlo come contratto a finalità formativa importante per l’occupabilità e per la qualità professionale dei giovani.  ​

Un bimbo Down è anche felicità

da Tecnica della Scuola

Un bimbo Down è anche felicità
di Alessandro Giuliani
Nella giornata mondiale della ‘trisomia 21’ spopola un video davvero toccante realizzato dal coordinamento nazionale delle associazioni che si occupano di questo tema: lo vedono quasi 4 milioni di persone. Parte da una lettera scritta da una futura mamma: scopre che il bimbo che aspetta sarà Down e si chiede che tipo di vita potrà avere. Le rispondono con tutta la loro spontaneità 15 ragazzi di tutto il mondo: gli spiegano che la vita del figlio potrà essere come le altre. E soprattutto felice. Perché le persone colpite da questa ‘condizione genetica’ possono lavorare, viaggiare, andare a scuola.
La sindrome di Down non è una malattia, ma una ‘condizione genetica’: la trisomia 21. Tanto è vero che chi la porta nel sangue può comunque quasi sempre lavorare, viaggiare, andare a a scuola, e in definitiva essere felice. Come le loro famiglie. È stato questo il messaggio principale della giornata mondiale dedicata a questa condizione, che si è celebrata in tutta Italia il 21 marzo.
A renderla la giornata ricca di interesse è stato un video davvero toccante prodotto per Youtube dal coordinamento nazionale delle associazioni che si occupano di questo tema: è stato intitolato “DearFutureMom” e da tre giorni è ormai il più condiviso del web. Con quasi 4 milioni di visualizzazioni. È come se fosse andato in onda in prima serata nelle reti Rai o Mediaset. Ne ha parlato anche il presidente del consiglio Matteo Renzi, che lo ha citato in un tweet.
Il video, diretto da Luca Lucini, parte da una lettera effettivamente ricevuta dall’associazione, in cui una futura mamma che scopre che il bimbo che aspetta sarà Down si chiede che tipo di vita potrà avere. La risposta è affidata a 15 ragazze e ragazzi con la sindrome da tutto il mondo, che spiegano, nella loro lingua madre e con tutta la loro spontaneità, che la vita del figlio potrà essere come le altre. E soprattutto felice. Perché le persone Down possono lavorare, viaggiare, andare a scuola.
”Siamo molto contenti del successo del video, che per noi ha un significato particolare – spiega il presidente di CoorDown Sergio Silvestre -. Il messaggio che volevamo mandare parla a tutti, indipendentemente dalle culture e dalle opinioni personali, e sfata molti luoghi comuni ancora esistenti sulle possibilità delle persone con la sindrome. Non ha caso è già stato visto da più di 2,5 milioni di persone”. In Italia secondo Superabile, il portale Inail sulla disabilità, sono 38mila le persone con la sindrome, il 61% delle quali ha più di 25 anni. Se le loro condizioni di vita e di salute sono molto migliorate, come testimonia l’aspettativa di vita ormai sopra i 62 anni, ancora molto c’è da fare, soprattutto sotto il profilo del lavoro.
”L’Italia ha le migliori leggi al mondo sulla disabilità, che tutti ci hanno copiato, solo che non le applica – spiega Silvestre -. Questo porta a un tasso di disoccupazione del 72%, che sale all’88% se c’è qualche disabilità intellettiva. Questo è scandaloso, perchè si tratta di persone che potrebbero fare molti lavori, molte sono diplomate e qualcuna si sta anche laureando, una cosa che si pensava impossibile fino a pochi anni fa”. Qualche piccolo segnale positivo c’è, sottolinea Silvestre, come l’iniziativa di Geox che ha trasformato 40 disabili in designer di moda o la trasmissione di Rai3 ‘Hotelseistelle’ che mostra sei persone con la sindrome alle prese con uno stage in un grande albergo, ma servono più sforzi. ”E’ importante investire sull’autonomia di questi ragazzi – sottolinea – perchè oltre a migliorare la loro vita porterà anche a risparmi sotto il profilo dell’assistenza”.
Altro tema del World Down Syndrome Day, organizzato dalle associazioni di tutto il mondo con il patrocinio dell’Oms, è quello dell’accesso alla salute, che vuole sottolineare come ”le persone con la sindrome di Down hanno il diritto all’accesso ai servizi sanitari senza discriminazioni e con una appropriata valutazione delle proprie necessità specifiche”. Nel mondo, affermano alcune stime dell’Oms, ci sono 5,8 milioni di persone Down, con un’incidenza di circa uno ogni mille nati. L’aspettativa di vita ai primi del ‘900 era di meno di 10 anni, mentre ora è sopra i 50 anni. Se non proprio come le altre, poco ci manca…

Stato giuridico dei docenti: ruffiani, carrieristi e sfigati?

da Tecnica della Scuola

Stato giuridico dei docenti: ruffiani, carrieristi e sfigati?
di Lucio Ficara
Il ministro Giannini parla di carriera basata sul merito e di valutazione affidata ai dirigenti scolastici. I rischi sono più di uno.
Non sono troppo lontani i tempi in cui magistralmente Leonardo Sciascia, nel romanzo ”Il giorno della civetta”, suddivideva  l’umanità in cinque categorie: uomini,  mezzi uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. Le cinque categorie ideali create dal saggista siciliano, rompevano quella insostenibile idea di egualitarismo, che vedeva tutti gli uomini uguali difronte allo Stato e alle leggi. La cruda e dura realtà è che gli uomini non sono tutti uguali e non hanno tutti le stesse opportunità, e di conseguenza  il tentativo di rendere tutti gli uomini uguali è qualcosa di insopportabile, soprattutto nella nostra attuale società, concentrata sull’opulenza, sulla voglia di potere e sul desiderio di possedere tutto. Una società di questo tipo non può accettare che, nel campo dell’educazione e della formazione, possa esistere una forma di egualitarismo che garantisca diritti, giuridici ed economici, uguali per tutti e che educhi al rispetto giuridico delle persone. Gli insegnanti, per l’attuale responsabile del Ministero dell’istruzione, non sono tutti uguali e quindi non possono avere un contratto unico che li inquadri allo stesso modo. Per il ministro dell’istruzione Stefania Giannini bisogna marcare le differenze e creare delle categorie di appartenenza in cui inquadrare gli insegnanti. Secondo il responsabile del Miur, bisognerebbe  premiare i docenti più capaci, disponibili e preparati. In buona sostanza la ministra Giannini sostiene che i dirigenti scolastici dovrebbero avere l’autonomia per premiare i docenti che ritengono più meritevoli e di conseguenza dovrebbero assumersi la responsabilità delle loro scelte.  Ma siamo certi che il nostro sistema scolastico sia governato da dirigenti scolastici immuni dalla deficienza di incappare nella scelta sbagliata e scellerata di premiare gli amici di turno? È parere diffuso tra i docenti che all’interno delle scuole pubbliche italiane esiste molto clientelismo e che alcuni docenti sgomitano per entrare nelle grazie del proprio preside. Una delle cose più evidenti è quella che quando cambia il preside in una scuola, cambiano anche i rapporti fiduciari e quindi anche gli equilibri interne di potere. È questo sarebbe il merito tanto sbandierato dal governo Renzi? Per alcuni insegnanti questo non sarebbe per nulla un sistema da considerare effettivamente meritocratico, ma piuttosto sarebbe il modo per fare proliferare i ruffiani, i carrieristi di mestiere, che prevarrebbero per indole e disponibilità sui più discreti insegnanti sfigati. Quindi si profila all’orizzonte il tramonto di quell’egualitarismo di carriera, voluto, secondo il parere della ministra Giannini, dai sindacati scuola, mentre dovrebbe  nascere un nuovo stato giuridico degli insegnanti dove emergerà qualcuno  particolarmente meritevole, mentre gli altri resteranno a guardare. Il ministro parla anche di punire chi non è meritevole, auspicando che i DS usino  il bastone con chi non fa il proprio  dovere ed invece la carota con chi risulta essere bravo. Il timore di molti è che questo meccanismo potrebbe innescare meccanismi perversi di clientelismo che vedrebbero come utilizzatore finale  proprio il dirigente scolastico. Se Leonardo Sciascia fosse vivo e potesse parlare, siamo certi che suddividerebbe questo nuovo stato giuridico degli insegnanti, auspicato dal Miur, in tre squallide fasce: “i ruffiani”, “i carrieristi” ed infine gli “sfigati”. A fare una sicura carriera saranno certamente i primi che affiancheranno il dirigente in ogni sua volontà, i secondi cercheranno di fare carriera e magari alcuni di loro, per ostinazione e costanza, ci riusciranno anche, e per ultimo ci sono gli sfigati che continueranno a fare il lavoro vero dentro le classi, che purtroppo nessuno mai calcolerà.

Professori caput!

da Tecnica della Scuola

Professori caput!
di Aldo Domenico Ficara
L’imperativo per migliorare l’efficienza della scuola sembrerebbe quello di valutare la classe docente
Infatti, navigando nella rete si può incontrare una petizione dal titolo “valutiamo i professori“ dove si legge: “I professori valutano noi studenti e perché noi non dovremmo valutare i nostri professori? La mia proposta è chiara e semplice: ogni anno gli studenti dovranno compilare un questionario cartaceo o online anonimo nel quale esprimeranno per ogni docente un voto che va da 1 a 10. In base al risultato ottenuto il docente verrà penalizzato o premiato sui futuri concorsi. In questo modo gli alunni potranno valutare con efficacia il lavoro dei propri professori e servirà da stimolo per invitare i docenti ad un lavoro più proficuo“. Continuando a navigare su internet si arriva al sito Università.com in cui si scrive: “Ci sono professori diligenti, altri in gamba, altri sono dei veri e propri geni… ma ci sono anche gli imbecilli. E quanti di loro sanno insegnare? Quanti sono disponibili con gli studenti? Quanti sanno instaurare un rapporto umano? Gli studenti lo sanno! E chi meglio degli studenti può dare una valutazione dei professori? Non si potrebbero rilasciare degli anonimi questionari mensili per valutare la performance dei vari insegnanti? In questo modo anche loro potrebbero capire quali sono i loro punti deboli e dove dovrebbero migliorarsi. Magari queste valutazioni potranno anche lasciare il tempo che trovano e non cambiare di una virgola l’atteggiamento del professore, ma chi di dovere dovrebbe interessarsi della cosa! Se il preside si ritrova fra le mani dei rapporti mensili che testimoniano che il professore arriva sistematicamente in ritardo, non si prepara le lezioni, non ha rispetto per gli studenti… credete che se ne resti con le mani in mano o che si faccia sentire per migliorare la situazione? L’Università non è solo edifici, sapere e professori! Gli studenti sono la forza vitale dell’università e come tali devono avere voce in capitolo!”. Da quanto riportato, si potrebbe dire “professori caput!”, con caput inteso come l’adattamento italiano del termine tedesco kaputt, che tradotto letteralmente significa “rotto, spezzato, distrutto, finito”, ovvero una parola utilizzata per indicare uno stato di condizione estrema. Già, la condizione estrema di una categoria di lavoratori attaccata da ogni lato.

Il tempo, le parole, i bambini

Il tempo, le parole, i bambini

di Claudia Fanti

Sulla questione si sono già spese fiumi di parole. Eppure una in più non credo faccia male.
La mia percezione di maestra sul campo, mi fa dire oggi più di ieri, che il tempo dedicato alle parole con i bambini e le bambine oggi è ben speso. Le classi, lo sappiamo tutti, sono popolate di alunni di ogni paese, di bambini dai mille volti. Uno solo ne contiene almeno dieci che faticano a mostrarsi pienamente, che nascondono in tanti modi, dai più plateali come le ribellioni a quelli più segreti come le “timidezze”, vissuti e stati d’animo. La fragilità di cui sono portatori è conosciuta a ogni insegnante che osservi attentamente la composizione della classe e dei gruppi.

Ebbene, in ogni situazione io mi trovi a operare, sia nella mia classe sia in quella di altri quando vado a coprire i “buchi” delle assenze dei colleghi, mi accorgo del fascino irresistibile della parola e dei gesti che l’accompagnano.

La lettura, la drammatizzazione della stessa, le fermate sapienti sui punti nevralgici di una storia accattivante, attirano come calamite ognuno e ognuna, chiunque e qualunque sia la sua provenienza. Se poi si volesse aggiungere il sottofondo musicale, il top dell’ascolto è facilmente raggiunto.

Su ogni apprendimento e su ogni attività, la narrazione vince, fa strage di cuori e di menti. Ma…guai a disperdere il patrimonio di pensieri nuovi che nascono nelle menti. Alt! Ci si deve fermare a coltivare ogni accenno di dialogo, ogni appuntamento con una nuova idea che fuoriesce dalle minime osservazioni dei bambini/e. Gli occhi e gli orecchi sono puntati, le braccia si alzano, i turni faticano a essere rispettati, ma poi lo sono e le teste si protendono verso il compagno che parla.

Da questi momenti nascono gli apprendimenti efficaci, quelli che durano,  purchè si faccia attività di raccolta di dati, insieme con i bambini/e, nel momento successivo delle eleaborazioni personali e dei gruppi, lavorando su quanto scoperto: in modo concreto se la materia lo richiede, o astratto se la materia è una di quelle che prevedono la produzione scritta di fiabe, racconti, argomentazioni, schematizzazioni…

E anche nel momento della raccolta di dati e delle produzioni, la strategia di usare la parola per nominare, spiegare, esprimere dubbi, perplessità, opinioni, è essenziale. Diversamente cade l’attenzione, le produzioni divengono meccaniche, sciatte, e nulla rimane se non un vago ricordo.

Noi ci troviamo nella situazione di un navigante sulla zattera: se ci sbracciamo per chiedere aiuto a mezzi che navigano troppo lontani, nessuno ci ascolta e ci troviamo con le energie disperse inutilmente, se invece ci rannicchiamo a riposare, a pensare al modo in cui potremo sopravvivere  per poi alzare le braccia al passaggio di un mezzo più vicino, forse verremo uditi e salvati.

Le idee quando nascono, vanno lasciate esprimere ad ognuno/a, vanno lasciate riposare, utilizzate al tempo giusto, allora le salveremo e i bambini le ricorderanno per sempre.

La frenesia, l’attivismo continuo, gli scarti improvvisi tra un’attività e l’altra sembrano, per il loro essere dinamici, apprezzati, tuttavia se volessimo guardare con onestà i risultati sul lungo periodo ci accorgeremmo che essi hanno prodotto sovreccitazione, agitazione, iperproduzione e forse pure entusiasmo, ma si sono risolti in apprendimenti poco profondi e giustapposti senza collegamenti di valore, senza formazione di mappe interiori da poter riutilizzare in altri contesti e ambienti di apprendimento.

Spesso la strada che si imbocca ora con le migliori intenzioni è questa della iperproduzione, per cui si affollano, insieme con i pensieri, pagine e pagine, fotocopie di esercizi cosiddetti di consolidamento, compiti su compiti: questa iperproduzione  può essere consolatoria per gli adulti perché seda le loro ansie da prestazione, ma diviene dispersiva o, peggio, rischia di portare proprio alla cosiddetta dispersione di molti bambini/e che si rifugiano nelle loro ansie segrete create da prestazioni malriuscite, frettolosamente agite, le quali lasciano una traccia di inquietudine dovuta alla sensazione di non avere ben compreso il senso del lavoro svolto.

Proprio oggi, mentre la maggioranza delle esperienze dei bambini e delle bambine si basa sul visivo e su stimoli luminosi, chiassosi e vissuti in modo solitario, divengono coinvolgenti e straordinariamente efficaci modalità di insegnamento basate sulla parola, sul racconto, sullo stare insieme conversando in modo  corale. Le emozioni fluiscono, gli sguardi si incrociano, i corpi si protendono nello sforzo di comprendersi a vicenda.

Tutto ciò che è parola, musica, corpo, rappresentazione attraverso il disegno, espressione di sentimenti acquista un enorme fascino per le classi.

Di contro, tutto ciò che in qualche modo ripropone stimoli conosciuti anche all’esterno della situazione scolastica, alla lunga stanca, viene considerato routine, esclude alunni/e che presentano varie tipologie di disagio.

Se una cosa adorano bambini e bambine è il “perdere tempo” parlando con la maestra di sé, della propria famiglia, delle proprio esperienze, dei giochi e dei pupazzi che amano, dei loro sogni, la notte, proprio di quelli che li impauriscono o che li fanno sorridere. Sono poi attentissimi se si raccontano loro le storie “antiche” della propria vita, di quando la maestra era una bambina, se si recuperano informazioni sul loro passato e le si condividono con compagni e compagne. Non c’è bambino/a che non ami rievocare attraverso i racconti dei familiari le storie dei nonni, dei bisnonni…

Non ho poi mai visto nessuno/a di loro “stancarsi” dinanzi alla storia delle parole, all’  etimologia, ai significati che esse nascondono anche in ambiti diversi da quello della materia “italiano”: la storia dello zero, quella del pi greco, delle cifre, dei simboli…

I bambini e le bambine con i quali lavoriamo ora amano proprio settori della conoscenza che oggi sembrano non essere di moda: sfogliano volentieri i libri, si entusiasmano nell’ascolto della musica classica, si emozionano ascoltando e imparando i versi di una poesia, restano affascinati dai “suoni” delle parole “difficili”, delle rime; chiedono di essere guidati nel gesto grafico e nella bella scrittura, nei suoi riccioli e ghirigori. Domandano l’attenzione dell’insegnante alle loro conquiste culturali. Sono attratti dai dipinti, dai colori, dal pongo, da una pianticella che cresce, da un insetto trovato in giardino…

Le tecnologie li appassionano per un attimo, ma il loro amore incondizionato va sempre di più all’ascolto della voce umana che narra e del corpo che sperimenta con mani e piedi e pelle la natura e l’incontro dialogico con i compagni e le compagne.

La dispersione oggi si affronta con un amore sconfinato per il bambino/a intero, per le sue emozioni, per la sua psiche, per la sua personalità, per la sua singolarità, per la sua provenienza, per il suo desiderio di essere protagonista fra altri protagonisti degli apprendimenti, si affronta se gli si offrono strumenti linguistici per narrarsi e narrare il suo pensiero e le sue esperienze. Così tutto può imparare, tutto può affrontare.

Chiunque si occupi di governare la scuola dovrebbe muoversi con il garbo di un danzatore, in punta di piedi, dovrebbe immaginare, come fa un artista, spazi e tempi liberi in cui tutto è possibile, in cui non esiste misura, costrizione e proibizione; dovrebbe tutelare la libertà di insegnanti e alunni/e affinché possano essere padroni del tempo degli apprendimenti e dei contenuti senza lacci e laccioli. Oggi più che mai la libertà di sperimentare, agire, dialogare per ex-ducere andrebbe protetta da qualsiasi invasione di territorio da parte di agenti esterni. Purtroppo avviene il contrario e il prezzo che paga e pagherà la società sarà altissimo in termini di disamore verso il sapere.