Diritto alla vita

DIRITTO NON SOLO ALLA VITA VEGETALE NON SOLO ALLA VITA ANIMALE MA ALLA VITA UMANA

di Umberto Tenuta

Diritto, non solo alla vita vegetale, non solo alla vita animale, ma anche alla vita umana, alla cultura, alla cultura che ha fatto e che fa uomo l’uomo.

 

Diritto alla vita è il grido di Papa Francesco!

Diritto alla vita, diritto a nascere, diritto di venire alla luce del sole, diritto a succhiare il latte materno, diritto a respirare l’ossigeno della vita che nessuno può far mancare!

Ma questo non basta, Papa Francesco!

Non basta, e Tu lo sai.

Tu sai bene che Victor non è stato ucciso nel grembo materno.

Ma è stato ucciso abbandonandolo nella foresta ove i lupi di Francesco lo hanno allevato, lo hanno nutrito le lupe con il loro latte materno, lo hanno nutrito i lupi paterni con i cibi che la natura offriva nella foresta dell’Aveyron.

Ma, poi, Papa Francesco, Tu lo sai, Tu lo sai che ad undici anni non riuscì più a divenire un uomo, e morì.

Tu, Papa Francesco, lo sai, lo sai quanti giovani muoiono, muoiono di dolore ogni giorno, muoiono alla sete della cultura alla fine di ogni trimestre, muoiono alla fine dell’anno nella nostra scuola.

Muoiono perché nessuno sa dare loro il pane della vita umana, la cultura che solo fa uomini i figli di donna.

Tu sai, Papa Francesco, quanto è vasta la mortalità scolastica, soprattutto quella velata, quella nascosta, dei bambini rimandati, dei bambini bocciati, dei bambini respinti, respinti dalla scuola, respinti da quella che dovrebbe essere la loro seconda madre, la madre che i cuccioli dell’uomo alimenta, alleva, fa crescere in virtute e canoscenza, fa diventare uomini.

E Tu lo sai, Papa Francesco, Tu lo sai che la seconda morte dei giovani è la morte della loro volontà di alimentarsi, di bere il latte della cultura.

Svogliati, senza voglia di alimentarsi, senza desiderio di crescere, senza amore di vivere!

Come è possibile che la forza vitale, la forza divina della vita sia privilegio di una casta e non di tutto il popolo di Dio?

C’è qualcosa che non va!

C’è il diritto alla vita che viene negato ai poveri, sì, solo ai poveri.

Viene negato nelle famiglie dei poveri, viene negato nelle periferie cittadine, nella quale solo abitano i giovani quotidianamente mortificati, respinti.

Nei centri cittadini c’è solo la scuola dei ricchi che li abitano e che nel regno dei cieli non andranno prima di passare per la cruna di un ago.

Certo, il regno di Dio è dei poveri.

Ma Cristo non è venuto a predicare il regno di Dio anche sulla terra?

Don Milani è stato un Santo educatore, un Santo che ancora aspetta di essere santificato!

Ha fatto il miracolo dell’educazione dei poveri.

Chi è ha fatto cosa più grande?

Forse chi ha guarito gli sciancati, forse chi ha resuscitato i bimbi nati morti, forse chi ha dato la parola ai muti?

Certamente!

Ma di coloro che dalla scuola escono senza parola chi si occupa, chi si preoccupa?

Papa Francesco, Tu lo sai, la scuola è il grembo che fa uomini i figli di donna.

E sacerdotesse di Dio sono le maestre, e sacerdoti di Dio sono i maestri!

Una rivoluzione occorre fare, una rivoluzione cristiana, la rivoluzione dell’educazione, la rivoluzione che garantisca ad ogni figlio di donna il successo formativo, il diritto a divenire uomini.

È possibile questa rivoluzione?

Non importa se questa rivoluzione sia possibile, importa che è necessaria, è necessaria perchè questa società possa chiamarsi cristiana.

Ma questa rivoluzione è impossibile, diranno i ben pensanti!

Certo, è possibile solo per i figli dei ricchi, nessuno dei quali nella scuola è mortificato da uno zero tagliato, nessun è mortificato da una riparazione a settembre, nessun è mortificato da una bocciatura, nessuna è respinto, perché i figli dei ricchi non possono essere respinti.

Ma quello che è impossibile nella scuola dei ricchi è possibile nella suola di Cristo!

Papa Francesco, il mio primo grido miserello è il grido dei poverelli, il grido di chi non nasce da genitori ricchi di talenti −non certo da un Dio Giusto dati− ma nasce nelle case dei poveri.

Papa Francesco, dica una parola, una sola parola, perchè a tutti i figli di donna, poveri e ricchi, sia garantito il successo formativo, la piena formazione della loro personalità, l’educazione che li fa diventare uomini, figli di un Dio Grande e Giusto.

Quello che non è possibile presso gli uomini è possibile presso Dio!

Anche i figli dei poveri possono essere promossi, possono essere nutriti di cultura, possono divenire uomini grandi, grandi come Te no, ma un poco, solo un poco meno!

Ora mi dirai, Papa Francesco, ora mi chiederai cosa c’entro Io, che cosa posso fare Io, ditemelo ed io lo farò!

Papa Francesco, a Pasqua lo dica forte che Gesù è risorto perchè ai figli dei poveri sia garantito il diritto ad essere uomini grandi, sia garantito il diritto alla coltura, alla cultura che Iddio ha consentito agli uomini di creare del corso dei millenni come loro patrimonio più grande di cui eredi sono tutti i figli di donna, tutti i figli di donna, nessuno escluso.

Papa Francesco, una cosa Tu puoi fare, solo Tu puoi fare: chiamare i sacerdoti della cultura perché la distribuiscano a tutti i figli di Dio, nessuno escluso, nessuno respinto, nessuno rifiutato, nel regno degli uomini, come nel Regno dei Cieli.

Tu, Papa di Cristo, una osa grande stai facendo, la Ciesa Cristiana!

Ma Tu, Papa Cristiano, una cosa grande puoi fare, una Scuola Cristiana, una scuola nella quale a tutti i figli di donna viene garantito il diritto alla cultura, alla cultura che si riassume nella  parola, nella parola divina, nel Verbum.

Ministro Giannini a Meeting “Sui passi di Francesco”

Domani ministro Giannini a Meeting “Sui passi di Francesco”

Domani, lunedì 14 aprile, alle ore 11.00, il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini interverrà al Meeting nazionale “Sui passi di Francesco”, ad Assisi, presso il Sacro Convento di San Francesco.

L. Levi, La notte dell’oblio

Degli Ebrei sempre sospesi…

di Antonio Stanca

fotoLia Levi ha ottantatré anni, vive a Roma dove è giunta nel 1938, quando aveva sette anni, con la famiglia di origine ebrea. Era nata a Pisa nel 1931. A Roma ha studiato, si è laureata, si è sposata, ha avuto figli, ha svolto la sua attività di giornalista, sceneggiatrice, scrittrice. Per molti anni ha diretto “Shalom”, la rivista mensile degli Ebrei di Roma che lei ha fondato. Al 1994, quando era sessantenne, risale l’inizio della sua produzione narrativa. L’ha continuata fino a tempi recenti scrivendo anche libri per ragazzi e ottenendo numerosi riconoscimenti. Del 2012  è uno degli ultimi romanzi, La notte dell’oblio, che nel 2013 è stato ristampato dalla casa editrice E/O di Roma nella serie Tascabili (pp. 193, € 9,00). Anche qui ritorna quella che è sempre stata la sua maniera di scrivere, cioè “il racconto della storia”. La Levi tende a dire, nella sua narrativa, di quanto è successo agli Ebrei presenti in Italia durante la prima metà del Novecento, delle tristi situazioni che hanno vissuto dopo le leggi razziali del 1938 che limitavano la loro vita in ogni aspetto e preparavano quella che sarebbe stata una vera persecuzione. Erano state anche le situazioni vissute da lei fin da bambina, dalla sua famiglia e spesso queste si possono intravedere nei romanzi, spesso una nota autobiografica è da essi contenuta. Non è rimasta, però, la sua narrativa un semplice riflesso della realtà, non si è limitata ad una funzione di trascrizione, di riporto di vicende accadute dal momento che le ha sempre mostrate percorse, animate da idealità, aspirazioni diverse. Ha sempre avviato un confronto la Levi tra quanto avveniva e quanto si sarebbe voluto che avvenisse, tra rassegnazione e speranza, necessità del corpo e voci dell’anima, urgenza della realtà e richiami dell’idea. E’ stata la rappresentazione di questo confronto e del disagio che procurava a chi lo soffriva a far superare al suo “racconto della storia” quei limiti che lo avrebbero fatto rimanere una semplice cronaca. Era il disagio sofferto dagli Ebrei, da gente che viveva lontano da quanto era suo, che doveva adattarsi a circostanze nuove e quello avrebbe mosso la scrittura della Levi, l’avrebbe trasformata in un’indagine continua di pensieri e sentimenti. In qualunque posto siano giunti gli Ebrei hanno mostrato di volersi ritrovare, riunire. Così potevano continuare a praticare i loro usi, i loro costumi, coltivare la loro fede, salvare le loro cose dall’esterno che le minacciava. Questa condizione sospesa tra sé e gli altri ha voluto rendere la scrittrice con la sua opera, di essa ha voluto fare il suo motivo ricorrente.

Anche ne La notte dell’oblio la Levi dice di una famiglia ebrea, i genitori, Giacomo ed Elsa, e due ragazze adolescenti, Milena e Dora, che vivono nella Roma fascista, che hanno sofferto le privazioni iniziate con le leggi razziali e che ora, durante la seconda guerra mondiale, sono fuggiti, si sono nascosti in una canonica non molto distante dalla città. Questa è occupata dai tedeschi che, considerandosi traditi dagli alleati italiani, commettono ogni genere di efferatezza. Giacomo ha un negozio a Roma e col commesso continua ad avere rapporti anche per ricevere da lui quanto gli spetta delle entrate del negozio perché necessario al mantenimento della famiglia. Si reca, quindi, di nascosto ogni mese nella città per avere dal commesso la sua parte dei guadagni ma una volta viene scoperto dai tedeschi, arrestato e deportato. Di lui non si saprà più niente, la famiglia perderà il negozio che diventerà proprietà del commesso. Si sospetterà di questi. Alcuni parenti vorrebbero fare delle indagini ma Elsa li ferma perché è convinta che in tal modo si creerebbe in casa un’atmosfera di misteri, sospetti, paure, rivelazioni e che questa sarebbe dannosa per la crescita e la formazione delle figlie. Rinuncia, quindi, e fa rinunciare gli altri ad ogni tipo d’inchiesta e affronta il disagio economico che ne è conseguito iniziando a lavorare da sarta. Continuerà a farlo quando, liberata Roma dalla forze alleate, tornerà con le figlie nella loro casa romana. Si farà conoscere Elsa per il suo lavoro, sarà apprezzata, la sua diventerà una sartoria nota e grazie ai guadagni le ragazze potranno studiare. Dopo le scuole superiori Milena, la più bella, la più sicura di sé, si sposerà, contro i voleri della madre, con un uomo d’età avanzata e di condizioni agiate. Dopo pochi anni, però, dopo la fiammata iniziale il matrimonio naufragherà né servirà a salvarlo la nascita di un figlio. Dora, più timida, più schiva, più remissiva, continuerà a studiare, completerà gli studi universitari, inizierà a svolgere qualche lavoro ed infine s’innamorerà di Fabrizio, un ragazzo molto semplice, molto spontaneo. Col tempo penseranno di sposarsi ma la scoperta che Fabrizio era figlio di quel lontano commesso che aveva fatto arrestare Giacomo sconvolgerà Dora, l’intera famiglia e lo stesso Fabrizio. Cesserà ogni pensiero relativo al matrimonio, ne deriverà una situazione sospesa, indefinita e così si concluderà l’opera.

Ancora una volta le vicende vissute da una famiglia ebrea e da quanti, congiunti ed altri, le erano vicini nell’Italia del primo Novecento erano state dalla Levi narrate con il suo linguaggio semplice, chiaro, molto scorrevole, ancora una volta le aspirazioni di alcuni Ebrei erano venute a confrontarsi con una realtà ben diversa, erano state da questa sopraffatte. Non sarebbero, tuttavia, cambiate, identiche sarebbero rimaste poiché rispetto a quella realtà erano più forti, venivano da lontano, erano di gente antica, l’avevano sempre distinta e non avrebbero accettato di modificarsi pur a costo di far rimanere eternamente sospeso chi le nutriva.

Ministro Giannini, niente spending review per la scuola

da Il Fatto Quotidiano

Ministro Giannini, niente spending review per la scuola

di Marina Boscaino

Giannini si dichiara “stupita”. A lei non è stato “comunicato nulla di specifico” (e questo la dice lunga sui rapporti tra i membri del governo). Ma ancora più stupiti restiamo noi davanti alle affermazioni di Delrio, che afferma che la revisione di spesa non lascerà indenni nemmeno scuola e sanità: “Non vogliamo tagliare servizi, ma togliere incrostazioni”, ha affermato a SkyTg24. “Nessuno è escluso. Ma nessuno avrà un diritto in meno, un servizio in meno: avrà invece una scuola più bella, un ospedale più efficiente”.

C’è da tremare. Perché l’insistenza sulla pur estremamente fondamentale questione della sicurezza degli edifici scolastici lascia aperti – anzi apertissimi – margini di manovra pressoché infiniti ad un governo che evidentemente sta giocando il tutto per tutto per rastrellare fondi, pur di mantenere la promessa elettorale degli 80 euro in busta paga per alcuni lavoratori. “Vogliamo combattere i privilegi. Spostiamo i tagli alla spesa sugli investimenti per il funzionamento della macchina statale, con una spending review che varrà 32 miliardi”. Mi sforzo davvero di individuare quali possano essere i privilegi e le incrostazioni che si annidano nella scuola. Forse Delrio dovrebbe chiederlo ai precari che ieri hanno scioperato: precari esistenzialmente e professionalmente, non stabilizzabili in alcun modo (come ha affermato Giannini), nonostante lo Stato abbia per anni fatto andare avanti la scuola attraverso il loro lavoro.

Non siamo ancora emersi dalla politica di “razionalizzazione e semplificazione” (termini peraltro riproposti da Delrio) dell’art. 64 della legge 133/08 (la sedicente riforma Gelmini), la “cura da cavallo” – come ebbe a definirla l’immeritevole ministro – che è costata 145 mila posti di lavoro, tagli e accorpamento delle classi di concorso, aumento del numero di alunni per classe, distruzione del modello didattico-pedagogico del tempo pieno e del tempo prolungato, diminuzione delle ore di scuola e dei saperi (dunque di diritto allo studio e all’apprendimento per gli studenti), indebolimento socialmente determinato del segmento più debole della scuola superiore, l’istruzione professionale, sconfessando qualsiasi principio costituzionale, ugualitario ed inclusivo; taglio del sostegno e ancor di più degli insegnanti tecnico pratici. Alla mattanza del trio Gelmini-Brunetta-Tremonti è seguita, con programmatica consapevolezza, la continuazione del “lavoro sporco” che i tre avevano trionfalmente inaugurato e portato avanti, con una serie di provvedimenti dei governi a seguire, tra cui spicca la legge 111/11 sul dimensionamento, che ha creato istituti-mostro con non meno di 1000 alunni, nelle condizioni che si è detto, con personale Ata insufficiente, reggenze multiple di dirigenti scolastici spesso inadeguati alle proprie funzioni, peraltro non facili. Molto altro ancora: insieme alla Lituania, siamo l’unico Paese europeo che ha disinvestito sulla scuola dal 2008, anno dell’inizio della crisi.

Inoltre il nostro contratto: i salari dei docenti sono fermi dal biennio economico 2008/09. Nel 2010 anni sono stati azzerati anche gli scatti stipendiali, con l’ignobile manfrina che ne è seguita quest’anno. Si ventila che il blocco contrattuale durerà ancora a lungo, con un potere d’acquisto sempre inferiore. Incombe ancora sulla scuola il problema degli inidonei e di Quota 96.

La scuola non è luogo di privilegio. La scuola pubblica italiana è per molti versi il privilegio di questo Paese: resiste, producendo in gran parte cultura e cittadinanza critica e consapevole, nonostante i tentativi di distruggerla. Non dobbiamo permettere l’ennesima incursione di una visione ragionieristica e neoliberista, finalizzata a sottrarre educazione ed emancipazione per aggiungere piccoli “più” sul bilancio.

Liceo classico in crisi? Berlinguer rilancia: studi umanistici per tutti

da Corriere.it

CALO D’ISCRIZIONI

Liceo classico in crisi? Berlinguer rilancia: studi umanistici per tutti

Al «processo» organizzato al «Visconti» di Roma, anche Giovanni Maria Flick tra i giudici. La sentenza della corte togata: ancora valido ma deve «ri-crearsi»

di Flavia Fiorentino

ROMA – Assolto con formula piena dalla giuria popolare di presidi, professori e studenti che affollavano l’Aula Magna del «Visconti», il «Liceo classico», accusato di «in-attualità» per il vertiginoso calo di iscrizioni, e non solo, è stato «condannato» dalla Corte Suprema a «ri-crearsi» attraverso un nuovo e più saldo legame tra la conoscenza umanistica e la cultura scientifica senza più escludere quelle scintille di emozione e creatività rappresentate dalla musica e dall’arte applicata.

Nell’Aula Magna

Due ex ministri della Repubblica, l’europarlamentare Luigi Berlinguer (Istruzione) e il presidente Emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick (Giustizia) affiancati da Luciano Benadusi, professore onorario a «La Sapienza», in quell’austera Aula Magna del liceo classico romano più antico d’Italia hanno indossato la toga per celebrare il processo a un’ istituzione scolastica che in sette anni ha perso il 50% di iscrizioni (nel 2014 solo il 6% dei ragazzi ha scelto il classico: 30 mila studenti in tutta Italia).

Didattica attiva

Le tesi dell’accusa, rappresentata dal «Pubblico ministero» Claudio Gentili (professore universitario, responsabile Education  di Confindustria) e sostenute da molti testimoni, hanno messo in evidenza il distacco di questi studi troppo «filologici» e farciti di eccessivo «grammaticismo», dalla realtà, dal mondo del lavoro, dall’evoluzione dei saperi e della tecnologia, dalla globalizzazione e dalle migrazioni. «Serve una didattica “attiva”, non ripetitiva e noiosa così come avviene oggi». E ancora difetti: «Manca una rivoluzione digitale, una didattica delle competenze. E’ stato bandito il laboratorio umanistico dove si producevano testi e poesie». Con questi studi – è stato anche detto – «si è fuori dall’Europa perché non ci vengono riconosciute certificazioni spendibili a livello internazionale».

Eccellenza

L’accusa ha poi messo in campo anche uno studio statistico per confutare la «presunta eccellenza» di professionisti, politici e manager che avrebbero compiuto studi classici: «La prima scelta avviene già alle medie, quando solo i migliori si iscrivono al classico e sono sostenuti da famiglie che hanno un elevato grado di istruzione. Dopo cinque anni di faticoso “addestramento”, chi ne esce, riesce bene anche all’università e avrà ottime performance  anche nel mondo del lavoro. Tutto questo – è stato sottolineato – non grazie agli studi umanistici ma a individualità di per sè  eccellenti già nella pre-adolescenza».

La difesa

Per l’ Avvocato della Difesa, incarnato da Nuccio Ordine (ordinario di Letteratura italiana all’Università della Calabria) la crisi «non riguarda solo il calo delle iscrizioni. Si deve guardare al degrado progressivo della cultura umanistica. Un impoverimento riflesso nello stesso lessico : ma si può parlare di “giacimenti culturali”? E del Colosseo, ormai   solo per il suo “profitto”? Gli studenti devono confrontarsi con “crediti” e “debiti”. L’ homo economicus misura tutto con i numeri. Così la Biblioteca nazionale è una vergogna, gli Archivi di Stato affittano le sale per eventi e feste perché  non hanno fondi. Ma la logica aziendalista e dell’utilitarismo non ha niente a che fare con il sapere. La conoscenza del greco, del latino, degli autori classici ha un valore intrinseco. “Non serve”  perché  non si è servili».

Sapere nutritivo

Così la sentenza, pronunciata solennemente da Luigi Berlinguer ha auspicato «l’aumento di classicità e umanesimo in tutto il nostro sistema formativo perché nessuno si può privare della gioia, del nutrimento che questo sapere produce. Bisogna quindi, pur conservando un indirizzo specialistico, togliere al liceo classico questo monopolio perché è inammissibile che sia stata considerata  “non cultura” la scienza, così come la musica e l’arte. E’ importante infondere questo patrimonio in tutto il sistema formativo con diverse intensità ma pari dignità».

«Classici  dentro»

Il «processo» al classico, che ha visto la partecipazione anche del presidente dell’Ufficio Scolastico Regionale Maddalena Novelli insieme alle presidi dei tre licei classici organizzatori, Clara Rech del Visconti, Micaela Riccardi del Giulio Cesare e Irene Baldriga del Virgilio, è parte della «trilogia» di eventi che hanno costituito la rassegna «Classici dentro: crisi e speranze per la scuola del terzo millennio».

Apple e Samsung, la guerra tra colossi nella scuola 2.0

da Corriere.it

IL CASO

Apple e Samsung, la guerra tra colossi nella scuola 2.0

I salesiani hanno scelto i prodotti della multinazionale fondata da Steve Jobs. I coreani non demordono. La battaglia si gioca negli istituti pubblici

VERONA—Le prime classi pioniere sono ormai arrivate al quarto anno «digitale» e ormai le Lim, lavagne interattive multimediali, non sono più l’eccezione di qualche istituto «all’avanguardia». Insomma, la scuola 2.0 è una realtà. Tanto da diventare, essa stessa un segmento di mercato per i grandi marchi dell’elettronica. Con computer e tablet al posto di libri e quaderni, infatti, si pongono questioni di organizzazione, oltre che di didattica. E, se per i primi anni aveva prevalso l’anarchia e la sperimentazione, adesso i dirigenti scolastici stanno cercando di individuare i modelli più efficienti. Le grandi multinazionali, non stanno con le mani in mano. Si parla di marchi top di gamma, come Apple e Samsung che, anche in Italia, guardano sempre più alla scuola come opportunità di fare affari, offrendo mirati servizi d’insegnamento. Con tanto di personale «specializzato» (i «distingueshed educator», nel caso dell’azienda fondata da Steve Jobs) pescati tra gli insegnanti per proporre innovazioni in grado di colpire docenti e studenti.

Le aziende contattano direttamente le scuole, per proporre la vendita «in stock» di dispositivi, con determinate condizioni di vantaggio: acquisto rateizzato (si parla di cifre come 15 euro al mese), app gratuite e così via. Siglando, talvolta, vere e proprie convenzioni. Un caso è quello tra Cnos (il Centro nazionale opere salesiane) che conta decine di scuola in Italia, con sessanta istituti che hanno già avviato le classi digitali, tra cui i veronesi Istituto San Zeno e Liceo Don Bosco. L’accordo, in questo caso, riguarda direttamente Apple e vede la scelta dell’iPad sia come mezzo per produrre contenuti, sia come dispositivo di lettura al posto degli ordinari libri di testo. Ma non c’è solo la casa di Cupertino. Anche i concorrenti più diretti, i coreani di Samsung, si danno da fare nello stesso senso. Nel caso della scuola pubblica, tutto, però, è più complesso. Spetta al singolo dirigente scolastico stabilire cosa fare, tenendo conto della disponibilità dei fondi che spesso arrivano con qualche mesi di ritardo. È il caso dell’Istituto economico Einaudi: una classe 2.0, avviata a settembre con tutti le funzionalità «interattive» ma priva della materia prima per i ragazzi: il computer. «Siamo orientati verso i notebook – spiega la docente, Maria Grazia Ottaviani – anche per una questione legata al software libero».

Essere liberi da licenze – e aiutare i ragazzi a «ragionare» sulla gestione dei dispositivi informatici senza trovarsi di fronte a scelte obbligate – è un fattore tenuto in conto da molti insegnanti nonché il motivo per cui, in gran parte della pubblica amministrazione, vengono raccomandate le distribuzioni di Linux. Ma ci sono anche altre problematiche pratiche, che la scuola deve considerare, volente o nolente. Dopo anni di «mini notebook », il liceo Maffei, ad esempio, passerà all’iPad. «Serviva un sistema unico per tutti gli studenti – spiega il preside, Mauro Murino – e non è da sottovalutare il fatto di avere un dispositivo capace di durare quattro ore, senza che tutti abbiano bisogno di attaccare il cavo». Ma allo stesso tempo si cerca anche la possibilità di avere programmi per l’insegnamento aggiornati. Il tema è stato al centro del convegno organizzato ieri in Fiera, proprio dal Cnos, sull’ «iPadgogia», l’insegnamento tramite iPad. Con un esperto mondiale, il danese Allan Kjaer Andersen, che ha tranquillizzato gli insegnanti più conservatori. «Che si faccia sui tablet o sui libri, l’importante è che i nostri ragazzi studino e laggano – ha detto – le nuove tecnologie non uccidono la cultura, anzi, esaltano il suo aspetto “social”».

Stipendi bloccati fino al 2018? Il Tesoro smentisce, ma il pericolo rimane

da Tecnica della Scuola

Stipendi bloccati fino al 2018? Il Tesoro smentisce, ma il pericolo rimane
di Alessandro Giuliani
Dopo gli allarmati dati indicati dal DEF 2014 e segnalati da questa testata giornalistica, il Ministero dell’Economia smentisce “alcun riferimento a ipotesi di blocco di contrattazione nel settore pubblico”: sono solo stime che hanno “valore meramente indicativo”. Ma i sindacati sono scettici. Per l’Anief è evidente che se la vacanza contrattuale rimarrà ferma fino al 2017 ai valori del 2010, significa una cosa sola: anche per i prossimi tre anni e mezzo gli aumenti rimarranno congelati.
Senza soluzione di continuità: la questione del blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici continua a campeggiare sulle prime pagine dei giornali. Stavolta a far tornare alta l’attenzione sul tema delle buste paga della PA, bloccate dal 2011, nella scuola dal 2010, sono state le indicazioni contenute nel DEF 2014. Dalle quali risulta, come prontamente segnalato da questa testata giornalistica, che “la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.
Quasi immediata è arrivata la replica del Ministero del Tesoro. Secondo cui “nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2014 non è contenuto, e non potrebbe esserlo, alcun riferimento a ipotesi di blocco di contrattazione nel settore pubblico”, ma sono state riassunte delle stime che hanno “valore meramente indicativo”. Solo che il Mef fa anche riferimento MEF all’ultima Legge di Stabilità, la 147 di fine 2013, che ha posticipato il blocco del godimento della vacanza contrattuale a tutto il 2017. E la precisazione non sfugge ai sindacati. Che non credono alle rassicurazioni del Tesoro. Anche perché, ricorda l’Anief, “dal 2010 i Governi che si sono succeduti non hanno accordato alcuna risorsa nelle varie Leggi Finanziarie e di Stabilità che si sono succedute. Lo stesso riferimento del MEF alla Legge di stabilità 2014, che ha fissato l’indennità di vacanza contrattuale – continua il sindacato – “per il triennio 2015-2017 al livello di quella in godimento dal mese di luglio 2010”, rappresenta un’indiretta ammissione di conferma della linea del blocco stipendiale: il Ministero di Via XX Settembre sottolinea, in pratica, che ad oggi e fino al 2017 rimane in vigore il blocco dell’indennità di vacanza contrattuale.
“In realtà – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – il chiarimento del Ministero dell’Economia non fa altro che confermare, seppure indirettamente, l’intero blocco contrattuale. Questo perché l’indennità di vacanza contrattuale non è altro che un anticipo degli aumenti di stipendio, per cui se rimane ferma fino al 2017 ai valori del 2010 significa che per i prossimi tre anni e mezzo non vi sarà alcun aumento di stipendio”.
Chi ha ragione lo sapremo a breve, già nei prossimi mesi si comprenderà da quello che il Mef è intenzionato a mettere sul piatto per il rinnovo del Ccnl. Intanto, di sicuro perà, le tensioni aumentano. E il personale, tranne gli “eletti” che hanno beneficiato del tribolatissimo “scatto” automatico, continua a percepire lo stesso stipendio di quattro anni fa.

Giannini: “Le classi multietniche è come mandare i propri figli in viaggio”

da Tecnica della Scuola

Giannini: “Le classi multietniche è come mandare i propri figli in viaggio”
di P.A.
Lo ha detto la ministra dell’istruzione , Stefania Giannini, oggi al Gramsci-Keynes di Prato per partecipare al convegno nazionale “Dirigere le scuole in contesti multiculturali”
Il Gramsci-Keynes di Prato è l’istituto scelto per il convegno nazionale “Dirigere le scuole in contesti multiculturali”, perché in questa parte della provincia italiana c’è l’incidenza più alta di alunni stranieri sul totale e quindi il luogo più idoneo per presentare il rapporto nazionale 2012/2013 sugli alunni stranieri nelle scuole italiane. Prato inoltre ha l’incidenza di alunni stranieri più alta in Italia, il 19,7%, ed è di pochi mesi fa la polemica per la presenza all’istituto tecnico Dagomari di prime classi interamente composte da cinesi, spesso assolutamente non padroni della lingua italiana. E proprio di integrazione e convivenza tra studenti di culture differenti ha parlato la ministra Giannini: “Avere nella stessa classe bambini con alle spalle patrimoni linguistici e culturali differenti è come mandare i propri figli in viaggio. Le classi multietniche, se vengono affrontate con i processi di integrazione giusti, come a Prato si fa, sono un arricchimento e non un indebolimento del processo di apprendimento”.

Stefania Giannini: l’entusiasmo dei prof si è spento

da Tecnica della Scuola

Stefania Giannini: l’entusiasmo dei prof si è spento
di P.A.
Stefania Giannini, inaugurando il “Quarto Festival del Volontariato” a Lucca, sua città natale, si è rivolta ai giovani presenti invitandoli all’amore per la cultura. “Uno dei problemi della scuola è che l’entusiasmo di molti insegnanti si è spento da tempo”
“Perché la cultura è amore”, ha detto la ministra rivolgendosi ai giovani lucchesi. “Una nazione giusta è quella che dà l’occasione a tutti i suoi cittadini di poter contribuire a migliorare la società e tutto ciò si può realizzare solo partendo da condizioni paritetiche in cui tutti siano in grado di spendere il proprio talento in modo di poterlo valorizzare al meglio”. La cultura andrebbe intesa come attitudine al sapere: “Lo studio non è un vostro dovere, ma un vostro diritto. Il diritto a una base di conoscenza diffusa e più completa possibile e lo Stato può garantirlo tramite un sistema di istruzione adeguato”. Secondo Giannini, riporta Lo Schermo.it, non è necessaria “una Harvard in ogni città, anche se le scuole di alta formazione non devono mancare”, bisognerebbe semmai prendere esempio da paesi come la Germania, che punta molto sulla formazione professionale. Gli studenti insomma devono avere una preparazione anche pratica, oltre che teorica al mondo. “Uno dei problemi della scuola è che l’entusiasmo di molti insegnanti si è spento da tempo – ha spiegato la ministra -, perché gli stipendi sono bassi e parziali al di là della qualità del lavoro. E questa è una criticità diffusa: in Italia si può fare carriera solo invecchiando, non c’è altro modo per migliorare il proprio curriculum”. La scuola che immagina la Giannini si basa invece – da tutti i punti di vista – sulla valutazione dei singoli risultati e la premiazione di questi ultimi sulla base delle attitudini dimostrate. E’ come se il paese fosse uno strumento musicale da accordare per fargli produrre della buona musica. Per questo, nonostante “sia una decisione di Renzi”, lei non crede che la politica del governo andrà verso un taglio all’istruzione. “Mi stupirei se succedesse perché i segnali fino a questo momento vanno nella direzione giusta. Per questo sono felice di essere uno dei primi ministri che, dopo anni, non inizia il suo mandato piangendo perché il suo Ministero non gode di abbastanza attenzione o peso nell’azione di governo”. E sulle scuole pubbliche e private la Giannini chiosa: “In Italia tutte le scuole sono pubbliche, anche se si differenziano fra statali e non statali perché ‘pubblico’ vuol dire ‘pro populo’ e ognuno di questi due settori fornisce ciò che serve alla comunità, fra cui la facoltà di scegliere che tipo di istruzione intraprendere”. “Credo che il nostro popolo ha dato molto nella storia all’umanità ed è per questo che la sua lingua è amata. Se da un punto di vista della parlata l’italiano si attesta infatti al diciannovesimo posto, bisogna anche specificare che il dato sarà certamente in crescita nei prossimi anni, visto che attualmente è la quarta lingua più studiata del pianeta”.