Apprendimento permanente

Apprendimento permanente (L. 92/12, D.Lvo 13/13 e linee strategiche 10/07/14)

di Salvatore Nocera

 

In applicazione della L. n° 92/2012 art. 4 commi da 51 a 69 è stato affrontato il problema di come garantire agli adulti un apprendimento permanente di carattere:

  1. formale: cioè istituzionale, ed es. scuola, università, formazione professionale…,
  2. non formale: ad es. mondo del lavoro autonomo o dipendente
  3. informale: esperienze di vita.

Per realizzare ciò è indispensabile l’interazione di numerosi soggetti, istituzionali e non, a livello nazionale (Ministeri dell’Istruzione del Lavoro ed Economia, Sindacati…) e locale (Regioni, Enti Locali, soggetti del Terzo Settore, Centri Provinciale per l’Istruzione degli Adulti – CPIA, Università…).

Le indicazioni per organizzare le reti territoriali necessarie sono fornite dalle linee strategiche adottate dalla Conferenza Stato regioni nella seduta del 10 luglio 2014attuative dell’intesa Stato Regioni del 20/12/2012.

L’importanza degli interventi sta nel fatto che gli apprendimenti formali, non formali ed informali vengono valutati da appositi centri pubblici ed accreditati sulla base di standard e di un “repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali” formulati secondo regole europee che consentano quindi la spendibilità delle certificazioni delle conoscenze e delle abilità acquisite su tutto il territorio dell’UE.

Le norme per tali certificazioni sono contenute nel D.Lvo n° 13/2013.

OSSERVAZIONI

  1. Le norme sopra citate insistono sulla necessità che tutta l’operazione debba avvenire senza oneri aggiuntivi per l’erario. Pertanto gli Enti pubblici che interverranno potranno contribuire solo sulla base delle disponibilità residue di bilancio. Ciò comporta che uno sforzo maggiore verrà richiesto ai soggetti del Terzo Settore e a quei privati che vorranno spontaneamente inserirsi nella rete territoriale per la realizzazione degli interventi.

  2. Pur non essendovi nei documenti sopracitati alcun riferimento esplicito agli adulti con disabilità, è ovvio che, trattandosi del riconoscimento generalizzato di un diritto di cittadinanza attiva all’apprendimento permanente, esso riguarda sicuramente gli adulti con disabilità ai quali debbono essere necessariamente riconosciuti tutti i diritti concernenti l’inclusione scolastica e formativa.

  3. Questa normativa, come pure quella per la Garanzia Giovani e l’apprendistato, sembra voler contrastare l’attuale grave situazione di disoccupazione giovanile o di perdita del lavoro da parte di adulti, nel tentativo di offrire strumenti di maggiore mobilità per uscire dalle secche della crisi occupazionale, facendo in modo che la forza lavoro disponibile possa qualitativamente adeguarsi ai nuovi progressi tecnologici e organizzativi del mondo del lavoro.

Educazione alla legalità, firmato Protocollo Miur-Libera

Educazione alla legalità, firmato Protocollo Miur-Libera
Giannini: “Iniziativa per combattere ignoranza che è alleato mafie”
Don Ciotti: “Dobbiamo offrire percorsi per formare coscienze critiche”

Promuovere percorsi didattici a sostegno della lotta alle mafie e alla criminalità organizzata. Questo l’obiettivo del Protocollo d’intesa siglato questa mattina dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, e da don Luigi Ciotti, presidente di “Libera. Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie”.
All’evento hanno preso parte alcuni ragazzi delle scuole che hanno partecipato alle iniziative organizzate durante l’ultimo anno dal Miur e da Libera. Ognuno di loro ha potuto riportare l’esperienza fatta, confrontandosi con il Ministro, don Ciotti e con i compagni di altre scuole, sull’importanza dell’educazione alla legalità fra i banchi. Anche una studentessa dell’istituto “Fiorana” di Ivrea ha apposto la sua firma sul Protocollo insieme a Giannini e a don Ciotti, in rappresentanza delle centinaia di studenti che prendono parte alle iniziative congiunte fra il Miur e Libera.
Il Protocollo, che ha durata triennale, prevede la realizzazione di programmi e percorsi, anche a carattere sperimentale, per la diffusione della cultura della legalità. Promozione di gemellaggi, produzione e diffusione di materiale didattico mirato, attivazione di progetti europei attinenti alle tematiche della cittadinanza: sono alcuni degli strumenti che potranno essere utilizzati per raggiungere l’obiettivo.
“Con questo Protocollo rinnoviamo un impegno in cui il Miur crede molto – ha sottolineato il Ministro Giannini agli studenti presenti –. Dobbiamo concentrarci sul valore dell’informazione e della conoscenza. Sono gli strumenti più preziosi che abbiamo contro l’ignoranza, che è il grande alleato non solo delle mafie, non solo dei poteri che sono finalizzati a scopi negativi, ma anche a tutto ciò che nel mondo frena la crescita”.
“I sentieri giusti vanno sempre percorsi insieme e questo Protocollo è un sentiero giusto per prendere coscienza e offrire conoscenza dei problemi. Bisogna conoscere per diventare persone più responsabili – ha aggiunto don Luigi Ciotti -. La scuola, la vera scuola, quella che è qui questa mattina e che abbiamo toccato con mano ancora una volta, è una scuola che allena alla vita. Questi percorsi vogliono far crescere una coscienza critica, un senso di responsabilità e di impegno”.
Il primo Protocollo sottoscritto tra Miur e Libera risale al 2006 e solo nell’ultimo anno sono state impegnate oltre  4.000  scuole  e più di 60 facoltà universitarie nella realizzazione di percorsi di educazione alla responsabilità e legalità. Tra le iniziative promosse nell’ambito di questo accordo, ci sono il concorso “Regoliamoci” (che ha visto la partecipazione di oltre 10mila studenti e 500 istituzioni scolastiche)  e il progetto “Amunì, Anemmu e Gnano” (che ha visto coinvolti circa 50 ragazzi provenienti dal circuito penale).

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Stabilizzazione precari: segnali positivi in Corte di Giustizia Europea

Stabilizzazione precari: segnali positivi in Corte di Giustizia Europea

L’operato del governo non è conforme alle leggi europee. Arriva la messa in mora dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea nei confronti dello Stato Italiano che abusa dei contratti a tempo determinato su posti stabili. Soddisfazione della FLC CGIL impegnata da anni in un’azione politica e legale per il superamento del precariato.

“Il governo non ha più alibi per rinviare o centellinare le immissioni in ruolo su tutti posti disponibili della scuola”. È il primo commento a caldo fatto dal Segretario generale della FLC CGIL Domenico Pantaleo dopo aver letto le conclusioni dell’Avvocato della Corte di Giustizia Europea.

Queste conclusioni sono state pubblicate il 17 luglio 2014, a seguito della udienza tenuta a Lussemburgo lo scorso 27 marzo 2014 in merito alle questioni rimesse alla Corte di Giustizia Europea dal tribunale di Napoli e dalla Corte Costituzionale riguardanti la stabilizzazione dei precari della scuola.

La Corte di Giustizia Europea dunque avvalora le ragioni poste dal nostro sindacato a sostegno dei diritti dei lavoratori precari, docenti e ATA, assunti con contratti di lavoro a tempo determinato reiterati illegittimamente per diversi anni consecutivi.

Emerge chiaramente l’abuso commesso dallo Stato italiano nell’utilizzo di tali contratti al fine di sopperire ad esigenze permanenti del settore scolastico e in violazione delle normative europee, così come viene messa in risalto la circostanza che la normativa italiana applicata al settore scolastico non limita né la stipulazione né tantomeno il rinnovo dei contratti a termine per il conferimento delle supplenze.

Ora è attesa la sentenza definitiva della Corte di Giustizia Europea che si prefigura e si auspica sia coerente con quanto affermato e sostenuto dall’Avvocato Generale.

Questo va a beneficio delle legittime aspettative dei tanti precari della scuola (e non solo) che da tempo aspettano il riconoscimento dei propri diritti, ma ha ricadute positive anche sulla qualità della didattica e del servizio scolastico.

Da qui un’ulteriore esortazione del Segretario generale della FLC CGIL che ricorda al governo “Le memorie della Corte non lasciano scampo al governo italiano e lo mettono in mora davanti al mondo della scuola che adesso deve recuperare in fretta il ritardo cumulato nell’approvazione del piano di assunzioni visto che l’inizio dell’anno scolastico è ormai alle porte”.

Inclusione scolastica: la proposta di legge al via

Inclusione scolastica: la proposta di legge al via

I rappresentanti delle Federazioni delle Associazioni delle persone con disabilità, Fish e Fand, hanno incontrato nei giorni scorsi il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini
Oggetto dell’incontro la proposta di legge sul miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali. La proposta, lo ricordiamo, è stata elaborata nel corso degli ultimi due anni dalle Associazioni che partecipano all’Osservatorio permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità istituito presso il Miur.
Il testo, ora compiutamente delineato, punta a individuare ulteriori misure per garantire la continuità didattica e la presa in carico del progetto inclusivo da parte di tutti i docenti della classe, ad assicurare la formazione in servizio degli insegnati, a migliorare la qualità inclusiva delle singole classi e delle singole scuole. Conseguentemente il testo agirebbe per ridurre il contenzioso tra famiglie e amministrazione, sempre più marcato e consistente.

Il testo ha iniziato il suo percorso per il deposito alla Camera e nelle prossime settimane vi saranno le ultimissime verifiche tecnico-legislative preliminari alla registrazione agli atti della Camera e alla firma. Dopodichè vi saranno i successivi passaggi per l’assegnazione alle Commissioni competenti e la calendarizzazione della discussione.
Il Ministero si è impegnato a seguire il percorso del provvedimento e a fissare un nuovo incontro con la Federazioni a fine mese.

22 luglio Riunione Informale dei Ministri della Ricerca dell’UE

Martedì 22 luglio a Milano, Riunione Informale dei Ministri della Ricerca dell’Unione Europea

Il futuro della competitività e della ricerca in Europa sono al centro della Riunione Informale dei Ministri della ricerca UE in programma il 22 luglio a Milano presso il MiCo Center. La discussione sarà incentrata sul tema delle infrastrutture di ricerca, in considerazione del ruolo strategico che esse rivestono  per lo sviluppo della conoscenza e delle nuove tecnologie e per favorire la mobilità dei ricercatori.

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini  e il Commissario Europeo alla Ricerca, Innovazione e Scienza Maire Geoghegan-Quinn introdurranno i lavori.

A conclusione della riunione, alle ore 17.15, si terrà una conferenza stampa.

Per accreditarsi è necessario seguire la procedura sul sito: http://www.italia2014registration.eu/indice.asp
Gli accrediti saranno possibili entro le ore 16 di lunedì 21 luglio.

Link utili: http://italia2014.eu/it/ – sito ufficiale della Presidenza italiana del semestre Ue

http://italia2014.eu/it/sala-stampa/accrediti/riunioni-informali-a-milano-accredito-e-informazioni-pratiche/ – Notizie utili per la stampa

http://italia2014.eu/media/1280/agenda_infomal-research-21_22-july.pdf – Programma dei lavori Riunione Informale dei Ministri Ue per la Competitività e la Ricerca

Dall’Europa dei popoli all’Europa dei padroni

Dall’Europa dei popoli all’Europa dei padroni
reazione a un articolo di Anna Angelucci

di Maurizio Tiriticco

Cara Anna! Ho letto il tuo “Investire nella scuola per uscire dalla crisi” su MicroMega e concordo con l’analisi che fai e con la necessità di una svolta concreta e produttiva per il nostro sistema di istruzione. E non so come e quando riusciremo a farcela in uno scenario europeo che sembra più proporre problemi che risolverli. In effetti l’Europa che in molti vagheggiammo era quella del Manifesto di Ventotene! Ma le speranze vennero presto deluse! La cortina di ferro si abbatté a dividere l’Est dall’Ovest e ad instaurare in ambedue le regioni due regimi altrettanto violenti… e non è un’iperbole! Ad Est le cosiddette Democrazie popolari, sotto il tallone dell’Urss. Ad Ovest il Piano Marshall – così gli Usa si liberarono dei prodotti in eccesso al fine di trasformare un’economia di guerra in un’economia di pace – e la restaurazione di quel regime capitalista che il compiersi della “Rivoluzione socialista in un Paese solo”, quella di Stalin – la Rivoluzione tradita, secondo Trotsky – aveva lasciato indenne.

Come sai, nel ’57, con i Trattati di Roma. si passò dalla Comunità del carbone e dell’acciaio del ’51 all’istituzione di una vera e propria Comunità Economia Europea (il primo nucleo dell’Europa dei Sei): ma… di quale Europa si poteva parlare? Quella dei popoli auspicata dai Mazzini e dallo stesso Spinelli? Un’Unione di Stati federati, dall’Atlantico agli Urali, con un asse centrale federale unico (politica estera, difesa, moneta unica, ecc.)? Nonostante il neonato Movimento Federalista Europeo vagheggiasse una soluzione utopica di questo tipo, la realtà politica e quella economica erano quelle che erano. Francia e Germania intendevano riassumere il ruolo che da sempre avevano avuto in Europa, o meglio nell’Europa dell’Ovest. E l’Italia, “vinta” dagli alleati, ma “vincitrice” sul nazifascismo, non poteva non essere partecipe dell’iniziativa, anche per l’autorevolezza dei trascorsi di un Mazzini, di un Pisacane, di un Cattaneo, lontani ispiratori del Manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni.

Ma i sogni devono sempre fare i conti con la realtà. E la Cee, come sai, non vide mai l’indiscusso favore dei partiti di sinistra, e non solo nel nostro Paese. Il rischio che il capitalismo rafforzasse le sue fila su alcuni Paesi dell’Europa dell’Ovest a difesa più di un sistema economico che delle aspirazioni popolari era molto forte. E così era e fu. Il Patto atlantico e la Nato costituivano il braccio militare – se si può dir così – di alcuni Paesi dell’Ovest del mondo, contro gli altri Paesi dell’Est. In Cina nel ’49 era stata proclamata la Repubblica popolare. Dal 1950 per ben tre anni il Sudest asiatico fu afflitto dalla guerra di Corea, un campo su cui si cimentarono Urss, Usa e Cina.

In quella situazione di estrema precarietà politica – il rischio di una guerra atomica era reale! – era molto difficile vedere nella neonata Cee un presidio di democrazia e di sviluppo pacifico che coinvolgesse veramente tutti i popoli e gli Stati europei.

Poi le cose sono profondamente cambiate, in concorso con i cambiamenti che si avvicendarono sul piano internazionale. Dal 1956, in seguito alla condanna di Stalin e dello stalinismo operata dal XX° congresso del Pcus, tutta la politica estera dei partiti di sinistra dell’Europa dell’Ovest cominciò a cambiare registro. In Italia nel 1975 il Pci nel suo XIV° congresso sancì che l’uscita del nostro Paese dal Patto atlantico e dalla Nato non costituiva più una priorità. Nasce un clima in cui si comincia a guardare alla Cee con un occhio diverso rispetto al passato. Gli anni corsero veloci e, quando nel ’92 si giunse al Trattato di Maastricht e alla nascita dell’Unione europea, una grande ventata di ottimismo pervase tutti noi – me almeno! Nell’89 era caduto il muro di Berlino e la stessa cortina di ferro venne a cadere! E tanti Paesi dell’Est videro nell’ingresso nell’UE un riscatto dal passato e un balzo in avanti nell’avvenire. E nel campo dell’istruzione si dette vita a quella Dimensione Europea nell’Educazione, per cui un gruppo di lavoro a cui mi onorai di appartenere anch’io, dette un notevole contributo in materia di percorsi di insegnamento comuni e di unitarietà di obiettivi da perseguire.

Ma la “festa” è durata molto poco! L’Ue non è riuscita a costruire processi unitari né a darsi una Carta costituzionale e ripiegò sul Trattato di Lisbona nel 2007, che vale assai poco rispetto alle indicazioni di una costituzione a tutto tondo. Così, da un grande slancio verso una politica nuova, quella di un’Europa dei popoli, come emergeva dalla Costituzione approvata a Roma tre anni prima, siamo caduti nell’Europa dei “padroni”! In effetti il Trattato non garantisce nulla se non il più indiscriminato sviluppo degli interessi dei gruppi economici forti a danno dei popoli di ben 28 Paesi membri.

Pertanto oggi ci troviamo nella situazione in cui, come scrive Roberto Sommella, nel suo pamphlet “L’euro è di tutti”. che tu citi, “le regole si scrivono a Bruxelles, i conti li fa Berlino, la massa monetaria la decide Francoforte. In patria si può solo gestire in qualche modo il disagio sociale crescente”. A questa Europa non possiamo assolutamente guardare con simpatia e fiducia. Però giorno dopo giorno ci dobbiamo fare i conti. Riusciranno i nostri eroi del 40,81% ad avviare realmente un cambio di rotta?

Con l’affetto di sempre!

Percorsi sperimentali di istruzione e apprendistato

Percorsi sperimentali di istruzione e apprendistato (L. 128/14)

di Salvatore Nocera

In applicazione dell’art. 8 bis della L. n° 128/13 è stato emanato il Decreto Interministeriale Istruzione, lavoro ed economia (trasmesso con Nota del ministero del lavoro il 5/6/2014) sulla possibilità per gli alunni degli ultimi due anni di scuola secondaria di secondo grado, in particolare istituti tecnici e professionali, di effettuare nel triennio 2014-2016 un percorso misto di istruzione e formazione in azienda conseguendo il diploma di scuola superiore con la certificazione delle competenze acquisite e il credito didattico per il periodo trascorso in azienda.

Il percorso misto deve essere preceduto da un’intesa tra Ministero del Lavoro, dell’Istruzione (anche tramite i loro organi regionali), la Regione e l’azienda interessata. Sulla base di tale intesa la singola scuola stipula una convenzione con l’impresa interessata contenente tra l’altro i dettagli del piano formativo personalizzato, l’obbligo per la scuola di nominare un tutor interno, per l’azienda di nominare un tutor aziendale, l’orario di lavoro dello studente in azienda.

A seguito della convenzione il singolo studente stipula un contratto di apprendistato con l’azienda e ha diritto al riconoscimento dei crediti didattici maturati anche in caso di cessazione anticipata della sperimentazione ed a rientrare nei percorsi normali di istruzione.

Inoltre l’azienda organizza a proprie spese corsi di formazione obbligatori in servizio per il tutor scolastico e quello aziendale.

Il percorso sperimentale di svolge utilizzando fino ad un massimo del 35% dell’orario scolastico.

Al termine del percorso misto la scuola valuta anche i risultati dell’attività svolta in azienda sulla base del rapporto effettuato dal tutor aziendale che si avvale anche del parere del tutor scolastico.

E previsto che tutte le attività debbano svolgersi senza oneri aggiuntivi per lo Stato.

 

Importante il fatto che sia prevista espressamente la possibile partecipazione di alunni con disabilità a tali percorsi negli art. 7 comma 6 e art. 9 comma 5 del DI, rispettivamente per la promozione della loro autonomia e per la valutazione dei risultati sulla base della specifica normativa di riferimento.


OSSERVAZIONI

Si suggerisce alle famiglie all’inizio di settembre di contattare il coordinatore della 3 o 4 classe frequentata dal proprio figlio con disabilità o l’insegnante per le attività di sostegno, per verificare l’opportunità di una sua eventuale frequenza del percorso misto sperimentale.

Il DI a proposito della frequenza dei corsi da parte di alunni con disabilità, non distingue tra alunni che seguono un PEI semplificato e quelli che seguono un PSI differenziato, pertanto questa possibilità è offerta  tutti, purché risulti utile per il percorso del singolo studente.

QUANTUM CREATIVITY in SCIENCE and ART and Augmented Reality

QUANTUM CREATIVITY in SCIENCE and ART and Augmented Reality. – Paolo Manzelli

 

IL Progetto” QUANTUM CREATIVITY “ in Quantum Science and Art and AR communication Technology” , si pone il problema di come esplorare e rinnovare con modalita tran-sdisciplinari i concetti fondamentali della conoscenza in epoca quantistica . (1)

 

Il razionale di questa iniziativa è quello di realizzare una estensione delle concezioni quantistiche creando una visione innovativa adeguata per promuovere e produrre una “ ricerca trasformativa” della scienza e della societa’, mettendo a fuoco la centralita’ del cambiamento cognitivo nella complessiva trasformazione economica e culturale contemporanea. Con tale obiettivo il Progetto /programma “Quantum Creativity” si propone di riallacciare i rapporti tra le diverse discipline scientifiche , umanistiche ed artistiche, in modo che ,congiuntamente possano impegnarsi nell’ indirizzare una riflessione ed uno studio sulle prospettive della “estensione delle cognizioni quantistiche” nella cultura della societa’ del terzo millennio, per dare sviluppo al tema fondamentale della “Quantum Brain Theory” (QBT) .

 

Alla radice della QBT , è la convinzione che le logiche riduzioniste del meccanicismo classico , che ancora dominano il pensiero di una societa’ industriale ormai obsoleta, siano giunte al termine della loro validita storica . Tale mentalita’ acquisita a partire dal 1600 con Isac Newton oggi degenera in una falsa percezione di un ordinato universo prevedibile, mentre invece di fatto la applicazione delle concezioni meccaniciste determina in tutta evidenza, entropia e caos nell’ambiente, fino a distruggerlo sistematicamente conducendo a rischio sicuro a salute e la vita stessa nel nostro pianeta.

La QBT si propone di superare le arbitrarie dicotomie derivanti dalla assurda separazione tra “oggetto e soggetto della percezione”. Infatti a causa di tale arbitrio , quando tentiamo di spiegare come funziona il nostro cervello, rimaniamo confinati concettualmente a districarci in un labirinto senza uscita, attraverso le categorie rigide della percezione oggettiva, che conducono ad accettare una serie di dualismi come quelli tra mente e materia ,e tra corpo e mente e tra pensiero e cervello , generando come riferimenti univoci modelli meccanici di interpretazione ,piu simili al funzionamento del computer che non al nostro sistema bio-neurologico naturale. Pertanto con il motivo di ricondurre, attraverso la QBT, il pensiero contemporaneo ad una visione piu coerente con l’ evoluzione della attuale societa’ della conoscenza, abbiamo iniziato ad organizzare il progetto “Quantum Creativity”. Tale progettazione e’ basata su una concezione avanzata della scienza quantistica che comprende l’ entanglment il quantum tunneling agenti nella struttura dela comunicazione cerebrale, cosi che , a differenza della concettualita’ macroscopica classica, la nuova impostazone della QBT e’ caratterizzata da indeterminatezza e ambiguità risolubile in termini di probabilita’ aperte alla creativita’ – Pertanto il Progetto Quantum Creativity diviene capace di delineare innovative alternative di sviluppo.

La QBT permette di capire che di fatto la realtà percepita come oggettiva non esiste, proprio in quanto la nostra visione e’ il risultato di forme e immagini e scenari costruiti neurologicamente dal nostro cervello all’interno di un processo quantistico-molecolare di riconoscimento e di elaborazione probabilistica delle informazioni. Di conseguenza la QBT potra’ svolgere un ruolo essenziale nel cambiamento della percezione di ciò che chiamiamo realtà, proprio in quanto ogni sensazione cerebrale e’ il risultato di sistema di simulazione bio-quantistica, che ci permette di conoscere una anticipazione delle probabilita di interazione con l’ ambiente. (2). Pertanto il risultato atteso dal progetto denominato Quantum Creativity sara’ quello di liberare definitivamente l’ immaginario scientifico e la fantasia artistica dalle vecchie concezioni meccaniche in modo da poter per potenziare e rimodellale coscientemente la nostra comprensione al fine di creare una società più aperta ed intelligente nei riguardi della sostenibilita’ dell’ ambiente e del miglioramento della vita e della sua biodiversita nel nostro pianeta.

In tale contesto il Progetto Quantum Creativity si propone il fine di delineare progressivamente le prospettive del funzionamento attivo e cosciente del cervello partire da diverse modalita’ di interpretazione (ad es. della fisica quantistica, , e della informazione digitale ,delle tecnologie AR, ed inoltre da differenti punti di vista neurologici ,comportamentali, sociali, epistemologici, …. nonche’ della espressione innovativa dell’ arte quantistica contemporanea. (3).

 

Il Progetto Quantum Creativity, promosso a partire dal 2014 da Egocreanet ( ONG di R&S), vuol dare sviluppo ad una un’iniziativa internazionale di sviluppo della creativita’ per esplorare le possibilita’ di dare nuovi fondamenti trans-disciplinari del sapere, strettamente correlati alla concezione di future tecnologie della comunicazione in Realta Aumentata. (4)

 

Egocreanet sulla base di tali convinte concezioni e motivazioni ritiene necessario dare inizio a partire dall’ anno corrente , ad una strategia di adesioni di scienziati ed artisti ( stakeholder clustering strategy) al progetto Quantum Creativity , per avanzare nella condivisione di un profondo cambiamento scientifico e culturale capace di far convergere idee e prospettive intellettuali e tecnologiche che partono da idee diverse puntando verso un comune obiettivo di cambiamento .

 

Tramite una ampia condivisione di idee tra partners multidisciplinari vorremmo veramente riuscire a capire come possa essere superato effettivamente ,in ogni suo aspetto culturale il tradizionale, il riduzionismo della concezione “meccanica” della scienza che vede il cervello come un ricettore passivo di informazioni privo di una elaborazione ed di uno sviluppo evolutivo cosciente della coscienza condivisa ed interattiva. (5),(6)

 

L’ indirizzo del progetto sul tema Quantum Creativity si basa principalmente su una aperta riflessione ed sul coordinamento di risultati scientifici recentemente ottenuti dallo sviluppo delle scienze fondate su l’ “Entanglement Quantistico” ed applicate a lo sviluppo tecnologico di nuovi materiali quali il Grafene , ovvero ad applicazioni e simulazioni tecnologiche dove le scienze quantistiche interfacciano la biologia ella neurologia ed la genetica. (7),(8).(9).

 

In pratica coloro che aderiranno al progetto Quantum Creativity si predispongono a partecipare ad un prossimo bando Horizon sul tema , Future & Emerging Technologies (FET),un programma Europeo che investe nella ricerca di frontiera di trasformazione e innovazione, con un elevato potenziale impatto sulla tecnologia e sulla economia e lo sviluppo sociale.

 

Inoltre proseguendo la iniziativa promossa da Egocreanet a partire dall’ anno 2012, la quale ha dato origine alla Community su Arte e Scienza Quantistica , verra realizzata una Conferenza Exibition in Firenze nel prossimo maggio 2015, la qale conterra’ anche una sezione dedicata al   Consensus Meeting   dei partner internazionali del Progetto Horizon-FET-3- 2015.

 

Infine al progetto Quantum-Creativity e’ strettamente associato alla crescita del movimento dell’ arte quantistica la cui community di ricerca e sviluppo, trova la propria originale espressione empatica nel trasformare i concetti quantici in rappresentazioni visive tattili ed musicali, la cui bellezza consiste essenzialmente nel comprendere quanto ancora di recondito esiste nella natura della percezione e nel suo modo di operare artisticamente in relazione al progredire della estensione sociale ed economica della cultura quantistica. Un forte impulso allo sviluppo del progetto Quantum Creativity sara’ affidato nel realizzare una CULTURA AD IMPATTO AUMENTATO , ad un preciso obiettivo di sviluppo tecnologico e di impresa della comunicazione non convenzionale in Realta Aumentata. (10) .

 

Biblio on line

(1) – http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/progetto-quarte.php

(2) – http://dabpensiero.wordpress.com/2013/11/25/quantum-brain-l-organizzazzione-probabilistica-della-percezione/

(3)- http://www.caosmanagement.it/52-quantum-art-science-augmented-reality

(4)- http://www.caosmanagement.it/menu-83/68-pietre-miliari-della-innovazione-concettuale-nel-terzo-millennio

(5)- http://www.edscuola.it/archivio/lre/MECCANICISMO.pdf

(6) – http://venezian.altervista.org/Scienzarte/37._Crisi_e_superamento_del_meccanicismo.pdf

(7)- http://www.edscuola.it/archivio/lre/ENTANGLEMENT.pdf

(8)- http://www.edscuola.it/archivio/lre/realta_informazione.pdf

(9) – http://www.edscuola.it/archivio/lre/INTRODUZIONE_BIOVITALISMO.pdf

(10) – http://www.comune.macerata.it/Engine/RAServePG.php/P/187071CMC0300

Il complesso orario dei docenti

da l’Unità

Il complesso orario dei docenti

di Mila Spicola

In questi giorni si sta dicendo tutto e il contrario di tutto sul contratto dei docenti, sull’orario di lavoro dei docenti e sulle perplessità scatenate dalle dichiarazioni del sottosegretario Reggi. Dico anche io la mia, pur avendola già detta più volte. Ma la ridico per coloro che non la conoscono.

L’orario dei docenti è roba complessa, prima che complicata, come complesso è parlarne. Mi si scusi la lunghezza dunque. Sono riflessioni non sistematizzate.

Premessa necessaria: io credo profondamente che qualunque idea o proposta, buona o non buona, ricevibile o irricevibile, prima ancora di sederci a tavolino e valutarla, accettarla, rifiutarla, emendarla,  debba passare dallo sblocco degli scatti stipendiali, che è necessario e dovuto a tutti i docenti.

Azione che costa, tantissimo, perchè siamo la categoria del pubblico impiego più numerosa d’Italia. Dunque mi rendo conto della pesantezza di ciò che affermo, ma lo penso, ne sono convinta e lo ribadisco: nessuna idea può prescindere dallo sblocco degli scatti stipendiali, perchè, se parliamo di professione docente, tale blocco e la povertà dei nostri stipendi rispetto alla media straniera (a fronte di un carico di lavoro identico, se non maggiore) è la vera ferita aperta nel corpo docente. Non possiamo chiedere cambiamenti, mutamenti, impegni, se prima non si allinea il salario alla media europea.

Sì, lo so, costa meno allo Stato, intanto, riuscire a dare qualcosina in più a coloro che lavorano di più. Sarebbe come nascondere la polvere sotto al tappeto  reca tante incognite. Potremmo praticarla, in realtà, però con le dovute cautele. Non vorrei che il tutto si risolvesse nel gratificare con qualche euro i più pochi docenti e lasciar immutata la condizione dei più. E se fossero, come già accade, quasi tutti a impegnarsi più del dovuto tutti i giorni? Li si gratifica tutti? E se non lo si fa, se si escludono dalle gratificazioni quella gran massa di docenti, quasi tutti, che si impegnano ben oltre il dovuto, tenendo in piedi le scuole in condizioni criticissime, accadrebbe ciò che è già accaduto altrove: al suono della campanella c’è la famosa penna che cade e tutti a casa.  “Perchè sai che c’è: a me chi me lo fa fare di lavorare di più se poi la gratificazione tocca solo a pochissimi e diventa uno schiaffo morale a ciò che faccio?”. Azioni come queste, praticate altrove, ripeto,  hanno causato un immiserimento e impoverimento della scuola, non un miglioramento.  Senza andar lontano: Stati Uniti. Le premialità ma applicate solo in pochi casi per scuola e con metodologia hard accountability ha condotto in circa 15 anni un forte tasso di selettività interna con conseguente scadimento del lavoro complessivo, selettività che ha riguardato anche la selezione all’ingresso e in itinere degli alunni (visto che le premialità si son legate alle performance degli alunni): risultato, gli Stati Uniti hanno uno dei tassi dispersione scolastica più alti al mondo, oltre il 50%, quando noi ci danniamo per il nostro 24% pensando di essere i parìa d’Europa. Dunque, se han da praticarsi, si fanno per bene, per non combinar pasticci. La finalità della scuola non è premiar qualcuno punto. Ma innalzare ed estendere i livelli di competenze a tutti gli alunni. E, come detto, le premialità praticate in altri sistemi d’istruzione hanno provocato l’effetto opposto: la concentrazione ad alcuni alunni di alti livelli di competenze e lo scadimento e l’espulsione dai sistemi formativi per una maggioranza.

Ma siccome non si può solo protestare ma la protesta si deve accompagnare alla proposta, allora mi soffermo su una proposta che ho fatto più volte. La parola è diversificazione della carriera dei docenti, ma da praticare in modo molto ponderato e con meccanismi professionalizzanti e obittivi, il meno discrezionali possibili. Sarebbe un’azione di profondissimo cambiamento, profondissimo. Più che di “premialità ai docenti che lavorano di più” è il caso di parlare di seria e precisa definizione, riorganizzazione e assegnazione del lavoro che preveda, oltre a una definizione in termini orari e salariali, anche la diversificazione della carriera del docente in base a funzioni, sempre più qualificate e professionali, non estemporanee, non la premialità. La diversificazione dunque, che poi chiamiamola pure progressione di carriera,  sia uno specifico combinato disposto di azioni e funzioni (esperienza, competenze, funzioni svolte, titoli seri e certificati) a cui si può accedere in modo chiaro e obiettivo e non per “valutazione di un singolo” ,  – cioè il dirigente, che valuta un generico “lavoro svolto in più” in cui, scusatemi, può rientrare tutto e il contrario di tutto, compresi i complessi giudizi relazionali che conosciamo benissimo quanti operiamo nelle scuole-  perchè non siamo alla salumeria, o al rapporto padronale,  ma stiamo trattando di un complesso sistema di pubblico servizio. Come in ogni altra professione del pubblico servizio, gli avanzamenti di carriera in funzioni intermedie -dovuti e auspicabili -, come quelli da docente a dirigente, devono essere stabiliti con passaggi, commissioni (di cui un dirigente può far parte, ma non in modo esclusivo), selezioni, valutazioni e azioni, obiettive e chiare,  non da un singolo.

Dunque meglio prevedere la funzione di middle management scolastico, qualificata e professionale, (a funzione esclusiva, fuori dalle classi, o mista, con ore in classe e ore fuori dalle classi, come è all’estero in molti paesi, alcuni con sistemi eccellenti) a cui accedere tramite processi di avanzamento non discrezionali. Si forma così un team dirigenziale qualificato e che si aggiorna e specializza in servizio. E si mantiene nello stesso tempo quella funzione globale della scuola come comunità educante fondata su professionalità, di docenti e di team dirigenziali, che nello stesso tempo salvaguarda come prioritario il valore delle relazioni sane e chiare. Non solo, in un mondo sempre più organizzato in orizzontale e al plurale, attraverso le reti, in accrescimento per condivisione e cooperazione, stona e fallisce l’idea di una scuola organizzata al singolare, il docente, o al verticale, il dirigente. E’ il team, l’organizzazione e la divisione dei compiti, che fa la differenza. Nulla togliendo alle responsabilità e alle funzioni dei dirigenti, ma credo che non possano caricarsi da soli anche la terribile funzione della valutazione di alcuni docenti, senza intaccare relazioni, aspettative, atteggiamenti personalistici spesso deleteri nel rapporto generale con tutti i docenti. Anche questi sono una realtà da cui non possiamo prescindere e pregiudicano il successo di una scuola come comunità educante. Non voglio ricorrere alla metafora calcistica, perchè non conosco il calcio, ma forse servirebbe. Lo sappiamo bene noi che viviamo le scuole.  A quel punto tutti i docenti sono stimolati ad avanzare, studiare, svolgere funzioni, acquisire competenze necessarie per poter accedere, a tempo e motivo e competenza e selezione debita, a livelli superiori, che poi conserva e accresce, nel corso degli anni. Accade altrove, sia negli altri sistemi d’istruzione, accade in Italia, però negli altri comparti del pubblico impiego, dove è la norma. Potrebbe e dovrebbe accadere anche qua. Costi? Non credo diversi da quelli di queste non  meglio precisate premialità a chi “lavora di più”.

Qualcuno mi ha chiesto: quale visione di scuola oggi? Sarebbe oggetto di confronti, dibattiti, convegni, non solo di addetti ai lavori, ma di intere parti sociali di un paese…potrei dir la mia, solo la mia, ma è necessaria averla e discuterla, quale visione di scuola abbiamo, e quale obiettivo diamo oggi all’istituzione scolastica, anche perchè poi la stessa funzione docente in quella visione deve rientrare, non in altro, come ogni altra azione.

La visione della scuola port unitaria era l’alfabetizzazione del paese: quella post bellica era la scuola della Costituzione, formare i cittadini ai valori costituzionali, oltre che accrescere e potenziare le attitudini rimuovendo gli ostacoli, il mezzo erano ancora l’alfabetizzazione del paese e l’uniformarsi della lingua ma, soprattutto l’accesso a tutti. Oggi la scuola ha un’altra sfida e la visione cambia, pur tenendo fisse quelle finalità: formare i cittadini secondo valori e principi di cittadinanza e costituzione. Intanto è una scuola che ha numeri di “universo totale del campione” in termini statistici: dunque ha raggiunto l’obiettivo della scuola di tutti, ancora stenta nell’obiettivo maturato alla fine del secolo scorso, da Don Milani e Aldo Visalberghi in poi, la scuola del successo formativo di tutti ancora è lontana e su questo dobbiamo lavorare. Inoltre oggi è inserita, come noi, come i nostri allievi, in un mondo non più locale e nemmeno nazionale, ma globale, in cui la globalità ha i connotati della conoscenza e delle informazioni,  dunque deve misurarsi con sfide allargate: la formazione col concorso e l’accavallarsi di conoscenze che difficoltosamente si mischiano ad abilità e si trasformano in competenze. Competenze definite in sede globale.  Ecco il senso positivo, a volerlo cercare, delle comparazioni e la necessità di confrontarsi attraverso quelle. Spesso si dimentica che possono essere uno strumento per evidenzare le diseguaglianze in termini conoscitivi, che, come sappiamo bene, spesso sono il frutto di altre diseguaglianze. E allora, in una sfida globale quale può essere l’obiettivo della scuola oggi se non quello di colmare e combattere le diseguaglianze attraverso il fornire strumenti e metodi per riconoscerle combatterle. Fornire anche pari opportunità dentro la scuole, specie all’ingresso e in termini strutturali.  Il mondo sarà sempre più flusso di conoscenze, competenze e persone, dunque la sfida formativa ed educativa deve tenerne conto, in senso culturale e filosofico prima che “pratico”. In questa cornice la missione che deve  darsi la scuola, primaria comunità educante, che forma cittadini e individui di una collettività, più di ieri, è quella di ottenere il successo formativo di tutti gli studenti, non solo la buona alfabetizzazione, ma il successo formativo, attraverso metodi “inclusivi” non “selettivi”. Significa che non servono solo diplomati o laureati, servono tanti diplomati in più e laureati in più, e non basta ancora, devono avere alti livelli di competenze e conoscenze. Personalmente sono ostile alla scuola dei livelli minimi. Solleva dalle responsabilità. Sono per obiettivi massimi rispetto alle potenzialità di ogni studente. Non dimentico e aggiungo: in un mondo digitale. Non dimentico e aggiungo: con grande consapevolezza e ricerca, per governare il digitale e non subirlo o esorcizzarlo o abbandonare gli alunni senza bussole nel mare sconfinato del mondo digitale. Senza quella bussola, è provato, le competenze digitali non accrescono i rendimenti, li diminuiscono. Ma noi siamo in possesso oggi di quella bussola? Questo dobbiamo al Paese e ai nostri alunni. E siccome le competenze e le conoscenze cambiano e mutano di giorno in giorno a seconda del medium e della rete di trasmissione, anche le competenze e le conoscenze dei docenti e di tutti gli operatori della comunità educante, genitori compresi, devono mutare. 

Un disegno chiaro che esige alcune azioni concrete.

La prima la costante professionalizzazione (formazione all’ingresso, selezione e formazione in itinere chiare, certe, rigorose e di alto livello)  e il riconoscimento di tutti i docenti non di alcuni. Il mondo muta nel giro di pochi anni, mutao i sistemi sociali complessivi, e muta per forza il sottosistema sociale per eccellenza: la scuola. Non per essere soggetto passivo che subisce i cambiamenti ma per essere soggetto attivo che li governa i cambiamenti. E per governarli ci vuole aggiornamento continuo, inteso soprattutto come confronto di pratiche e conoscenza dell’ “altrove”, in un’ottica di rete, non più di monade.

La seconda azione: perseguire l’ innalzamento dei livelli di rendimento di tutti gli alunni, non di alcuni, puntando a livelli alti di rendimento non a livelli minimi. Soprattutto gli ultimi. E dunque prevenire piuttosto che curare, fin dai primi anni di asilo (ossignore, l’asilo, quando se ne capirà l’importanza), i deficit cognitivi investendo risorse e tempo sugli ultimi. In ogni ordine, tipo  e grado di scuola. E dunque periferie, come centro, più del centro, professionali come licei, più dei licei. Tale obiettivo comporta quello che ci ripetiamo da anni:  risorse, strutture, tempo scuola adeguato e ben strutturato,  classi con un numero adeguato di alunni, perchè la didattica individualizzata è la base, l’abc, per includere e non escludere. E..organizzazione. Cioè un ben altro tipo di dirigente, se posso permettermi, piuttosto che un dirigente, io credo in un team dirigenziale, di colleghi e dirigente. Il famoso middle management scolastico che non è solo dividersi i carichi, ma tenere in piedi il senso di comunità educante altamente professionalizzata sì, ma condivisa. In ogni azione e decisione, compresa l’autovalutazione. Che regge sull’autorevolezza e non sull’autorità. Questa è la mia visione ed è una scuola che non si adegua al mondo bensì rilancia la sfida immensa che attende i nostri allievi: vivere e governare il mondo, digitale e reale, attraverso il villaggio..o..il viaggio.  Parlo con tanti, tantissimi, operatori, docenti, ricercatori, dirigenti, in Italia come all’estero, e mi sembra che questa visione non sia mia..ma sia nell’aria.

Se dobbiam parlare di didattica, di alunni, di visione, di comunità educante, possiamo parlarne e fare e impegnarci come facciamo sempre per giorni mesi anni e decenni. Per 24 ore al giorno. Perchè un docente, come sa perfettamente ogni marito, moglie, amico, amica di un docente, noiosamente non parla d’altro in genere. Dei suoi alunni. E come sa perfettamente ogni marito, moglie, amico, amica di un docente, il dopocena o la domenica sono generalmente a pila dei compiti da correggere. O, se si hanno 250 alunni come me, la vita intera è un registro, un giudizio, una programmazione di classe o individualizzata moltiplicata per 250. Ma non è il tema di questo articolo, che anzi sta divagando in modo ondivago.

Se parliamo di professionalizzazione dei docenti (la prima azione necessaria nella mia visione di scuola) dobbiamo parlare non solo di contenuti, pratiche, metodi ma anche di mezzi e organizzazione del lavoro, cioè anche di dura materia sindacale, in modo sereno ma determinato. Se il tentativo è ridare dignità professionale nei termini necessari, dobbiamo aggredire il mostro o ammansirlo, cioè discuterne: orario, funzioni, salario. E gli scatti dello stipendio, bloccati dal 2009, rientrano in tale tentativo.

Non voglio commentare le dichiarazioni del sottosegretario Reggi prima di leggere la proposta,  e capire meglio le idee che la guidano, ma voglio riprendere (non lo riscrivo perchè nulla è mutato nella mia idea), per rispondere alla domanda che alcuni di voi mi fanno da giorni su “ma tu come la pensi su questa cosa dell’orario dei docenti?”, un articolo sul tema “organizzazione del lavoro docente” pubblicato da me su questo blog nel 2011, che tra l’aktro riprendeva riflessioni che circolavano, e poi ripreso e ripubblicato al tempo della proposta sull’innalzamento delle ore di lezione frontale di un docente da 18 a 24, dunque in tempi non sospetti e ribadire che la penso come allora (lo riporto per intero in questo posto, ma, per gli amanti delle date lo trovate qua: http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2013/03/19/le-nebbie-del-lavoro-docente-una-proposta/ ).

Ero e sono assolutamente contraria all’innalzamento delle ore di lezione frontali di un docente. Ma credo lo sia anche Reggi, anche se nessuno lo ha compreso chiaramente, nonostante lui lo abbia ribadito più volte, cadendo anche lui nella trappola della complessità dell’orario e del lavoro docente. Le ore oggi svolte di lezione frontale sono perfettamente in linea con le ore di lezione frontale svolte dai docenti negli altri paesi (anzi, direi che è più pesante di quello, ad esempio, dei docenti tedeschi i quali, a parità di ore di lezione frontali, hanno un monte orario minore, poichè le lezioni sono di 45 minuti e non di 60 minuti, intervallate da una pausa di 15 minuti tra le lezioni, per gli alunni e per i docenti, visto che le classi sono affidate al tutor in quelle pause e nella ricreazione, cioè il docente fa la lezione, il tutor bada alla classe) e deriva dalla considerazione del carico di lavoro connesso a ogni ora di lezione. Anche di questo ne scrissi in modo approfondito, comparando orari e paesi.

Ma ero e sono convinta che sia auspicabile mettere ordine, da punto di vista contrattuale al lavoro svolto dai docenti oltre le ore di lezione, per noi stessi e per una dovuta riorganizzazione del lavoro.

Molti miei colleghi, e io la pensavo come loro, mi ripetono che “un docente lavora 24 ore al giorno, non si può definire il tempo in senso stretto, non finisci mai di lavorare, perchè è un lavoro che svolgi come educatore e come trasmissore di valori e cultura. Andare a teatro, leggere, ascoltare bach, per un docente vale come lavoro quanto e più che compilare un registro e non si possono economicizzare, assegnando un tempo, la cultura o la scuola”.

E’ vero, ma in questa verità è accaduto che l’equivoco e la non chiarezza hanno prevalso sulle verità e coloro che ci sono andati di mezzo sono proprio i docenti, fosse solo nella considerazione di fronte al paese come lavoratori e professionisti. A fronte di un esercito di docenti che “lavora 18 ore”ma invece ne svolge tantissime in più, e che, fisicamente e realmente, lavora per la scuola in attività quantificabili e certificabili più strettamente connesse alla funzione docente, a casa come a scuola (funzioni strumentali, attività, consigli di classe, ma soprattutto la correzione dei compiti e la preparazione delle lezioni e tutto quel che è connesso a seguire individualmente l’alunno in modo approfondito e serio, lavoro che richiede tempo e investimento personale fisico e mentale), a fronte di questo esercito, c’è però una piccola percentuale che quell’impegno sembra non svolgerlo e, agli occhi del paese, assurge a categoria.

A voglia ripetere che “non siamo quelli delle 18 ore”, questa narrazione non passa e non c’è nell’opinione comune. Possiamo pure metterci sottosopra, non passa: a partire da nostro fratello, medico, o dalla nostra amica avvocato, o dal tabaccaio sotto casa, siamo e rimaniamo quelli delle 18 ore e dei tre mesi di vacanze. Questa granitica convinzione, mi sono convinta negli anni, non la scalfisci continuando il mantra del non è così, ma solo mettendo nero su bianco quello che si fa. Il punto è: alcuni, in buona o mala fede, quel nero su bianco non vogliono scriverlo, preferiscono lasciar tutto com’è, diffidenti e spaventati per ciò che è accaduto in passato. Altri invece vorrebbero contrattualizzare o definire ma, nello stesso tempo, puntalizzare alcune cose, prima di mettere nero su bianco anche solo una vocale. Ne siam così schiavi tutti, della nebulosità del linguaggio e della definizione, che ci è rimasto imbrigliato anche Reggi. A voglia smentire che le 36 ore a cui si riferiva non erano di lezione, ma andavano a chiarire le 18 di lezione, immutate e le altre svolte ma non definite. Nessuno gli crede più. Come il paese non ha creduto a noi per anni e non crede tuttora. Dunque : la finiamo una volta per tutta e prendiamo penna e calamaio e definiamo tutto in modo chiaro e univoco? Ogni ora di lezione comporta un’ora di lavoro accessorio. Chi lo ha svolto fino ad oggi bene, non si sentirà tradito se glielo riconoscono. Fino a 36 ore. E a costoro verrà pagato. Questo dice Reggi. Io vado oltre. Perchè il mio intento era sistematizzare e strutturare e diversificare e definire la progressione di carriera in modo chiaro. Senza giochi di magia o da prestigiatore o di parole che confondono o nascondono.

E questo era l’obiettivo di quanto scrissi circa tre anni fa, e riscrissi poco più di un anno fa: un tentativo di proposta e una puntualizzazione nel verso della chiarezza. Il titolo infatti era “le nebbie del lavoro docente” non a caso. Credo sia utile riprenderla, perchè tanti di voi, miei 24 lettori, mi state chiedendo: ma tu come la pensi sull’orario dei docenti? Hai cambiato idea? Difendi Reggi? Come mai non dici nulla sulle “36 ore”? No, non ho cambiato idea, e. se qualcosa c’è da difendere o da combattere son le idee, non le persone. Sulle 36 ore, la mia idea è rimasta identica a quella che segue e risale a circa 3 anni fa, quando, posso dirlo? Avevo previsto tutto (ripeto, a fronte della premessa sullo sblocco degli scatti, che rimane intanto il primo obiettivo – miraggio impossibile  da raggiungere? Visto che “tuttosommato voi uno stipendio lo avete a fronte dell’esercito di disoccupati e di poveri nel paese”. Vien da dire: copriamo tutte le cattedre vacanti e una piccolissima parte di quei disoccupati almeno la occupiamo stabilmente e in modo proficuo per loro e per la scuola, visto che è composta da docenti seri e preparati). MI si scusi la disorganicità della premessa, ma alcune cose, anche a saltare, volevo puntualizzarle. Ecco l’articolo:

“Nel 2014 scade il contratto nazionale collettivo dei docenti.

In vista di tale scadenza vorrei in qualche modo attivare una riflessione sul tema, prima che si scateni la bufera, prima che arrivino le flotte dei “lavorate solo 18ore” e dall’altra “siamo degli eroi”. Entrambe foriere di nulla se non di guai. Noi non siamo eroi, siamo lavoratori dello Stato con diritti e doveri e come tali dobbiamo iniziare a ragionare, perché è ovvio che fino ad oggi i “fregati” dalle due affermazioni di sopra siamo stati sempre e solo noi. Con l’accusa del “lavorate solo 18 ore” , in realtà, l’ “eroe stupido” arriva a lavorare anche 40-50 ore alla settimana, dentro o fuori scuola e nessuno mai gli dirà grazie. Senza tutele, senza riconoscimenti economici o di carriera e con un prestigio collettivo che decresce giorno dopo giorno. Non va.

Sappiamo bene che i pericoli a cui potevamo essere esposti non discutendo in modo aperto e chiaro sulle questioni dell’organizzazione del lavoro  sono diventati realtà: condizioni di lavoro ormai insopportabili, silenzio totale sul burn out, malattia che soffriamo il 65% dei docenti, dequalificazione del lavoro per condizioni contestuali impossibili.  Sì, certo, le buone pratiche, le isole felici, i “lì ci sono riusciti”…esistono e ce ne parlano sempre con un retropensiero del tipo “loro sì che son bravi mentre voi…”

Un sistema complesso e strategico come la scuola non può fondarsi sulla discrezionalità e sul sacrificio nè sull’adagio deresponsabilizzante dell’autonomia scolastica. Se il fine ultimo del nostro lavoro è la qualità dell’istruzione fornita ai ragazzi dallo Stato, persino i colleghi più “nobilmente dediti con onore e merito al sacrificio per la Patria” dovranno ammettere che così non va. Non fa parte nè di uno Stato moderno, nè dell’etica del lavoro in generale, nè del mandato particolarissimo del docente, trascurare, in buona come in cattiva fede, questi temi.

Conosco perfettamente la profonda convinzione, perchè ce l’ho anche io, della definizione del nostro lavoro in senso qualitativo e non in senso qualitativo.  So perfettamente che la nostra è una funzione h/24, almeno per la maggior parte di noi. Ma un contratto va scritto, un contratto Statale deve avere riconoscimento collettivo ed economico, responsabilità e dovere di verifica sociale, oltre che assicurare la tutela personale. Se il nostro riconoscimento collettivo pretendiamo di averlo da un contratto che viene continuamente preso in considerazione a “ore”, a cottimo, e non a valore e tempo complessivo reale della professione fornita, non ne usciamo. Così accade: da un  lato noi che consideriamo il nostro lavoro nel suo valore qualitativo, dall’altro lato un sistema mediatico, un mondo politico e una pubblica opinione che considerano il lavoro Statale dal punto di vista del tempo offerto. E’ un nodo difficile da sciogliere ma da qualche parte dobbiamo pur iniziare.

Quella che vi sottopongo è una proposta sul lavoro docente che era comparsa qualche tempo fa sulla Rivista Scuola Democratica. Vorrei condividerla con voi e ragionare nel merito delle questioni, cercando di sfuggire le astrazioni e la retorica che poi si risolvono nel nulla di fatto (ne avevo già trattato qualche mese fa, nel periodo caldissimo della proposta delle sei ore in più : http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2012/12/04/valorizzazione-degli-insegnanti-una-proposta/ ).

La proposta è integrabile, emendabile e soggetta a tutti i contributi. E’ una base di discussione e riflessione comune, una proposta appunto, da portare in giro e discutere, per farci trovare pronti su alcune questioni e affrontarle prima che la facciano altri e ci impongano soluzioni irricevibili come quella delle 24 ore. Presentata senza rivedere l’impianto complessivo dell’organizzazione del lavoro, senza corrispettivo economico e che ci ha fatto guadagnare l’accusa di  “nemici di ogni innovazione”. E allora, cerchiamo di proporre almeno una REGOLARIZZAZIONE di ciò che già si fa.

Vi chiediamo una mano nel diffonderla per renderla patrimonio comune di discussione in vista della scadenza del CCNL del 2014. Miriamo a formulare una proposta compiuta e quanto più condivisa, da sottoporre all’ attenzione dei decisori istituzionali e delle parti sindacali? O quanto meno a farne base di confronto per attivare riflessioni?

La vicenda delle ore di lezione in più da imporre ai docenti è stata emblematica della confusione e degli equivoci creati da un contratto che fino ad oggi è stato poco chiaro, fumoso e, per taluni aspetti, scritto in malafede.

Innanzitutto nel contratto non si individuano in modo chiaro entrambi i tempi del nostro lavoro: ore di lezione e tempo scuola. E sappiamo com’ è andata e come va: mentre definite sono le ore di lezione, 18 ore, luogo dell’indefinito rimane il tempo scuola (che va spesso oltre le famigerate 40 ore funzionali all’ insegnamento, lo sappiamo benissimo) come indefinito è il numero di alunni.

Il “tempo scuola indeterminato”, che costituisce realmente il nostro lavoro, è privo di regolamentazione, di riconoscimento sociale ed economico, come anche di tutela. Le ore dedicate al lavoro a scuola sono già oggi in media 30 ore la settimana. Con punte di 40 ore. Attività funzionali all’insegnamento, attività collegiali, ricevimenti e altro. Eppure rimaniamo quelli delle 18 ore.

Quella che segue è la bozza di una proposta di migliore definizione del lavoro di un insegnante elaborato dalla rivista Scuola Democratica. E’ una proposta, non LA proposta. Non svegliamoci quando sarà tardi, quando tutti arrabbiati e sconcertati ci riuniremo in collegi dei docenti affrettati e urlanti. Il contratto scade il prossimo anno. Ci serva da canovaccio di discussione, adesso però. Va aggiornata, elaborata, condivisa e discussa. Vi chiediamo di farla girare e di venirla a commentare, a integrare e a discutere sulla pagina di  Insieme per la Scuola, o di organizzare incontri e dibattiti coi colleghi in ogni scuola (la bozza di proposta è tratta da : http://scuolademocratica.blogspot.it/ ).

La proposta parte da presupposti da molti di noi ribaditi da anni e adesso, spero, patrimonio comune di molti:

  1. un miglior livello di istruzione medio è un fattore di sviluppo, innovazione e competitività economica per il paese;
  2. la strada più rapida per uscire da una crisi economica è potenziare cultura, conoscenza e formazione; è necessario invertire la rotta dei governi precedenti, che ha perseguito (consapevolmente o inconsapevolmente)  la dequalificazione dell’istruzione pubblica e la svalutazione della professione dell’insegnamento;
  3. aumentare la considerazione dei docenti della scuola pubblica, assicurare loro prestigio sociale e riconoscimento, investire sulla loro formazione e qualificazione è il mezzo migliore per incentivare la qualità della scuola (come dimostrano le analisi recenti effettuate e mostrate nel Rapporto The Learning Curve);

Il PRIMO PASSO dovrebbe essere il riconoscimento giuridico e la formalizzazione contrattuale di tale professione (completamente assente dal CCNL vigente). Ciò significa  innanzitutto pervenire ad un’adeguata quantificazione giuridicamente e contrattualmente definita della funzione e delle modalità organizzative in cui si esplica. Il secondo passo è quello di riscrivere il Contratto utilizzando la formula “Tempo SCUOLA” (con orario di lavoro complessivo e certo) che comprende al suo interno le  “Ore di Lezione” e le “Ore funzionali all’insegnamento“, individuandole e regolarizzandole.  Proponiamo un contratto con due inquadramenti:

  1.   1. CONTRATTO A TEMPO PIENO

Orario di servizio di 36 ore per i docenti che scelgono il tempo pieno (è in pratica il nostro attuale orario), così suddivise:

  • diciotto ore di didattica (che sono le sole attualmente retribuite, mentre il resto, fumosamente determinato sotto la voce giuridicamente discutibile “obblighi di servizio”, continua ad aumentare di anno in anno).
  • diciotto ore di altre attività istituzionali riconosciute e retribuite:
  • alcune di queste saranno da trascorrere a scuola la mattina e/o il pomeriggio in orari indicati dal docente o concordati con gli altri interessati (es.: progettazione di percorsi formativi, programmazione collegiale, valutazioni quadrimestrali e finali, dialogo con le famiglie, uscite didattiche, recupero, integrazione, ecc.);
  • altre potranno essere svolte liberamente in altri luoghi (es.: programmazione individuale, valutazione elaborati, ricerca, aggiornamento, ecc.).

Dato che sull’argomento c’è molta confusione (orario di lezione confuso con l’orario di lavoro), occorre precisare con molta chiarezza che:

  • buona parte dei docenti già svolgono di fatto il tempo pieno, anche se questo evidente dato (del resto, richiesto a chiare lettere dal CCNL) non è per nulla riconosciuto e quantificato giuridicamente né tantomeno economicamente retribuito;
  • non solo, essi sono i protagonisti principali, con la loro dedizione, di tutte le innovazioni che hanno in questi ultimi anni modificato profondamente il sistema formativo pubblico italiano, elevandolo già ora ad un notevole livello qualitativo;
  • ancora, negli ultimi anni gli impegni connessi allo svolgimento della funzione docente sono esponenzialmente aumentati;
  • rimandiamo su tali argomenti (orario effettivo di lavoro in costante aumento e rapporto inversamente proporzionale con la retribuzione) ad un intervento fondamentale in materia, non certo di parte: l’articolo “Tutte le voci che compongono la busta paga dell’insegnante” di Domenico Cucchetti, pubblicato sul supplemento “L’esperto risponde” n. 94 de Il Sole – 24 ore del 1993 (dati ripresi in seguito da molte altre pubblicazioni);
  • rimandiamo anche (sull’esigenza improrogabile di aumentare le retribuzioni degli insegnanti in ragione di quanto sopra) all’intervento dell’allora ministro della Pubblica Istruzione, Giancarlo Lombardi, apparso il 28 dicembre 1995 sul Corriere della sera con il titolo “Salari più alti ai docenti – la scuola rischia l’agonia” (tema ripreso e sviluppato da molti altri studiosi dei sistemi formativi);
  • le attività su elencate NON sono da introdurre; esse sono già svolte, come conferma anche il profilo professionale contrattualmente richiesto dalla normativa contrattuale vigente;
  • ciò che invece il contratto dovrebbe formalmente riconoscere è il fatto che l’orario di servizio del docente è di 36 ore (si tratta di una formale media al ribasso: molti di noi fanno anche 40-50 ore a settimana) e che la retribuzione deve essere comparata a tale orario effettivo di servizio.
  1. 2.    CONTRATTO A TEMPO PARZIALE (PART TIME)

Proponiamo  l’istituzione di un orario a tempo parziale (part time), che si configuri sulla base della specificità della professione e per chi volesse sceglierlo, e potrebbe essere organizzato in questo modo:

  • nove ore di didattica;
  • nove ore di altre attività istituzionali riconosciute e retribuite:
  • alcune di queste saranno da trascorrere a scuola la mattina e/o il pomeriggio in orari indicati dal docente o concordati con gli altri interessati (es.: progettazione di percorsi formativi, programmazione collegiale, valutazioni quadrimestrali e finali, dialogo con le famiglie, uscite didattiche, recupero, integrazione, ecc.);
  • altre potranno essere svolte liberamente in altri luoghi (es.: programmazione individuale, valutazione elaborati, ricerca, aggiornamento, ecc.).

Naturalmente, tale orario di servizio dovrebbe essere reso obbligatorio per chi svolge la libera professione per rispondere alla duplice esigenza di non privarsi, da un lato, del prezioso apporto di tali professionisti e di non creare, d’altro canto, una sottocategoria di docenti impegnati a mezzo servizio che per evidenti motivi non possono dedicare il loro tempo a tutte le attività connesse e funzionali all’insegnamento (e altrettanto irrinunciabili) di una cattedra a tempo pieno.

  1. 3.    RICONOSCIMENTO ECONOMICO DELLA PROFESSIONE

Le proposte di cui sopra sono da ritenersi presentabili solo e soltanto con adeguato e pregiudiziale riconoscimento economico, pari ad almeno il 30%  in più della retribuzione attuale nel caso del contratto a tempo pieno. Occorre procedere ad un normale e dovuto adeguamento agli standard europei del lavoro docente, questo comporta una maggiorazione retributiva generalizzata per tutti i docenti con contratto a tempo indeterminato di 36 ore, che abbiano superato il periodo di prova e scelgano l’orario di servizio a tempo pieno.  In base alle tabelle di confronto con gli altri paesi europei che inserisco alla fine di questo articolo, tendenzialmente tale retribuzione dovrà essere pari almeno al 30% in più rispetto a quella attuale per tutte le posizioni stipendiali, al fine di adeguare la retribuzione degli insegnanti italiani agli standard europei. I nostri stipendi sono in media inferiori di circa la metà rispetto agli stipendi dei docenti in area UE, con punte minime pari a un terzo nel caso del confronto con gli stipendi dei docenti dei Paesi Bassi. Senza adeguamento di riconoscimento economico ogni proposta fatta, da noi o da altri,  sarà considerata nulla e inaccettabile. E che nessuno si permetta poi di accusarci di essere nemici del cambiamento. 

Secondo un rapporto della UE il lavoro dei docenti nei decenni passati era sottopagato perchè fatto da donne e considerato socialmente un lavoro di cura, piuttosto che un lavoro professionale. In Italia è ancora così. E’ svolto essenzialmente da donne (97% delle maestre e 87% delle insegnanti superiori, volutamente uso il femminile plurale), è scarsamente remunerato e viene considerato socialmente, specie per la scuola primaria e secondaria di primo grado, più un lavoro di cura che una professione che ha il compito specifico di fornire istruzione. Prova ne è l’assenza totale di altri ordini di lavoro compresi tra il docente e il dirigente. Da noi non esiste il cosiddetto middle management o le funzioni di assistenza e tutoraggio alla classe e ai ragazzi (nel passaggio da un’ora all’altra, ingresso e uscita da scuola, ricreazione, mensa, assistenza personale e psicologica, dirimere questioni o conflitti..)  svolto da altro personale. Funzioni queste sì di cura ma previste e normate con contratto separato negli altri paesi e svolto da personale apposito e con tutele specifiche, mentre da noi sono funzioni che svolgono gratis e con enormi responsabilità  i docenti: è come se chiedessimo a un medico di fare anche l’ infermiere perché non sono previsti nell’ordinamento del sistema sanitario. Ma tant’è. Siamo donne… Percentuali di presenza donne e rapporto remunerativo che si ribaltano nel caso degli insegnamenti accademici e universitari: in quel caso si registrano maggiore presenza di uomini e stipendi molto più alti.

Negli ultimi 30 anni gli altri paesi hanno fatto enormi passai avanti, sul piano della promozione della scuola e della professionalità del lavoro docente, (altissima specializzazione e selezioni molto dure per accedere al lavoro docente) anche attraverso il riconoscimento economico. Noi no. A noi, semplicemente non converrebbe economicamente come Paese. Eppure nessuno riconosce questo gap, nemmeno i governi, che trascurano sempre di sottolinearlo quando si avventurano nella pratica nota dell’insulto di categoria ai docenti: provocando un danno educativo inestimabilmente grave. Nemmeno i sindacati lo riconoscono quel gap, per un tacito accordo al ribasso: uno scarso stipendio per uno scarso lavoro, “solo 18 ore” ma per tanti. Sulla carta però, perchè non è più così da decenni.

Concorre a tutto ciò anche un’arretratezza generale di politiche di genere, da cui la scuola non è rimasta immune: le donne, tradizionalmente, sono le meno portate a contrattare sulle remunerazioni. La malafede dei governi (un contratto ambiguo giustifica richieste ambigue e retribuzioni basse, a fronte di un lavoro professionale e di professionisti) e una società inconsapevole fanno il resto. Per tornare alla concretezza e alla proposta:

  • tale maggiorazione retributiva realisticamente potrebbe andare a regime entro la scadenza del prossimo CCNL;
  • contestualmente, entro la stessa data si dovrà provvedere alla graduale estinzione di quelli che eufemisticamente sono definiti compensi delle attività aggiuntive, la cui soppressione è auspicabile poiché si configura come un vero monstrum giuridico offensivo per la categoria: evidentemente ciò di cui auspichiamo la soppressione è il cosiddetto “Fondo dell’istituzione scolastica”, dietro cui si nasconde un profilo di illegittimità: si tratta molto semplicemente di pagamento a cottimo, a prezzo da manodopera a bassissimo costo e dequalificata, di attività che il docente già svolge (anche perché fanno parte del suo profilo professionale), ma che non sono adeguatamente retribuite, non configurano progressione economica, non sono pensionabili, ecc.; beh! il nostro modesto parere è che qui ci troviamo in un campo molto delicato, di violazione dei diritti dei lavoratori, di violazione degli stessi diritti umani, con il consenso (questo è davvero sconcertante) degli stessi rappresentanti sindacali, che di quei diritti dovrebbero essere i difensori;

ad onor del vero va detto che il “Fondo di incentivazione” fu introdotto come strumento transitorio per arrivare all’istituzionalizzazione contrattuale di un compenso accessorio per i docenti, che avrebbe dovuto avere ben altre caratteristiche di quelle che ora possiede il “Fondo”; ma si trattò di promesse che non hanno mai avuto attuazione; Fondo che si è ridotto sempre di più negli anni fino a quasi estinguersi con il governo Monti e dopo i tagli Gelmini.

Altrettanto realisticamente a decorrere dal periodo di validità del prossimo contratto di categoria (da rinnovare subito) dovrebbe essere possibile reperire le risorse per destinare ai succitati docenti (con contratto a tempo indeterminato che abbiano superato il periodo di prova e scelgano l’orario di servizio a tempo pieno) una maggiorazione retributiva pari a circa un terzo dell’adeguamento agli standard europei (cioè il 10% in più dell’attuale retribuzione):

  • nella fase transitoria potrebbero essere soppressi i  “lauti” compensi relativi alle attività funzionali all’insegnamento; tali attività infatti devono essere retribuite in modo giuridicamente più corretto, con la maggiorazione retributiva da noi proposta;
  • dovrebbero invece essere mantenuti nella stessa fase, finché le nuove retribuzioni non siano a regime, i  compensi relativi alle attività aggiuntive di insegnamento (corsi di recupero, ecc.);
  • tutti gli insegnanti che scelgono il tempo parziale potrebbero godere dell’attuale retribuzione con orario e tempo-cattedra dimezzati;
  • per i docenti nell’anno di prova e per i docenti con contratto a tempo determinato si potrebbe studiare una maggiorazione retributiva più contenuta, o in alternativa mantenere in vigore tutti i compensi per le attività aggiuntive di qualsiasi tipo.

Obiettare che c’è la crisi, che non ci sono risorse, che altre categorie stanno peggio è del tutto fuori luogo. Le risorse ci sono, il fatto è che vengono sistematicamente occultate o sprecate, con l’evasione e l’elusione fiscale, con la corruzione e con la criminalità organizzata, con le spese per gli armamenti. E se non bastassero, servissero anche a questo i benedetti incentivi alle risorse destinate alla scuola.

Inoltre, proprio nel settore pubblico vi sono retribuzioni (in primis, tra i funzionari pubblici, gli amministratori, i politici, ecc.) che creano notevoli diseguaglianze e intaccano l’essenza stessa della democrazia  e dello stato di diritto. Il nesso tra democrazia ed equità delle retribuzioni è evidente a tutti senza bisogno di andarlo a spiegare.

Infine, “la nostra proposta servirà precisamente a risolvere la crisi con misure davvero efficaci, innescando un circolo virtuoso (“Niente cultura, niente sviluppo” ha giustamente scritto qualche tempo fa Il Sole /24 Ore, ribadendo il concetto in altri interessanti articoli), che non si può certo ottenere con politiche recessive che inseguono la crisi e non ne raggiungono mai la fine, come Achille con la tartaruga nel paradosso di Zenone.”

(da Scuola Democratica)

Io raccolgo questa proposta e ve la giro, aggiungendo un’altra voce:

DIRITTO/DOVERE ALLA FORMAZIONE IN SERVIZIO (da svolgere all’interno delle 36 ore o delle 18 ore)

Fa parte della funzione docente il diritto/dovere alla formazione in servizio, come strumento necessario di qualificazione professionale, come anche di armonizzazione delle pratiche, del lessico e di base di sperimentazione. Il lavoro del docente è un lavoro di ricerca, deve affrontare oggi problemi educativi e relazionali, oltre che didattici, deve attrezzarsi in una sfida costante alla modernità e ai nuovi linguaggi per governarli e condividerli in modo sano. Non  è un lavoro che si acquisisce semplicemente con la formazione iniziale (tra l’altro, oggi, assolutamente inadeguata e insufficiente), e nemmeno semplicemente con l’esperienza. Ha bisogno di formazione e aggiornamento continuo. Formazione in servizio somministrata su linee guida nazionali, obbligatoria, programmata, continua, qualificata e svolta in collaborazione con gli istituti riconosciuti di ricerca educativa nazionale e internazionale. Senza una fortissima e sostanziosa riqualificazione professionale dei docenti non si può agire sui sistemi d’istruzione.

La proposta di sopra è integrabile, emendabile e soggetta a tutti i contributi. E’ una base di discussione e riflessione comune, prima che la facciano altri e ci impongano soluzioni irricevibili come quella delle 24 ore, calate dall’ alto e assolutamente ignare delle reali condizioni attuali della professione docente.  Vi chiediamo una mano a diffonderla e a renderla patrimonio comune di discussione in vista della scadenza del CCNL del 2014, condividendola sulle vostre bacheche e facendola girare.

Miriamo a formulare una proposta compiuta e condivisa da sottoporre all’attenzione dei decisori istituzionali e delle parti sindacali. O quanto meno a farne base di confronto per attivare riflessioni? Ogni proposta, integrazione, critica è adesso sacrosanta.

Costo standard, autonomia e parità scolastica: i tre punti di Fi

da La Tecnica della Scuola

Costo standard, autonomia e parità scolastica: i tre punti di Fi

Nel “patto per la scuola” di Fi, annunciato dalla responsabile nazionale, Elena Centemero, non riusciamo a trovare novità di rilevo, tranne lo studio intensivo di Grazia Deledda

Per quanto riguarda il punto 1): Autonomia, Centemero dice di incentivarla, ma aggiunge pure: “basta finanziamenti a pioggia senza monitoraggio e valutazione”. Il problema è però capire quando mai ci sono stati nelle scuole finanziamenti a pioggia e soprattutto dopo il trancio di 8mliradi di euro operato dal governo Berlusconi nel 2008.
Relativamente al punto 2): Investire sui docenti, si chiede che ogni anno siano bandite “con regolarità, le procedure di abilitazione, sia con il sistema attuale, che ha dimostrato di essere rigoroso e selettivo, sia con una eventuale sua modifica”.
Una eventualità dunque di modifica che se non avviene fa lo stesso: tale e quale.
Poi propone una differenziazione dello Stato giuridico dei docenti, “articolata in tre livelli: docente iniziale, ordinario ed esperto”, che è tale e quale alla proposta di legge di Valentina Aprea, e “un organo di valutazione professionale che sia garanzia dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e le tutele opportuni coloro che non possono essere definiti insegnanti”.
Da chi possa essere formato questo “organo” non è detto, benchè di tale problema se ne discuta da anni senza però cavarne il classico ragno dal buco, mentre il titolo di “insegnate” si è ottenuto con l’abilitazione o il concorso, per cui in classe ci entra, al contrario di come teme Centemero, “solo chi sa insegnare”: e altrimenti chi?
Al punto 3), Valutazione delle scuole, sostiene che occorre valutare “le istituzioni scolastiche” con l’ausilio degli ispettori, perchè “il fattore umano è indispensabile”. E infatti a settembre, come ha annunciato la ministra Giannini, partirà il “sistema nazionale di valutazione”, nel quale è previsto proprio l’intervento degli ispettori che però sono così pochi e così male equipaggiati che non si sa da dove prenderli, nonostante un concorso lungo e rimandato più volte, sempre ai tempi della Gelmini. Però, suggerisce Centemero, “la valutazione può, da subito, riguardare i Dirigenti scolastici”. Anche questa non è novità, anzi fa parte dei programmi del Miur.
Al punto 4): Passaggio da burocrazia ad amministrazione del Miur che significa “certezza dell’azione amministrativa e uso esteso dell’informatica”. Siamo d’accordo visto che anche per gli esami di stato il famoso plico viaggia online, a parte tutte le domande e la modulistica.
Ed ecco la novità assoluta: “Lo scorso anno scolastico, grazie ad una mia risoluzione approvata in VII Commissione, abbiamo promosso la conoscenza e lo studio della scrittrice Grazia Deledda nelle scuole. Grazia Deledda è l’unica scrittrice italiana ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura grazie ai suoi romanzi. Un grande esempio per le nostre studentesse affinché lo studio, l’impegno e la caparbietà, diventino la strada di riscatto personale”.
E per finire l’on Centemero intende introdurre la solidarietà col “banco scuola”. “Una raccolta di materiale didattico (quaderni, penne, matite, astucci, fogli da disegno, pastelli etc), con lo stesso principio del banco alimentare, da donare alle famiglie, alle ragazze e i ragazzi più in difficoltà economica”.
I ragazzi dell’Udu e della Rete degli studenti, ma anche la Caritas e altre associazioni benefiche, compresi gruppi di cittadini nei loro territori svolgono con onore tale gesto, anche se la proposta in sé ha un suo tocco “sentimentale”, ma anche fuorviante perché il materiale didattico e i libri dovrebbero essere garantiti e non dati in beneficenza: “Un semplice gesto di vicinanza che ci fa ancor più capire che la scuola appartiene a noi tutti!”
Ecco il punto: la scuola è di tutti, anche dei diseredati, degli indigenti, dei poveri e dei bambini delle periferie e perfino di coloro che abbandonano e si disperdono, quelli ai quali soprattutto, per un motivo o per l’altro, l’istruzione è negata e che, per un motivo o per l’altro, vengono regolarmente bocciati: chissà perché?

Renzi ha già ricevuto la bozza di riforma, ma non c’è nessun aumento d’orario dei prof

da La Tecnica della Scuola

Renzi ha già ricevuto la bozza di riforma, ma non c’è nessun aumento d’orario dei prof

Ad assicurarlo è stato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, rispondendo alla Camera ad una interrogazione parlamentare dell’on. Elena Centemero, responsabile scuola di FI: nell’agenda del Governo non vi è al momento alcuna proposta da discutere a proposito dell’aumento delle ore di servizio dei docenti. Prima si vogliono ascoltare i pareri, anche dei diretti interessati. Nel piano immediato c’è invece l’organico funzionale e una prospettiva di formazione in servizio degli insegnanti finalizzata alla carriera.

Il premier Renzi ha già ricevuto una sintesi sui provvedimenti che il Miur vorrebbe attuare, in accordo con il Governo, per migliorare il funzionamento delle nostre scuole. A rivelarlo, il 16 luglio, rispondendo alla Camera ad una interrogazione parlamentare dell’on. Elena Centemero, responsabile scuola di FI, è stato il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.
Il responsabile del Miur ha ribadito, prendendo ancora una volta le distanze dal sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi, che nell’agenda del Governo non vi è al momento alcuna proposta da discutere a proposito dell’aumento delle ore di servizio dei docenti (Reggi aveva parlato di impegno settimanale esteso fino a 36 ore).
In attesa di un testo più approfondito, che scaturirá però non prima di un consulto massiccio con chi opera nella scuola che durerà non pochi mesi e vedrà come primi interlocutori proprio i docenti, Giannini ha detto (ai parlamentari presenti e in diretta Rai tv) che l’impegno delle istituzioni che governano la Scuola è ora concentrato su organico funzionale (ma non si specifica come verrà finanziato, forse eliminando le supplenze brevi?). Oltre che sulla formazione in servizio degli insegnanti finalizzata alla carriera. Una novità, quest’ultima, che potrebbe essere il punto d’incontro con chi sosteneva che il merito non passa solo per le ore passate a scuola.

 

ANTEPRIMA – Silvia Costa: un ‘New Deal’ europeo anche per la Scuola

da La Tecnica della Scuola

ANTEPRIMA – Silvia Costa: un ‘New Deal’ europeo anche per la Scuola

L’europarlamentare PD da alcuni giorni ha assunto la presidenza della Commissione Cultura e Istruzione UE. In agenda ha un incontro col ministro Giannini. Nel frattempo, ci ha indicato le sue priorità: il semestre italiano è l’occasione, per l’Unione e per il nostro Paese, di rilanciare i partenariati della conoscenza. Ma per combattere la dispersione bisogna investire in borse di studio e lavoro, stage retribuiti e alternanza scuola-lavoro. Per combattere i Neet, va potenziato il raccordo tra scuole e formazione professionale e imprese. La logica di ascolto, di prof e addetti ai lavori, assunta da Renzi è corretta.

L’inatteso boom di adesioni per il Partito Democratico in occasione delle ultime elezioni europee sta facendo lievitare il peso dell’Italia in seno al Parlamento UE. Anche nella Scuola. Alcuni giorni fa l’eurodeputata PD, Silvia Costa, già membro della Commissione Cultura e Istruzione e relatrice del programma Europa Creativa 2014-2020 nella scorsa legislatura, ha assunto la presidenza della stessa Commissione. La Commissione sarà composta anche da altri quattro europarlamentari italiani: Isabella Adinolfi (M5S), Curzio Maltese (Lista Tsipras), Luigi Morgano (PD) e Giovanni Toti (FI). Il vicepresidente sarà l’ungherese Andrea Bocskor.

Tra i primi appuntamenti in agenda del neo presidente della Commissione Cultura e Istruzione UE vi sarebbe un incontro con il ministro dell’Istruzione italiana Stefania Giannini: durante l’incontro si definirebbero gli interventi da attuare nel corso dei sei mesi di presidenza italiana della Commissione europea.

Abbiamo intervistato l’on. Silvia Costa per “La Tecnica della Scuola”.

 

On. Costa, i colleghi eurodeputati l’hanno eletta per acclamazione, sulla base dell’esito della valutazione delle competenze e dell’esperienza del ‘Model European Parliament’. Come caratterizzerà la sua presidenza?

Credo che il ruolo di Presidente della Commissione Cultura e Istruzione, di cui sono felice e onorata, assuma una particolare importanza in questa fase nell’individuazione delle priorità per l’agenda europea e italiana, specie in corrispondenza di un passaggio strategico: quello della presidenza del Semestre UE, a maggior ragione andando incontro alla prossima revisione della Strategia Europa 2020 e alla definizione delle nuove agende triennali. Il prossimo 3 settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari, la mia Commissione incontrerà i ministri italiani competenti proprio per la condivisione delle priorità del semestre.

 

Ma è possibile pensare a un ‘New Deal’ europeo anche nel campo scolastico e formativo?

Ritengo che proprio il semestre italiano possa rappresentare l’occasione, per l’Unione e per il nostro Paese, di rilanciare in modo olistico i partenariati della conoscenza (istruzione e formazione professionale, ricerca e imprese in diversi ambiti, incluso quello culturale e creativo) come asse prioritario per allineare competenze, occupazione e sviluppo economico e territoriale.

 

Il premier Renzi ha detto che per rilanciare il nostro Paese bisogna partire dalla Scuola, assicurando istituti sicuri, didattica di qualità e valorizzando i docenti. In Europa, però, gli insegnanti guadagnano in media il 30% in più, a prescindere dal ruolo e dal merito. Non crede che il PD debba impegnarsi prima di tutto per eliminare questo gap?

È così, l’edilizia scolastica è un tema centrale, che va anche esteso in termini di una più moderna e funzionale gestione degli spazi per una nuova didattica, nuovi laboratori, peer education. Il pacchetto scuola è alla valutazione del Presidente Renzi come degli attori della scuola (insegnanti, il personale Ata, i dirigenti, i sindacati ed enti locali), in una logica di ascolto che mi pare vada nella giusta direzione. In generale, maggiori opportunità e valorizzazione delle competenze dei docenti e una più precisa individuazione delle loro ore di disponibilità, come previsto nel disegno di legge, può essere un modo per raccogliere l’indicazione europea e coniugare l’innalzamento della qualità della didattica e delle performance della nostra scuola con il miglioramento della situazione dei docenti.

 

Un’altra piaga dei nostri anni è quella dei Neet: che si può fare?

Su due milioni e mezzo in Europa, i Neet italiani sono un milione e mezzo, siamo terzi dopo Bulgaria e Grecia: segno che da un lato non funziona il sistema il nostro sistema di orientamento e formazione lavoro – a cominciare dai centri per l’impiego – e il raccordo tra scuole e formazione professionale e imprese che va potenziato, rivedendo anche il funzionamento dell’apprendistato. D’altro canto, occorrono interventi strutturali per la ripresa e la creazione di lavoro.

 

Quasi tre lustri fa, a Lisbona l’UE ha fissato dei parametri ben precisi sulla frequenza degli asili nido, sull’istruzione permanente e sul diritto allo studio: ad oggi, però, l’Italia è ben lontana da quei traguardi. Ci sono delle regioni dove i bimbi che frequentano i nidi e le iscrizioni degli adulti ai corsi formativi sono inferiori al 5% di utenti potenziali. E delle province dove gli alunni che abbandonano i banchi alle superiori superano il 40%. Può l’Europa dare una mano all’Italia?

È una drammatica verità, purtroppo siamo lontani da anni dai benchmark di Lisbona e la dispersione scolastica è addirittura aumentata. Dall’Europa, serve un forte incoraggiamento agli Stati Membri e alle Regioni a investire assumendo come priorità nei PON e nei POR in partenza a luglio la lotta alla dispersione e un maggiore sostegno al diritto allo studio, contro le disuguaglianze collegate all’impoverimento delle famiglie, al Sud in particolare. Gli strumenti sono le borse di studio e lavoro, i tirocini e gli stage retribuiti, l’alternanza scuola-lavoro, oltre all’implementazione della Garanzia Giovani in raccordo con occasioni di formazione di qualità e sostegno alle competenze imprenditoriali dei giovani.

 

Le date del prossimo anno: in Alto Adige in classe l’8 settembre, in Puglia e Sicilia il 17

da La Tecnica della Scuola

Le date del prossimo anno: in Alto Adige in classe l’8 settembre, in Puglia e Sicilia il 17

Nella stragrande parte delle regioni italiane però l’anno scolastico 2014/15 riprenderà il 15 settembre. La fine delle lezioni già fissata tra il 6 e l’11 giugno del 2015. Per Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana entra in vigore il calendario “fisso”. Ogni scuola può sempre adottare modifiche: basta che i Collegi dei docenti le abbiano ben motivate rispetto al Pof.

Gli assessori della giunta dell’Alto Adige si confermano i più stakanovisti d’Italia: hanno deciso di far tornare sui banchi gli alunni della loro area già il prossimo 8 settembre. Una settimana prima la stragrande parte delle regioni italiane, dove l’anno scolastico 2014/15 riprenderà il 15 settembre. Addirittura una decina di giorni in anticipo rispetto a Puglia e Sicilia, dove le scuole riapriranno il 17 settembre. A metà strada si trovano gli alunni e studenti di Molise e Trentino, poi Abruzzo, Valle d’Aosta, che torneranno tra i banchi rispettivamente il 10 e 11 settembre.

Ricordiamo, inoltre, che alcune regioni – Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana – dal prossimo anno faranno cominciare la scuola sempre il 15 settembre e finirla l’8 giugno, con posticipo o annticipo al primo giorno lavorativo successivo o precedente se la data scelta è un sabato o un festivo: ciò consentirà di programmare e pianificare per tempo sia l’organizzazione delle scuole sia quella delle famiglie.

Ricordiamo, tuttavia, che i singoli istituti scolastici, di ogni ordine e grado, hanno facoltà di modificare di alcuni giorni le date indicate dalle giunte regionali. A tal fine occorre però una delibera ‘ad hoc’ del Collegio dei docenti, svolto al termine dell’anno scolastico precedente a quello per il quale si chiede il cambiamento. Nella delibera, ottenuta attraverso il voto dei docenti, si indicano le motivazioni che inducono al cambiamento. Sempre avendo come riferimento primo quanto indicato nel Piano dell’offerta formativa scolastica.

Diverse scuole, ad esempio, hanno deciso di anticipare il suono della prima campanella dell’anno prossimo attorno al 10-11 settembre, in modo da prevedere nel corso dell’anno scolastico alcuni giorni di sospensione in coincidenza con eventi locali o tradizionali. Come l’ultimo giorno di carnevale o l’allungamento di alcuni “ponti”, particolarmente utili a ricaricare le energie in vista del rush di fine anno (motivazioni che, a dire il vero, spesso non hanno molto a che fare con la didattica o con il Pof dell’Istituto e che quindi potrebbero anche dare adito a contestazioni da parte degli organi superiori ministeriali).

Le lezioni dell’a.s. 2014/2015, in ogni caso, termineranno tra il 6 e l’11 giugno 2015. Modifiche permettendo.

Organico di fatto 2014/2015, ecco la circolare

da La Tecnica della Scuola

Organico di fatto 2014/2015, ecco la circolare

L.L.

La bozza di circolare presentata ai sindacati ricalca sostanzialmente quella dell’anno scorso, anche per quanto riguarda i numeri. Critica la Flc Cgil che ne contesta l’impianto complessivo ancora una volta a “posti zero”

Da fonti sindacali apprendiamo che il Miur ha emanato la C.M. n. 41 del 15 luglio 2014 riguardante le indicazioni per la costituzione dell’organico di fatto di tutto il personale docente, educativo e ATA per il prossimo anno scolastico 2014-2015.

Nella stessa data è stata anche pubblicata la nota prot. n. 2383 con cui si trasmettono le tabelle dell’organico di fatto 2013-2014 di ciascuna regione con i posti in più o in meno già attribuiti nel diritto 2014-2015, in modo da definire l’organico di fatto previsionale per il prossimo anno, tetto entro cui dovrebbe stare ciascuna direzione scolastica regionale.

Nonostante i punti ancora critici segnalati dalla Flc Cgil, che ha dichiarato “inaccettabile l’impianto complessivo ancora una volta a “posti zero” nonostante il costante aumento di alunni”, lo stesso sindacato ha evidenziato comunque alcuni aspetti positivi della circolare:

Docenti

  • Previsto l’obbligo a garantire l’insegnamento dell’ora alternativa alla religione cattolica
  • Richiamato il rispetto delle norme sulla sicurezza e dei parametri sul numero degli alunni per classe di cui al DPR n. 81/09
  • Evidenziata la necessità che le dotazioni previste per la scuola dell’infanzia non siano utilizzate su altri gradi di scuola anche per far fronte alle continue dismissioni del servizio da parte dei comuni
  • Vanno assicurate le risorse necessarie a garantire il mantenimento dell’orario di lezione dell’anno precedente nella scuola primaria (le 30 ore anche nelle classi quarte e quinte laddove sono state ridotte nel diritto) “riassegnando” i risparmi derivanti dal calcolo generalizzato del tempo scuola a 27 ore nelle stesse scuole
  • Prevista (analogamente a quanto già scritto nella CM n. 34/2014 sul diritto) la garanzia che nella scelta della seconda lingua straniera nella secondaria sia di primo che di secondo grado non debba comportare la trasformazione delle cattedre da interne ad esterne, non debba creare esubero né nella scuola né in ambito provinciale e, questo, “neanche in prospettiva”
  • Si ricorda che le cattedre oltre le 18 ore vanno costituite “esclusivamente” quando non è possibile farlo a 18 ed il pacchetto orario disponibile non arrivi “almeno a 15 ore”
  • Si ricorda anche l’obbligo ad attivare l’ufficio tecnico in tutti gli istituti tecnici (settore tecnologico) e professionali (settore industria ed artigianato) in presenza di esubero nel ruolo degli ITP (nel caso in cui non sia stato possibile farlo già nel diritto)
  • Si da avvio all’attivazione del CPIA in applicazione del DPR n. 263/12 e si richiamano le note già emanate sul punto. Si chiarisce che i docenti e gli Ata in servizio nell’anno scolastico 2013.2014 presso i CTP che vengono ricondotti nei CPIA, permangono in servizio presso i medesimi CTP con la conferma delle stesse dotazioni organiche.

ATA

  • Per i DSGA si fa riserva, ancora una volta, di impartire ulteriori istruzioni alla luce del quadro che emergerà a conclusione delle operazioni di mobilità che saranno pubblicate il giorno 4 agosto prossimo. In ogni caso, laddove il combinato effetto dei tagli dovuti al dimensionamento e quelli derivanti dall’applicazione della legge n. 183/2011 (scuole sottodimensionate che non potranno più avere il DSGA titolare) ha già determinato lo scorso anno esubero o lo determinerà nell’anno prossimo, i soprannumerari rimarranno in servizio nelle scuole dove hanno prestato servizio prima delle perdita della titolarità per effetto dell’attuazione della legge n. 183/2011 (cosi come previsto all’art. 13 dell’ipotesi di Ccni sulle utilizzazioni). Nel caso in cui non ci sia esubero o questo sia quantitativamente inferiore alle scuole sottodimensionate, la contrattazione regionale dovrà definire i criteri con cui queste saranno “abbinate” ad altra scuola, fermo restando il riassorbimento prioritario dell’esubero
  • Nella fase di adeguamento dell’organico di diritto al fatto ancora una volta si danno indicazioni che sarà garantito l’aumento dell’organico dei collaboratori scolastici nella misura necessaria a coprire in tutte le sedi e plessi l’orario di funzionamento della scuola nel rispetto degli obblighi contrattuali (quindi “almeno” una unità per plesso/sede), cosi come per il personale amministrativo  nelle scuole particolarmente complesse, cosi come per il personale tecnico ai fini della sicurezza nell’utilizzo dei laboratori
  • Per il personale assistente tecnico va garantito, inoltre, il rispetto di quanto prevede il Ccnl, con particolare riguardo alla manutenzione delle apparecchiature nei laboratori. Ciò vuol dire che l’orario settimanale (36 ore) va ripartito tra assistenza durante le ore di laboratorio (min 24 ore max 30) e manutenzione della strumentazione (max 12 ore min. 6)
  • Infine, nell’adeguamento dell’organico di diritto alle situazioni di fatto, si dovrà tenere conto della presenza di personale Ata inidoneo o con mansioni ridotte (sia collaboratore, che amministrativo, che tecnico) autorizzando un ulteriore posto in deroga nelle scuole dove, questo personale, sia presente dalle due/tre unità in su, oppure comunque nelle scuola dove sia presente una sola unità di quel profilo

“Rimane – conclude la Flc Cil – il giudizio complessivo negativo sulla circolare perché non si danno adeguate risposte per garantire le necessità delle scuole per quanto riguarda sia il diritto allo studio che la funzionalità del servizio né sul versante del personale docente, né su quello del personale educativo fortemente penalizzato dall’attuazione di parametri previsti dall’art. 20 del DPR n. 81/09, né sugli ATA”.

Tavolo di confronto tra M5S e rappresentanti associazioni docenti

da La Tecnica della Scuola

Tavolo di confronto tra M5S e rappresentanti associazioni docenti

Stop al reclutamento diretto dei docenti da parte della scuola o del dirigente scolastico, superamento della distinzione tra l’organico di diritto e quello di fatto, retribuzione dei futuri percorsi di abilitazione e dei tirocini.

Il M5S dice la sua anche su una questione primaria dell’odierno dibattito sulla scuola: il futuro reclutamento dei docenti. Con un comunicato senza reticenze le Commissioni Cultura Camera e Senato grilline dicono chiaramente stop al reclutamento diretto dei docenti da parte della scuola o del dirigente scolastico, superamento della distinzione tra l’organico di diritto e quello di fatto, retribuzione dei futuri percorsi di abilitazione e dei tirocini.

Sono questi gli imprescindibili punti fermi relativamente al reclutamento dei docenti esposti in occasione del tavolo di confronto con rappresentanti delle categorie e delle associazioni di docenti che venerdì 11 luglio si è svolto a Montecitorio.

Il primo no netto e reciso è a qualsiasi possibilità di reclutamento diretto da parte della scuola o del Dirigente scolastico, per ovvi motivi di avversione alle procedure poco trasparenti. Insomma non si può lasciare in balia di un singolo (in particolar modo nella nostra nazione, dove il reclutamento dei dirigenti fa acqua da tutte le parti) la decisione di assumere o licenziare, ma serve un sistema che garantisca il personale precario.

Anche sulla annosa questione dell’organico il M5S appare determinato: bisogna superare l’attuale distinzione tra organico di diritto e organico di fatto, con la creazione di un unico organico che riconosca l’applicazione dell’organico funzionale di istituto o di reti di scuola. Ma sappiamo da quanto tempo in Italia si parla di organico funzionale e di come questa “funzionalità” sia rimasta solo un miraggio.

Buoni progetti anche sul fronte dei futuri tirocini e futuri percorsi di abilitazione:  siano retribuiti e finalizzati a valorizzare la professionalità dei docenti e le competenze inerenti l’insegnamento attivo, e non accademico. Obiettivo primario porre al centro del percorso abilitante l’aspetto pratico e didattico del tirocinio e valorizzare il personale docente all’interno del percorso. L’opportunità di collegare la preparazione accademica alla pratica dell’insegnamento attivo impone che i docenti in servizio siano protagonisti dei percorsi di formazione e di reclutamento.

Infine un appello che si alza da più parti, non esclusi i sindacati: serve l’assunzione a tempo indeterminato per tutti i posti vacanti, un censimento delle graduatorie ad esaurimento (che al momento comprendono 183 mila persone) per capire chi al loro interno stia svolgendo già un altro lavoro o chi non ha mai insegnato, mantenimento del doppio canale nella fase transitoria, valutando in che percentuale attingere da graduatoria a esaurimento e da concorso (attualmente la proporzione è al 50%), trasformazione delle graduatorie d’istituto in graduatorie provinciali.

Il M5S manterrà le promesse e simili premesse? Certo è un fatto: che sul capitolo reclutamento sono stati commessi in passato, per motivi più o meno chiari, enormi pasticci. Precari storici, sissini, tieffini, passini sono il prodotto tragico di logiche senza logica. Speriamo in una ratio maggiore per il futuro…