ANCORA NEL RECINTO DEGLI APPESTATI?

DIRIGENTISCUOLA-CONFEDIR: LA DIRIGENZA SCOLASTICA ANCORA NEL RECINTO DEGLI APPESTATI?

Sono oggi apparsi in gazzetta ufficiale, dopo le ripuliture e gli aggiustamenti ad opera dei tecnici del Quirinale, i due decreti legge contenenti disposizioni di straordinaria necessità e urgenza, l’uno riferito alla semplificazione e trasparenza amministrativa, l’altro alle misure per favorire la competitività e la crescita.

Ma, a dodici giorni dalla fantasmatica deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, del presunto disegno di legge di riforma della dirigenza pubblica, siamo ancora fermi al testo apocrifo apparso su www. eticapa.it, il cui articolo 3, rubricato Dirigenza, sembra clamorosamente smentire, a dispetto dello slogan – Repubblica semplice – che lo che lo sintetizza, tutti i capisaldi siccome figuranti nelle originarie Linee guida: ripristino del ruolo unico di tutta la dirigenza pubblica manageriale, separata dai professional, e abolizione della distinzione tra prima e seconda fascia, con la correlata armonizzazione degli odierni sperequati trattamenti economici; intercambiabilità e rotazione degli incarichi in ragione delle competenze culturali e professionali di ogni dirigente e in esito a una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzative dimostrate, tal che la remunerazione risulti commisurata ai carichi quali-quantitativi di lavoro ed inerenti responsabilità, ovvero a quello che il dirigente fa e non a dove lo fa!

Ora, invece, scorrendo l’articolo, composto da tre commi e il primo dei quali contiene quindici corpose lettere (a-o), pare, prima facie, che la preannunciata, ed abusata, rivoluzione sia, più che innovativa, decisamente regressiva rispetto all’ epocale riforma Brunetta, di cui alla legge delega 15/09 e susseguente d.lgs. 150/09, ma rimasta ibernata.

Vi leggiamo che:

-è sì confermata la distinzione tra dirigenti con compiti di gestione di risorse umane e finanziarie (cioè i c.d. dirigenti manageriali o dirigenti stricto iure) ed esperti con specifiche (e indeclinate) professionalità, ma in prosieguo appare un profluvio di figure dirigenziali, più o meno in corrispondenza delle sette differenziate qualificazioni dell’onnicomprensivo termine di pubblica amministrazione. Così, accanto ai dirigenti delle amministrazioni centrali, degli enti pubblici non economici e delle agenzie ex d. lgs. 300/99, vi sono i dirigenti regionali, i dirigenti apicali degli enti locali, i dirigenti degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, distinti in dirigenti amministrativi, in dirigenti tecnici (che, sempre stricto iure, dirigenti non sono, perché non preposti alla conduzione di strutture organizzative, ovvero non aventi compiti di gestione di risorse umane e finanziarie, se non in maniera marginale ed in via eventuale), in dirigenti professionali (presumibilmente quei centoventimila degli attuali centotrentamila medici e/o appartenenti ai ruoli sanitari regionali la cui funzione, squisitamente professionale, attiene, in misura preponderante se non esclusiva, a decisioni di natura clinico-assistenziale);

-il ruolo unico, incardinato nella Presidenza del consiglio, seguito dall’abolizione delle due fasce, è circoscritto ai dirigenti delle amministrazioni centrali (che dovrebbero comprendere i dirigenti tecnici del MIUR, già ultraspecifici ispettori scolastici), degli enti pubblici non economici e delle menzionate agenzie.

Solo per loro vale l’ordinaria mobilità nei diversi settori delle amministrazioni statali, in orizzontale e in verticale; così come solo per loro vale l’omogeneizzazione delle retribuzioni nell’ambito del ruolo unico, in esito alla riparametrazione di tutte le voci retributive. Per contro, mette conto aggiungere, solo loro sarebbero incisi da una valutazione non positiva, comportante il demansionamento, con la destinazione ad attività di supporto, ed infine il licenziamento se privi d’incarico al termine del periodo massimo di messa a disposizione;

-contrariamente ad una dirigenza che si voleva sempre più qualificata e meritocratica, al riparo dei condizionamenti politici, ne viene accentuata la gerarchia interna, reso più facile lo spoils system e ampliata la possibilità di ricorrere ad incarichi esterni, senza la previa verifica della disponibilità di dirigenti di ruolo aventi le corrispondenti competenze;

dulcis in fundo, dai ruoli unici, e dai connessi istituti or ora sunteggiati, è esclusa la dirigenza scolastica, nei cui confronti la cennata riforma Brunetta sembrava invece contenere una pur indiretta apertura, nel segno di una dirigenza normale, per avere esplicitamente prefigurato una specialità esclusivamente per la dirigenza della Presidenza del consiglio e per quella medica: nel senso di dirigenze forti, non già di dirigenze farlocche.

Il dato testuale appare inoppugnabile nel non considerare quella scolastica come dirigenza manageriale a tutto tondo, così come essa effettivamente è ex lege, e come tale riconosciuta dalle giurisdizioni superiori (Corte dei conti-Sezioni riunite di controllo, Adunanze del 7 aprile 2006 e del 14 luglio 2010, rispettivamente per la certificazione del CCNL 2002-2005 e del CCNL 2006-2009; Consiglio di Stato, Comm. Spec. P.I., n. 529 del 16 ottobre 2003); che possiede ed esercita generali competenze di tipo giuridico-istituzionle, competenze afferenti alle scienze dell’amministrazione, competenze di leadership organizzativa estrinsecantesi nella capacità di conseguire gli obiettivi coinvolgendo e motivando professionisti dell’educazione-istruzione-formazione; che è molto più complessa e più carica di responsabilità, giuridiche e sociali, delle tante attuali e debordanti figure dirigenziali quoad – più che doppia – pecuniam; che, infine, richiede per accedervi il superamento di un, più gravoso, concorso di secondo grado.

Sembrerebbe, allora e sempre, preclusa ai cirenei aventi l’unica colpa di provenire dalla docenza, ogni possibilità di uscire dal recinto degli appestati, in cui – sin dall’acquisizione di un’aggettivata altisonante, ma vacua, qualifica – sono stati reclusi (o si sono auto reclusi?) a contemplare la loro ineffabile specificità ad imbuto.

Sicché, non solo avranno precluso qualsivoglia percorso di carriera, ma non potranno – se addottorati in discipline artistiche, letterarie o filosofiche – aspirare, secondo criteri di banale normalità, ad un incarico di pari livello nel Ministero dei beni culturali, o – se laureati in materie economiche – nel MEF, o – se in possesso di laurea in giurisprudenza e affini – nel MAE o nel Ministero degli interni, o ancora – se di formazione sociologica, psicologica, pedagogica – nel Ministero della salute o nel Ministero del lavoro e politiche sociali, ovvero e latamente nelle strutture pubbliche dei servizi alla persona.

E’ la maledizione dell’ – inemendabile? – vizio d’origine di una dirigenza normata – in evidente distonia con la generale disciplina contenuta nel d.lgs. 29/93, come novellato dalla legge 59/97 – da una fonte abusiva e tracimante, nella sostanza frutto della riformulazione dell’articolo 32 del contratto nazionale di lavoro del comparto scuola, sottoscritto il 4 agosto 1995, in un assetto ordinamentale pre-autonomistico e all’epoca comprendente i presidi e i direttori didattici, ma non più gli ispettori tecnici, uscitine nel 1989 dopo l’acquisizione della qualifica dirigenziale, per essere collocati nell’area prima dei dirigenti ministeriali. Contratto che ha preteso – riuscendovi – di creare una distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola, non assimilabile alla dirigenza (la generale dirigenza pubblica, inclusi i già ispettori scolastici) regolata dal d.lgs. 29/93.

Dovremmo pertanto farcene una ragione, come direbbe il nostro Presidente del consiglio?

Ma sempre in nostro Presidente del consiglio, che in cima al suo programma di governo ha posto il valore strategico della scuola e ha affermato che i docenti (estensivamente, crediamo, i professionisti che vi operano) hanno stipendi ridicoli o quasi, dovrebbe essere sensibile anche alle ragioni della sua dirigenza: che non domanda privilegi bensì equità, semplicemente non volendo permanere nel suo status di figlia di un dio minore.

Non sarebbe quindi da escludersi che la ministra Madia, nell’impostare la sua riforma, abbia voluto riservarsi un trattamento migliore per una dirigenza che produce cultura, formazione, uomini e cittadini; mentre la dirigenza normale produce pratiche, carte e provvedimenti amministrativi.

Le chiederemo, perciò, un incontro ufficiale e urgente per saperlo dalla sua viva voce, sebbene – ancor prima – dovremmo chiederlo alla sua collega Giannini, che nelle irrefrenabili quotidiane dichiarazioni all’universo mondo dei mass media non ha mai speso una sola parola sulla dirigenza scolastica.

E ci piacerebbe essere affiancati, e sostenuti, sia dai sindacati del comparto scuola, ai quali la categoria ha attribuito la maggioranza assoluta della propria rappresentanza, sia dal sindacato più autorevole e, relativamente, più rappresentativo della dirigenza scolastica. O, almeno, ci aspettiamo che battano un colpo.

Meglio tardi che mai

186 GIANNINI MEGLIO TARDI CHE MAI di Umberto Tenuta

CANTO 186 SCHOLA RENOVANDA EST. GLI DEI SONO SCESI DALL’OLIMPO, TUTTI PROMOTER!

−<<se gli insegnanti non saranno in grado di “scendere dalla cattedra” e di acquisire un metodo didattico parallelo e interdisciplinare» la digitalizzazione della scuola avrà «un senso modesto», «questa è la sfida più importante»…

− Tra le proposte, anche l’individuazione di un docente `promoter´ all’interno degli istituti: «A scuola non ci sono distinzioni funzionali tra insegnanti, ma sulla parte digitale credo si possa individuare un docente promoter, una figura che possa essere, nel percorso, un punto riferimento della scuola».

 

Lunga la strada, lunga la citazione… ma fortunosamente bella!

Finalmente!

Lo diciamo con soddisfazione, con gioia.

“Ecco la strada”

SCHOLA RENOVANDA EST

Dario, diglielo TU! Educazione&Scuola lo va dicendo.

METODO: non più lezioni, esposizioni, spiegazioni, dimostrazioni, presentazioni… seppure sulle LIM!

“Scendere dalla cattedra”!

In mezzo ai gruppi di studenti, sì, chiamiamoli sempre così, giovani che amano i saperi, innamorati, studiosi.

METODO DIDATTICO PARALLELO E INTERDISCIPLINARE

Niente parallele, sempre convergenze!

Semmai convergenze parallele!

Quanti disastri finora, soprattutto di coloro che avevano le auto sgangherate.

Ora non si viaggia più nelle monoposto.

Oggi si viaggia nelle Multiple.

Almeno a cinque posti.

Le strade si intersecano.

La Logica matematica è anche Analisi logica.

Il Partenone è Storia, Arte, Geometria…

«A scuola non ci sono distinzioni funzionali tra insegnanti>>.

Quelli di Greco non sono di serie A.

Quelli di Ginnastica non sono di serie B.

Pari siam!

Che bello sentirlo dalla Ministra dell’Educazione!

Nomina sunt numina.

Ha cambiato nome anch’Ella!

Ministra dell’EDUCAZIONE.

Ed ha imparato pure l’inglese!

…individuazione di un docente `promoter´ all’interno degli istituti!

Giovane Ministra Giannini, me lo consente un bacio, un bacio accademico, tanto sono un vecchio, un vecchio giovane innamorato delle sua amata Scuola.

Le sto cantando le Serenate sotto le finestre.

E sto gridano: Aprite le finestre, O Cosentine!

Ella è troppo giovane per ricordare Claudio Villa, Giuseppe Giacomantonio, Alfonso Mazzuca!

Aprite le finestre, O Cosentine…

Aprite le finestre, le porte, le aule … della scuola!

Non ci sono più aule chiuse, studenti chiusi nei propri banchi, docenti chiusi nelle proprie discipline …

Ci sono docenti promoter…

Oddio, che ignorante che sono!

Io li chiamavo specialisti, docenti tutti speciali, tutti specialisti, ma tutti interdisciplinari

la contraddition che nol consente?

Un’O.M. per farglielo consentire!

Tutti i docenti promoter.

Ognuno offre il meglio a tutti gli studenti della scuola, senza privilegi e privilegiati, perchè hanno avuto la fortuna di avere il più bravo docente di Filosofia, quello che te la fa amare, la filosofia, lo studio.

Amor che a nullo amato amar perdona.

Tutti innamorati della propria disciplina!

Filosofia, Storia, Botanica, Arte, Matematica…, sì, Matematica, mon amour!

Anche il Principe del foro la odiava.

Ora la ama perchè gliel’ho fatta apprendere io ad Irene, rimandata con QUATTRO a giugno ed a settembre promossa con SETTE. E perchè non con NOVE? Per egoistica carità del docente verso se stesso.

PROMOTER tutti!

A libera scelta, indipendentemente dalla disciplina ascritta.

Anche il POMOTER DIGITALE!

Con la mia AMIGA, col mio PC ho scritto nove volumi, tutti pubblicati ed esauriti.

Ma ora mi danno l’anima col mio IPAD AIR e col mio KINDLER che nessuno mi vuole aiutare ad apprendere.

Sì, anche un Promoter digitale nelle scuole, per impedire la dannazione dei docenti di Storia, di Geografia, di Filosofia, di Indiano, di Catalano…

Promoter siamo tutti!

Anche di Tablet, Sol dell’avvenire (Umberto Tenuta).

Sì, Ministra Giannini!

Le macchie di Leopardo mandiamole in Lavanderia.

Nella Scuola tutto bianco, bianco che più bianco non si può.

Bandiera Bianca!

Niente più guerre nelle scuole, tra le scuole, fuori dalle scuole!

La pace sia con Voi.

Tutti i docenti sono i migliori docenti per tutti render migliori gli studenti delle scuole italiane.

Le LIM ci sono.

Ci sono, facciamole usare, molto agli studenti, poco ai docenti.

Tutti però coi Tablet nel leggero borsello.

Ai docenti ed agli studenti, che il tablet per strano destino non avessero ancora, diamolo pure vendendo le ferraglie dei PC che ingombrano i ripostigli di tutte le scuole.

Vendiamo anche le cattedre e le pedane.

Ed i banchi biposti.

Il Promoter digitale ad apprendere come si usa il Tablet aiuterà anche me.

Dopo la Rivoluzione industriale dei mulini a vento, la rivoluzione digitale è la più grande Rivoluzione della Scuola.

I Promoter non stanno più seduti sulle cattedre vendute.

La faccia, questa Rivoluzione silenziosa, Onorevole Ministra Giannini!

La Sua statua sarà a fianco di quella di Napoleone.

DSA e SCUOLA: a partire dal 30 Giugno cambiano le cose!

da Il Pescantinese

DSA e SCUOLA: << a partire dal 30 Giugno cambiano le cose !

A partire dal 30 Giugno gli psicologi che lavorano presso Studi privati del Veneto non potranno piu’ emettere diagnosi dalla scuola per i disturbi specifici dell’apprendimento ( DSA ), come ad es. la dislessia.

Questo comporterà un consistente aumento delle liste d’attesa per le ULSS e, di conseguenza, deiu ritardi nell’attivazione degli aiuti a scuola imposti dalla legge 170 del 2010. Tale Problema avrà serie ripercussioni sulle famiglie di bmbini con DSA che non potranno piu’ esercitare il diritto alla salute per i propri figli.

Dalla legge regionale 16/2010 si evince che ” i disturbi specifici dell’apprendimento ( dsa ) , ossia la dislessia , la disgrafia o disortografia e la discalculia, rappresentano il 20-25% di tutti i problemi dell’apprendimento che emergono durante i primi anni della frequenza scolastica, che nel loro insieme coinvolgono il 15-18% della popolazione in età scolare. Nel 60%dei casi i DSA nn sono isolati e si associano fin dall’inizio a disturbi dell’atte nzione, della condotta e psicopatologici ” .

Stime piu’ caute parlano del 3-4% circa, confermate da dati piu’ recenti rilevati iin Friuli Venezia Giulia direttamente sulla popolazione scolastica che rintracciano la presenza di circa il 3,1- 3,2 % di DSA.

Leggere in mezzo al grano

185 LEGGERE IN MEZZO AL GRANO di Umberto Tenuta

CANTO 185 LEGGERE RACCOGLIERE COGLIERE CONOSCERE COMPUTARE AMARE LEGARE LE ARISTE DEL GRANO

 

L’etimologia del verbo leggere è da ricondursi al latino legere, che trova affinità nel greco λέγω (lego), con il significato di raccogliere o dire.  

Leggere significa fondamentalmente raccogliere, ma il termine ci suggerisce un significato che va oltre la semplice ripetizione meccanica di suoni.

Infatti, la radice leg è alla base del termine lògos, che racchiude in sé svariati significati (parola, discorso, causa, ragione…).

Può?ertanto, la lettura può essere considerata come un’azione che coinvolge la totalità della persona, la quale “raccoglie”, e in particolar modo la sua capacità di cogliere il significato profondo di ogni cosa.

Leggere, raccogliere, cogliere assieme, legare, collegare…

Legare, collegare i grafemi, i significanti, e coglierne i significati.

Leggo il sorriso sul tuo volto e capisco che sei contenta.

Leggo nuvole nere in cielo e capisco che pioverà.

Leggo le braccia di un uomo che si agitano nel mare e capisco che sta affogando.

Leggo la tua fronte corrugata e capisco che sei in pensiero.

Leggo che alle tre arance ne aggiungi altre due e capisco che ora ne hai cinque.

Leggo che il sole è a metà del cielo e capisco che è ora di andare a pranzo.

Leggo sulle tue labbra i fonemi A M O R E e capisco che mi stai chiamando!

Che altro è leggere se non raccogliere i segni, i simboli, le parole, i discorsi, la realtà tutta, presente, passata e futura?

Leggiamo sulle labbra i fonemi, sulla carta i grafemi, sullo schermo le immagini…

Altro che imparare a compitare sul sillabario!

Flatus vocis. Prima leggere e poi capire.

No, signori miei!

Leggere è capire, comprendere, prendere assieme.

Significante e Significato,sempre assieme.

Grafema, fonema, semantema!

Legge il bimbo appena legge il sorriso della mamma sua.

Mi guardò, Francesco, dietro il vetro della nursey, e mi sorrise.

Aveva letto ch’ero il nonno suo!

E così lesse il mondo nei primi suoi anni di vita.

Ed alla scuola dell’infanzia lesse i fonemi inglesi sulla bocca dell’Inglesina che non conosceva l’italiano.

Arrivato alla scuola degli elementi del sapere, non riuscì più a legarli, a collegarli.

Costretto a leggere, collegò al libro la costrizione, la pena, la sofferenza.

Così imparò, imparò e come imparò, imparò a odiare la lettura.

E le Fiabe di Perrault, le Novelle di Andersen, Pinocchio non lesse.

Non legge.

Nemmeno a pagarlo!

Lui che alla vista di un foglietto da 5 euro sgrana tutt’e due gli occhi suoi belli.

Amore!

Il primo amore non si scorda mai!

E se non è stato amore, ma fatica, pena, dolore?

Si odia.

Difficile scordare il primo amore.

Ma ancora più difficile togliere dal cuore il primo dolore!

Ma tu, Candida, hai trovato la soluzione.

Col tuo candore, pari al loro, li innamori sin dal primo giorno di scuola!

Entri nell’aula col tuo sorriso.

Li saluti e li accarezzi, come facevi col bimbo tuo caro, bello e grande.

Con la mano dispensi i baci, anche quelli Perugina.

Non prendi il sillabario ma cominci a novellar di fate e cherubini, principesse sul pisello e scarpette su misura.

Mica dici che insegnerai a leggere, a scrivere e a far di conto!

La tua aula è una gioia di forme, di colori, di suoni, di campi di grano.

Ci sono le API nell’ARNIA sulla mensola.

C’è la BARBY col suo Barbecue.

C’è la CASA della Barby.

C’è la Campana che Canta din don dan.

C’è l’Emilia nel prato d’Erbe profumato.

C’è il mondo, il mondo dei tuoi bambini!

Te lo ricordi dal Millenovecentocinquantacinque.

Parli e fai parlare.

Le parole ti escono dalla bocca e volteggiano nell’arcobaleno, novella Fata Morgana, che i bimbi leggono nell’aria.

Leggi le favole belle della loro infanzia e la gioia ti esce dal tuo cuore rosso.

Hai segnato i loro volti sulle falangette delle tue dita.

Ognuna delle tue bimbe vi si legge.

Legge già!

Miracolo di una Maestra fatata.

Hanno imparato a leggere le tue bambine.

Ed ora amano andare a leggere in mezzo al grano.

Leggono con amore, per ore ed ore.

Leggono le fiabe del loro amore, leggono le spighe del grano senatore, leggono la vita loro ch’è uno splendore.

Grazie, Candida, la zappa del tuo agricoltore fatica non costa!

 

Fine della Prefazione.

A domani l’Introduzione!

Maturità, ecco l’Italia che copia

da Il Fatto Quotidiano

Maturità, ecco l’Italia che copia

di Alex Corlazzoli

Alzi la mano chi non ha copiato all’esame di maturità. In Italia siamo fatti così: un popolo che si arrangia, che prova a farcela, che di fronte ad una difficoltà trova il modo per superarla. La prova del nove arriva dai dati, diffusi da qualche ora sul portale www.studenti.it: al terzo scritto, il 39% dei maturandi ha copiato.

Come ha fatto? Perché? Chi ha permesso che ad un esame di Stato, perché questo è sulla carta, quasi la metà degli studenti allungasse l’occhio sul foglio del compagno o si passasse la prova da un banco all’altro?

Le risposte a questi interrogativi potremmo provare a darle insieme. Intanto guardiamo a ciò che è accaduto: di fronte alla prova redatta dalla commissione interna con dei quiz su cinque materie, il 39% dei maturandi ha dichiarato di essere riuscito a copiare; di questi il 23% è stato così “bravo” da essere riuscito a scopiazzare tutto da un compagno e il 16% ha ammesso di aver abbastanza “rubato” risposte.

Percentuali che suscitano qualche riflessione: se così tanti ragazzi hanno avuto necessità di copiare, forse va preso atto che questo tipo di prova è troppo difficile o forse la Scuola non prepara a sufficienza gli studenti. Che senso ha allora un esame dove buona parte dei maturandi si “arrangia” per ottenere il miglior voto possibile che sarà poco fedele alle reali competenze dei nostri ragazzi? Ecco il parere di uno dei protagonisti: “Le richieste erano abbastanza generiche. Il problema è ripassarsi tutti i programmi di tutte le materie per trovarsi poi solo tre richieste. E’ ovvio che uno studia tutto in modo superficiale e poco in modo preciso. Ed è qui che entra in gioco il tuo fantastico vicino di banco! A quel punto le intelligenze si fondono e si compensano”.

Aggiungiamo un altro dato: secondo l’indagine del portale studenti.it,  il 25% avrebbe avuto l’aiutino del professore. Giusto? Sbagliato? Di là del giudizio (vista com’è impostata la maturità in Italia anche chi scrive avrebbe dato una mano ai suoi ragazzi), dobbiamo registrare questo dato e prenderne atto: da una parte l’Invalsi soffre del cheating ovvero la manipolazione diretta da parte dei docenti attraverso il suggerimento, dall’altra la maturità è altrettanto una fotografia falsata delle competenze dei nostri ragazzi.

Non sono un fanatico della legalità, al punto da puntare il dito contro chi copia, ma se questo Paese funziona così diciamolo con chiarezza: alla maturità si copia; al concorsone si portano i “pizzini” o si chiede l’aiutino; al test d’ingresso all’università si trova il modo per farcela. L’importante è saperlo. Non facciamo finta che tutto va ben, come cantava Ombretta Colli.

Maturità, verso la prova del fuoco degli orali

da Repubblica.it

Maturità, verso la prova del fuoco degli orali

 

Concluse le tre prove scritte, le commissioni le esamineranno e assegneranno i 45 punti disponibili. Ne verranno fuori i primi verdetti. Il colloquio interdisciplinare può assegnare al massimo 30 punti

di SALVO INTRAVAIA

Tra curiosità e ipotesi di cambiamento, la maturità si avvia verso l’ultimo ostacolo. Archiviata la terza prova scritta di ieri, il quizzone con domande su almeno quattro materie dell’ultimo anno, tra pochi giorni iniziano gli orali. E mentre i 470mila maturandi di quest’anno sono alle prese col ripasso di tutte le materie per affrontare il terribile colloquio pluridisciplinare, tra oggi e dopodomani le commissioni d’esame passeranno in rassegna i compiti scritti distribuendo i 45 punti disponibili: 15 al massimo per ognuno dei tre scritti. Anche quelli di Salvatore Girone, uno dei due marò trattenuti in India per la vicenda dei due pescatori uccisi durante un pattugliamento, che sta sostenendo gli esami all’estero.

Alla correzione seguirà la pubblicazione dei voti. E, a questo punto, ci saranno i primi verdetti. Perché coloro che in dote avranno portato pochi punti di credito scolastico – che può al massimo arrivare a 25 punti – come la nazionale di Prandelli alle prese con la qualificazione agli ottavi di finale del Mondiale, dovranno cominciare a fare i conti per “qualificarsi” agli orali. I meno bravi dovranno infatti totalizzare almeno 30 punti tra credito scolastico e esiti degli scritti. Al colloquio sono infatti riservati al massimo altri 30 punti e per acciuffare il diploma col minimo occorre arrivare a sessanta centesimi.

Chi avrà totalizzano 29 o meno punti potrà evitare la fatica di presentarsi agli orali. Ma a rischiare sono anche i ragazzi che supereranno di poco i 30 punti. Dopo una carriera incerta e scritti non entusiasmanti, con 31 o 32 punti in totale, non sarà facile meritarsi quasi il massimo agli orali. Ma tutto può succedere. Durante la correzione degli elaborati, i prof si confronteranno soprattutto con tanti articoli di giornale e saggi brevi. E’ questa la tipologia che ha sbancato, complici gli argomenti particolarmente accattivanti – come la tecnologia pervasiva o il dono – che hanno visto il favore di tre studenti su quattro. Ma siamo certi che studenti e prof padroneggino la tecnica di scrittura di articolo e saggio?

Chissà come la pensano le due ragazze col pancione che sosterranno l’esame al liceo linguistico Renier di Belluno. Forse avrebbero preferito evitare questo stress ai loro bambini. Mentre, tra seconde e terze prove scritte i prof dovranno tramutarsi in detective per cercare di farsi un’idea su chi ha copiato – uno su tre, stando alle confessioni degli stessi ragazzi – e chi ha invece lavorato “onestamente”. Ma questa è un’impresa piuttosto ardua. Se c’è una tecnica che gli studenti padroneggiano infatti è proprio quella dell’aiutino reciproco. La prova del nove sarà l’orale – che dovrebbe essere un colloquio pluridisciplinare ma che si esaurisce spesso in un’interrogazione su tutte le materie dell’ultimo anno – l’unico esame dove barare sarà difficile.

Anche se, a guardare i numeri, il rito della maturità, ormai da anni si conclude col 99 e passa per cento di promossi. In tempi di spending review, ha ancora senso spendere 100 milioni di euro all’anno in compensi a presidenti e commissari per un esame che non seleziona nulla e nessuno? La più contenta di liberarsi del peso di un esame che è sempre un esame è sicuramente la maturanda più anziana di quest’anno: Rosalia Orlando che a Palermo sta affrontando la maturità all’età di 63 anni. Per lei il diploma dell’istituto nautico ha il sapore della ribellione al preconcetto che ad occuparsi di un’azienda di costruzioni navali, come le dicono i suoi fratelli, non possa essere una donna. “E chi l’ha detto?”, risponde orgogliosa lei.

Giannini: la scuola digitale? Ancora a macchia di leopardo

da La Stampa

Giannini: la scuola digitale? Ancora a macchia di leopardo

Bisogna formare in itinere i futuri insegnanti e chi già lo è

roma

 Per quanto riguarda la digitalizzazione delle scuole «abbiamo ancora una situazione a macchia di leopardo nel Paese». Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, a margine di un convegno sulla digitalizzazione della P.a. alla Camera.

 

Per il processo di digitalizzazione nelle scuole «dobbiamo compiere una vera e propria rivoluzione educativa – ha aggiunto il ministro – nel senso che dobbiamo puntare moltissimo sulla formazione permanente degli insegnanti, anche rivisitando il contratto. Se non c’è la possibilità di formare in itinere i futuri insegnanti e chi già lo è, diventerà difficile trasformare la scuola italiana nell’arco dei prossimi 5-6 anni per essere competitiva in Europa». Ha sottolineato il ministro.

 

Finora, secondo dati ricordati oggi, sono stati investiti 93 milioni di euro per le lim (lavagne interattive multimediali), a cui si aggiungono altri spesi dalle Regioni. Inoltre una scuola su 4 ha una connessione wi-fi. «Dobbiamo lavorare nel “cantiere scuole” – ha aggiunto Giannini – fare proposte per agire su metodi e contenuti e sul ruolo dei docenti nel processo». E a riguardo «stiamo elaborando un protocollo».

 

Occorre una «rivoluzione metodologica: se gli insegnanti non saranno in grado di “scendere dalla cattedra” e di acquisire un metodo didattico parallelo e interdisciplinare» la digitalizzazione della scuola avrà «un senso modesto», «questa è la sfida più importante».

 

Gli strumenti per realizzarla «possono essere vari, partiremo con una campagna forte, che crei un’idea corretta di quello che stiamo facendo». Tra le proposte, anche l’individuazione di un docente `promoter´ all’interno degli istituti: «A scuola non ci sono distinzioni funzionali tra insegnanti, ma sulla parte digitale credo si possa individuare un docente promoter, una figura che possa essere, nel percorso, un punto riferimento della scuola».

Un esame a perdere: che cosa non è oggi la “maturità”

Un esame a perdere: che cosa non è oggi la “maturità” *

di Maurizio Tiriticco

Quando alla fine del secolo scorso riformammo gli esami di maturità, l’intento era molto chiaro. In un Paese che stava cambiando e in un’Europa che non era più solo un mercato unico, ma un’Unione vera e propria – in quegli anni eravamo ancora 15 Paesi rispetto ai 28 di oggi – anche noi dovevamo cominciare assolutamente a cambiare, anche in termini di istruzione. I nostri titoli di studio dovevano essere concorrenziali con quelli dei partner europei e in Europa già da allora – ricordiamolo – si cominciava a parlare di competenze e ad operare di conseguenza. Ma la legge 119 del lontano 1969 prevedeva che “l’esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato” (art. 5) e che “a conclusione dell’esame di maturità viene formulato, per ciascun candidato, un motivato giudizio, sulla base delle risultanze tratte dall’esito dell’esame, dal curriculum degli studi e da ogni altro elemento posto a disposizione della commissione” (art. 8). Ma già da allora la ricerca educativa e quella docimologica sostenevano che la valutazione complessiva della personalità di un qualsiasi soggetto è impresa ardua, perché mancano indicatori di riferimento chiari e definiti. Occorreva, pertanto, un vero e proprio giro di boa e dichiarare chiaramente, alla fine di un esame così impegnativo quale quello conclusivo di un percorso di studi superiori, che cosa un giovane conosce e che cosa, soprattutto, sa fare.

Fu così che, dopo un lungo dibattito, varammo un nuovo esame di Stato, che non fosse più centrato su una sempre discutibile e vaga maturità, ma sulle concrete conoscenze acquisite dal candidato, soprattutto in chiave pluridisciplinare, e sulla loro altrettanto concreta utilizzazione, in termini di competenze. A sostegno del “saper fare”, introducemmo anche i crediti, quel corredo di attività significative che, meglio di un generico curriculum, possono dare testimonianza delle vocazioni e delle effettive capacità operative del candidato. Indicammo strumenti di misurazione e di valutazione nuovi, sostituendo i punteggi ai voti. Introducemmo una nuova prima prova scritta, “intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana… nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato”. E padronanza significa anche saper leggere: di qui la prova relativa all’analisi del testo. Innovazioni importanti furono anche quelle del colloquio pluridisciplinare e della terza prova scritta, altrettanto pluridisciplinare. Ma il clou del nuovo esame, in effetti, doveva essere l’atto conclusivo, un diploma che non fosse una generica indicazione di maturità, ma di concreti “saper fare” accertati, verificati e certificati. L’articolo 6 della legge così recita: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”.

Si trattò di una innovazione, ma anche di una scommessa. Sarebbe riuscito il nostro sistema scolastico superiore, da sempre finalizzato a un esame di generica maturità, a passare a un esame centrato su competenze? Era sufficiente rifare il tetto della casa, perché tutto l’edificio cambiasse? La scommessa era forte. Una scuola che non aveva alcuna confidenza con le competenze sarebbe stato in grado di saperle promuovere, valutare e certificare?

Alle indicazioni della legge occorreva un sostegno attivo e chiarificante da parte del regolamento. E l’anno successivo, con il dpr 323/98, intervenimmo su questa materia con il seguente testo: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite” (art. 1, comma 3). Potevano essere sufficienti due righe normative ad avviare quella rivoluzione che la legge aveva avviato? Indubbiamente no! Così per molti anni le commissioni hanno arrancato. E l’amministrazione nulla ha fatto per sostenere un esame del tutto nuovo. Così OGGI non abbiamo PIU’ un esame di maturità, ma non abbiamo ANCORA un esame centrato sulle competenze, come la legge auspicava.

In seguito l’Unione Europea ci ha dato una definizione certa di competenza, con il rapporto Deseco del 2003 e con le due Raccomandazioni del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008. Ora, siamo alla vigilia di un nuovo esame di Stato, che andrà in vigore con la tornata del 2015. Va ricordato che, oltre alle indicazioni UE, disponiamo anche delle indicazioni dell’EQF (European Qualifications Framework) e sappiamo che i titoli di studio della nostra istruzione secondaria di secondo grado corrispondono al livello quarto degli otto individuati dal suddetto EQF, come indicato dall’Accordo quadro del 20 dicembre 2012.

In tale contesto/scenario, riuscirà la nostra amministrazione a dare finalmente indicazioni chiare ai nostri studenti e ai nostri insegnanti su come dovranno essere condotti i nuovi esami di Stato? Un interrogativo a cui occorre dare una sollecita risposta, e prima che il nuovo anno scolastico abbia inizio.

 

*pubblicato in ItaliaOggi del 24 giugno 2014

Agenda digitale, Madia: ora una rivoluzione educativa

da l’Unità

Agenda digitale, Madia: ora una rivoluzione educativa

La ministra: entro 15 giorni la nomina del direttore dell’Agid. Violante: rendere pubblici tutti i dati

~~Che la Pubblica amministrazione italiana sia rimasta indietro nella famigerata digitalizzazione, che ogni governo abbia annunciato a vuoto questa rivoluzione, non è una novità. Ma la ministra Marianna Madia non si aspettava che la Pa fosse rimasta così indietro, con le difficoltà persino di capire quante sono le società partecipate, o con quei compartimenti stagni nei quali rimane bloccato il cittadino. Comunque oggi, dopo essere stata «bollinata» dalla Ragioneria di Stato che quindi dovrebbe dare il via libera accertando che ci sono le dovute coperture, la riforma della Pa presentata da Madia dovrebbe andare al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. La ministra Madia ha parlato ieri concludendo il convegno «Rivoluzione digitale: pronti? Via!» organizzato a Montecitorio da Italia decide, la fondazione presieduta da Luciano Violante, al quale hanno partecipato anche la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini e molti esperti del settore (Telecom, Google, Vodafone, Poste Italiane, Mibac, Miur, Mit, ItCore Spa, Nuvola Verde, Società Geografica Italiana) con una relazione introduttiva di Mariangela Di Giandomenico. Una novità annunciata dalla ministra Madia sarà, nel 2015, l’introduzione di un unico Pin del cittadino, un solo codice personale con il quale entrare, cercare, conoscere la propria posizione sia per la scuola che per la sanità, piuttosto che perdersi nei labirinti della Pa. È stata creata l’anagrafe digitale nazionale della popolazione residente e, entro 15 giorni, sarà nominato il direttore per l’Agenzia per l’Italia digitale, anche in vista del semestre europeo. L’ex presidente della Camera Violante, in apertura del convegno, ha bandito il «lamento, come alibi per conservare l’esistente», e ha invece invitato a rendere utilizzabili tutti i dati pubblici, per «sostituire la cultura pubblica del segreto della pubblica amministrazione con la cultura pubblica della trasparenza» della Pa. Perché i dati «sono della Repubblica, cioè delle istituzioni e dei cittadini», spiega Violante, come indica anche una direttiva europea adottata il 26 giugno 2013, «che rende chiaro l’obbligo di tutti gli Stati della Ue di rendere riutilizzabili tutti i dati pubblici, ad eccezione di quelli il cui accesso sia limitato o escluso».
In questo senso Violante ha chiesto alla ministra dell’Istruzione di rendere pubblici «i dati Invalsi perché siano a disposizione delle famiglie» così da poter scegliere più facilmente le scuole o le università. Stefania Giannini ha risposto che «i dati Invalsi, come quelli Anvur l’Agen-  zia nazionale di valutazione del sistema dell’università e della ricerca sono  già pubblici», spiegando che non sono gli unici dati utili per valutare una scuola e per sceglierla. La ministra si propone di fare una «rivoluzione educativa» sul digitale, a partire dalla «formazione permanente per i docenti anche rivedendo il contratto», con più investimenti sul territorio, ancora troppo «a macchia di leopardo» nell’evoluzione digitale (la Lombardia è in testa).
Giannini, però, sull’obiettivo richiesto da Italiadecide risponde che «sarei più cauta», ma accoglie la proposta «perché scuola aperta significa anche questo». Marianna Madia ha spiegato che digitalizzare la Pa significa «semplificare» ed evitare duplicazioni, non solo trasformare la carta in pixel. Quindi nella Pa si deve «passare dalla cultura del documento alla cultura del dato che deve essere disponibile a cittadini e imprese», unificando il più possibile le banche dati. Per il governo la semplificazione della Pa è «un pilastro», quindi prevede di «unificare i database del Mef e del Ministero della Pa sulle società partecipate per avere contezza delle stesse e avviare un processo di consolidamento all’insegna dell’efficienza». Il principio illustrato da Madia è quello di limitare le moltiplicazioni: «Basta super esperti di nicchia sulla materia, serve una squadra di dirigenti capace di affrontare i problemi concreti. Digitalizzare la Pa non significa scrivere al computer quello che scrivevamo a macchina. Se non semplifichiamo, trasferiamo le complicazioni dalla carta alla Rete». Perché Open data, la diffusione digitale dei dati della pubblica amministrazione si realizza solo se salta il criterio della proprietà dei dati che non sono di questa o quell’amministrazione, ma come diceva Violante, della Repubblica. Quindi non solo trasparenza dei dati, ma «trasparenza delle procedure». Atteso per oggi l’ok della Ragioneria dello Stato, poi la riforma arriverà al Quirinale per la firma «Basta super esperti di nicchia, serve una squadra di dirigenti capace di affrontare i problemi»

Un esame a perdere, cosa non è oggi la maturità

da ItaliaOggi

Un esame a perdere, cosa non è oggi la maturità

È stata lungamente disattesa la legge che richiedeva una certificazione delle competenze

di Maurizio Tiriticco* * già ispettore Miur  

~~Quando alla fine del secolo scorso furono riformati gli esami di maturità, l’intento era molto chiaro. In un Paese che stava cambiando e in un’Europa che non era più solo un mercato unico, ma un’Unione vera e propria – in quegli anni eravamo ancora 15 Paesi rispetto ai 28 di oggi – anche noi dovevamo cominciare assolutamente a cambiare, anche in termini di istruzione.

I nostri titoli di studio dovevano essere concorrenziali con quelli dei partner europei e in Europa già da allora – ricordiamolo – si cominciava a parlare di competenze e ad operare di conseguenza. Ma la legge 119 del lontano 1969 prevedeva che «l’esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato» (art. 5) e che «a conclusione dell’esame di maturità viene formulato, per ciascun candidato, un motivato giudizio, sulla base delle risultanze tratte dall’esito dell’esame, dal curriculum degli studi e da ogni altro elemento posto a disposizione della commissione» (art. 8). Ma già da allora la ricerca educativa e quella docimologica sostenevano che la valutazione complessiva della personalità di un qualsiasi soggetto è impresa ardua, perché mancano indicatori di riferimento chiari e definiti.

Occorreva, pertanto, un vero e proprio giro di boa e dichiarare chiaramente, alla fine di un esame così impegnativo quale quello conclusivo di un percorso di studi superiori, che cosa un giovane conosce e che cosa, soprattutto, sa fare.

Fu così che, dopo un lungo dibattito, varammo un nuovo esame di Stato, che non fosse più centrato su una sempre discutibile e vaga maturità, ma sulle concrete conoscenze acquisite dal candidato, soprattutto in chiave pluridisciplinare, e sulla loro altrettanto concreta utilizzazione, in termini di competenze. A sostegno del «saper fare», introducemmo anche i crediti, quel corredo di attività significative che, meglio di un generico curriculum, possono dare testimonianza delle vocazioni e delle effettive capacità operative del candidato. Indicammo strumenti di misurazione e di valutazione nuovi, sostituendo i punteggi ai voti. Introducemmo una nuova prima prova scritta, «intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana_ nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato». E padronanza significa anche saper leggere: di qui la prova relativa all’analisi del testo. Innovazioni importanti furono anche quelle del colloquio pluridisciplinare e della terza prova scritta, altrettanto pluridisciplinare. Ma il clou del nuovo esame, in effetti, doveva essere l’atto conclusivo, un diploma che non fosse una generica indicazione di maturità, ma di concreti «saper fare» accertati, verificati e certificati.

L’articolo 6 della legge così recita: «Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea». Si trattò di una innovazione, ma anche di una scommessa. Sarebbe riuscito il nostro sistema scolastico superiore, da sempre finalizzato a un esame di generica maturità, a passare a un esame centrato su competenze? Era sufficiente rifare il tetto della casa, perché tutto l’edificio cambiasse? La scommessa era forte. Una scuola che non aveva alcuna confidenza con le competenze sarebbe stato in grado di saperle promuovere, valutare e certificare?

Alle indicazioni della legge occorreva un sostegno attivo e chiarificante da parte del regolamento. E l’anno successivo, con il dpr 323/98, intervenimmo su questa materia con il seguente testo: «L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite» (art. 1, comma 3). Potevano essere sufficienti due righe normative ad avviare quella rivoluzione che la legge aveva avviato? Indubbiamente no! Così per molti anni le commissioni hanno arrancato. E l’amministrazione nulla ha fatto per sostenere un esame del tutto nuovo

Così oggi non abbiamo più un esame di maturità, ma non abbiamo ancora un esame centrato sulle competenze, come la legge auspicava.

In seguito l’Unione Europea ci ha dato una definizione certa di competenza, con il rapporto Deseco del 2003 e con le due Raccomandazioni del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008. Ora, siamo alla vigilia di un nuovo esame di Stato, che andrà in vigore con la tornata del 2015. Va ricordato che, oltre alle indicazioni UE, disponiamo anche delle indicazioni dell’EQF (European Qualifications Framework) e sappiamo che i titoli di studio della nostra istruzione secondaria di secondo grado corrispondono al livello quarto degli otto individuati dal suddetto EQF, come indicato dall’Accordo quadro del 20 dicembre 2012.

In tale contesto/scenario, riuscirà la nostra amministrazione a dare finalmente indicazioni chiare ai nostri studenti e ai nostri insegnanti, magari in occasione della riforma annunciata per il prossimo anno, su come dovranno essere condotti i nuovi esami di Stato? Un interrogativo a cui occorre dare una sollecita risposta, e prima che il nuovo anno scolastico abbia inizio.

Il ministero taglia le cattedre, mentre gli alunni aumentano

da ItaliaOggi

Il ministero taglia le cattedre, mentre gli alunni aumentano

La situazione prevista per il prossimo settembre: 33mila studenti iscritti in più, 1.352 docenti in meno

Carlo Forte

Gli alunni in più, rispetto allo scorso anno, sono circa 33mila, mentre il numero dei docenti è destinato a diminuire di 1352 unità. Il taglio si rileva confrontando l’organico di diritto (e cioè il numero complessivo dei docenti che si prevede dovrebbero stare in cattedra dal 1° settembre) e il numero delle cattedre autorizzate dal ministero dell’istruzione in vista del prossimo anno: 602.191 contro 600.839.

 

La differenza è di 1352 posti, che costituiscono il taglio adottato da viale Trastevere, i cui effetti si vedranno dal 1° settembre prossimo.

Il problema avrebbe potuto trovare soluzione anticipando la costituzione delle cattedre necessarie, già nella fase dell’organico di diritto, senza attendere eventuali ampliamenti tardivi in sede di organico di fatto. Tale soluzione, peraltro, è già stata adottata negli anni scorsi. Ma quest’anno viale Trastevere ha fatto orecchie da mercante. Perché l’anticipazione avrebbe potuto determinare anche un aumento delle cattedre da destinare alle immissioni in ruolo. E in tempi di revisione della spesa i cordoni della borsa devono rimanere necessariamente serrati. Resta il fatto, però, che l’attuale organico di diritto non copre il reale fabbisogno. E ciò vuol dire, inevitabilmente, classi affollate nei grossi centri e pluriclassi nei piccoli comuni e nelle frazioni. Due fenomeni che mettono a rischio la sicurezza di alunni e docenti e la qualità del servizio.

A ciò va aggiunta la riduzione del numero degli incarichi di supplenza, che sarà pari al numero dei posti tagliati, e l’aumento delle situazioni di soprannumerarietà. Che espongono i docenti alla roulette russa del trasferimento d’ufficio e gli alunni ai problemi connessi all’interruzione della continuità didattica. Il fenomeno assume particolare rilievo nelle secondarie superiori, anche perché i tagli di quest’anno coincidono con l’entrata a regime della riforma Gelmini. Che ha comportato, a sua volta, una forte riduzione del numero delle cattedre proprio negli istituti superiori. Riduzione dovuta essenzialmente al taglio del numero delle ore di lezione. L’amministrazione centrale, peraltro, ha cercato di tamponare il problema ampliando la spendibilità delle abilitazioni dei docenti interessati, tramite le cosiddette tabelle di confluenza. Un sistema, cioè, che rende fungibili le abilitazioni dello stesso ambito disciplinare senza tenere conto della tipologia di scuola (cosiddette classi atipiche).

Ma tale soluzione ha alimentato un forte contenzioso, dal quale è emerso che la scelta dell’amministrazione non sarebbe legittima. Secondo la giurisprudenza, infatti, per adottare il criterio di fungibilità (e cioè per trattare gruppi di classi di concorso diverse come se fossero uguali, inserendo i docenti in un’unica graduatoria ai fini della mobilità d’ufficio) significa violare le disposizioni contenute nel decreto sulle classi di concorso. Che è sempre lo stesso, perché, sebbene la legge avesse previsto una riforma delle classi di concorso da adottare contestualmente all’entrata in vigore della riforma Gelmini, il ministero non ha ancora emanato il nuovo regolamento, accontentandosi di precedere con delle semplici note. E siccome le note non possono derogare il vecchio regolamento (attualmente in vigore) la giurisprudenza non ho potuto fare altro che prenderne atto, affermando il principio secondo il quale la fungibilità delle classi di concorso affini è giuridicamente inesistente. L’amministrazione, però, non ha pienamente recepito l’orientamento della giurisprudenza. E quindi, ai docenti delle superiori, che sono stati individuati soprannumerari tramite l’applicazione delle norme contestate dalla giurisprudenza, non resta altro da fare che compilare la domanda di trasferimento oppure ricorrere al giudice.

Scuola, la doppia strada di Renzi

da ItaliaOggi

Scuola, la doppia strada di Renzi

A fine luglio riforma con decreto legge e ddl delega. Nel mirino organico funzionale, reclutamento e nuova organizzazione del lavoro

Alessandra Ricciardi

Alla fine il premier Renzi potrebbe optare per una doppia via legislativa, quella del decreto legge e del disegno di legge delega, per la riforma della scuola. O, come preferiscono dire a viale Trastevere, per la «messa a punto» di ciò che non va. Il pacchetto scuola dovrebbe approdare al consiglio dei ministri entro fine luglio, in tempo perché siano giunti a conclusione i lavori dei due cantieri messi in piedi dal ministro dell’istruzione, Stefania Giannini.

Non una scelta dunque tra dl e ddl delega, ma un percorso analogo a quello della riforma della pubblica amministrazione del ministro Maria Anna Madia.

 

Con una terza puntata che potrebbe esserci con la legge di Stabilità, in particolare per quanto riguarda il rinnovo economico del contratto. Al momento solo titoli di norme che dovranno poi prendere corpo nei due distinti provvedimenti. Da un lato le misure urgenti, che autorizzano il ricorso a un decreto legge, tra cui la sanatoria degli atti firmati dal ministro senza il prescritto parere del defunto Cnpi, la conseguente cancellazione da tutti i passaggi del testo Unico del parere del Consiglio e la generale revisione degli organi collegiali della scuola; in questa sede potrebbero trovare spazio anche le misure attuative dell’organico funzionale, già prevista dal decreto legge 5 del 2012, finora rimasto sulla carta causa, come ha ammesso da ultimo anche il sottosegretario renziano all’istruzione, Roberto Reggi, contrasti con il Tesoro. È sempre la partita con l’Economia quella decisiva che dovrà essere risolta a livello collegiale in seno al consiglio dei ministri. E, a seconda della disponibilità, la misura potrebbe essere modellata in modo da dare risposta in via crescente alla richiesta di maggiore organico superando la distinzione tra ordinario di fatto e diritto e risolvendo così i casi di classi pollaio.

Una ipotesi formulata a livello di segreteria del Pd prevede per esempio l’organico funzionale triennale per le sole scuole medie, riconosciute come l’anello debole del sistema.

Altre misure potrebbero giungere sul fronte del sostegno, con la creazione, già a partire dal prossimo settembre, di un team di esperti a supporto in particolare per i casi meno gravi ma comunque impegnati dei Bisogni educativi speciali. Papabile per il dl anche la riorganizzazione del lavoro dei docenti che non dovrebbe incidere sull’orario di cattedra (visto tra l’altro il brutto esito dell’epoca Profumo), ma aprire a maggiori possibilità di impegno aggiuntivo, a seconda dell’offerta della scuola sul territorio, nel segno di quella valorizzazione dell’autonomia scolastica finora rimasta largamente inattuata. Tra i titoli del dl figura anche lo sblocco delle assunzioni da farsi presso l’Invalsi, l’istituto di valutazione a cui spettano una quarantina di immissioni in ruolo, necessarie soprattutto ora che il sistema nazionale di valutazione si appresta ad andare a regime.

C’è poi il disegno di legge delega, a cui a viale Trastevere contano di poter assegnare i filoni di più ampio respiro, come la revisione del reclutamento, la messa a punto della formazione in servizio per tutti e la definizione del sistema delle assegnazioni delle supplenze e dell’iscrizione nelle graduatorie. Resta in sospeso poi il capitolo della carriera, che potrebbe richiedere un mix di via contrattuale e legislativa. Per trovare la quadra e fare la scrematura c’è poco più di un mese di tempo.

Giannini, in due anni interverremo su 20 mila edifici

da tecnicadellascuola.it

Giannini, in due anni interverremo su 20 mila edifici

Il Ministro: pronto un piano da tre miliardi e mezzo che senz’altro servirà anche per rilanciare l’impresa perché in ogni territorio ci sarà un cantiere che attiverà un microsistema economico. Poi ricorda il nuovo contratto di apprendistato: ora può essere anticipato prima della fine del percorso scolastico.

Il piano di interventi per l’edilizia scolastica è pronto e rimane di grandi proporzioni. A confermarlo, a nome del Governo, è stato il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, a margine della 69esima assemblea dell’Unione parmense degli industriali dove ha confermato anche l’impegno nel campo della formazione professionale

”Siamo a buon punto – ha detto Giannini – : abbiamo già fatto in questa prima fase una mappatura degli interventi possibili. Nell’arco di un biennio interverremo su oltre ventimila edifici scolastici in tutto il paese. E’ un piano da tre miliardi e mezzo che senz’altro servirà anche per rilanciare l’impresa perché in ogni territorio ci sarà un cantiere che attiverà un microsistema economico”.

Giannini ha poi parlato dell’apprendistato, un altro punto su cui ha puntato forte il Governo: ”dobbiamo lavorare per superare il tema dell’alternanza scuola-lavoro – ha aggiunto – veniamo da una cultura sequenziale dove prima si studia e poi si lavora e questo indubbiamente lo paghiamo. Il secondo importante punto su cui abbiamo operato è il contratto di apprendistato che può essere anticipato prima della fine del percorso scolastico”.

L’esercito dei prof precari: con gli ultimi inseriti nelle graduatorie d’Istituto sono 622mila

da tecnicadellascuola.it

L’esercito dei prof precari: con gli ultimi inseriti nelle graduatorie d’Istituto sono 622mila

Ad evidenziare la quota record è il quotidiano Repubblica, che il 23 giugno, in occasione della scadenza per l’aggiornamento delle liste di attesa dei prof per lavorare nelle singole scuole, ha realizzato la somma dei tre raggruppamenti.

I docenti precari della scuola non si possono ridurre ai circa 155mila inseriti nelle Graduatorie ad Esaurimento: sono molti di più. Perchè a fare supplenze, con più o meno continuità, ci sono anche coloro che sono ospitati nelle gradautori e d’Istituto: non certo nella prima fascia, che ospita gli stessi delle GaE, ma chi sta in seconda e terza sì. Va considerato a tutti gli effetti un precario. Almeno questo è il pensiero di Corrado Zunino, giornalista del quotidiano La Repubblica.

“Bene, il nuovo aggiornamento – oggi, giorno di chiusura delle iscrizioni – ci dirà che gli aspiranti maestri-professori italiani non ancora in cattedra sono 622 mila. Sì, 622 mila. Seicentoventiduemila sono più del numero dei quattordicenni che stanno provando l’esame di terza media, più degli abitanti di Genova, la sesta città d’Italia. Seicentoventiduemila sono più dell’un per cento della popolazione italiana. È un numero impressionante di persone – aggiunge Zunino – che chiede ospitalità alla scuola, o in alcuni casi ha chiesto alla scuola perdendo poi ogni speranza e mettendosi a cercare altro. E la possibilità di guadagnare uno stipendio certo e di mostrare a una classe di bambini o pre-adulti tutto quello che hanno imparato loro, gli aspiranti insegnanti, in trent’anni di scuole”.

Per arrivare arrivarena questo numero impressionante, il cronista ricorda che nella “seconda fascia di istituto (gli abilitati non inseriti nella graduatoria a esaurimento provinciale) agli inquilini del precedente triennio (9.502 aspiranti) si aggiungeranno ben 121 mila neoabilitati, portando la seconda fascia a quota 130.000. Questo dato si stabilizzerà nei prossimi giorni. Poi c’è la terza fascia di istituto (i non abilitati/laureati). Qui l’ultimo numero analizzabile è quello del triennio precedente: 337.458 in attesa. Aspettando le integrazioni, tutte le leve (alcune in avanti con gli anni) che chiedono l’arruolamento nella scuola sono superiori alla cifra di 620 mila. Ben sopra il mezzo milione citato più volte dal ministro in carica, Stefania Giannini.

Sono numeri che confermano, insomma, il mantenersi in vita “dell’attrazione ancora forte dell’insegnamento in Italia, per il secondo ciclo del Tirocinio formativo attivo (Tfa) ci sono 147 mila domande per 22mila posti: solo uno su sette ce la farà. E al termine del percorso abilitante, come ricorda il sindacato Anief, il sopravvissuto scoprirà che l’abilitazione non gli servirà per entrare nel doppio canale di reclutamento che permetterebbe di insegnare con continuità aspirando all’assunzione in ruolo”.

Questi prof in attesa di lavoare, conclude Zunino, “sono un partito, gli aspiranti insegnanti italiani, davvero grande. Tre volte tanto Scelta civica, per dire. Se votassero tutti dalla stessa parte, sposterebbero più del due per cento dei consensi. Colpisce che la politica non se ne sia ancora accorta”. Oppure se ne accorge, ma non è in grado di soddisfare le loro richieste di lavorare dietro la cattedra.

La circolare con le tabelle sugli organici Ata 2014-15

da tecnicadellascuola.it

La circolare con le tabelle sugli organici Ata 2014-15

L’organico ATA previsto per l’a.s. 2014/2015 si attesta a 205.554 unità, di cui 11.857 posti sul profilo di collaboratore scolastico accantonati per le esternalizzazioni.

Il Miur ha emanato la nota n.6278 del 20 giugno 2014 sull’organico di diritto del personale ATA a.s. 2014/2015 confermandogli stessi criteri di attribuzione adottati nel passato anno scolastico, vale a dire l’incremento/decremento sul numero degli alunni. Con la nota ministeriale è stato trasmesso il decreto interministeriale e le allegate tabelle. L’organico ATA previsto per l’a.s. 2014/2015 si attesta a 205.554 unità, di cui 11.857 posti sul profilo di collaboratore scolastico accantonati per le esternalizzazioni.