Tempo di prove INVALSI

Tempo di prove INVALSI

di Cosimo De Nitto

Il senso e il nonsenso

francesca Ma ditemi voi cosa prova, cosa dimostra questa domanda della foto. Che per misurare si può mettere il metro al contrario e fare una sottrazione anziché una misurazione normale e diretta, come hanno fatto sempre mamma e papà per vedere quanto era diventato alto e come via via cresceva? Il bambino parte dalle operazioni concrete di cui ha esperienza, e guai se non lo facesse. Parte dal probabile non dall’improbabile o dall’assurdo, a meno che non sia in situazioni di gioco che lo richiedano, e queste non sono certo le prove invalsi.

Le parole e le esperienze dei bambini

In una situazione di relazione didattica normale, ordinaria, quotidiana le domande sono spiegate nei termini che la maestra sa che i bambini possono ben comprendere, in quanto conosce il loro vocabolario e il loro vissuto esperenziale. La conoscenza delle parole dei bambini e delle loro esperienze pregresse reali fa porre alla maestra le domande nel modo giusto. Non solo. Se i bambini pensano di non aver capito bene chiedono spiegazioni e solo dopo daranno le loro risposte che saranno credibili, giuste o sbagliate che siano, perché il bambino si riconosce in esse, condivide che sono le sue. Se ha risposto giusto non ha timore di aver indovinato a caso, se ha risposto sbagliato non attribuisce la causa all’incomprensione della domanda o a qualche altro accidente che gli ha impedito di capirla bene. Quando il bambino non capisce la domanda, la “colpa”, dal punto di vista didattico, non è sua. Che significato, quali “informazioni” utili mi potrà mai dare una prova non formulata partendo dal “vocabolario” e dalle “esperienze” pregresse del bambino?

Il tempo dei bambini

Determinante in negativo o in positivo è la variabile tempo. Qui i bambini lumaca, i bambini tartaruga possono anche essere dei filosofi, degli artisti, dei divergenti, non c’è scampo per loro. Saranno classificati male, pagheranno questa loro peculiarità ponendosi ai margini e alla base della piramide, facendo male loro e recando anche danno al gruppo classe che risentirà di questo loro “deficit” nel giudizio globale. La variabile tempo è frutto a sua volta di numerose variabili, soggettive/personali, e di percorso didattico svolto. I bambini a quell’età hanno tempi di reazione e risposta molto diversi e le maestre sanno bene che vanno rispettati, che i tempi vanno rispettati tutti. Nel corso degli anni e con l’esperienza didattica questi tempi cambieranno, ma non cambieranno certamente se non li si rispetta, non li si agevola mettendo in campo strategie anche personalizzate. Il tempo non è un dato oggettivo e naturale di partenza uguale per tutti, ma uno dei punti di arrivo cui mirerà l’azione didattica. I quiz “somministrati” ai bambini hanno il torto che lamentava Don Milani, quello di “far parti uguali tra disuguali”.

I test e la vita

I test preparano alla vita, dicono alcuni sostenitori. Alla vita, si può rispondere, prepara tutto ciò che si impara, capisce, motiva, coinvolge non solo cognitivamente, ma anche affettivamente, emotivamente. Alla vita prepara tutto ciò che ha senso, il dare senso, non i giochini mentali, i video-war-game senza consolle tecnologica che sono fatti passare come test di intelligenza.  Conosco tanti campioni di videogame e di enigmi che non se la passano molto bene nella vita.

Per fare bene bisogna esercitarsi

Se vale il principio che è pedagogicamente e didatticamente sbagliato proporre prove su cui i bambini non abbiano avuto modo di esercitarsi, principio riconosciuto dalla legislazione scolastica in merito, per es., alla terza prova agli esami di Stato per sostenere la quale la scuola deve dimostrare che gli alunni si sono esercitati diverse volte su questa tipologia di prova, appare non solo legittimo, ma doveroso addestrare i bambini a svolgere i test invalsi. Il teaching to test, che è classificato come malattia grave dell’insegnamento/apprendimento e dell’educazione/formazione, non solo è un rischio che si corre, ma è una necessità ineludibile visto il valore che si attribuisce ai test INVALSI circa la taumaturgica azione valutativa che viene attribuita loro in merito a: 1) “preparazione”(Ajello) dei bambini; 2) preparazione dei docenti; 3) funzionamento della scuola.

I trucchi

Dal punto di vista pedagogico nel bambino si deve affermare l’idea che il questionario è un contenitore di trucchi con i quali si cerca di prenderlo in giro e farlo sbagliare, facendogli fare la figura dello scemo. A lui il compito di farsi furbo e prendere in giro coloro che hanno cercato per primi di prenderlo in giro. Ogni domanda che gli viene posta contiene un trucco, qualcosa che cerca di ingannarlo, pertanto gli viene richiesto un assoluto sospetto, diffidenza verso tutto, anche verso cose che sembrano giuste. Ecco l’insegnamento. Diffidenza verso tutto e tutti, anche verso se stesso, verso ciò che vede, ciò che sembra ma che potrebbe non essere come sembra. Non solo. Deve imparare che esiste una ed una sola risposta giusta, tutte le altre possibili sono sbagliate. Bell’addestramento al pensiero assoluto, quando invece nella realtà c’è il vero, il verosimile, il diversamente vero, non solo. Nella realtà le strade per arrivare al “vero” sono molteplici e varie. Tanti “vero” e tanti “modi” per arrivare al vero, non solo quelli degli estensori del quiz in base al quale poi io sono classificato scemo o intelligente, preparato o impreparato, competente o incompetente. E ancor peggio, con me viene classificata tale anche la mia maestra, poverina, che non c’entra niente, anzi ha il merito di insegnarmi tante cose utili e interessanti che quanto meno non mi fanno sentire scemo e/o asino.

Questione di logica?

Dicono che i test invalsi accertano le capacità logiche dei bambini; il problema, però, è che i test li elaborano gli adulti basandosi su un atto di presunzione. Essi presumono la certezza della loro conoscenza delle capacità logiche dei bambini, o comunque quelle che dovrebbero essere tali secondo la loro rappresentazione della logica. Formulano items per rilevare quanto i bambini sono capaci di capire e conformarsi al loro modello di logica con un processo di convergenza.
Fin dove coincide la logica dei bambini con la logica degli adulti? Fin dove coincidono la capacità astrattiva e deduttiva dei bambini con quella degli adulti? Qualcuno può dare una risposta certa e scientificamente credibile a queste domande? A 7 o anche a 10/11 anni il bambino ha già maturato il pensiero logico-deduttivo astratto, o la “capacità figurativa”, come preferiscono alcuni?

Non si considera che le vie della logica, come quelle del Signore, sono infinite.

Riorganizzare la Pubblica Istruzione

Riorganizzare la Pubblica Istruzione

di Gian Carlo Sacchi

Nell’ultima uscita del governo sulla pubblica amministrazione nulla si dice sulla “pubblica” istruzione. In mezzo a questo annunciato diluvio l’amministrazione scolastica è un po’ come l’arca di Noè, così come fin qui è stato anche nelle dichiarazioni del commissario Gottarelli sulla spending review: la scuola ha già subito tagli, ed è vero, ma quello che resta da capire è se viene identifica con l’amministrazione centrale e periferica dello stato.

Guardando le cose da un altro punto di vista, quello della riforma del titolo quinto della Costituzione, proposta sempre dall’attuale esecutivo, sembra invece che a fronte dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, l’amministrazione debba subire un importante processo di riorganizzazione con una conseguente cura dimagrante.

Se poi si seguono le dichiarazioni dell’attuale ministro, spesso dedicate alla valorizzazione del sistema paritario, allora di tutto l’apparato ministeriale si potrebbe fare anche senza.

Non si tratta di far venir meno l’istituzione pubblica, ma di come gestire una struttura che dal nido all’università garantisce parità di diritti ai cittadini e validità dei titoli di studio pur agendo in un’ottica di integrazione tra realtà statali e paritarie.

E’ noto il cambiamento che ha subito il concetto di pubblico, in un’ottica di emancipazione dei servizi sui territori, da quelli per l’infanzia, alla formazione professionale e superiore; non si capisce perché anche il così detto obbligo scolastico non possa essere gestito in questo modo, così come lo è l’obbligo formativo, già presente in un’unica legge sull’obbligo di istruzione, nel quale tra l’altro è compreso anche l’apprendistato, che i recenti provvedimenti sullo job act dovrebbero far riflettere.

Nelle modifiche al citato titolo quinto si parla di uno stato che deve tutelare i “livelli essenziali delle prestazioni”, emanando norme generali sull’istruzione, sull’ordinamento scolastico, lasciando la gestione ad altri livelli territoriali, soprattutto le regioni, fino ad arrivare alle autonomie scolastiche. E’ la legge che deve regolare il servizio e non l’amministrazione statale a gestirlo; le scuole autonome, singole o in rete, pur avendo risorse economiche statali e personale con garanzie indicate dallo stato stesso, hanno autonomia finanziaria e nell’organizzazione dei docenti, a loro volta dotati di autonomia professionale e di libertà di insegnamento, come già ampiamente indicato da una normativa in vigore ma silente. Qui bisognerebbe tornare a parlare degli organici di istituto, come tante volte evocati e già anche sperimentati alcuni anni fa e di altre funzioni sulle quali si può discutere (si pensi ad esempio a mansioni tecniche o amministrative di fronte al potenziamento delle nuove tecnologie).

Come si deve interpretare questo silenzio di fronte al più grande numero di dipendenti statali ? Vuol dire che si ha intenzione, come sostengono alcuni, di separare questo personale da quello in servizio presso altri rami della pubblica amministrazione ? Ma ciò avrebbe senso se davvero il processo di autonomia andasse in porto definitivamente, stabilendo da parte dello stato le suddette norme generali, controllandone i risultati (c’è l’INVAlSI) e garantendo le rappresentanze delle scuole autonome, fino a costituirne un organo nazionale.

Se le assunzioni per le scuole, come nella sanità, potranno avvenire a livello regionale, con requisiti richiesti dalla norma nazionale e attuati dalle università, sarebbe possibile una programmazione davvero rispondente alle esigenze del territorio.

Un altro fronte è quello dei dirigenti scolastici, ai quali potrebbe essere destinato un ruolo apposito, da più parti ritenuto più incline alla leadership educativa che ad una funzione amministrativa, ma per questo ci sarebbe bisogno di un percorso formativo non da scuola superiore della pubblica amministrazione. Ne andrebbe altresì rivisto il reclutamento attraverso forme di corso-concorso, così da evitare anche la girandola degli annullamenti.

L’abolizione delle province dovrà portare al superamento degli uffici statali periferici, riferendoci per controlli di legittimità a “prefetture” regionali; allora la riorganizzazione avrà un significato ed i risparmi saranno notevoli e non si abbatteranno direttamente sul servizio per tenere in piedi burocrazie obsolete; tali economie si potrebbero reinvestire sulle stesse scuole che ne hanno tanto bisogno.

Da questo punto di vista scuola e amministrazione scolastica non sono la stessa cosa; la prima ha bisogno di essere sostenuta, con finanziamenti e personale, a svolgere il proprio ruolo nel contesto in cui si trova ad operare, guardando intorno a sé, per contribuire con altre realtà allo sviluppo del territorio, e, contemporaneamente, come istituzione della Repubblica, a perseguire risultati in termini di crescita e apprendimento per le persone. Un curricolo nazionale con standard definiti ed uno locale per far fronte alla domanda specifica. Personale con requisiti stabiliti per tutto il Paese al quale si possono aggiungere altre figure professionali richieste. Il tutto a costituire un vero e proprio sistema che gode di autonomia e di un’organizzazione complessivamente flessibile, sulla base dei “piani dell’offerta formativa”, come prevede il DPR 275/’99.

La seconda non ha più il compito di costituire in senso stretto il riferimento ad un profilo culturale nazionale, ma ancor prima deve essere la politica ad indicare gli obiettivi e monitorarne l’andamento, attraverso un apparato con competenze più tecniche che amministrative che tuteli i diritti dei cittadini e mantenga l’efficienza del sistema stesso.

L’attuale situazione potrebbe essere propizia per arrivare a definire una nuova governance; lo dice il documento Renzi-Madia che bisogna avere chiara la direzione di marcia per indirizzare efficacemente la pubblica amministrazione. Sarebbe interessante che il triangolo Presidenza del Consiglio, Ministero della Funzione Pubblica, Ministero dell’Istruzione producesse appunto un indirizzo chiaro per il sistema istruzione nel nostro Paese, altrimenti si rischia di cadere in una nuova normativa Brunetta che aveva cercato di assimilare i docenti agli impiegati dello stato, come nei tempi andati, come se non si fosse abbastanza dimostrato che una classe o un ufficio non sono la stessa cosa.

Siamo consapevoli che questa innovazione è più complicata della disciplina di mansioni che si vogliono fortemente unificate, proprio per evitare al cittadino inutili complicazioni burocratiche, ma non ci sono alternative: o la si chiarisce fino in fondo e ci si comporta di conseguenza, anche per quanto riguarda i risvolti amministrativi, o ci si resta impantanati continuando a lamentarci per l’inadeguatezza di norme uguali applicate a contesti diversi.

Sappiamo bene che gli ostacoli che hanno in precedenza impedito di raggiungere simili risultati sono legati al rapporto tra poteri centrali e competenze locali; il punto dolente che ha reso inefficace un quadro normativo che negli anni è andato progressivamente arricchendosi senza però arrivare a chiudere il cerchio è stata soprattutto l’incertezza politica. La partenza del presidente del consiglio è promettente, speriamo non si fermi all’annuncio e soprattutto sappia entrare nel merito, andando oltre a quello che lui stesso vuole escludere e cioè ai tagli lineari, che in passato hanno tagliato i servizi e non gli sprechi.

Test Invalsi 2014, al via il 6 maggio le prove per 2 milioni di studenti

da Il Fatto Quotidiano

Test Invalsi 2014, al via il 6 maggio le prove per 2 milioni di studenti

Gli esami coinvolgeranno le classi seconde e quinte della scuola primaria, le terze della scuola media e il secondo anno della scuola superiore. Da quest’anno non verrà più svolta la prova di prima media. Un primo rapporto sugli esiti delle prove, basato sui dati campionari, sarà disponibile già il prossimo 10 luglio

di Redazione Il Fatto Quotidiano

Prove Invalsi al via dal prossimo 6 maggio per oltre 2 milioni di studenti. Un momento di verifica che serve ad accertare i livelli di apprendimento e le competenze degli alunni in due ambiti fondamentali: Italiano (comprensione della lettura e grammatica) e Matematica.

Ogni anno le rilevazioni dell’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione (Invalsi) offrono a ciascuna scuola dati che possono essere utilizzati come strumento di riflessione e miglioramento, poiché forniscono il paragone con un campione rappresentativo a livello regionale e nazionale. Nel 2013, spiega il Miur, tutte le scuole hanno partecipato alla rilevazione e il 71% degli istituti ha utilizzato il Rapporto restituito a settembre dall’Invalsi con le analisi relative alle proprie classi. Un numero in costante crescita: le prove hanno superato, a quattro anni dalla loro introduzione a regime, gran parte delle iniziali diffidenze registrate nella comunità scolastica.

Le prove Invalsi coinvolgeranno quest’anno le classi seconde e quinte della scuola primaria, le terze della scuola media e il secondo anno della scuola superiore. Il calendario: 6 maggio 2014: prova di Italiano per la seconda e quinta primaria; 7 maggio 2014: prova di Matematica per la seconda e quinta primaria, 13 maggio 2014: prova di Italiano e Matematica per la seconda della secondaria di II grado; il 19 giugno 2014 è in programma la prova di Italiano e Matematica di terza media che fa parte dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione. Da quest’anno non verrà più svolta la prova di prima media.

Gli studenti interessati saranno oltre 2.285.000 (circa 568.000 in seconda primaria, circa 561.000 in quinta primaria, circa 594.000 nelle terze delle medie e circa 562.000 in seconda superiore). Le prove sono strutturate in modo differente in base al livello scolastico a cui si riferiscono, sono direttamente collegate con le Indicazioni Nazionali (i programmi di studio) e vanno da un minimo di 20-25 domande per materia per la seconda primaria a un massimo di circa 50 domande, sempre per materia, per la seconda superiore. Anche i tempi previsti per lo svolgimento variano in funzione del livello scolastico: per la II primaria gli alunni avranno a disposizione, sia per la prova di Italiano che di matematica 45 minuti mentre per la quinta e la terza media ci sono a disposizione 75 minuti.

Infine, per la seconda superiore gli studenti avranno a disposizione 90 minuti sia per la prova di Italiano che di quella di matematica. Come ogni anno, prosegue il Miur, è stato estratto un campione rappresentativo di classi in cui tutte le operazioni saranno curate da un osservatore esterno. Un primo rapporto sugli esiti delle prove, basato sui dati campionari, sarà disponibile già il prossimo 10 luglio. Mentre a settembre le scuole avranno a disposizione i dati relativi alle loro classi. La quota di istituti che ha utilizzato questi dati nel 2013 è stata pari al 71%. Erano il 51% nel 2012 e il 42% nel 2011.

Grazie al collegamento degli esiti dell’Invalsi con l’Anagrafe dello Studente dal prossimo anno scolastico sarà possibile fornire i risultati della prova di quinta primaria anche alla scuola media che gli allievi frequenteranno da settembre. Pochi giorni dopo lo svolgimento delle prove sul sito dell’Invalsi (www.invalsi.it) sarà messa a disposizione di insegnanti, alunni, genitori e cittadini una guida che illustrerà come ciascuna domanda a cui gli studenti hanno risposto sia direttamente collegata alle Indicazioni nazionali da poco aggiornate. Per garantire il massimo dell’inclusione, Invalsi e Miur hanno predisposto una nota che definisce le modalità di partecipazione degli allievi con bisogni educativi speciali. Per il futuro si sta lavorando alla somministrazione informatica delle prove che potrebbe sbarcare nelle scuole già nel 2015 in forma sperimentale. Da oltre un anno, poi, l’Istituto sta sperimentando modelli alternativi di prove per il quinto anno della scuola superiore da proporre al Miur per la loro possibile introduzione. Si lavora anche all’ampliamento degli ambiti disciplinari oggetto di misurazione (lingua inglese, scienze naturali) e per rendere direttamente comparabili gli esiti nazionali delle rilevazioni con quelli delle ricerche internazionali (Pisa, Timss, Pirls).

In tre anni porte aperte a oltre 63mila nuovi docenti

da Il Sole 24 Ore

In tre anni porte aperte a oltre 63mila nuovi docenti

La prima e più ampia “infornata” di posti avverrà nei prossimi mesi, spiega in un colloquio con Il Sole 24Ore il capo dipartimento per l’Istruzione del Miur, Luciano Chiappetta.

Eugenio Bruno

ROMA
La riforma della Pa annunciata dal governo Renzi risparmierà la scuola. Almeno per ora. Nel prossimo triennio saranno infatti assunti più di 63mila insegnanti e il loro reclutamento avverrà secondo il criterio introdotto 15 anni fa: il 50% dei posti sarà attribuito sulla base delle graduatorie a esaurimento (dove stazionano ancora circa 170mila precari “storici”) e il restante 50% sulla base dei concorsi. Vecchi e nuovi.
La prima e più ampia “infornata” di posti avverrà nei prossimi mesi, spiega in un colloquio con Il Sole 24Ore il capo dipartimento per l’Istruzione del Miur, Luciano Chiappetta.
Per l’anno scolastico 2014/2015, a organico invariato, sono in programma circa 29mila immissioni in ruolo. Le prime 14mila serviranno a coprire i pensionamenti intervenuti nel frattempo (in aumento rispetto ai poco più di 8mila stimati a gennaio dal dicastero di viale Trastevere). Vi rientreranno quasi sicuramente gli ultimi 7mila vincitori del concorso bandito nel 2012 dall’allora ministro Francesco Profumo (per gli altri 4mila l’ingresso in servizio è già avvenuto lo scorso anno, ndr) e 7mila nominativi scelti dalle graduatorie a esaurimento. A questi si sommeranno 15mila assunzioni sul sostegno (la seconda tranche di stabilizzazioni previste dal decreto Carrozza dell’autunno 2013). Il bottino potrebbe essere ancora più sostanzioso se il Mef darà l’ok a coprire pure i circa 8mila posti oggi esistenti, ma non autorizzati, per via degli esuberi.
La terza e ultima quota da 8mila docenti di sostegno (sempre previsti dal decreto Carrozza) arriverà nell’anno scolastico 2015/2016. A questi andranno aggiunti i circa 14mila “buchi” che andranno riempiti per il turn over stimato. Anche in questo caso varrà la regola del fifty fifty. Come annunciato mercoledì scorso dal ministro Stefania Giannini, 7mila posti andranno agli idonei (ma non vincitori) della scorsa selezione e 7mila ad altrettanti precari. Nel complesso il conto dei professori che entreranno di ruolo al prossimo giro (settembre 2015) sarà di 22mila unità.
Nel frattempo la responsabile dell’Istruzione pubblicherà un nuovo bando da 17mila cattedre. Che vedrà la luce nella primavera del 2015 e presenterà più di una novità rispetto alla tornata precedente. «Innanzitutto riguarderà tutte le classi di concorso – sottolinea Chiappetta – e non solo alcune come avvenuto in precedenza; in secondo luogo, interesserà l’intero territorio nazionale e potrà avere anche una base interregionale». Non tutti i vincitori saranno assunti subito però. Per l’anno scolastico 2016/2017 infatti sono previsti poco più di 12mila avvicendamenti per turn-over (sono finite le assunzioni “extra” per il sostegno). E quindi di questi 12mila nuovi posti da coprire solo 6mila dovrebbero essere assorbiti attraverso il “concorsone”. Nel rispetto del 50% previsto dalla legge, gli altri 6mila continuerebbero ad arrivare dalle graduatorie a esaurimento.
Lunedì il ministero dell’Istruzione renderà noto il decreto sull’aggiornamento delle graduatorie di istituto (dove si pesca per le supplenze assegnate dai presidi). E nei prossimi giorni partirà anche il secondo ciclo di Tfa, i percorsi abilitanti all’insegnamento. In ballo ci sono oltre 29mila posti, di cui più di 6mila sul sostegno. Il bando è praticamente pronto. A luglio dovrebbero scattare le prove.​

Diploma magistrale e GaE: facciamo chiarezza

da Tecnica della Scuola

Diploma magistrale e GaE: facciamo chiarezza
di Dino Caudullo
Il decreto 245/2014 sull’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento non prevede alcuna possibilità di nuovi inserimenti, nemmeno in favore dei docenti in possesso del diploma di scuola o di istituto magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002: al momento l’unica speranza è verificare se nel decreto che disporrà l’aggiornamento delle graduatorie di istituto (che verrà pubblicato probabilmente la prossima settimana), sarà prevista la possibilità di inserimento nella II fascia dei docenti in possesso di detto titolo. L’amministrazione su questo punto si è già detta favorevole.
Come è stato puntualizzato nella guida all’aggiornamento delle Gae pubblicata sull’ultimo numero della Rivista, il decreto 245/2014 non prevede alcuna possibilità di nuovi inserimenti, nemmeno in favore dei docenti in possesso del diploma di scuola o di istituto magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.
Dopo il recente parere del Consiglio di Stato dell’11/9/2013, che ne ha riconosciuto il valore abilitante, migliaia di diplomati in possesso di detto titolo avendolo conseguito prima dell’a.s. 2001/2002 speravano in una apertura straordinaria delle graduatorie ad esaurimento, dopo che, per anni, erano state loro precluse.
La speranza è rimasta tale.
In questi giorni ci pervengono parecchi quesiti da parte dei lettori, dai quali emerge parecchia confusione in quanto molti chiedono se con il possesso di detto titolo possono chiedere l’inserimento in II fascia delle Gae.
È il caso di fare chiarezza.
Se infatti il D.M. 235 non prevede la possibilità di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento nemmeno a chi è in possesso di detto diploma, né in II né in III fascia, al momento l’unica speranza residua è verificare se nel decreto che disporrà l’aggiornamento delle graduatorie di istituto (che verrà pubblicato probabilmente la prossima settimana), sarà prevista la possibilità di inserimento nella II fascia dei docenti in possesso di detto titolo. E l’amministrazione su questo punto si è già detta favorevole.
Si badi però, che la II fascia delle graduatorie di istituto nulla ha a che vedere con le graduatorie ad esaurimento.
Invero, nelle graduatorie di istituto vengono inseriti in I fascia i docenti già inseriti nelle Gae, in II fascia i docenti abilitati ma non inseriti nelle Gae ed in III fascia i docenti non abilitati in possesso di idoneo titolo di studio.
Al momento quindi, l’unica certezza è che non è prevista la possibilità di inserimento in Gae per chi è in possesso del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002.
È però altrettanto vero che si sta già lavorando ai ricorsi per contestare questa ingiusta preclusione posta dal Miur; pertanto, a chi è intenzionato ad aderire ad uno dei ricorsi collettivi che diverse organizzazioni e sindacati stanno promuovendo, consigliamo di presentare la domanda di inserimento nelle Gae con il modello cartaceo per poi procedere in giudizio.

Stop ai distacchi sindacali pagati dallo Stato

da Tecnica della Scuola

Stop ai distacchi sindacali pagati dallo Stato
di R.P.
Lo sostiene l’Associazione Professione Insegnante che ha anche inviato una lettera al premier Renzi e al ministro Madia.
La proposta del premier Renzi e del ministro Madia di ridurre del 50% permessi e distacchi sindacali è un primo passo, ma non basta: lo sostiene l’Associazione Professione Insegnanti che non da oggi si batte per cancellare del tutto i distacchi nel pubblico impiego e anche nella scuola.
“Non siamo contrari in linea di principio ai permessi e ai distacchi – spiega il presidente di Professione Insegnante Libero Tassella – ma il punto è un altro: non vogliamo più pagare, con i soldi dello Stato, i sindacalisti in esonero, crediamo invece opportuno che tali esoneri siano posti a carico dei sindacati della scuola medesimi che hanno cospicue risorse economiche per farvi fronte”.
E, per rendere più credibile la proposta, l’Associazione ha inviato anche una lettera ufficiale al Governo in cui si afferma tra l’altro: “Si garantiscano ai sindacalisti della scuola e del pubblico impiego, per svolgere il loro mandato sindacale, gli esoneri o i semiesoneri in rapporto alla rappresentatività della loro sigla, ma questi non siano più a carico dello Stato (che nelle controversie o nella contrattazione è la controparte), bensì siano a carico dei bilanci delle organizzazioni sindacali di appartenenza”.
Non solo, ma, secondo Tassella “il sindacalista da anni in esonero dall’insegnamento, per tutto il periodo del suo mandato sindacale, deve essere collocato fuori ruolo”.
In realtà non è da oggi che Professione Insegnante è su questa posizione; da diversi anni, anzi, quella degli esoneri pagati direttamente dai sindacati è una delle battaglie che contraddistingue questa Associazione, molto attiva sul web e nei social network dove sembra riscuotere non pochi consensi.
Difficile dire se la lettera indirizzata a Renzi e Madia potrà essere presa concretamente in considerazione, anche perché già la sola riduzione del 50% di esoneri e permessi non sarà accettata dalle organizzazioni sindacali che anzi stanno già affilando le armi e sostengono che rispetto ad alcuni anni addietro i distacchi sono già stati ampiamente ridimensionati.
E’ pur vero che Renzi ha già detto che non cerca il consenso dei sindacati ma è anche evidente che non può neppure andare ad uno scontro aperto su una questione che tocca da vicino diritti e prerogative (qualcuno – come Professione Insegnante – parla di privilegi) dei rappresentanti dei lavoratori del pubblico impiego.

Cari studenti gradite i vostri insegnanti?

da Tecnica della Scuola

Cari studenti gradite i vostri insegnanti?
di Lucio Ficara
Accade a Imola in questi giorni, dove gli studenti stanno ricevendo un questionario in cui devono indicare in che misura questo o quel docente è gradito. Proteste dell’USB che ci vede lo “zampino” del dirigente scolastico.
Ecco arrivare nelle nostre scuole la scheda del gradimento del docente. Si tratta di un questionario, provocatorio ma non troppo, pensato dagli studenti di una scuola secondaria di secondo grado di Imola.
Che domande vengono riportate in questo questionario, che siamo certi non mancherà di sollevare polemiche? Tra le domande del questionario si trovano domande del tipo: il docente x è puntuale all’entrata o al cambio dell’ora? Il prof. y riesce a comunicare in modo chiaro e sintetico? Il docente z è obiettivo nella valutare tutti gli studenti? L’insegnante soffre di simpatie e antipatie? Sei soddisfatto dell’attività didattica specifica della disciplina?
Questo è il genere di domande proposte nelle classi della scuola imolese per valutare la professionalità e il gradimento di un tale docente. Il questionario è stato compilato in forma anonima e soltanto nel caso in cui il docente posto al pubblico giudizio dei suoi allievi, abbia deciso di sottoporsi all’indice di gradimento dei propri alunni.
Per alcuni docenti la proposta di questo questionario è stata vista come una buona idea, da cui prendere elementi per migliorarsi nella didattica e soprattutto nelle relazioni umane, per altri docenti invece si tratta di una proposta irricevibile, che capovolge la “ratio” della scuola, dove i valutatori si trovano valutati e coloro che dovrebbero essere valutati diventano i valutatori. All’attacco di questo sondaggio valutativo della professionalità degli insegnanti, è andato il sindacato di base dell’USB, che pensa al questionario come ad una macchinazione del dirigente scolastico, vero ispiratore occulto.
Il Ds, da parte sua, smentisce con chiarezza di essere il “Deus ex machina” del contestato questionario ed afferma: “E’ una proposta degli studenti e non è in alcun modo una valutazione del lavoro degli insegnanti”.
In buona sostanza c’è chi pensa che si sia trattato delle prove tecniche di valutazione del merito degli insegnanti, principio per cui si batte ardentemente il ministro dell’istruzione Stefania Giannini, intenzionato a valorizzare i docenti che si impegnano di più e che sono più meritevoli. Il questionario fatto nella scuola romagnola è piaciuto anche ad altre scuole, e c’è da considerare il fatto che il prossimo anno scolastico la cosa possa diffondersi a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale.
Infatti è ormai certo che il Miur ha in serbo dal prossimo anno scolastico l’attuazione concreta delle norme previste dal DPR 80/2013, e cioè in buona sostanza l’introduzione nelle nostre scuole del sistema nazionale di valutazione.
L’applicazione di queste norme sarà comunque il tema del confronto contrattuale che si dovrebbe avere il prossimo 14 maggio con i sindacati rappresentativi, con buona pace del sindacato di base USB.

Prove Invalsi ai nastri di partenza, si parte martedì 6 maggio

da Tecnica della Scuola

Prove Invalsi ai nastri di partenza, si parte martedì 6 maggio
di Alessandro Giuliani
I primi a cimentarsi con i discussi test nazionali (anche quest’anno è previsto lo sciopero dei sindacati di base) saranno gli alunni della primaria. Gli ultimi, il 19 giugno, quelli impegnati nell’esame di terza media. Nei giorni scorsi il nuovo presidente dell’Istituto, Annamaria Ajello, ha inviato una lettera ai ds per sensibilizzarli sull’importanza delle prove. Il Miur pubblica un lungo comunicato, con le novità del 2014, nel quale parla di “strumento di riflessione e miglioramento” per oltre due milioni di ragazzi.
Prendono il via la prossima settimana i test Invalsi 2014. Oltre 2 milioni di studenti di tutta Italia si cimenteranno con le prove che sondano la loro preparazione in matematica, lettura e italiano. Gli studenti interessati saranno circa 568.000 in seconda primaria, circa 561.000 in quinta primaria, circa 594.000 nelle terze delle medie e circa 562.000 in seconda superiore.
Le prove, come negli ultimi anni, saranno strutturate in modo differente in base al livello scolastico a cui si riferiscono, direttamente collegate con le Indicazioni Nazionali (i programmi di studio) e andranno da un minimo di 20-25 domande per materia per la seconda primaria a un massimo di circa 50 domande, sempre per materia, per la seconda superiore. Anche i tempi previsti per lo svolgimento varieranno in funzione del livello scolastico.
Si comincerà con le rilevazioni nella Primaria: martedì 6 maggio sono in calendario la prova preliminare di lettura (prova scritta a tempo della durata di due minuti per testare la capacità di lettura/decodifica raggiunta da ciascun allievo) e la prova di italiano per le seconde classi.
Lo stesso giorno le quinte affronteranno la prova di Italiano. Il 7 maggio prova di Matematica per le seconde e le quinte (che dovranno compilare pure il Questionario studente). La settimana successiva, il 13 maggio, toccherà alle classi seconde della secondaria di secondo grado con prova di Italiano, di Matematica e Questionario studente. Per le Medie l’appuntamento é a giugno, il 19, con la prova nazionale messa a punto dall’Istituto per l’esame di terza media. Mentre non si svolgerà più alcun test in prima media.
Rispetto all’anno scorso, il 2013, non è prevista alcuna novità. È cambiato però il presidente dell’Istituto, guidato da un paio di mesi: ora è Annamaria Ajello, docente dal profilo internazionale e con una pluriennale competenza sui temi dell’apprendimento e della valutazione. In una lettera inviata ai presidi nei giorni scorsi, l’Invalsi sottolinea come sia “molto importante che gli allievi siano messi nelle condizioni di affrontare le prove nel migliore dei modi, consapevoli dell’importanza che essi le svolgano con impegno e senza ansia. Pertanto – suggerisce – è importante adottare tutte le misure che garantiscano che gli alunni lavorino individualmente, evitando suggerimenti da parte di chicchessia. Il mancato raggiungimento di questo fondamentale obiettivo comporterebbe la rilevazione di dati privi di significato o addirittura fuorvianti e costituirebbe uno spreco di tempo e di denaro per le scuole stesse e per l’Invalsi. È cruciale che la rilevazione 2013-2014 si svolga in modo corretto come è sostanzialmente avvenuto nelle edizioni degli anni passati in cui le analisi statistiche per rilevare dati anomali e comportamenti ‘opportunistici’ (il cosiddetto cheating), che saranno utilizzate anche quest’anno, non hanno fatto emergere situazioni di particolare preoccupazione”.
Intanto, nel pomeriggio di sabato 3 maggio, il Miur ha pubblicato un corposo comunicato stampa con il quale ha presentato l’operazione Invalsi 2014. Viale Trastevere ha tenuto a dire che queste prove “offrono a ciascuna scuola dati che possono essere utilizzati come strumento di riflessione e miglioramento, poiché forniscono il paragone con un campione rappresentativo a livello regionale e nazionale”.
Dal Miur hanno ricordato che “nel 2013 tutte le scuole hanno partecipato alla rilevazione e il 71% degli istituti ha utilizzato il Rapporto restituito a settembre dall’Invalsi con le analisi relative alle proprie classi. Un numero in costante crescita: le prove hanno superato, a quattro anni dalla loro introduzione a regime, gran parte delle iniziali diffidenze registrate nella comunità scolastica”.
Sempre dal Ministero sottolineano che “come ogni anno è stato estratto un campione rappresentativo di classi in cui tutte le operazioni saranno curate da un osservatore esterno. Un primo rapporto sugli esiti delle prove, basato sui dati campionari, sarà disponibile già il prossimo 10 luglio. Mentre a settembre le scuole avranno a disposizione i dati relativi alle loro classi. La quota di istituti che ha utilizzato questi dati nel 2013 è stata pari al 71%. Erano il 51% nel 2012 e il 42% nel 2011”.
Grazie al collegamento degli esiti dell’Invalsi con l’Anagrafe dello Studente dal prossimo anno scolastico sarà possibile fornire i risultati della prova di quinta primaria anche alla scuola media che gli allievi frequenteranno da settembre.
Pochi giorni dopo lo svolgimento delle prove, sul sito internet dell’Invalsi sarà messa a disposizione di insegnanti, alunni, genitori e cittadini una Guida che illustrerà come ciascuna domanda a cui gli studenti hanno risposto sia direttamente collegata alle Indicazioni nazionali da poco aggiornate. Per garantire il massimo dell’inclusione, Invalsi e Miur hanno predisposto una nota che definisce le modalità di partecipazione degli allievi con bisogni educativi speciali. “Per il futuro – hanno spiegato sempre dal Miur – si sta lavorando alla somministrazione informatica delle prove che potrebbe sbarcare nelle scuole già nel 2015 in forma sperimentale. Da oltre un anno, poi, l’Istituto sta sperimentando modelli alternativi di prove per il quinto anno della scuola superiore da proporre al Miur per la loro possibile introduzione. Si lavora anche all’ampliamento degli ambiti disciplinari oggetto di misurazione (lingua inglese, scienze naturali) e per rendere direttamente comparabili gli esiti nazionali delle rilevazioni con quelli delle ricerche internazionali (Pisa, Timss, Pirls)”.
Anche quest’anno, infine, i test Invalsi saranno contrassegnati dallo sciopero dei sindacati di base, da sempre contrari a questo genere di valutazioni.

Registri elettronici da buttare?

da Tecnica della Scuola

Registri elettronici da buttare?
di R.P.
Le due aziende su cui l’antitrust sta indagando sono accusate di aver “blindato” i dati degli alunni in modo da renderli inaccessibili ad altri software. Le scuole che hanno acquistato registri che non riescono più a leggere i dati potrebbe essere costrette a comprarne di nuovi.
L’inchiesta dell’antitrust su due aziende produttrici di registri elettronici potrebbe avere conseguenze anche per le istituzioni scolastiche.
La questione infatti è piuttosto complessa e complicata e visti i tempi della giustizia italiana c’è il rischio che – a farne le spese – siano le scuole stesse.
Il problema è questo: le due aziende sui cui l’antitrust sta indagando sono le stesse che da anni gestiscono i software per la gestione di diverse attività amministrative (contabilità, anagrafe alunni, biblioteca, inventario e altro ancora).
Questa aziende sono ora accusate di aver “blindato” i propri data base dell’anagrafe alunni rendendoli di fatto inaccessibili a software di altre aziende destinati alla gestione del registro elettronico.
A questo punto le scuole che hanno acquistato questi registri elettronici si trovano ad avere in mano uno strumento difficilmente utilizzabile e che comunque non è in grado di “colloquiare” con l’anagrafe degli alunni.
In realtà il punto di tutta la questione è un altro: non si capisce davvero (o lo si capisce fin troppo bene…) per quale motivo il Ministero dell’Istruzione non abbia provveduto fin da subito a fornire a tutte le scuole d’Italia un registro elettronico standard (e magari anche a “costo zero”).
Adesso cosa accadrà nelle scuole?
Chi ha acquistato il registro dalla stessa azienda che gestisce l’anagrafe degli alunni può stare tranquillo, per tutti gli altri le difficoltà non mancheranno e forse, per risolvere il problema, potrebbe essere necessario archiviare il pacchetto attualmente disponibile e comprarne uno nuovo.

Edilizia scolastica e terremoti, il pericolo è al Sud

da Tecnica della Scuola

Edilizia scolastica e terremoti, il pericolo è al Sud
di A.G.
Sono 27.920 gli edifici che ricadono in aree ad elevato rischio sismico. La maggior parte nel Meridione: 4.856 in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria. Seguono Toscana a Lazio. A ricordarlo, rivendicando interventi urgenti, è Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: ha fatto bene il Governo Renzi a dare priorità alla sicurezza delle scuole, ma la situazione è drammatica e siamo solo all’inizio.
Avviare con urgenza un Piano nazionale di edilizia scolastica per garantire la sicurezza agli studenti e a chi opera nel nostro paese, oltre che per permettere l’auspicata ripresa economica del Paese. A sostenerlo con forza, il 3 maggio, è stato Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi. Che con l’occasione ha ricordato che in Italia moltissime scuole sono vecchie, costruite prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche, molte altre ricadono in aree a rischio sismico e/o idrogeologico.
Secondo il rappresentante dei geologi “sono troppe le scuole che, in tutte le regioni d’Italia, necessitano di una urgente messa in sicurezza. Sono ben 27.920 gli edifici scolastici che ricadono in aree ad elevato rischio sismico, di cui 4.856 in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria, 2.864 in Toscana, 2.521 nel Lazio”. “Esprimiamo quindi soddisfazione per questo primo passo del Governo, che va nella direzione da anni indicata dai geologi, sperando che si prosegua nella strada della progressiva messa in sicurezza del nostro patrimonio edilizio, perché ad avere bisogno di cure, oltre alle scuole – concludono – ci sono tantissime strutture pubbliche, per non parlare dei centri storici”.
“Quello compiuto dal Governo Renzi deve essere solo il primo passo. Stiamo andando finalmente nella direzione da anni indicata dai geologi. La scuola è il biglietto da visita di una nazione e per l’Italia non è certo un bel biglietto da visita, se solo si pensa – ha spiegato Graziano – che il 50% delle scuole non ha il certificato di agibilità, che molte sono state costruite prima del 1974, anno in cui entrarono in vigore le norme antisismiche e che una buona percentuale risale a prima del 1900. La situazione dell’edilizia scolastica in Italia è drammatica, soprattutto al Sud, per cui bene ha fatto il Governo Renzi a cercare di dare priorità alla sicurezza delle scuole. Ma che questo sia solo l’inizio”.

In tre anni assunti oltre 63mila nuovi docenti?

da Tecnica della Scuola

In tre anni assunti oltre 63mila nuovi docenti?
di P.A.
Nel prossimo triennio saranno assunti più di 63mila insegnanti secondo le modalità previste: il 50% dei posti sulla base delle graduatorie a esaurimento e il restante 50% sulla base dei concorsi. Il dirigente Miur, Luciano Chiappetta a colloquio col Sole 24 Ore spiega come
Il capo dipartimento per l’Istruzione del Miur, Luciano Chiappetta, spiega al Sole 24 Ore che per l’anno scolastico 2014/2015, a organico invariato, sono in programma circa 29mila immissioni in ruolo. Le prime 14mila serviranno a coprire i pensionamenti e saranno assegnati quasi sicuramente agli ultimi 7mila vincitori del concorso bandito nel 2012 dall’allora ministro Francesco Profumo e 7mila ai nominativi scelti dalle graduatorie a esaurimento. A questi si sommeranno 15mila assunzioni sul sostegno.
Tuttavia, precisa Chiappetta, il bottino potrebbe essere ancora più sostanzioso se il Mef darà l’ok a coprire pure i circa 8mila posti oggi esistenti, ma non autorizzati, per via degli esuberi.
La terza e ultima quota da 8mila docenti di sostegno arriverà nell’anno scolastico 2015/2016. A questi andranno aggiunti i circa 14mila “buchi” che andranno riempiti per il turn over stimato. Anche in questo caso varrà la regola del 50%.
Come annunciato mercoledì scorso dal ministro Stefania Giannini, 7mila posti andranno agli idonei (ma non vincitori) della scorsa selezione e 7mila ad altrettanti precari.
Nel complesso il conto dei professori che entreranno di ruolo al prossimo settembre 2015 sarà di 22mila unità.
Nel frattempo la ministra dovrebbe pubblicare un nuovo bando da 17mila cattedre, che vedrà la luce nella primavera del 2015 e presenterà più di una novità rispetto alla tornata precedente.
«Innanzitutto riguarderà tutte le classi di concorso – sottolinea Chiappetta – e non solo alcune come avvenuto in precedenza; in secondo luogo, interesserà l’intero territorio nazionale e potrà avere anche una base interregionale».
Ma Chiappetta precisa che per l’anno scolastico 2016/2017 sono previsti poco più di 12mila avvicendamenti per turn-over e di questi 12mila nuovi posti da coprire solo 6mila dovrebbero essere assorbiti attraverso il “concorsone”.
Nel rispetto del 50% previsto dalla legge, gli altri 6mila continuerebbero ad arrivare dalle graduatorie a esaurimento.

“Lasciamo le nostre scuole libere di scegliersi i prof migliori”

da Tecnica della Scuola

“Lasciamo le nostre scuole libere di scegliersi i prof migliori”
di Pasquale Almirante
“Abbiamo ancora troppi insegnanti impreparati nelle classi italiane a cui nessuno impone sviluppo professionale o uscita dal corpo docente e troppi con professionalità e desiderio di innovare che, al contrario, non sono adeguatamente incentivati a proseguire”. Tempi.it riprende un editoriale di Stefano Blanco, direttore della “Fondazione Collegio delle Università Milanesi”, per spiegare perché è così importante introdurre un sistema oggettivo di valutazione dei docenti e quale sia il modo migliore per farlo
Valutare gli insegnanti, spiega Blanco, perché “ormai è sotto gli occhi di tutti che il concorso che dovrebbe garantire il loro reclutamento non funziona. Non è certo un caso, infatti, se il 99,9 per cento dei docenti che superano il concorso, al termine del primo anno di prova, entra in ruolo, senza che praticamente nessuno venga bocciato. Ciò significa che non c’è alcun tipo di selezione all’ingresso. Inoltre, chi diventa docente è destinato a rimanerlo a vita, senza mai poter ricevere alcun tipo di valutazione. Se veramente crediamo che l’educazione dei nostri figli sia una cosa importante, e lo è, dovremmo pensare anche alla valutazione dei docenti. Sono i buoni docenti, infatti, che contribuiscono a fare una buona scuola. Per questo motivo è importante valutarli, anche ricorrendo a forme di incentivazione di carattere retributivo o scatti di carriera per spingere a proseguire chi veramente è meritevole di farlo”.
Tuttavia, sul “come” affrontare la valutazione, Blanco sostiene che bisognerebbe introdurre nelle scuole “maggiore autonomia di gestione e finanziaria, consentendo alle scuole pubbliche sia di poter scegliere da sé i propri docenti sia come ripartire le spese rispetto ai finanziamenti ricevuti, che poi saranno valutati solo alla fine. Sarebbe già un bel passo in avanti se anche in Italia ci fosse un po’ meno centralismo da parte dello Stato e questo si limitasse a stabilire i criteri dell’abilitazione a livello nazionale, lasciando che un insegnante sia libero di inviare il suo curriculum alla scuola che più preferisce e questa sia a sua volta libera di scegliere da sé i docenti che vuole”.
Compito di valutare e scegliere i prof migliori, per l’esperto, è affidato al dirigente: “La qualità di un professore non può essere valutata esclusivamente in base a dei numeri, è un fatto molto più complesso. A maggior ragione lo è oggi che gli insegnanti si trovano di fronte a classi eterogenee, talvolta addirittura problematiche da gestire. L’emergenza educativa di cui si sente ancora parlare è reale e per nulla superata. Detto questo, però, non ci sarebbe alcun male se, per esempio, anche un professore, analogamente a quanto avviene con i medici, debba aggiornarsi ogni anno per poter insegnare, dovendo guadagnarsi crediti attraverso adeguati percorsi di formazione. Il mondo dell’insegnamento non può più limitarsi ad essere un grande sistema di welfare per collocare i docenti. Così non può più funzionare. In questo senso la figura del dirigente scolastico è fondamentale per valutare gli insegnanti e così condurre una scuola. Nessuno meglio di lui può farlo. I paesi del Nord Europa, in questo, sono all’avanguardia, mentre in Italia, troppo spesso, i dirigenti non hanno l’autorevolezza, o non vogliono prendersi la responsabilità, per farlo”.
Tuttavia, aggiungiamo noi, sarebbe opportuno specificare, nel corso di interviste tanto delicate, quali sono questi paesi del Nord Europa che adottano tali metodologie, visto che in Germania, per esempio, il preside è elettivo e metà delle sue funzioni li svolge in classe, come docente, e senza neanche pensare minimamente di valutare i suoi colleghi. Con ogni probabilità solo in Inghilterra il dirigente ha un certo potere, ma è soggetto al licenziamento in tronco se sbaglia, mentre non pare che i ragazzi delle scuole pubbliche d’oltre Manica siano così brillanti.
In Finlandia, che finora ha ottenuto i migliori risultati nelle rilevazioni Ocse-Pisa, è stato adottato il principio della “rendicontazione (“accountability”). Scuole e insegnanti devono rendere conto di quel che fanno e ottengono, sono responsabili dei soldi che spendono per l’istruzione e soprattutto dell’avvenire degli studenti. Non ci sono valutazioni esterne. Il solo esame nazionale è la maturità. I voti sono proibiti per legge nella scuola primaria. La scuola primaria è una “zona libera” da test. Le valutazioni degli insegnanti sono descrittive.
Il sistema finlandese funziona solo sulla base della fiducia reciproca tra insegnanti, studenti, famiglie e autorità. In mancanza della fiducia e del rispetto tutto va a monte”.

Giannini: abbiamo fatto quello che si poteva fare in due mesi

da Tecnica della Scuola

Giannini: abbiamo fatto quello che si poteva fare in due mesi
di P.A.
La ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, nel corso di una iniziativa pubblica in Umbria tenta di tirare un primo bilancio della sua gestione
“Fino ad ora il governo, e il mio ministero, si è limitato ai provvedimenti che in due mesi si possono fare: messa in ordine di una serie di problemi e indirizzo politico per affrontarli uno per uno e per dare una prospettiva”.
“Quello che stiamo facendo con il Governo Renzi – ha spiegato – è un qualcosa né di molto atteso né di molto scontato: è rimettere al centro dell’agenda politica del nostro Paese un settore che fino ad oggi era rimasto sostanzialmente nelle soffitte o nelle cantine e aveva subito un trattamento che ne ha svilito la funzione sociale e ne ha sottratto il potenziale di innovazione all’interno del Paese e non ha consentito quel collegamento naturale e diretto fra mondo del pensiero critico, la ricerca universitaria, e mondo della produzione attiva, l’imprenditoria e l’industria”.

10 maggio a San Pietro. Riparte il dibattito sulla libertà di educazione

da TuttoscuolaFOCUS

10 maggio a San Pietro. Riparte il dibattito sulla libertà di educazione

Il mondo delle scuole cattoliche si sta preparando all’evento del prossimo 10 maggio, quando Papa Francesco I le accoglierà in piazza San Pietro. Una serie di incontri preparatori, seminari e dibattiti sta accompagnando l’ormai prossimo evento.

Il Forum delle Associazioni familiari, per esempio, ha organizzato due settimane fa un incontro-dibattito tra i rappresentanti delle associazioni che operano nelle scuole – paritarie e statali – e l’ex ministro Luigi Berlinguer sul tema “La centralità dell’apprendimento per una scuola di qualità per tutti e per ciascuno”. Altri incontri si sono svolti nel mese di aprile sul tema della parità, e in particolare sulla proposta di utilizzare il ‘costo standard’ per alunno come unità di misura dei finanziamenti da assegnare alle scuole pubbliche, statali e paritarie.

Rispetto agli anni (e ai Papi) scorsi sembra manifestarsi nel mondo delle scuole paritarie cattoliche un nuovo spirito, meno difensivo di quello che ne aveva ispirato le ricorrenti proteste del passato, fin dai primi anni di applicazione della legge n. 62/2000 di Berlinguer sulla parità.

Sarà a causa dell’esaurimento per estenuazione delle consuete proteste, sarà forse per il clima di rilanciata fiducia nella propria identità storico-culturale suscitato nell’ultimo anno dal nuovo Pontefice, ma molti elementi fanno pensare che le scuole cattoliche cerchino nuove vie per vedersi riconosciuta una completa parità, anche economica: non quella di pretendere il risarcimento, da parte di uno Stato avvertito come ostile e lontano, del proprio essere ‘diverse’ dalle scuole statali, quasi una riserva indiana, ma al contrario la richiesta di essere messe sullo stesso piano e di poter competere dal punto di vista della qualità dell’offerta formativa.

E’ questa, ci sembra, al di là delle technicalities, la via intrapresa dai sostenitori del costo standard come suor Anna Monia Alfieri, presidente della FIDAE in Lombardia (di cui pubblichiamo in allegato delle riflessioni http://www.tuttoscuola.com/ts_news_631-1.docx ), che questa battaglia sta combattendo a partire dalla Regione in cui opera.

 

Gradite i vostri insegnanti

GRADITE I VOSTRI INSEGNANTI

di Umberto Tenuta

Cari studenti gradite i vostri insegnanti? di Lucio Ficara

Accade a Imola in questi giorni, dove gli studenti stanno ricevendo un questionario in cui devono indicare in che misura questo o quel docente è gradito. Proteste dell’USB che ci vede lo “zampino” del dirigente scolastico……

………………..

Per alcuni docenti la proposta di questo questionario è stata vista come una buona idea, da cui prendere elementi per migliorarsi nella didattica e soprattutto nelle relazioni umane…..

E meno male!

Vedete, nelle scuole ci sono anche i saggi docenti, i quali sanno mettersi in discussione, perchè nulla hanno da temere e da buona volontà sono animati.

Consapevoli come sono che l’uomo e il docente sono sempre perfettibili, mai perfetti, grandioso destino dell’uomo!

………………….

…per altri docenti invece si tratta di una proposta irricevibile, che capovolge la “ratio” della scuola, dove i valutatori si trovano valutati e coloro che dovrebbero essere valutati diventano i valutatori…

la ratio?

Quale ratio?

Quella che ognuno non è libero di farsi da solo?

Chi ha mai stabilito che la Scuola sia un valutatoio?

Mica gli studenti vanno a scuola per farsi pesare?

La Scuola è un servizio pubblico, un servizio reso alle persone umane che sono i giovani, i quali chiedono di alimentarsi alle fonti della cultura per farsi uomini, uomini grandi, uomini belli.

Nessuno ha il diritto di valutarli.

Nessuno, nemmeno il destino!

Ma allora i docenti non possono valutare gli studenti?

No, no, no, e poi no!

Non li possono, non li debbono valutare.

Non hanno il diritto di valutare gli studenti.

E, allora, perchè nella scuola si parla tanto di valutazione?

Valutare di qua, valutare di là.

Docenti che valutano, Collegi dei docenti che valutano, INVALSI che valuta…

Ma sì, Signori miei!

A scuola si valuta, si deve valutare, sempre si deve valutare.

Anche le navicelle spaziali oggi si autovalutano.

E pure i docenti!

I docenti valutano prima di iniziare a tenere lezioni, valutano durante le lezioni se non hanno perduto già la loro voce, valutano alla fine per acclarare se le loro parole hanno innamorato gli studenti al divino incanto della Gioconda.

E se gli studenti innamorati non sono, ritornano all’attacco, illuminano da un’altra angolazione il volto della Gioconda, trasudano la loro estasi…

E, alla fine, se la Gioconda non innamora, presentano Amore e Psiche.

Ovvero i Bronzi di Riace!

E, dunque, gli studenti sono sempre fuori discussione nella Valutazione?

Lo ha detto, se non erro, quel Grande che si chiama Roberto Zavalloni.

Insomma, i docenti non valutano gli studenti ma il loro progetto educativo!

Gli studenti sono i migliori testimoni della validità del progetto educativo, perchè essi, e nessuno meglio, sanno bene se hanno compreso, se hanno appreso, se stanno meglio.

Smettiamola di utilizzare una valutazione punitiva, perchè nessuno ha mai imparato ad amare con le punizioni!

Smettiamola di utilizzare la valutazione selettiva, perchè tutti gli studenti hanno diritto al successo formativo e la scuola lo deve garantire a tutti, nessuno escluso.

I grandi docenti utilizzano sempre la valutazione formativa, quella che dice per quali vie, con quali strategie, con quali strumenti gli studenti arrivano al successo formativo.

E gli studenti, assieme ai loro genitori, con le loro valutazioni aiutano i grandi docenti a individuare i migliori percorsi formativi.

Ordunque, ora e dunque, nella scuola regni la pace, la pace dei docenti con gli studenti, la pace degli studenti con i docenti.

Anzi, regni l’amore!

Omnia vincit amor.