Scuola, al via l’aggiornamento dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica

Scuola, al via l’aggiornamento dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica
Pronti i dati Miur da inviare alle Regioni

L’Anagrafe dell’edilizia scolastica si rimette ufficialmente in moto. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca è infatti pronto per inviare alle Regioni l’anagrafica aggiornata delle scuole e i dati dell’anagrafe dell’edilizia scolastica disponibili ad oggi. Questo trasferimento di informazioni rappresenta il primo step operativo del nuovo Sistema nazionale delle anagrafi dell’edilizia scolastica (Snaes) previsto da un accordo siglato a febbraio in Conferenza Unificata. Lo Snaes prevede un nodo centrale, situato presso il Miur, e nodi regionali che saranno in rapporto fra loro per lo scambio di dati. Sono già pronti per il trasferimento di informazioni i ‘nodi’ di Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Lombardia, Puglia e Veneto. Entro il prossimo 1 dicembre ogni Regione dovrà restituire al nodo centrale la fotografia aggiornata della propria edilizia scolastica. Si avrà così, per la prima volta, un quadro completo che consentirà di individuare le priorità di intervento e di direzionare al meglio i fondi disponibili.

CIPE: assegnati i fondi per il Piano scuola

(1 Luglio 2014) Si è svolta ieri la seconda seduta del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica del Governo Renzi. La seduta è stata presieduta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Il Comitato ha approvato i criteri di utilizzo delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2007-2013 sulla base degli esiti della ricognizione prevista dalla delibera n. 94/2013 sullo stato di attuazione degli interventi finanziati con le proprie delibere e delle previsioni di assunzione delle relative obbligazioni giuridicamente vincolanti (OGV). Al fine di recuperare risorse inutilizzate, il finanziamento di interventi regionali in ritardo di realizzazione e che non hanno maturato OGV entro la fine del 2014 (tenendo conto che la scadenza iniziale era a fine 2013, già prorogata al 30 giugno 2014) è stato spostato dal FSC 2007-2013 al FSC 2014-2020. Sono state previste alcune eccezioni a questo rinvio, relative tra le altre alla risoluzione di infrazioni comunitarie in materia ambientale, ad interventi su “frane e versanti”( delibera n.8/2012), interventi che sono invece stati preservati.

Il Comitato ha destinato i fondi resi così disponibili (pari a circa 1.345,7 milioni di euro) ad una serie di misure. Sono stati assegnati 510 milioni di euro per il “Piano Scuola”. Contestualmente ha assegnato 33,4 milioni di euro per la ricostruzione della Città della Scienza di Bagnoli e ha coperto finalizzazioni disposte per legge a carico del FSC per un totale di 729,7 milioni di euro.

Nell’ambito della programmazione FSC 2014-2020 verranno riassegnati alle Regioni 1.143,9 milioni di euro, corrispondenti al valore delle somme sottratte alla loro disponibilità – pari a 1.345,7 milioni di euro, decurtati di una sanzione da applicare pari al 15%.

Stanziati i contributi per “Iniziative per la diffusione della cultura scientifica”

Stanziati i contributi per “Iniziative per la diffusione della cultura scientifica”
Quasi 4 milioni a disposizione di scuole, soggetti pubblici e privati

Sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, www.miur.it, è disponibile da oggi il bando per la concessione dei contributi destinati a “Iniziative per la diffusione della cultura scientifica”.Possono concorrere scuole, soggetti pubblici e privati.

I soggetti ammessi al finanziamento dovranno promuovere l’informazione e la divulgazione scientifica e storico-scientifica anche attraverso mostre, convegni, realizzazioni editoriali e multimediali, favorire l’attivazione di nuove Istituzioni e città-centri delle scienze e delle tecniche, incentivare le attività di formazione ed aggiornamento professionale richieste per la gestione dei musei, città-centri delle scienze e delle tecniche.

In particolare le scuole dovranno promuovere momenti di contatto fra mondo della Ricerca, Università e studenti per rendere questi ultimi concretamente consapevoli del ruolo chiave delle scienze e della tecnologia nella vita quotidiana e avvicinarli agli studi scientifici. Sono previsti anche il rafforzamento delle attività di laboratorio e lo sviluppo di ricerche e sperimentazioni delle metodologie migliori per rendere più efficace la didattica della scienza, con particolare attenzione all’utilizzo delle nuove tecnologie.

Il bando mette a disposizione 3.720.000 euro e prevede tre tipologie di finanziamento:

  • 1.300.000 riservati a progetti annuali destinati alle scuole con un valore compreso tra 20.000 e 50.000. Il contributo sarà pari al 100% dei costi giudicati ammissibili;
  • 700.000come contributi annuali destinati a soggetti diversi dalle istituzioni scolastiche i cui progetti dovranno avere un valore compreso tra 20.000 e 100.000 euro. Il contributo sarà pari all’80% dei costi giudicati ammissibili;
  • 1.720.000 per accordi e intese con soggetti pubblici e privati che dovranno prevedere un costo compreso tra 200.000 e 1.000.000 di euro. Il contributo sarà pari all’80% dei costi giudicati ammissibili.

Le domande potranno essere presentate a partire dal 14 luglio e fino alle ore 16.00 del 10 settembre attraverso il portale Sirio (http://roma.cilea.it/Sirio). Allo stesso indirizzo sono anche disponibili le guide per l’utilizzo del servizio e il fac-simile delle domande.

Bocciature

BOCCIATURE  LA SCUOLA BOCCIA anziché PROMUOVERE UNICA SUA RAGION D’ESSERE di Umberto Tenuta

CANTO 195 <<valutazione di uno studente: una valutazione che può fare a ragion veduta (o almeno così credevamo) solo chi lo abbia avuto in classe per un anno scolastico” (Alessandro Giuliani, CORRIERE DELLA SERA)

 

Non me ne vogliano i miei, non più cinque, ma tre lettori!

Oggi come ieri, seppure con la calura estiva che condivido con i giovani bocciati dalla scuola che aveva il preciso compito di promuoverne la piena formazione umana.

Vorrei chiedere a tutti I Sandri come si sentirebbero se qualcuno bocciasse tutti i loro progetti di affermazione, di realizzazione, di rinascita sempre nuova alla vita.

Con sempre maggiore forza lo ripetiamo.

L’educazione è la nascita alla condizione umana.

Senza ripetere Socrate, la Scuola è l’Ostetrica.

Ora che fa l’Ostetrica?

Lo respinge il bambino?

Le acque sono ormai fuoriuscite.

Il giovinetto muore!

E noi che facciamo?

Lo abbandoniamo nella foresta.

Un animale in più.

Non bastano quelli che già scannano!

Non bastano quelli che già…

Elenco lungo, destinato ancora a crescere, se i nuovi nati non li aiutiamo a crescere, svolgendo appieno quello che abbiamo scelto come nostro mestiere di educatori.

Elenco che si allungherà sempre più se lasciamo che i morti seppelliscano i morti.

Ma come facciamo a lasciare che nelle nostre scuole i morti seppelliscano i morti?

Mortalità scolastica che aumenta anziché diminuire con i nuovi ritrovati della tecnologia moderna!

Povero Roberto!

Valutare per educare.

<<valutazione che può fare a ragion veduta … solo chi lo abbia avuto in classe per un anno scolastico>>.

E che ha fatto, per un intero anno scolastico?

Per centottanta giorni gli ha somministrato sempre la stessa dose della stessa medicina?

Per centottanta giorni non ha fatto le sue verifiche settimanali, mensili, bimestrali, trimestrali?

E non ha sentito il bisogno di un consulto, come pure il D.P.R. 416/1974 gli fa obbligo?

Sì, la valutazione la poteva e la doveva fare, non alla fine dell’anno scolastico, per respingere, ma durante l’anno scolastico per promuovere!

Mi ripeto, ancora!

Solita filastrocca.

È svogliato, è stato sempre svogliato, durante l’intero anno scolastico!

Ma non era tuo primario compito quello di invogliarlo, di motivarlo, di innamorarlo, di contagiarlo coi tuoi amori?
Forse tu non eri innamorato affatto e non potevi contagiarlo.

Nulla questio.

Ma perchè ora fai pagare a lui la tua apatia?

Ce l’ha messa tutta, ma non è dotato.

Nemo dat quod non habet.

Tu vuoi far uscire il sangue dalle pietre.

E se le pietre sangue non versano tu le spacchi, le pietre?

Tertium non datur.

E allora?

Carthago delenda est!

Cartagine, non i Cartaginesi.

Ma forse è meglio così:

SCHOLA RENOVANDA EST!

Una possibile lettura del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

Una possibile lettura del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice ci offre un commento del Preambolo del più importante atto internazionale sull’infanzia navigando in un mare di riferimenti letterari e specialistici per riscoprire, ancora una volta, la bellezza del diventare ed essere famiglia.

 

Nell’art. 45 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, a New York) si stabilisce di “promuovere l’effettiva applicazione della Convenzione” e, in più punti degli articoli precedenti, si parla di piena realizzazione dei diritti del fanciullo e degli obblighi contratti in virtù della Convenzione. Sarebbe interessante, per conoscere meglio la Convenzione e concretizzarne l’attuazione, rileggere – attraverso citazioni di scrittori ed esperti – il suo Preambolo, come il miglior progetto ispiratore di qualsiasi progetto (dall’educazione alla legislazione) che riguardi il bambino e che guardi il bambino come il massimo progetto di vita.

“È il momento di guarire dalla sindrome dell’abbondanza” (Giovanni Bollea, padre della moderna neuropsichiatria infantile italiana). Nel secondo capoverso del Preambolo si parla di “un migliore tenore di vita in una ampia libertà”: l’abbondanza diventa soffocante, induce a falsi bisogni e non consente delle libere scelte perché si ha tutto, pertanto è diseducativa. Bisogna, invece, dare il necessario (soprattutto quelle competenze affettive, relazionali e sociali) per “preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (art. 29 lettera d Convenzione).

L’enunciato più significativo del Preambolo è contenuto nel quinto capoverso: “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”. “È una famiglia disturbata quella in cui ogni membro ha un ruolo fisso, e la comunicazione è rigidamente limitata alle espressioni che si adattano a questi ruoli. Nessun membro è libero di esprimere pienamente le sue esperienze, i desideri, i bisogni e i sentimenti, ma deve limitarsi a recitare la sua parte, in conformità a quella che recitano gli altri componenti della famiglia. In tutte le famiglie esistono dei ruoli ma, con il cambiare delle circostanze, anche i vari membri devono cambiare e adattarsi alle novità perché la famiglia resti sana. Così il tipo di cure materne appropriate per un bambino di un anno sarà del tutto inopportuno per un tredicenne; anche il ruolo materno deve cambiare per adattarsi alla realtà. Nelle famiglie disturbate, molti aspetti importanti della realtà vengono negati, e i ruoli restano rigidi. Quando nessuno può discutere quello che riguarda un singolo membro della famiglia o la famiglia nel suo insieme, quando questi discorsi sono proibiti implicitamente (se si cambia argomento) o esplicitamente (“Noi non parliamo di queste cose!”), si impara a non credere alle proprie percezioni e ai propri sentimenti” (da “Donne che amano troppo” di Robin Norwood). La famiglia sia luogo di “pathos”, sofferenza e passione, luogo di condivisione della sofferenza e della passione, di educazione alla sofferenza e alla passione, e non sia luogo patologico o patogeno. “Chi subisce il fascino di relazioni così dolorose, infatti, non si stima e non si piace: sono donne che a loro volta hanno avuto figure maschili di riferimento (padri, fratelli, compagni) fragili e anaffettivi, per cui pensano di non meritarsi amore e attenzione, ma solo questa crudele altalena di sentimenti. Lasciare un uomo così ambivalente è il primo passo verso una maggiore consapevolezza del proprio valore” (Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta). Consapevolezza è avere contezza con altri di qualcosa: è questa la “coeducazione” sentimentale, prima, e sessuale, poi, di cui si ha bisogno in famiglia.

Non solo l’educazione emotivo-affettiva, sentimentale e sessuale, ma anche l’educazione economica e finanziaria è una delle responsabilità della famiglia. “Non si può dire che ci sia in assoluto un modo di pensare e di fare migliore dell’altro, in quanto anche l’educazione al denaro dipende dalle regole e dall’esempio che si danno in famiglia. Dal nostro punto di vista, è importante aiutare i bambini a comprendere il ciclo del denaro e del guadagno: questo significa, per esempio, educare i piccoli al fatto che, a fronte di un lavoretto che si fa a casa, si può ricevere un piccolo compenso; che, con la paghetta che si riceve, si può iniziare a risparmiare; che il risparmio può essere speso con modalità ben definite con i genitori” (Giovanna Boggio Robutti, esperta di educazione finanziaria e cittadinanza economica).

“I bambini sono degli artisti nell’approfittare di ogni occasione per essere felici” (lo scrittore svizzero Robert Walsen). “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). La felicità è inscritta nei bambini, infatti felicità ha la stessa radice “fe” di feto, figlio, fecondità e altre voci. Sono spesso gli adulti ad infelicitarli con i loro egoismi o con scelte esclusivamente personali, anche “fatte per il loro bene”. Bisogna capire e far capire che la felicità non è un obiettivo cui mirare, ma un’atmosfera da cui si è circondati, da cui ci si deve lasciar avvolgere e da cui deriva il benessere (e non il contrario). “Io ero un bambino abbastanza felice. Non avevo alcun motivo per abbandonare la casa dei miei genitori, con cui avevo un rapporto addirittura troppo buono per la mia età” (Simone Perotti, scrittore e navigatore). Crescendo non ci si ricorda delle singole cose ricevute, ma delle relazioni vissute e dell’atmosfera respirata.

“La gioventù possiede ali rivestite dalle piume della poesia e innervate dall’illusione, con le quali trasporta i giovani lontano, oltre le nubi. Là essi vedono il cosmo inondato dalla prismatica luce dell’arcobaleno e odono la vita intonare inni di gloria e maestà; ma ben presto quelle liriche ali vengono strappate dalle tempeste dell’esperienza ed essi precipitano nel mondo della realtà. Il mondo della realtà è uno specchio magico dove gli uomini si scoprono rimpiccioliti e deformi” (Kahlil Gibran in “Ali spezzate”). I giovani hanno diritto alla loro giovinezza e a tutto ciò che la caratterizza. Devono “crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo) per affrontare la realtà che viene loro lasciata dagli adulti. Non si parli male dei giovani, ma si cerchi di parlare con loro.

Nell’autobiografico “Lettere di un padre alla figlia che si droga” il giornalista Luciano Doddoli, nella XV lettera indirizzata alla figlia Francesca, scrive: “[…] mio padre non mi dava quello che doveva dare, ma siccome io non potevo dirglielo e nemmeno pensarlo tutta la colpa era mia e io provavo vergogna dinanzi a mio padre. E poi: io non ti ho dato tutto quello che dovevo darti, ma poiché tu non potevi dirmi e neppure pensare che io ero il responsabile, tu ti vergogni di me. Oppure, tu non mi dai quello che mi devi dare ma io non posso dirlo e neppure pensarlo, perché forse voglio altre cose; allora la colpa è mia ed io non so neppure farti una carezza e mi vergogno di te. Infine: io non so darti quello che ti debbo dare (io non posso darti quello che ti debbo dare) e neppure tu. Io assumo le tue colpe e tu le mie. E non ci incontreremo mai”. La genitorialità e la famiglia sono innanzitutto “comunicazione”; la mancanza di comunicazione è una delle principali cause della disgregazione familiare. Comunicare dal latino “cum”, insieme, e “munus”, impegno. Facendosi carico insieme dei pesi della vita nasce quell’atmosfera di “comprensione” in cui deve crescere il fanciullo (dal sesto capoverso del Preambolo).

“«Come è possibile che l’amore, così tenero e affascinante nel suo nascere, messo alla prova diventi tirannico e crudele?». Con questa domanda Shakespeare – convinto della necessità di credere nell’amore e di allenarsi in quest’arte, per non passare dall’amore all’odio – ha sfidato i suoi lettori” (Valentino Salvoldi, teologo e scrittore). Sfida che bisognerebbe lanciare anche a quei genitori che si contendono i figli quando finisce l’amore nella coppia. Le sorti del sentimento dell’amore tra gli adulti non devono compromettere l’amore dovuto ai bambini. “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). Si noti che questo capoverso segue a quello sulla famiglia perché, anche se non si può garantire al bambino una famiglia intesa come nucleo familiare, gli si deve assicurare (da “sine cura”, senza affanno o preoccupazione) “l’ambiente familiare”.

“La scuola degli antichi Greci era assai diversa dalla nostra. Socrate parlava ai giovanetti dei misteri della vita, della psicologia (ante litteram), della filosofia. Lo faceva a piccoli gruppi di ragazzini seduti in circolo intorno al fuoco, dialogando. Quel che i giovani avrebbero dovuto affrontare non era forse la loro vita? Ciò che serve alla loro vita non è forse ciò che produce personalità, armonia, equilibrio?” (da “Il libro dei grandi contrari filosofici” di Oscar Brenifier). “[…] il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità” (dal sesto capoverso del Preambolo): ovunque si parla dello sviluppo della personalità del bambino (anche nelle sentenze che decidono soluzioni poco condivisibili per dirimere assurdi conflitti familiari che, di certo, non contribuiscono positivamente allo sviluppo della personalità del bambino), ma non se ne parla con lui. Per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità del bambino bisognerebbe cominciare a parlarne con lui adottando il “circle time” (“tempo del cerchio”) innanzitutto in famiglia e non stando attorno ad un televisore o soli dinanzi ad un computer.

“Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani” (don Giovanni Bosco, educatore). “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). Don Giovanni Bosco era solito parlare di amorevolezza nello stile educativo, che non è l’amore senza limiti o addirittura patogeno o patologico come quello che spesso si manifesta oggi, ma un linguaggio d’amore che rivela disponibilità e premura. Questo è “[…] assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere” (art. 3 par. 2 Convenzione).

Significativi il titolo e il testo della canzone di Giorgio Gaber, “Non insegnate ai bambini”. I bambini non hanno bisogno di insegnamenti dal pulpito, ma di segni nella vita: “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo) e “l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti” (art. 5 Convenzione).

“Il problema non è la violenza dei ragazzi, ma lo spegnimento completo della loro capacità di combattere. A ben sapere, infatti, la violenza non è segno di forza, ma di debolezza” (il pedagogista Pino Pellegrino). “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite e in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal settimo capoverso del Preambolo). Il tutto comincia e continua con l’educazione, nelle sue varie forme di coeducazione, educazione permanente ed altre. L’educazione comincia a casa e dovrebbe continuare a casa senza le continue deleghe cui si assiste.

“Sono tanti i modi in cui la famiglia può educare ad essere se stessi, anche solo attraverso una normale vita quotidiana” (Giuseppe Savagnone, esperto di educazione). “Normale” è ciò che è “regolare”: le regole della vita di relazione familiare devono essere riconoscimento dell’altro, rispetto, reciprocità, responsabilità, ruoli ridefiniti. In tal modo la famiglia si assume pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità (dal quinto capoverso del Preambolo) e prepara appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società (dal settimo capoverso del Preambolo).

“E la Matematica? La Matematica potrà aver contribuito allo sviluppo del nostro ragionamento. La Storia potrà aver offerto occasioni di riflessione sul correre degli eventi. La Geografia avrà contribuito ai futuri piani delle vostre vacanze. Ma accanto a questo, stando all’esperienza diffusa, per poter avere un nostro posto nel mondo avremo dovuto assumere scampoli di buon senso e di esperienza dalle direzioni più disparate, senza che qualcuno si sia posto il problema di portarci a riflettere sulla nostra vita, sulla nostra dimensione umana, come se l’argomento fosse procrastinabile, di scarsa urgenza” (Simone Perotti, scrittore e navigatore). La vita deve essere la priorità e le materie (da “mater”, madre) scolastiche o discipline (da “discere”, imparare) dovrebbero essere finalizzate ad essa. Perché “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal settimo capoverso del Preambolo) e “[…] preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (dalla lettera d dell’art. 29 Convenzione).

“[…] bisogna riconoscere che nella società occidentale contemporanea l’umiltà non ha vita facile, perché deve confrontarsi con un principio che viene assolutizzato e ormai è una parola d’ordine, un imperativo incontestabile: l’autorealizzazione. Nella nostra società, pervasa di narcisismo, auto realizzarsi vuol dire costruirsi e farsi da sé, e godere di sé, delle proprie qualità, della propria riuscita, senza dipendere da nessuno, senza alcun legame schiavizzante. Questo principio, velenoso, rende tristi e infelici, e impedisce alle giovani generazioni di scoprire il senso di pienezza, di forza, di maturità e di serenità […]. Impedisce alle giovani generazioni di scoprire il senso di compiutezza, la bellezza e la felicità che c’è nell’affinare e spendere – a costo di sacrifici – le nostre qualità migliori per altri, affinché essi siano felici, compiuti” (la giornalista e scrittrice Cristina Uguccioni). È necessario e doveroso far capire ai bambini e ai ragazzi che si è come gli altri e con gli altri: allevare il fanciullo “in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal settimo capoverso del Preambolo).

“I bambini sono i nostri messaggi vivi, inviati a un’epoca che non vedremo” (John W. Whitehead, giurista). Si inviano i messaggi nell’educazione, che non è diventata una sfida o un’emergenza ma lo è sempre stata: allevare il fanciullo “nello spirito degli ideali” (dal settimo capoverso del Preambolo). Trasmettere sani e duraturi ideali e non costruire vani e perituri idoli (a cominciare dai figli stessi): in tal modo si dà fiducia e futuro.

“Quando il bambino dimostra di aver compreso i limiti in determinate situazioni, va sempre rinforzato positivamente. Il rinforzo non si riferisce a una ricompensa materiale (per esempio dire “ti compro un gioco se fai il bravo”) ma a una ricompensa di tipo affettivo come un abbraccio, passare del tempo in più con il bambino per fare qualcosa che a lui piace, ecc. Le ricompense affettive aumentano l’autostima del bambino e rappresentano una fonte significativa di valorizzazione della sua persona” (Elisa Mazzola, psicologa e psicoterapeuta). Nel settimo capoverso del Preambolo e nell’art. 18 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si dice “allevare il fanciullo”. “Allevare” significa “levare su, alzare verso”, e per questo servono anche i “rinforzi”, positivi o negativi.

“Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita. È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue storie o passarmi di nascosto qualche spicciolo. Ma io so che sei ancora con me. Sei nel mio cuore e nelle mie ossa. Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita. Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi consiglieresti tu. Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose. So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricorderò” (da un racconto di Bruno Ferrero, salesiano e scrittore). I padri siano padri e le madri consentano e li sostengano nell’esserlo. Non si rendano i bambini orfani di padri più di quanto non faccia la morte fisica. Paternità è protezione (quella più volte menzionata nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sin dal Preambolo) ed è il senso ed il ricordo della paternità che devono avere i bambini. Così si trasmette pienamente e veramente loro la vita e si rispettano i loro diritti. Anche questo significa “incoraggiare la Cooperazione internazionale” (art. 45 Convenzione) a favore dell’infanzia e della vita!

Valutazione, genitori e alunni fuori

da ItaliaOggi

Valutazione, genitori e alunni fuori

n arrivo la direttiva sul sistema nazionale. Si parte a settembre, rendicontazione nel 2018

Alessandra Ricciardi

Il giudizio di genitori e alunni non farà testo. La percezione che gli studenti hanno della loro scuola e dei loro insegnanti, le opinioni delle famiglie sulle politiche scolastiche e sulla qualità dell’offerta formativa non entreranno nella griglia dell’autovalutazione che da settembre ogni istituto scolastico sarà tenuto a fare. È l’orientamento che prevale a viale Trastevere, dove la direttiva per l’avvio del sistema nazionale di valutazione, previsto dal decreto n. 80/2013, è in corso di definizione.

Ogni istituto per la fine dell’anno scolastico 2014/2015 è chiamato, con il contributo di dirigenti e insegnanti, a elaborare il proprio piano di valutazione, sulla scorta delle indicazioni dell’Invalsi, distinte per indicatori (contesto sociale e risorse, per esempio) e livelli. L’elemento reputazionale, che pure è stato sperimentato nel corso del progetto Vales, è stato, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, giudicato utile dagli esperti del gruppo di lavoro ma difficilmente quantificabile ai fini di un uso scientifico del rapporto di autovalutazione e delle azioni di miglioramento della singola scuola. Anche perché significherebbe raccogliere ed esaminare i dati riferiti a 8 mila scuola, moltiplicati per tutti gli studenti e relativi genitori. Ma forse, dietro la scelta che la ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, è in procinto di assumere, c’è anche l’interesse a liberare il campo dalle polemiche e contrapposizioni che in questi anni hanno condito il percorso della valutazione a colpi di «vogliono dare i voti ai prof» oppure «così si fa l’elenco delle scuole buone e di quelle cattive». Riportare la valutazione all’interno di un solco esclusivamente didattico e organizzativo, evitando classifiche e voti, appare, soprattutto in questa prima fase, essenziale. E così niente peso all’opinione di ragazzi e famiglie tra gli gli indicatori della valutazione. Ogni scuola, forte della propria autonomia, avrà il compito di autovalutarsi sotto la regia dell’Invalsi, per le scuole che presentano difficoltà ci sarà l’invio di valutatori esterni. Sulla scorta dei punti di forza e di debolezza, dovranno essere fissati anche gli obiettivi di miglioramento, elemento questo che da subito avrà effetti anche sulla valutazione (e retribuzione di risultato) dei dirigenti.La ministra Giannini pare intenzionato a firmarla in tempi stretti, certamente entro luglio.

L’ipotesi è che i questionari a genitori e studenti, in questo scenario, siano somministrati soltanto in alcune scuole, in via sempre sperimentale, per affinare lo strumento.

All’Indire il compito di dare supporto nella successiva opera di intervento, anche sul versante della formazione dei docenti. Al termine del successivo biennio, e dunque entro il 2018, ciascuna scuola farà la rendicontazione sociale del percorso fatto e gli obiettivi raggiunti. Sarà il primo punto fermo del percorso. La direttiva dovrà indicare scadenze certe e precisi strumenti di supporto. Perché è vero che circa 1500 scuole hanno già avuto modo di misurarsi con vari strumenti, ma per nessuna, e neanche per le migliori, il processo si è rivelato facile. In particolare nell’analisi degli elementi da innestare per produrre il miglioramento.

Resta poi in sospeso tutto il capitolo della carriera dei docenti, della differenziazione salariale e della formazione in servizio, che pure sono connessi alla nuova scuola «rendicontata». Capitolo su cui è al lavoro uno dei due Cantieri voluti dal governo Renzi. E i cui esiti, una volta elaborati, dovrebbero portare alle prime misure del pacchetto scuola (si veda ItaliaOggi di martedì scorso) atteso a uno dei prossimi consigli dei ministri. Sempre entro fine luglio. Un’estate impegnativa.

Chi zavorra l’innovazione educativa?

Chi zavorra l’innovazione educativa?

di Enrico Maranzana

 

L’articolo di fondo del Corriere della Sera del 30 giugno, “Gli abusivi della cattedra”, stigmatizza l’operato della giustizia amministrativa che ha annullato la bocciatura di uno studente liceale con gravi carenze in tre materie. Lo scritto ha avuto numerosi commenti che, tranne in un caso, hanno condiviso la denuncia per l’indebita intromissione.

Quale distanza separa la cultura contemporanea dal mondo accademico e dall’ordinario sentire!

Quale distanza separa lo Stato di diritto dal sentire comune!

Non si osserva un elefante con il microscopio!

Per esplorare il campo in cui nasce il problema e per una sua corretta definizione è essenziale scegliere un adeguato livello d’osservazione.

 

Il legislatore, per dominare le dinamiche socio-culturali, ha finalizzato il sistema educativo alla promozione e al consolidamento delle capacità dei giovani, capacità che si manifestano sotto forma di competenze, generali e specifiche.

Un traguardo che la scuola unitariamente deve perseguire, armonizzando tutti gli insegnamenti: la conoscenza rappresenta il mezzo, lo strumento per far lievitare le qualità degli strumenti.

La conoscenza non è più il fine ma il mezzo per progettare  percorsi didattici.

 

La levata di scudi contro la sentenza del Tar del Lazio ha un significato clinico: la fissità; non si vuol abbandonare il tradizionale modello di scuola.

La giustizia amministrativa, invece, rappresenta un significativo contributo per l’ammodernamento dell’istituzione scolastica, un’occasione per supervisionarne l’ordinaria gestione. Un indirizzo che il Miur sta percorrendo – in rete: “Avrà successo l’impresa del ministro Giannini?”

 

“Sono ancora i professori ad avere la responsabilità pedagogica dell’insegnamento nelle nostre scuole?” è la domanda posta inizialmente dall’editoriale del corriere. Rimando in rete a “All’origine della dispersione scolastica” per saggiare la dimensione della questione posta.

 

Insegnanti sempre più delegittimati: ci mancavano le bocciature sovvertite dal TAR

da tecnicadellascuola.it

Insegnanti sempre più delegittimati: ci mancavano le bocciature sovvertite dal TAR

Fa clamore la sentenza del Tribunale del Lazio che ha negato la decisione di un liceo classico romano di respingere uno studente con 3 in matematica, 4 in fisica, 3 in storia dell’arte: per i giudici non sono carenze gravi, perchè non caratterizzano il percorso umanistico. Il Corriere della Sera: lascia di stucco il fatto che il Tar salga, letteralmente, in cattedra. Viviamo una cultura in preda a una deriva pseudobuonista: dietro alle insufficienze vede un atto illegittimo.

“Sono ancora i professori ad avere la responsabilità pedagogica dell’insegnamento nelle nostre scuole?”. Inizia così un interessante articolo del Corriere della Sera del 30 giugno, dal provocante titolo “Gli abusivi della cattedra“: l’autore, Giovanni Belardelli, prende spunto dalla recente sentenza del Tar del Lazio, che ha annullato la bocciatura di uno studente di un liceo classico romano che aveva riportato alcune pesanti insufficienze: 3 in matematica, 4 in fisica, 3 in storia dell’arte.

“Al di là delle motivazioni più tecnico-giuridiche della sentenza, – scrive l’autore – spicca il rimprovero del Tar agli insegnanti per non avere adeguatamente valutato la preparazione complessiva dello studente, all’interno della quale – secondo i giudici amministrativi – un 3 in matematica e un 4 in fisica sarebbero meno gravi trattandosi di un liceo classico”.
E questa il punto: può un Tribunale sostituirsi al Consiglio di Classe? “A prescindere dall’opinione che si può avere su un’argomentazione del genere (personalmente, la reputo una sciocchezza), a lasciare di stucco – scrive ancora Belardelli – è il fatto che in questo modo il Tar salga, letteralmente, in cattedra. Finisce infatti per sostituirsi agli insegnanti in quell’attività chiave della loro funzione pedagogica che consiste nella valutazione di uno studente: una valutazione che può fare a ragion veduta (o almeno così credevamo) solo chi lo abbia avuto in classe per un anno scolastico”.
Certo, bisogna pur sempre ricordare che tendenza generale – comune a tutti gli Stati democratici contemporanei, ma in Italia più accentuata che altrove – è quella di una magistratura amministrativa (e non solo) sempre più interventista in un numero sugli “ambiti della vita sociale, dagli scrutini scolastici alle cure mediche. È il fenomeno che il politologo Alessandro Pizzorno ha definito come «resa dell’autorità sociale alla legge» (Il potere dei giudici , Laterza): in sostanza, le figure che un tempo fissavano regole e le facevano rispettare (dall’insegnante al medico, dal capofamiglia al dirigente d’azienda) si rivelano non più in grado di svolgere questa funzione. Da parte sua, chi un tempo accettava le decisioni di un’autorità sociale oggi – se non è d’accordo – ricorre sempre più frequentemente alla magistratura”.
Una tendenza che vale per le famiglie, con rispettivi figli, ma anche per il personale: basti pensare alle battaglie, spesso vinte, da associazioni sindacali, come l’Anief, che hanno fatto la loro fortuna, e quella dei ricorrenti, sui passaggi normativi illegittimi e malgrado ciò ostinatamente portati avanti dall’amministrazione scolastica.
Il problema, continua ancora il Corriere della Sera tornando allo studente romano promosso dai giudici, è che “dietro la sentenza del Tar che ha annullato una bocciatura, come dietro altre pronunce consimili, c’è il fenomeno, da tempo sotto gli occhi di tutti, della perdita di autorità e di credito sociale degli insegnanti. Oggi, di fronte alla bocciatura di un figlio, a molti rischia di apparire normale andare direttamente dall’avvocato (per non parlare dei casi limite di chi, come la coppia di genitori di Cosenza di cui ha parlato giorni fa il Corriere , ha letteralmente aggredito la vicepreside)”.
La disamina, che conclude anche l’articolo, diventa quindi sociologica. “È la nostra cultura che, in preda a una deriva pseudobuonista (pseudo, perché la possibilità della scuola di contrastare le differenze legate alla diversa provenienza socioculturale si lega anche alla sua capacità di valutare il merito di ciascuno), dietro ai voti e alle insufficienze non sa vedere altro che un atto illegittimo. Contro cui chiedere dunque l’intervento di qualche tribunale amministrativo disposto a sostituirsi agli insegnanti”.

Resta da capire se abbia più senso il tentativo di un giudice di ergersi ad insegnante, piuttosto che quello dei genitori degli alunni, sempre più spesso travestiti da “sindacalisti” dei figli. Oppure di un’opinione pubblica che intravede ormai nella figura del docente non più quella persona colta e da rispettare di cui è rimasta solo qualche traccia nelle scuole della sana provincia.

Edilizia scolastica, si passa alla fase due: dal 1° luglio al via 2.500 interventi

da tecnicadellascuola.it

Edilizia scolastica, si passa alla fase due: dal 1° luglio al via 2.500 interventi

L’annuncio è del sottosegretario Roberto Reggi: più di 400 riguardano le indicazioni dei sindaci al premier Renzi, altri 2mila la graduatoria nel Decreto del Fareche non erano stati finanziati. Previste messe in sicurezza, rimozioni di amianto e barriere architettoniche, manutenzioni consistenti e nuove costruzioni. Lo sblocco grazie al decreto odierno che sgancia gli interventi dal patto di stabilità e l’approdo al Cipe della delibera delle precedenti messe in opera.

Finalmente delle buone notizie sugli interventi di manutenzione da attuare sugli edifici scolastici italiani: il 30 giugno verrà pubblicato il decreto che dà il via libera ai primi 400 interventi programmati sulla base delle priorità fornite al Governo Renzi da parte dei sindaci.

L’annuncio è di Roberto Reggi, sottosegretario all’Istruzione, che nella stessa giornata ha incontrato i sindaci della provincia di Piacenza. Reggi ha detto che il piano per l’edilizia scolastica del governo “ora passa alla fase due, dalle richieste ai fatti concreti, dalla progettazione all’operatività. Oggi viene pubblicato il decreto – ha detto ancora il sottosegretario – che sblocca oltre 400 interventi immediatamente cantierabili dato che hanno risorse proprie e beneficiando dello sblocco del patto di stabilità potranno partire immediatamente”.

La fase due arriva dopo la lettera inviata lo scorso 3 marzo dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dopo che 4.400 sindaci hanno risposto con una e-mail al Governo, segnalando gli interventi da effettuare sugli edifici scolastici.

“Oggi inoltre – ha aggiunto Reggi – verrà portata al Cipe la delibera che sbloccherà a sua volta 400 milioni per finanziare gli oltre 2mila interventi che sono in graduatoria nel Decreto del Fare, voluto dal Governo Letta ma che non erano stati finanziati. Da domani potranno quindi partire importanti interventi che vanno dalla messa in sicurezza, rimozione dell’amianto e delle barriere architettoniche, interventi di manutenzione consistenti e anche nuove costruzioni. Un ventaglio di interventi che interesserà tutte le scuole del Paese. Accanto a questi ci saranno anche piccoli interventi di ripristino funzionale degli impianti, di decoro delle scuole che interesseranno invece soprattutto le regioni del Sud. E anche su questo la delibera del Cipe di oggi – ha concluso Reggi – sarà significativa perché metterà oltre 110 milioni di euro a disposizione”.

Immissioni in ruolo per 276 docenti Afam

da tecnicadellascuola.it

Immissioni in ruolo per 276 docenti Afam

Con la nota n. 4007 del 26 giugno 2014, il Miur informa che saranno assunti a tempo indeterminato 276 docenti tramite le graduatorie nazionali ad esaurimento e quelle per esami e titoli e tramite ex Legge 143/04.

Con la nota 4007 del 26 giugno 2014 il Miur avvia ufficialmente le procedure per l’assunzione a tempo indeterminato di 22 docenti dalle graduatorie nazionali ad esaurimento e graduatorie per esami e titoli e 254 docenti dalle graduatorie ex Legge 143/04.

“Le nomine sono riferite al contingente autorizzato per l’anno accademico 2013/2014 e purtroppo non saranno sufficienti a coprire i posti disponibili e vacanti per i quali invece era stata chiesta autorizzazione fin dal mese di maggio dello scorso anno” – scrive in una nota la Flc Cgil – “La trattativa con il MEF è stata molto lunga e complessa, il risultato ottenuto è quello, di poter nominare solo i 276 docenti a fronte di una richiesta di 560 nomine, ovvero il 48%. Entro il prossimo mese di luglio saranno completate tutte le operazioni, mentre l’assunzione del servizio dovrà avvenire con l’inizio dell’a.a. 2014/2015″.

Il docente part time può avere assegnazione provvisoria su spezzone?

da tecnicadellascuola.it

Il docente part time può avere assegnazione provvisoria su spezzone?

A nostro parere la risposta è affermativa. La conferma arriva anche dall’ipotesi di intesa del CCNI su utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, in corso di registrazione.

A volte capita che un docente che si trova in situazione di part time e che chieda assegnazione provvisoria per ricongiungimento al coniuge, non venga accontentato nella richiesta per mancanza di cattedra intera, anche se c’è la disponibilità di uno spezzone o più spezzoni riferiti alle classi di concorso da lui richieste.
La mancata assegnazione provvisoria disposta dall’ufficio scolastico è del tutto fuori luogo, in quanto il richiedente che si trova in stato di part time può essere assegnato anche in uno spezzone orario  o anche nella composizione di due spezzoni orari.
Quanto asserito è suffragato dall’intesa di ipotesi di contratto di mobilità annuale 2014-2015. Infatti nel comma 8 dell’art.7 del CCNI sulla mobilità annuale del 26 marzo 2014 è scritto quanto segue: “
Le operazioni di assegnazione provvisoria possono essere effettuate solo su posti e cattedre la cui vacanza sia accertata per l’intero anno scolastico e per l’intero orario di cattedra e, a richiesta degli interessati, anche sommando spezzoni diversi compatibili. Per il personale in part time l’assegnazione provvisoria può essere effettuata su spezzoni corrispondenti al proprio orario di servizio e, a richiesta degli interessati, anche sommando spezzoni diversi compatibili”.
Quindi ai docenti in condizioni di part time su un orario di 12 ore settimanali possono essere assegnati anche due spezzoni orari di 6 ore ciascuno, agevolando in questo modo il ricongiungimento e favorendo la richiesta del docente. Siamo a conoscenza di uffici scolastici che non tengono conto delle dichiarazioni di part time ed assegnano solo cattedre intere, sostenendo che il verbo usato nel contratto “ può essere” non rappresenta un obbligo ma semplicemente una facoltà. Ma sarà veramente così? Pare proprio di no, il termine utilizzato “può essere effettuata” su spezzoni, lascia solo la facoltà all’ufficio scolastico di optare se dare una cattedra intera  che successivamente verrà ridotta nell’orario di servizio dal dirigente scolastico in ragione del tipo di part time, oppure se dare uno o più spezzoni fino a coprire l’orario di servizio del docente in part time.
Se non ci fossero cattedre intere ma solo spezzoni orari, l’ufficio sarebbe comunque tenuto ad effettuare l’assegnazione nello spezzone orario supposto che questo sia pari alle ore di part time richieste.

Chi è il figlio referente unico che si prende cura del genitore con 104?

da tecnicadellascuola.it

Chi è il figlio referente unico che si prende cura del genitore con 104?

Per essere individuato come “figlio referente unico” ed avere diritto ai benefici previsti dalla legge 104 devono esistere alcuni requisiti indispensabili. Vediamo quali.

L’art.7 punto V del CCNI mobilità del 26 febbraio 2014 e l’art.8 punto IV dell’intesa sull’ipotesi di CCNI per le utilizzazioni e assegnazioni provvisorie del personale docente, ATA ed educativo per l’a.s. 2014/15, si riferisce al personale docente destinatario dell’art. 33, commi 5 e 7 della citata legge n. 104/92. Tra questo personale che gode appunto della precedenza nella mobilità ai sensi del su citato art.33 della legge 104/92, c’è la figura figlio/a individuato come referente unico che presta assistenza al genitore.
Ma chi è il figlio referente unico che potrà usufruire della precedenza nella mobilità? Le condizioni che individuano il referente unico sono elencate nell’art.7 punto V del CCNI sulla mobilità del personale docente e sono 3 :
1) documentata impossibilità del coniuge di provvedere all’assistenza per motivi oggettivi;
2) impossibilità, da parte di ciascun altro figlio di effettuare l’assistenza al genitore disabile in situazione di gravità per ragioni esclusivamente oggettive, documentate con autodichiarazione, tali da non consentire l’effettiva assistenza nel corso dell’anno scolastico. L’autodichiarazione rilasciata dagli altri figli non è necessaria laddove il figlio richiedente la precedenza in qualità di referente unico, sia anche l’unico figlio convivente con il genitore disabile. Tale situazione di convivenza deve essere documentata dall’interessato con dichiarazione personale sotto la propria responsabilità, redatta ai sensi delle disposizioni contenute nel D.P.R. 28.12.2000, n. 445, così come modificato ed integrato dall’art. 15, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 e dall’art. 15 comma 1 della L. 183/2011.
3) nessere anche l’unico figlio che ha chiesto di fruire per l’intero anno scolastico in cui si presenta la domanda di mobilità, dei 3 giorni di permesso retribuito mensile per l’assistenza ovvero del congedo straordinario ai sensi dell’art. 42 comma 5 del D.L.vo 151/2001.

Se sono soddisfatte e dichiarate queste tre condizioni il figlio che si prende cura del genitore è individuato come figlio/a “referente unico”.
In buona sostanza la condizione di referente unico, deriva dalla circostanza, documentata con autodichiarazione, che il coniuge o eventuali altri figli conviventi  non siano in grado di effettuare l’assistenza al genitore con disabilità in situazione di gravità, per ragioni esclusivamente oggettive. Nel caso che l’assistito/a sia vedovo/a ed abbia un unico figlio convivente che si prende cura del suo stato di salute, che deve essere certificato come stato di gravità ai sensi dell’ar.3 comma 3 della stessa legge 104(92, ed inoltre questo figlio sia anche l’unico ad avere chiesto la fruizione per l’intero anno scolastico in cui si presenta la domanda di mobilità, dei 3 giorni di permesso retribuito mensile per l’assistenza ovvero del congedo straordinario ai sensi dell’art. 42 comma 5 del D.L.vo 151/2001, allora non c’è dubbio che sia il referente unico.

Reggi: su edilizia scolastica ora si passa alla fase due

da tuttoscuola.com

Reggi: su edilizia scolastica ora si passa alla fase due

Il piano per l’edilizia scolastica del governo “ora passa alla fase due, dalle richieste ai fatti concreti, dalla progettazione all’operatività. Oggi viene pubblicato il decreto che sblocca oltre 400 interventi immediatamente cantierabili dato che hanno risorse proprie e beneficiando dello sblocco del patto di stabilità potranno partire immediatamente“. Lo ha annunciato Roberto Reggi, sottosegretario all’Istruzione, incontrando i sindaci della provincia di Piacenza.

La seconda fase arriva dopo la lettera inviata lo scorso 3 marzo dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dopo che 4400 sindaci hanno risposto con una e-mail al Governo, segnalando gli interventi da effettuare sugli edifici scolastici.

Oggi inoltre – ha aggiunto Reggi – verrà portata al Cipe la delibera che sbloccherà a sua volta 400 milioni per finanziare gli oltre 2000 interventi che sono in graduatoria nel Decreto del Fare, voluto dal Governo Letta ma che non erano stati finanziati. Da domani potranno quindi partire importanti interventi che vanno dalla messa in sicurezza, rimozione dell’amianto e delle barriere architettoniche, interventi di manutenzione consistenti e anche nuove costruzioni. Un ventaglio di interventi che interesserà tutte le scuole del Paese. Accanto a questi ci saranno anche piccoli interventi di ripristino funzionale degli impianti, di decoro delle scuole che interesseranno invece soprattutto le regioni del Sud. E anche su questo la delibera del Cipe di oggi sarà significativa perché metterà oltre 110 milioni di euro a disposizione“.

 

Dal Governo nessun cambio di passo sui settori della conoscenza

Dal Governo nessun cambio di passo sui settori della conoscenza

Fino ad ora non abbiamo visto alcun cambio di passo del Governo su scuola, università, ricerca e AFAM e più in generale sui settori pubblici. Il decreto che avvia la riforma della Pubblica Amministrazione è privo di una visione strategica e non avvia alcun processo di riorganizzazione e efficienza. L’unico obiettivo dichiarato è attaccare i lavoratori pubblici, in classico stile “brunettiano”, attraverso tagli, mobilità e demansionamenti. Si vuole tornare alla rilegificazione del rapporto di lavoro smantellando la funzione della contrattazione e ripristinando il potere assoluto della politica sui comparti pubblici.

Per quanto riguarda scuola, università, ricerca e AFAM manca un progetto d’insieme e non vi è alcun impegno concreto per gli investimenti, il rinnovo dei contratti, la stabilizzazione dei precari e  la riforma del reclutamento. Sul riordino degli enti di ricerca si naviga nel buio più assoluto, senza un’idea sul come riposizionare il sistema della ricerca pubblica nell’ambito delle grandi scelte di politica economica, sociale e ambientale.

A ciò si aggiunge un attacco senza precedenti alla funzione del sindacato con il taglio dei distacchi, dei permessi e il tentativo perfino di ridimensionare le RSU che sono il cuore della democrazia sui posti di lavoro. L’obiettivo è imporre in maniera autoritaria provvedimenti che necessitano di partecipazione al solo fine di dare legittimità alla ulteriore riduzione delle risorse. La FLC è pronta ad accettare la sfida del cambiamento in tutti comparti della conoscenza che hanno bisogno di profonde innovazioni per rimotivare la loro funzione sociale. Si mettano in campo proposte concrete e risorse e siamo disponibili a discutere di tutto. Non è chiaro se si vuole andare in quella direzione o piuttosto tornare indietro non garantendo più a tutti un sistema d’istruzione e formazione pubblica di qualità e negando diritti e valorizzazione professionale ai lavoratori della conoscenza.

Il tempo delle promesse è scaduto e per queste ragioni riparte la mobilitazione. Il 9 luglio si terrà a Roma l’assemblea nazionale dei precari per preparare le iniziative di settembre.

Un nuovo management nelle scuole?

Un nuovo management nelle scuole?
Partire col piede giusto

di Domenico Sarracino

 

Le questioni che urgono nel nostro sistema scolastico sono diverse e si vanno sempre più aggrovigliando in un modo che non può non preoccupare. La direzione, la gestione e la responsabilità delle scuole – cioè il ruolo dirigenziale e quello del cosiddetto “middle management” – si pongono con una particolare evidenza, a seguito dei noti processi di dimensionamento, accorpamento e riorganizzazione che l’infausta stagione dei tagli lineari ha riversato sulle scuole negli ultimi anni. La complessità sia quantitativa che soprattutto qualitativa, che si è determinata, non è stata accompagnata da solidi e strutturati assetti e soluzioni organizzative di tipo nuovo, mentre la questione dell’articolazione della carriera docente – che a ciò si associa strettamente – è rimasta sullo sfondo, oggetto di un lungo ed irrisolto dibattito. E comunque è a tutti chiaro che così non si può continuare, che le mega scuole determinate dai nuovi parametri richiedono un ripensamento complessivo. Ben sapendo che entrambe – gestione del sistema e sviluppo della carriera docente – sono materie delicatissime, da maneggiare con estrema prudenza e senso della realtà effettiva delle scuole. Al Miur ci sono cantieri, tavoli e non so che altro; ed ora improvvisamente anche fretta, tanta: il che non può non impensierire chi conosce le scuole ed il danno che politiche ed interventi spesso improvvisati, poco soppesati, e privi dei necessari supporti hanno determinato, creando un diffuso scetticismo e diffidenza. Fa bene perciò chi segnala il timore, molto diffuso, di modelli organizzativi calati dall’alto, che- come è spesso capitato- sono apparsi o sono stati cartacei, farraginosi e inadatti al fine. E’necessario lavorare con molta prudenza – e spendendo il tempo che occorre – a creare modelli che evidenzino il maggiore impegno quantitativo e qualitativo, e fare in modo che siano costruiti a partire dalle esperienze e dalle diversificate esigenze di funzionamento che presentano le istituzioni scolastiche. Guai, ad esempio, a non tenere bene in conto il rischio che si possano creare nelle scuole altre tensioni e malumori ( e temo anche contrapposizioni) che si aggiungono a quelli, non pochi, già esistenti e dovuti alla scarsità di fondi, alla situazione contrattuale, all’incertezza dei diritti-doveri, alle crescenti incomprensioni con le famiglie, alla conflittualità che si va diffondendo, alle condizioni dei docenti precari , alla necessità di affinare e personalizzare la didattica in condizioni lavorative che restano immutate o addirittura peggiorano…

 

I segnali da dare

Credo perciò che un nuovo modello di organizzazione e funzionamento delle scuole – che è cosa necessaria – possa veramente decollare e non impantanarsi se avviene considerando adeguatamente le concrete situazioni già sperimentate in questo campo, coinvolgendo gli interessati, e in un quadro di politiche scolastiche che diano evidenti segnali di una nuova e coerente attenzione al mondo della scuola. Evitando insomma che da un lato si ricada in proclami di avveniristiche innovazioni e astratte ingegnerie organizzative, e dall’altro, subito dopo, arrivino contrordini, marce indietro, tagli negli organici, nelle risorse, nel funzionamento, ecc. Insomma è necessario che innanzitutto si manifesti e si percepisca l’intenzione di voler aprire una fase nuova: a partire dal riconoscimento di tutto il lavoro docente, dal rinnovo dei contratti, dal mantenimento degli impegni presi, dalla serietà del reclutamento, dall’incentivazione alla buona formazione, dalla qualità delle strutture e dei servizi.

Le attenzioni da sviluppare sono perciò diverse e complesse. Provo a segnalarne qualcuna a chi dovrà provvedere a mettere a punto proposte complete e ben strutturate che investono aspetti giuridico-contrattuali,   profili professionali, assetti organizzativi e gestionali, criteri e procedure di reclutamento, trasparenza ed imparzialità.

Le istituzioni scolastiche sono comunità educative

E’ necessario più di ogni altra cosa, che questi modelli non siano mediati da altri mondi – che rispondono a finalità, logiche e realtà organizzative proprie – ma scaturiscano dalle peculiari finalità e funzioni proprie delle scuole, non a caso definite anche comunità scolastiche. In quest’ottica il tema del disegno di una diversa leadership e/o management nelle scuole ( che preferirei chiamare di guida e di propulsione) implica anche – e non mi pare che sia stato ancora richiamato- il ripensamento del ruolo del dirigente. Si tratta di mettere in campo forme di guida più articolate e diffuse, ma anche responsabilizzanti , che da un lato siano in grado di essere più vicine ai processi didattici, all’organizzazione curricolare, alle complessità territoriali, alle articolazioni degli indirizzi di studio, all’interazione con alunni, genitori e Istituzioni, e dall’altro siano capaci di evitare i rischi di disarmonie e/o di smarrimento del carattere unitario che il progetto educativo delle scuole deve necessariamente mantenere.

Di una peculiare importanza è il tema delle modalità di reclutamento delle nuove figure di sistema: bisogna evitare la corsa a certificazioni, titoli, attestati ed al “mercato” che su questa materia sta sempre dietro l’angolo. Bisogna che sia chiaro che la nuova carriera dovrebbe essere legata ad un maggiore impegno, evitando che chi non intraprende questa strada si senta meno coinvolto, deresponsabilizzato o di minor valore: insomma che non si tratta di premiare o punire ma di riconoscere compiti e funzioni diversi, il cui accesso è aperto a tutti quelli che vogliono provarci. Preoccupazione condivisibile è quella che riguarda l’ individuazione delle nuove figure di sistema: chi deve scegliere, con quali procedure e garanzie, e sulla base di che cosa. A me pare evidente che, da un lato, chi ha l’onere della responsabilità complessiva di un’istituzione scolastica debba avere anche la possibilità di determinarne la sua organizzazione e funzionamento, e dall’altro che    siano previsti contrappesi (altre figure, esperti, organismi), in modo da garantire ai docenti imparzialità, trasparenza ed equilibrio. Ma, affinchè ciò possa davvero funzionare è necessario avere cura di determinare un quadro di reale responsabilità, diverso dalle pastoie attuali,   in primo luogo del dirigente, ma anche di chi con lui viene a condividere la conduzione delle scuole.

La riflessione che manca

Chiedevo prudenza e conoscenza dello stato delle cose anche perché a me pare che sia mancata finora una vera ed analitica riflessione sulle figure di sistema così come sono state sperimentate: si è frettolosamente preso atto della loro inadeguatezza, non sono stati considerati i chiaroscuri che pure ci sono stati, e si è subito girato pagina come purtroppo frequentemente avviene. Sarebbe necessario, invece, sottoporre ad uno sguardo riflessivo e ravvicinato tutta la filiera che ha caratterizzato l’esperienza di queste nuove figure: finalità e compiti previsti, risultati e buone pratiche, modalità di individuazione, tipologie di compiti affidati, difficoltà oggettive e/o soggettive, tempi e situazioni per operare. Cito ad esempio, richiamando l’esperienza concreta, che una delle difficoltà sta anche nei tempi da dedicare al compito che non sono solo quelli del lavoro preparatorio, ma anche quelli di espletamento che spesso coincidono con l’orario di insegnamento ora del docente figura di sistema ora degli altri docenti; e che tale difficoltà non si risolve neppure utilizzando sempre il giorno libero settimanale, soprattutto se capita di sabato , per difficoltà nei contatti soprattutto con altri enti, Istituzioni, associazioni, ecc. Insomma, riflettendo su questo esempio, si ricava già una prima indicazione: bisogna prevedere nell’ambito dell’orario di servizio un tempo specifico da destinare al nuovo compito, agendo o sulla riduzione delle ore di insegnamento o sull’ aumento complessivo dell’orario di lavoro settimanale complessivo. E così di seguito altre importanti indicazioni potrebbero venire dalla riflessione critica sui criteri e modalità di scelta che i collegi docenti hanno considerato nel definire i profili professionali delle figure di sistema, sulle esperienze realizzate, sulle situazioni in cui hanno funzionato ed in quelle in cui si sono ingolfate, sul ruolo che intorno ad esse ha saputo giocare il Ds, sulle differenti esigenze presentate nelle aree di intervento, tra quella didattico-progettuale e quella organizzativa e gestionale.

Bisogna produrre idee chiare, essere disposti a confrontarle con la realtà e a sperimentarle, conquistarsi la credibilità, rendere evidente che non esistono preclusioni a priori, che non si vuole dividere né classificare, ma determinare nuovi compiti e carichi di lavoro , che siano per questo remunerati e capaci di aprire l’accesso a ruoli e carriere diverse, permettendo a chi vuole, ed è disposto a fare di più o diversamente, di poterlo fare.

Insomma l’impresa va tentata, ma occorre che sia pensata da dentro le scuole, nel quadro di un vero rinnovamento, di una valorizzazione del ruolo delle scuole e dei suoi operatori, delle risorse che occorrono e di chiari assetti normativi e giuridico-contrattuali.