da MicroMega
Investire nella scuola per uscire dalla crisi
di Anna Angelucci
“Le regole si scrivono a Bruxelles, i conti li fa Berlino, la massa monetaria la decide Francoforte. In patria si può solo gestire in qualche modo il disagio sociale crescente”. Così l’economista Roberto Sommella, nel suo recentissimo pamphlet “L’euro è di tutti”.
Il disagio sociale in Italia sta crescendo rapidamente, capillarmente, profondamente.
La crisi e la recessione hanno divorato e stanno divorando posti di lavoro, stipendi, risparmi, colpendo con particolare e iniqua intensità le fasce sociali medio-basse – piccoli e medi imprenditori, artigiani, impiegati, operai, pensionati – stritolati dalla pressione fiscale, dal blocco dei salari, dall’aumento del costo della vita. Abbattendosi soprattutto sui giovani, prostrati dalla disoccupazione, dalla precarietà, dallo sfruttamento e costretti a pagare il prezzo più alto, il presente e il futuro delle loro vite. Una percentuale altissima della popolazione in grave deficit materiale e esistenziale.
E’ pronto, questo Governo, a gestire l’esplosione della rabbia e del malcontento, dell’indignazione e della disperazione di migliaia di cittadini ai quali si sta presentando il conto di colpe, responsabilità, errori non loro, delle malversazioni e dell’incapacità della malapolitica, a fronte della persistenza ostinata e ostentata di privilegi altrui?
Il disagio sociale crescente è causato oggi da una spending review celebrata dalle stesse cicale che hanno dilapidato la spesa pubblica e depredato il nostro welfare, e da un’austerità imposta da un patto, certamente scellerato per quanto riguarda la regola del debito, quel Patto di Stabilità e Crescita che appare a Sommella, e a molti di noi, come “un’assurda camicia di forza pensata per un’Europa paradiso della crescita e non patria della più lunga recessione che la storia ricordi dopo quella post-bellica”. Un’austerità vieppiù inasprita dal vero spettro che si aggira oggi per l’Europa, il Fiscal Compact, e, per l’Italia, il pareggio di bilancio introdotto nel 2012 nella Costituzione – sulla cui legittimità e congruità, peraltro, stanno crescendo forti critiche con la proposta di un referendum abrogativo – che ci impone la restituzione di 1000 miliardi nei prossimi vent’anni. Ovvero (e non occorre essere fini economisti per capirlo) un impegno economico e finanziario semplicemente insostenibile.
E’ in grado, il Governo guidato dal Partito Democratico, chiamato ad agire in questa contingenza storica, di disegnare per l’Italia un futuro in cui il disagio sociale si riduca piuttosto che crescere? E’ in grado, questo Governo guidato da un giovane, di formulare un progetto che non azzeri i diritti democratici dei giovani in nome della stabilità e dell’ordine, e che non riconfiguri, a distanza di secoli, una piramide sociale neofeudale nel proporre le sue riforme del lavoro, in ossequio ai dettami autoritari e antidemocratici della troika, ma, al contrario, sappia immaginare e realizzare scelte politiche che, in primis, riducano le disuguaglianze economiche e redistribuiscano reddito e giustizia sociale?
Se Renzi continua a ispirarsi alle politiche neoliberiste di Schroeder e Blair, la risposta è no. E le dichiarazioni d’intenti insieme ai progetti di riforma annunciati, millantati e vagheggiati sulla scuola ne costituiscono, come una cartina di tornasole, una drammatica evidenza.
La cancellazione di un anno delle superiori (che chiude il cerchio della riduzione di orario, materie e curricoli implementato dall’ultimo Governo Berlusconi); l’aumento delle ore di lavoro dei docenti a parità di salario (già invocato da Monti) e la conseguente, definitiva cancellazione dei posti di lavoro per i precari sopravvissuti alla falcidia delle decine di migliaia di licenziamenti perpetrati negli ultimi sei anni; l’abolizione degli organi collegiali (di forzaitaliota memoria); la trasformazione del ruolo – da equiordinato a gerarchico – della dirigenza scolastica immeritoriamente istituita da Bassanini; la dismissione dello Stato, delocalizzato al privato, nel finanziamento e nel governo della scuola pubblica, oggi declinato nel mito delle charter school (cantore quell’immarcescibile Luigi Berlinguer che già tanto danno ha apportato all’intero sistema italiano dell’istruzione con la legge sulla parità e il famigerato 3 + 2): sono tutte misure destinate a ridurre definitivamente la qualità dell’istituzione scuola, con conseguenze culturali, economiche e sociali devastanti, che solo un governo miope, o culturalmente deprivato, o, peggio ancora, in malafede non è in grado di immaginare.
Forse in patria, in una patria che, come oggi si insegna solo a scuola, è chiamata a confrontarsi con l’Europa – l’Europa immaginata dai suoi padri fondatori, l’Europa disegnata dal Manifesto di Ventotene, l’Europa della democrazia, della pace e della giustizia sociale – un Governo può ancora fare qualcosa di diverso che non, semplicemente, gestire il disagio sociale, in assoluta controtendenza rispetto al regime neoliberista imperante che ha già mostrato il suo volto disumano. Per esempio, reperire risorse per scuola e università nella lotta all’evasione fiscale, che in Italia ha raggiunto la cifra iperbolica di 180 miliardi di euro all’anno.
Considerare l’istruzione un valore è la premessa per qualunque scelta economica che miri a una crescita sostenibile, finalizzata alla sopravvivenza del nostro Paese. Considerare l’istruzione un investimento è la premessa per qualunque scelta economica che miri all’unico sviluppo sostenibile e auspicabile per tutti i paesi del mondo: il progresso.
(16 luglio 2014)