In questi giorni si sta dicendo tutto e il contrario di tutto sul contratto dei docenti, sull’orario di lavoro dei docenti e sulle perplessità scatenate dalle dichiarazioni del sottosegretario Reggi. Dico anche io la mia, pur avendola già detta più volte. Ma la ridico per coloro che non la conoscono.
L’orario dei docenti è roba complessa, prima che complicata, come complesso è parlarne. Mi si scusi la lunghezza dunque. Sono riflessioni non sistematizzate.
Premessa necessaria: io credo profondamente che qualunque idea o proposta, buona o non buona, ricevibile o irricevibile, prima ancora di sederci a tavolino e valutarla, accettarla, rifiutarla, emendarla, debba passare dallo sblocco degli scatti stipendiali, che è necessario e dovuto a tutti i docenti.
Azione che costa, tantissimo, perchè siamo la categoria del pubblico impiego più numerosa d’Italia. Dunque mi rendo conto della pesantezza di ciò che affermo, ma lo penso, ne sono convinta e lo ribadisco: nessuna idea può prescindere dallo sblocco degli scatti stipendiali, perchè, se parliamo di professione docente, tale blocco e la povertà dei nostri stipendi rispetto alla media straniera (a fronte di un carico di lavoro identico, se non maggiore) è la vera ferita aperta nel corpo docente. Non possiamo chiedere cambiamenti, mutamenti, impegni, se prima non si allinea il salario alla media europea.
Sì, lo so, costa meno allo Stato, intanto, riuscire a dare qualcosina in più a coloro che lavorano di più. Sarebbe come nascondere la polvere sotto al tappeto reca tante incognite. Potremmo praticarla, in realtà, però con le dovute cautele. Non vorrei che il tutto si risolvesse nel gratificare con qualche euro i più pochi docenti e lasciar immutata la condizione dei più. E se fossero, come già accade, quasi tutti a impegnarsi più del dovuto tutti i giorni? Li si gratifica tutti? E se non lo si fa, se si escludono dalle gratificazioni quella gran massa di docenti, quasi tutti, che si impegnano ben oltre il dovuto, tenendo in piedi le scuole in condizioni criticissime, accadrebbe ciò che è già accaduto altrove: al suono della campanella c’è la famosa penna che cade e tutti a casa. “Perchè sai che c’è: a me chi me lo fa fare di lavorare di più se poi la gratificazione tocca solo a pochissimi e diventa uno schiaffo morale a ciò che faccio?”. Azioni come queste, praticate altrove, ripeto, hanno causato un immiserimento e impoverimento della scuola, non un miglioramento. Senza andar lontano: Stati Uniti. Le premialità ma applicate solo in pochi casi per scuola e con metodologia hard accountability ha condotto in circa 15 anni un forte tasso di selettività interna con conseguente scadimento del lavoro complessivo, selettività che ha riguardato anche la selezione all’ingresso e in itinere degli alunni (visto che le premialità si son legate alle performance degli alunni): risultato, gli Stati Uniti hanno uno dei tassi dispersione scolastica più alti al mondo, oltre il 50%, quando noi ci danniamo per il nostro 24% pensando di essere i parìa d’Europa. Dunque, se han da praticarsi, si fanno per bene, per non combinar pasticci. La finalità della scuola non è premiar qualcuno punto. Ma innalzare ed estendere i livelli di competenze a tutti gli alunni. E, come detto, le premialità praticate in altri sistemi d’istruzione hanno provocato l’effetto opposto: la concentrazione ad alcuni alunni di alti livelli di competenze e lo scadimento e l’espulsione dai sistemi formativi per una maggioranza.
Ma siccome non si può solo protestare ma la protesta si deve accompagnare alla proposta, allora mi soffermo su una proposta che ho fatto più volte. La parola è diversificazione della carriera dei docenti, ma da praticare in modo molto ponderato e con meccanismi professionalizzanti e obittivi, il meno discrezionali possibili. Sarebbe un’azione di profondissimo cambiamento, profondissimo. Più che di “premialità ai docenti che lavorano di più” è il caso di parlare di seria e precisa definizione, riorganizzazione e assegnazione del lavoro che preveda, oltre a una definizione in termini orari e salariali, anche la diversificazione della carriera del docente in base a funzioni, sempre più qualificate e professionali, non estemporanee, non la premialità. La diversificazione dunque, che poi chiamiamola pure progressione di carriera, sia uno specifico combinato disposto di azioni e funzioni (esperienza, competenze, funzioni svolte, titoli seri e certificati) a cui si può accedere in modo chiaro e obiettivo e non per “valutazione di un singolo” , – cioè il dirigente, che valuta un generico “lavoro svolto in più” in cui, scusatemi, può rientrare tutto e il contrario di tutto, compresi i complessi giudizi relazionali che conosciamo benissimo quanti operiamo nelle scuole- perchè non siamo alla salumeria, o al rapporto padronale, ma stiamo trattando di un complesso sistema di pubblico servizio. Come in ogni altra professione del pubblico servizio, gli avanzamenti di carriera in funzioni intermedie -dovuti e auspicabili -, come quelli da docente a dirigente, devono essere stabiliti con passaggi, commissioni (di cui un dirigente può far parte, ma non in modo esclusivo), selezioni, valutazioni e azioni, obiettive e chiare, non da un singolo.
Dunque meglio prevedere la funzione di middle management scolastico, qualificata e professionale, (a funzione esclusiva, fuori dalle classi, o mista, con ore in classe e ore fuori dalle classi, come è all’estero in molti paesi, alcuni con sistemi eccellenti) a cui accedere tramite processi di avanzamento non discrezionali. Si forma così un team dirigenziale qualificato e che si aggiorna e specializza in servizio. E si mantiene nello stesso tempo quella funzione globale della scuola come comunità educante fondata su professionalità, di docenti e di team dirigenziali, che nello stesso tempo salvaguarda come prioritario il valore delle relazioni sane e chiare. Non solo, in un mondo sempre più organizzato in orizzontale e al plurale, attraverso le reti, in accrescimento per condivisione e cooperazione, stona e fallisce l’idea di una scuola organizzata al singolare, il docente, o al verticale, il dirigente. E’ il team, l’organizzazione e la divisione dei compiti, che fa la differenza. Nulla togliendo alle responsabilità e alle funzioni dei dirigenti, ma credo che non possano caricarsi da soli anche la terribile funzione della valutazione di alcuni docenti, senza intaccare relazioni, aspettative, atteggiamenti personalistici spesso deleteri nel rapporto generale con tutti i docenti. Anche questi sono una realtà da cui non possiamo prescindere e pregiudicano il successo di una scuola come comunità educante. Non voglio ricorrere alla metafora calcistica, perchè non conosco il calcio, ma forse servirebbe. Lo sappiamo bene noi che viviamo le scuole. A quel punto tutti i docenti sono stimolati ad avanzare, studiare, svolgere funzioni, acquisire competenze necessarie per poter accedere, a tempo e motivo e competenza e selezione debita, a livelli superiori, che poi conserva e accresce, nel corso degli anni. Accade altrove, sia negli altri sistemi d’istruzione, accade in Italia, però negli altri comparti del pubblico impiego, dove è la norma. Potrebbe e dovrebbe accadere anche qua. Costi? Non credo diversi da quelli di queste non meglio precisate premialità a chi “lavora di più”.
Qualcuno mi ha chiesto: quale visione di scuola oggi? Sarebbe oggetto di confronti, dibattiti, convegni, non solo di addetti ai lavori, ma di intere parti sociali di un paese…potrei dir la mia, solo la mia, ma è necessaria averla e discuterla, quale visione di scuola abbiamo, e quale obiettivo diamo oggi all’istituzione scolastica, anche perchè poi la stessa funzione docente in quella visione deve rientrare, non in altro, come ogni altra azione.
La visione della scuola port unitaria era l’alfabetizzazione del paese: quella post bellica era la scuola della Costituzione, formare i cittadini ai valori costituzionali, oltre che accrescere e potenziare le attitudini rimuovendo gli ostacoli, il mezzo erano ancora l’alfabetizzazione del paese e l’uniformarsi della lingua ma, soprattutto l’accesso a tutti. Oggi la scuola ha un’altra sfida e la visione cambia, pur tenendo fisse quelle finalità: formare i cittadini secondo valori e principi di cittadinanza e costituzione. Intanto è una scuola che ha numeri di “universo totale del campione” in termini statistici: dunque ha raggiunto l’obiettivo della scuola di tutti, ancora stenta nell’obiettivo maturato alla fine del secolo scorso, da Don Milani e Aldo Visalberghi in poi, la scuola del successo formativo di tutti ancora è lontana e su questo dobbiamo lavorare. Inoltre oggi è inserita, come noi, come i nostri allievi, in un mondo non più locale e nemmeno nazionale, ma globale, in cui la globalità ha i connotati della conoscenza e delle informazioni, dunque deve misurarsi con sfide allargate: la formazione col concorso e l’accavallarsi di conoscenze che difficoltosamente si mischiano ad abilità e si trasformano in competenze. Competenze definite in sede globale. Ecco il senso positivo, a volerlo cercare, delle comparazioni e la necessità di confrontarsi attraverso quelle. Spesso si dimentica che possono essere uno strumento per evidenzare le diseguaglianze in termini conoscitivi, che, come sappiamo bene, spesso sono il frutto di altre diseguaglianze. E allora, in una sfida globale quale può essere l’obiettivo della scuola oggi se non quello di colmare e combattere le diseguaglianze attraverso il fornire strumenti e metodi per riconoscerle combatterle. Fornire anche pari opportunità dentro la scuole, specie all’ingresso e in termini strutturali. Il mondo sarà sempre più flusso di conoscenze, competenze e persone, dunque la sfida formativa ed educativa deve tenerne conto, in senso culturale e filosofico prima che “pratico”. In questa cornice la missione che deve darsi la scuola, primaria comunità educante, che forma cittadini e individui di una collettività, più di ieri, è quella di ottenere il successo formativo di tutti gli studenti, non solo la buona alfabetizzazione, ma il successo formativo, attraverso metodi “inclusivi” non “selettivi”. Significa che non servono solo diplomati o laureati, servono tanti diplomati in più e laureati in più, e non basta ancora, devono avere alti livelli di competenze e conoscenze. Personalmente sono ostile alla scuola dei livelli minimi. Solleva dalle responsabilità. Sono per obiettivi massimi rispetto alle potenzialità di ogni studente. Non dimentico e aggiungo: in un mondo digitale. Non dimentico e aggiungo: con grande consapevolezza e ricerca, per governare il digitale e non subirlo o esorcizzarlo o abbandonare gli alunni senza bussole nel mare sconfinato del mondo digitale. Senza quella bussola, è provato, le competenze digitali non accrescono i rendimenti, li diminuiscono. Ma noi siamo in possesso oggi di quella bussola? Questo dobbiamo al Paese e ai nostri alunni. E siccome le competenze e le conoscenze cambiano e mutano di giorno in giorno a seconda del medium e della rete di trasmissione, anche le competenze e le conoscenze dei docenti e di tutti gli operatori della comunità educante, genitori compresi, devono mutare.
Un disegno chiaro che esige alcune azioni concrete.
La prima la costante professionalizzazione (formazione all’ingresso, selezione e formazione in itinere chiare, certe, rigorose e di alto livello) e il riconoscimento di tutti i docenti non di alcuni. Il mondo muta nel giro di pochi anni, mutao i sistemi sociali complessivi, e muta per forza il sottosistema sociale per eccellenza: la scuola. Non per essere soggetto passivo che subisce i cambiamenti ma per essere soggetto attivo che li governa i cambiamenti. E per governarli ci vuole aggiornamento continuo, inteso soprattutto come confronto di pratiche e conoscenza dell’ “altrove”, in un’ottica di rete, non più di monade.
La seconda azione: perseguire l’ innalzamento dei livelli di rendimento di tutti gli alunni, non di alcuni, puntando a livelli alti di rendimento non a livelli minimi. Soprattutto gli ultimi. E dunque prevenire piuttosto che curare, fin dai primi anni di asilo (ossignore, l’asilo, quando se ne capirà l’importanza), i deficit cognitivi investendo risorse e tempo sugli ultimi. In ogni ordine, tipo e grado di scuola. E dunque periferie, come centro, più del centro, professionali come licei, più dei licei. Tale obiettivo comporta quello che ci ripetiamo da anni: risorse, strutture, tempo scuola adeguato e ben strutturato, classi con un numero adeguato di alunni, perchè la didattica individualizzata è la base, l’abc, per includere e non escludere. E..organizzazione. Cioè un ben altro tipo di dirigente, se posso permettermi, piuttosto che un dirigente, io credo in un team dirigenziale, di colleghi e dirigente. Il famoso middle management scolastico che non è solo dividersi i carichi, ma tenere in piedi il senso di comunità educante altamente professionalizzata sì, ma condivisa. In ogni azione e decisione, compresa l’autovalutazione. Che regge sull’autorevolezza e non sull’autorità. Questa è la mia visione ed è una scuola che non si adegua al mondo bensì rilancia la sfida immensa che attende i nostri allievi: vivere e governare il mondo, digitale e reale, attraverso il villaggio..o..il viaggio. Parlo con tanti, tantissimi, operatori, docenti, ricercatori, dirigenti, in Italia come all’estero, e mi sembra che questa visione non sia mia..ma sia nell’aria.
Se dobbiam parlare di didattica, di alunni, di visione, di comunità educante, possiamo parlarne e fare e impegnarci come facciamo sempre per giorni mesi anni e decenni. Per 24 ore al giorno. Perchè un docente, come sa perfettamente ogni marito, moglie, amico, amica di un docente, noiosamente non parla d’altro in genere. Dei suoi alunni. E come sa perfettamente ogni marito, moglie, amico, amica di un docente, il dopocena o la domenica sono generalmente a pila dei compiti da correggere. O, se si hanno 250 alunni come me, la vita intera è un registro, un giudizio, una programmazione di classe o individualizzata moltiplicata per 250. Ma non è il tema di questo articolo, che anzi sta divagando in modo ondivago.
Se parliamo di professionalizzazione dei docenti (la prima azione necessaria nella mia visione di scuola) dobbiamo parlare non solo di contenuti, pratiche, metodi ma anche di mezzi e organizzazione del lavoro, cioè anche di dura materia sindacale, in modo sereno ma determinato. Se il tentativo è ridare dignità professionale nei termini necessari, dobbiamo aggredire il mostro o ammansirlo, cioè discuterne: orario, funzioni, salario. E gli scatti dello stipendio, bloccati dal 2009, rientrano in tale tentativo.
Non voglio commentare le dichiarazioni del sottosegretario Reggi prima di leggere la proposta, e capire meglio le idee che la guidano, ma voglio riprendere (non lo riscrivo perchè nulla è mutato nella mia idea), per rispondere alla domanda che alcuni di voi mi fanno da giorni su “ma tu come la pensi su questa cosa dell’orario dei docenti?”, un articolo sul tema “organizzazione del lavoro docente” pubblicato da me su questo blog nel 2011, che tra l’aktro riprendeva riflessioni che circolavano, e poi ripreso e ripubblicato al tempo della proposta sull’innalzamento delle ore di lezione frontale di un docente da 18 a 24, dunque in tempi non sospetti e ribadire che la penso come allora (lo riporto per intero in questo posto, ma, per gli amanti delle date lo trovate qua: http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2013/03/19/le-nebbie-del-lavoro-docente-una-proposta/ ).
Ero e sono assolutamente contraria all’innalzamento delle ore di lezione frontali di un docente. Ma credo lo sia anche Reggi, anche se nessuno lo ha compreso chiaramente, nonostante lui lo abbia ribadito più volte, cadendo anche lui nella trappola della complessità dell’orario e del lavoro docente. Le ore oggi svolte di lezione frontale sono perfettamente in linea con le ore di lezione frontale svolte dai docenti negli altri paesi (anzi, direi che è più pesante di quello, ad esempio, dei docenti tedeschi i quali, a parità di ore di lezione frontali, hanno un monte orario minore, poichè le lezioni sono di 45 minuti e non di 60 minuti, intervallate da una pausa di 15 minuti tra le lezioni, per gli alunni e per i docenti, visto che le classi sono affidate al tutor in quelle pause e nella ricreazione, cioè il docente fa la lezione, il tutor bada alla classe) e deriva dalla considerazione del carico di lavoro connesso a ogni ora di lezione. Anche di questo ne scrissi in modo approfondito, comparando orari e paesi.
Ma ero e sono convinta che sia auspicabile mettere ordine, da punto di vista contrattuale al lavoro svolto dai docenti oltre le ore di lezione, per noi stessi e per una dovuta riorganizzazione del lavoro.
Molti miei colleghi, e io la pensavo come loro, mi ripetono che “un docente lavora 24 ore al giorno, non si può definire il tempo in senso stretto, non finisci mai di lavorare, perchè è un lavoro che svolgi come educatore e come trasmissore di valori e cultura. Andare a teatro, leggere, ascoltare bach, per un docente vale come lavoro quanto e più che compilare un registro e non si possono economicizzare, assegnando un tempo, la cultura o la scuola”.
E’ vero, ma in questa verità è accaduto che l’equivoco e la non chiarezza hanno prevalso sulle verità e coloro che ci sono andati di mezzo sono proprio i docenti, fosse solo nella considerazione di fronte al paese come lavoratori e professionisti. A fronte di un esercito di docenti che “lavora 18 ore”ma invece ne svolge tantissime in più, e che, fisicamente e realmente, lavora per la scuola in attività quantificabili e certificabili più strettamente connesse alla funzione docente, a casa come a scuola (funzioni strumentali, attività, consigli di classe, ma soprattutto la correzione dei compiti e la preparazione delle lezioni e tutto quel che è connesso a seguire individualmente l’alunno in modo approfondito e serio, lavoro che richiede tempo e investimento personale fisico e mentale), a fronte di questo esercito, c’è però una piccola percentuale che quell’impegno sembra non svolgerlo e, agli occhi del paese, assurge a categoria.
A voglia ripetere che “non siamo quelli delle 18 ore”, questa narrazione non passa e non c’è nell’opinione comune. Possiamo pure metterci sottosopra, non passa: a partire da nostro fratello, medico, o dalla nostra amica avvocato, o dal tabaccaio sotto casa, siamo e rimaniamo quelli delle 18 ore e dei tre mesi di vacanze. Questa granitica convinzione, mi sono convinta negli anni, non la scalfisci continuando il mantra del non è così, ma solo mettendo nero su bianco quello che si fa. Il punto è: alcuni, in buona o mala fede, quel nero su bianco non vogliono scriverlo, preferiscono lasciar tutto com’è, diffidenti e spaventati per ciò che è accaduto in passato. Altri invece vorrebbero contrattualizzare o definire ma, nello stesso tempo, puntalizzare alcune cose, prima di mettere nero su bianco anche solo una vocale. Ne siam così schiavi tutti, della nebulosità del linguaggio e della definizione, che ci è rimasto imbrigliato anche Reggi. A voglia smentire che le 36 ore a cui si riferiva non erano di lezione, ma andavano a chiarire le 18 di lezione, immutate e le altre svolte ma non definite. Nessuno gli crede più. Come il paese non ha creduto a noi per anni e non crede tuttora. Dunque : la finiamo una volta per tutta e prendiamo penna e calamaio e definiamo tutto in modo chiaro e univoco? Ogni ora di lezione comporta un’ora di lavoro accessorio. Chi lo ha svolto fino ad oggi bene, non si sentirà tradito se glielo riconoscono. Fino a 36 ore. E a costoro verrà pagato. Questo dice Reggi. Io vado oltre. Perchè il mio intento era sistematizzare e strutturare e diversificare e definire la progressione di carriera in modo chiaro. Senza giochi di magia o da prestigiatore o di parole che confondono o nascondono.
E questo era l’obiettivo di quanto scrissi circa tre anni fa, e riscrissi poco più di un anno fa: un tentativo di proposta e una puntualizzazione nel verso della chiarezza. Il titolo infatti era “le nebbie del lavoro docente” non a caso. Credo sia utile riprenderla, perchè tanti di voi, miei 24 lettori, mi state chiedendo: ma tu come la pensi sull’orario dei docenti? Hai cambiato idea? Difendi Reggi? Come mai non dici nulla sulle “36 ore”? No, non ho cambiato idea, e. se qualcosa c’è da difendere o da combattere son le idee, non le persone. Sulle 36 ore, la mia idea è rimasta identica a quella che segue e risale a circa 3 anni fa, quando, posso dirlo? Avevo previsto tutto (ripeto, a fronte della premessa sullo sblocco degli scatti, che rimane intanto il primo obiettivo – miraggio impossibile da raggiungere? Visto che “tuttosommato voi uno stipendio lo avete a fronte dell’esercito di disoccupati e di poveri nel paese”. Vien da dire: copriamo tutte le cattedre vacanti e una piccolissima parte di quei disoccupati almeno la occupiamo stabilmente e in modo proficuo per loro e per la scuola, visto che è composta da docenti seri e preparati). MI si scusi la disorganicità della premessa, ma alcune cose, anche a saltare, volevo puntualizzarle. Ecco l’articolo:
“Nel 2014 scade il contratto nazionale collettivo dei docenti.
In vista di tale scadenza vorrei in qualche modo attivare una riflessione sul tema, prima che si scateni la bufera, prima che arrivino le flotte dei “lavorate solo 18ore” e dall’altra “siamo degli eroi”. Entrambe foriere di nulla se non di guai. Noi non siamo eroi, siamo lavoratori dello Stato con diritti e doveri e come tali dobbiamo iniziare a ragionare, perché è ovvio che fino ad oggi i “fregati” dalle due affermazioni di sopra siamo stati sempre e solo noi. Con l’accusa del “lavorate solo 18 ore” , in realtà, l’ “eroe stupido” arriva a lavorare anche 40-50 ore alla settimana, dentro o fuori scuola e nessuno mai gli dirà grazie. Senza tutele, senza riconoscimenti economici o di carriera e con un prestigio collettivo che decresce giorno dopo giorno. Non va.
Sappiamo bene che i pericoli a cui potevamo essere esposti non discutendo in modo aperto e chiaro sulle questioni dell’organizzazione del lavoro sono diventati realtà: condizioni di lavoro ormai insopportabili, silenzio totale sul burn out, malattia che soffriamo il 65% dei docenti, dequalificazione del lavoro per condizioni contestuali impossibili. Sì, certo, le buone pratiche, le isole felici, i “lì ci sono riusciti”…esistono e ce ne parlano sempre con un retropensiero del tipo “loro sì che son bravi mentre voi…”
Un sistema complesso e strategico come la scuola non può fondarsi sulla discrezionalità e sul sacrificio nè sull’adagio deresponsabilizzante dell’autonomia scolastica. Se il fine ultimo del nostro lavoro è la qualità dell’istruzione fornita ai ragazzi dallo Stato, persino i colleghi più “nobilmente dediti con onore e merito al sacrificio per la Patria” dovranno ammettere che così non va. Non fa parte nè di uno Stato moderno, nè dell’etica del lavoro in generale, nè del mandato particolarissimo del docente, trascurare, in buona come in cattiva fede, questi temi.
Conosco perfettamente la profonda convinzione, perchè ce l’ho anche io, della definizione del nostro lavoro in senso qualitativo e non in senso qualitativo. So perfettamente che la nostra è una funzione h/24, almeno per la maggior parte di noi. Ma un contratto va scritto, un contratto Statale deve avere riconoscimento collettivo ed economico, responsabilità e dovere di verifica sociale, oltre che assicurare la tutela personale. Se il nostro riconoscimento collettivo pretendiamo di averlo da un contratto che viene continuamente preso in considerazione a “ore”, a cottimo, e non a valore e tempo complessivo reale della professione fornita, non ne usciamo. Così accade: da un lato noi che consideriamo il nostro lavoro nel suo valore qualitativo, dall’altro lato un sistema mediatico, un mondo politico e una pubblica opinione che considerano il lavoro Statale dal punto di vista del tempo offerto. E’ un nodo difficile da sciogliere ma da qualche parte dobbiamo pur iniziare.
Quella che vi sottopongo è una proposta sul lavoro docente che era comparsa qualche tempo fa sulla Rivista Scuola Democratica. Vorrei condividerla con voi e ragionare nel merito delle questioni, cercando di sfuggire le astrazioni e la retorica che poi si risolvono nel nulla di fatto (ne avevo già trattato qualche mese fa, nel periodo caldissimo della proposta delle sei ore in più : http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2012/12/04/valorizzazione-degli-insegnanti-una-proposta/ ).
La proposta è integrabile, emendabile e soggetta a tutti i contributi. E’ una base di discussione e riflessione comune, una proposta appunto, da portare in giro e discutere, per farci trovare pronti su alcune questioni e affrontarle prima che la facciano altri e ci impongano soluzioni irricevibili come quella delle 24 ore. Presentata senza rivedere l’impianto complessivo dell’organizzazione del lavoro, senza corrispettivo economico e che ci ha fatto guadagnare l’accusa di “nemici di ogni innovazione”. E allora, cerchiamo di proporre almeno una REGOLARIZZAZIONE di ciò che già si fa.
Vi chiediamo una mano nel diffonderla per renderla patrimonio comune di discussione in vista della scadenza del CCNL del 2014. Miriamo a formulare una proposta compiuta e quanto più condivisa, da sottoporre all’ attenzione dei decisori istituzionali e delle parti sindacali? O quanto meno a farne base di confronto per attivare riflessioni?
La vicenda delle ore di lezione in più da imporre ai docenti è stata emblematica della confusione e degli equivoci creati da un contratto che fino ad oggi è stato poco chiaro, fumoso e, per taluni aspetti, scritto in malafede.
Innanzitutto nel contratto non si individuano in modo chiaro entrambi i tempi del nostro lavoro: ore di lezione e tempo scuola. E sappiamo com’ è andata e come va: mentre definite sono le ore di lezione, 18 ore, luogo dell’indefinito rimane il tempo scuola (che va spesso oltre le famigerate 40 ore funzionali all’ insegnamento, lo sappiamo benissimo) come indefinito è il numero di alunni.
Il “tempo scuola indeterminato”, che costituisce realmente il nostro lavoro, è privo di regolamentazione, di riconoscimento sociale ed economico, come anche di tutela. Le ore dedicate al lavoro a scuola sono già oggi in media 30 ore la settimana. Con punte di 40 ore. Attività funzionali all’insegnamento, attività collegiali, ricevimenti e altro. Eppure rimaniamo quelli delle 18 ore.
Quella che segue è la bozza di una proposta di migliore definizione del lavoro di un insegnante elaborato dalla rivista Scuola Democratica. E’ una proposta, non LA proposta. Non svegliamoci quando sarà tardi, quando tutti arrabbiati e sconcertati ci riuniremo in collegi dei docenti affrettati e urlanti. Il contratto scade il prossimo anno. Ci serva da canovaccio di discussione, adesso però. Va aggiornata, elaborata, condivisa e discussa. Vi chiediamo di farla girare e di venirla a commentare, a integrare e a discutere sulla pagina di Insieme per la Scuola, o di organizzare incontri e dibattiti coi colleghi in ogni scuola (la bozza di proposta è tratta da : http://scuolademocratica.blogspot.it/ ).
La proposta parte da presupposti da molti di noi ribaditi da anni e adesso, spero, patrimonio comune di molti:
- un miglior livello di istruzione medio è un fattore di sviluppo, innovazione e competitività economica per il paese;
- la strada più rapida per uscire da una crisi economica è potenziare cultura, conoscenza e formazione; è necessario invertire la rotta dei governi precedenti, che ha perseguito (consapevolmente o inconsapevolmente) la dequalificazione dell’istruzione pubblica e la svalutazione della professione dell’insegnamento;
- aumentare la considerazione dei docenti della scuola pubblica, assicurare loro prestigio sociale e riconoscimento, investire sulla loro formazione e qualificazione è il mezzo migliore per incentivare la qualità della scuola (come dimostrano le analisi recenti effettuate e mostrate nel Rapporto The Learning Curve);
Il PRIMO PASSO dovrebbe essere il riconoscimento giuridico e la formalizzazione contrattuale di tale professione (completamente assente dal CCNL vigente). Ciò significa innanzitutto pervenire ad un’adeguata quantificazione giuridicamente e contrattualmente definita della funzione e delle modalità organizzative in cui si esplica. Il secondo passo è quello di riscrivere il Contratto utilizzando la formula “Tempo SCUOLA” (con orario di lavoro complessivo e certo) che comprende al suo interno le “Ore di Lezione” e le “Ore funzionali all’insegnamento“, individuandole e regolarizzandole. Proponiamo un contratto con due inquadramenti:
- 1. CONTRATTO A TEMPO PIENO
Orario di servizio di 36 ore per i docenti che scelgono il tempo pieno (è in pratica il nostro attuale orario), così suddivise:
- diciotto ore di didattica (che sono le sole attualmente retribuite, mentre il resto, fumosamente determinato sotto la voce giuridicamente discutibile “obblighi di servizio”, continua ad aumentare di anno in anno).
- diciotto ore di altre attività istituzionali riconosciute e retribuite:
- alcune di queste saranno da trascorrere a scuola la mattina e/o il pomeriggio in orari indicati dal docente o concordati con gli altri interessati (es.: progettazione di percorsi formativi, programmazione collegiale, valutazioni quadrimestrali e finali, dialogo con le famiglie, uscite didattiche, recupero, integrazione, ecc.);
- altre potranno essere svolte liberamente in altri luoghi (es.: programmazione individuale, valutazione elaborati, ricerca, aggiornamento, ecc.).
Dato che sull’argomento c’è molta confusione (orario di lezione confuso con l’orario di lavoro), occorre precisare con molta chiarezza che:
- buona parte dei docenti già svolgono di fatto il tempo pieno, anche se questo evidente dato (del resto, richiesto a chiare lettere dal CCNL) non è per nulla riconosciuto e quantificato giuridicamente né tantomeno economicamente retribuito;
- non solo, essi sono i protagonisti principali, con la loro dedizione, di tutte le innovazioni che hanno in questi ultimi anni modificato profondamente il sistema formativo pubblico italiano, elevandolo già ora ad un notevole livello qualitativo;
- ancora, negli ultimi anni gli impegni connessi allo svolgimento della funzione docente sono esponenzialmente aumentati;
- rimandiamo su tali argomenti (orario effettivo di lavoro in costante aumento e rapporto inversamente proporzionale con la retribuzione) ad un intervento fondamentale in materia, non certo di parte: l’articolo “Tutte le voci che compongono la busta paga dell’insegnante” di Domenico Cucchetti, pubblicato sul supplemento “L’esperto risponde” n. 94 de Il Sole – 24 ore del 1993 (dati ripresi in seguito da molte altre pubblicazioni);
- rimandiamo anche (sull’esigenza improrogabile di aumentare le retribuzioni degli insegnanti in ragione di quanto sopra) all’intervento dell’allora ministro della Pubblica Istruzione, Giancarlo Lombardi, apparso il 28 dicembre 1995 sul Corriere della sera con il titolo “Salari più alti ai docenti – la scuola rischia l’agonia” (tema ripreso e sviluppato da molti altri studiosi dei sistemi formativi);
- le attività su elencate NON sono da introdurre; esse sono già svolte, come conferma anche il profilo professionale contrattualmente richiesto dalla normativa contrattuale vigente;
- ciò che invece il contratto dovrebbe formalmente riconoscere è il fatto che l’orario di servizio del docente è di 36 ore (si tratta di una formale media al ribasso: molti di noi fanno anche 40-50 ore a settimana) e che la retribuzione deve essere comparata a tale orario effettivo di servizio.
- 2. CONTRATTO A TEMPO PARZIALE (PART TIME)
Proponiamo l’istituzione di un orario a tempo parziale (part time), che si configuri sulla base della specificità della professione e per chi volesse sceglierlo, e potrebbe essere organizzato in questo modo:
- nove ore di didattica;
- nove ore di altre attività istituzionali riconosciute e retribuite:
- alcune di queste saranno da trascorrere a scuola la mattina e/o il pomeriggio in orari indicati dal docente o concordati con gli altri interessati (es.: progettazione di percorsi formativi, programmazione collegiale, valutazioni quadrimestrali e finali, dialogo con le famiglie, uscite didattiche, recupero, integrazione, ecc.);
- altre potranno essere svolte liberamente in altri luoghi (es.: programmazione individuale, valutazione elaborati, ricerca, aggiornamento, ecc.).
Naturalmente, tale orario di servizio dovrebbe essere reso obbligatorio per chi svolge la libera professione per rispondere alla duplice esigenza di non privarsi, da un lato, del prezioso apporto di tali professionisti e di non creare, d’altro canto, una sottocategoria di docenti impegnati a mezzo servizio che per evidenti motivi non possono dedicare il loro tempo a tutte le attività connesse e funzionali all’insegnamento (e altrettanto irrinunciabili) di una cattedra a tempo pieno.
- 3. RICONOSCIMENTO ECONOMICO DELLA PROFESSIONE
Le proposte di cui sopra sono da ritenersi presentabili solo e soltanto con adeguato e pregiudiziale riconoscimento economico, pari ad almeno il 30% in più della retribuzione attuale nel caso del contratto a tempo pieno. Occorre procedere ad un normale e dovuto adeguamento agli standard europei del lavoro docente, questo comporta una maggiorazione retributiva generalizzata per tutti i docenti con contratto a tempo indeterminato di 36 ore, che abbiano superato il periodo di prova e scelgano l’orario di servizio a tempo pieno. In base alle tabelle di confronto con gli altri paesi europei che inserisco alla fine di questo articolo, tendenzialmente tale retribuzione dovrà essere pari almeno al 30% in più rispetto a quella attuale per tutte le posizioni stipendiali, al fine di adeguare la retribuzione degli insegnanti italiani agli standard europei. I nostri stipendi sono in media inferiori di circa la metà rispetto agli stipendi dei docenti in area UE, con punte minime pari a un terzo nel caso del confronto con gli stipendi dei docenti dei Paesi Bassi. Senza adeguamento di riconoscimento economico ogni proposta fatta, da noi o da altri, sarà considerata nulla e inaccettabile. E che nessuno si permetta poi di accusarci di essere nemici del cambiamento.
Secondo un rapporto della UE il lavoro dei docenti nei decenni passati era sottopagato perchè fatto da donne e considerato socialmente un lavoro di cura, piuttosto che un lavoro professionale. In Italia è ancora così. E’ svolto essenzialmente da donne (97% delle maestre e 87% delle insegnanti superiori, volutamente uso il femminile plurale), è scarsamente remunerato e viene considerato socialmente, specie per la scuola primaria e secondaria di primo grado, più un lavoro di cura che una professione che ha il compito specifico di fornire istruzione. Prova ne è l’assenza totale di altri ordini di lavoro compresi tra il docente e il dirigente. Da noi non esiste il cosiddetto middle management o le funzioni di assistenza e tutoraggio alla classe e ai ragazzi (nel passaggio da un’ora all’altra, ingresso e uscita da scuola, ricreazione, mensa, assistenza personale e psicologica, dirimere questioni o conflitti..) svolto da altro personale. Funzioni queste sì di cura ma previste e normate con contratto separato negli altri paesi e svolto da personale apposito e con tutele specifiche, mentre da noi sono funzioni che svolgono gratis e con enormi responsabilità i docenti: è come se chiedessimo a un medico di fare anche l’ infermiere perché non sono previsti nell’ordinamento del sistema sanitario. Ma tant’è. Siamo donne… Percentuali di presenza donne e rapporto remunerativo che si ribaltano nel caso degli insegnamenti accademici e universitari: in quel caso si registrano maggiore presenza di uomini e stipendi molto più alti.
Negli ultimi 30 anni gli altri paesi hanno fatto enormi passai avanti, sul piano della promozione della scuola e della professionalità del lavoro docente, (altissima specializzazione e selezioni molto dure per accedere al lavoro docente) anche attraverso il riconoscimento economico. Noi no. A noi, semplicemente non converrebbe economicamente come Paese. Eppure nessuno riconosce questo gap, nemmeno i governi, che trascurano sempre di sottolinearlo quando si avventurano nella pratica nota dell’insulto di categoria ai docenti: provocando un danno educativo inestimabilmente grave. Nemmeno i sindacati lo riconoscono quel gap, per un tacito accordo al ribasso: uno scarso stipendio per uno scarso lavoro, “solo 18 ore” ma per tanti. Sulla carta però, perchè non è più così da decenni.
Concorre a tutto ciò anche un’arretratezza generale di politiche di genere, da cui la scuola non è rimasta immune: le donne, tradizionalmente, sono le meno portate a contrattare sulle remunerazioni. La malafede dei governi (un contratto ambiguo giustifica richieste ambigue e retribuzioni basse, a fronte di un lavoro professionale e di professionisti) e una società inconsapevole fanno il resto. Per tornare alla concretezza e alla proposta:
- tale maggiorazione retributiva realisticamente potrebbe andare a regime entro la scadenza del prossimo CCNL;
- contestualmente, entro la stessa data si dovrà provvedere alla graduale estinzione di quelli che eufemisticamente sono definiti compensi delle attività aggiuntive, la cui soppressione è auspicabile poiché si configura come un vero monstrum giuridico offensivo per la categoria: evidentemente ciò di cui auspichiamo la soppressione è il cosiddetto “Fondo dell’istituzione scolastica”, dietro cui si nasconde un profilo di illegittimità: si tratta molto semplicemente di pagamento a cottimo, a prezzo da manodopera a bassissimo costo e dequalificata, di attività che il docente già svolge (anche perché fanno parte del suo profilo professionale), ma che non sono adeguatamente retribuite, non configurano progressione economica, non sono pensionabili, ecc.; beh! il nostro modesto parere è che qui ci troviamo in un campo molto delicato, di violazione dei diritti dei lavoratori, di violazione degli stessi diritti umani, con il consenso (questo è davvero sconcertante) degli stessi rappresentanti sindacali, che di quei diritti dovrebbero essere i difensori;
ad onor del vero va detto che il “Fondo di incentivazione” fu introdotto come strumento transitorio per arrivare all’istituzionalizzazione contrattuale di un compenso accessorio per i docenti, che avrebbe dovuto avere ben altre caratteristiche di quelle che ora possiede il “Fondo”; ma si trattò di promesse che non hanno mai avuto attuazione; Fondo che si è ridotto sempre di più negli anni fino a quasi estinguersi con il governo Monti e dopo i tagli Gelmini.
Altrettanto realisticamente a decorrere dal periodo di validità del prossimo contratto di categoria (da rinnovare subito) dovrebbe essere possibile reperire le risorse per destinare ai succitati docenti (con contratto a tempo indeterminato che abbiano superato il periodo di prova e scelgano l’orario di servizio a tempo pieno) una maggiorazione retributiva pari a circa un terzo dell’adeguamento agli standard europei (cioè il 10% in più dell’attuale retribuzione):
- nella fase transitoria potrebbero essere soppressi i “lauti” compensi relativi alle attività funzionali all’insegnamento; tali attività infatti devono essere retribuite in modo giuridicamente più corretto, con la maggiorazione retributiva da noi proposta;
- dovrebbero invece essere mantenuti nella stessa fase, finché le nuove retribuzioni non siano a regime, i compensi relativi alle attività aggiuntive di insegnamento (corsi di recupero, ecc.);
- tutti gli insegnanti che scelgono il tempo parziale potrebbero godere dell’attuale retribuzione con orario e tempo-cattedra dimezzati;
- per i docenti nell’anno di prova e per i docenti con contratto a tempo determinato si potrebbe studiare una maggiorazione retributiva più contenuta, o in alternativa mantenere in vigore tutti i compensi per le attività aggiuntive di qualsiasi tipo.
Obiettare che c’è la crisi, che non ci sono risorse, che altre categorie stanno peggio è del tutto fuori luogo. Le risorse ci sono, il fatto è che vengono sistematicamente occultate o sprecate, con l’evasione e l’elusione fiscale, con la corruzione e con la criminalità organizzata, con le spese per gli armamenti. E se non bastassero, servissero anche a questo i benedetti incentivi alle risorse destinate alla scuola.
Inoltre, proprio nel settore pubblico vi sono retribuzioni (in primis, tra i funzionari pubblici, gli amministratori, i politici, ecc.) che creano notevoli diseguaglianze e intaccano l’essenza stessa della democrazia e dello stato di diritto. Il nesso tra democrazia ed equità delle retribuzioni è evidente a tutti senza bisogno di andarlo a spiegare.
Infine, “la nostra proposta servirà precisamente a risolvere la crisi con misure davvero efficaci, innescando un circolo virtuoso (“Niente cultura, niente sviluppo” ha giustamente scritto qualche tempo fa Il Sole /24 Ore, ribadendo il concetto in altri interessanti articoli), che non si può certo ottenere con politiche recessive che inseguono la crisi e non ne raggiungono mai la fine, come Achille con la tartaruga nel paradosso di Zenone.”
(da Scuola Democratica)
Io raccolgo questa proposta e ve la giro, aggiungendo un’altra voce:
DIRITTO/DOVERE ALLA FORMAZIONE IN SERVIZIO (da svolgere all’interno delle 36 ore o delle 18 ore)
Fa parte della funzione docente il diritto/dovere alla formazione in servizio, come strumento necessario di qualificazione professionale, come anche di armonizzazione delle pratiche, del lessico e di base di sperimentazione. Il lavoro del docente è un lavoro di ricerca, deve affrontare oggi problemi educativi e relazionali, oltre che didattici, deve attrezzarsi in una sfida costante alla modernità e ai nuovi linguaggi per governarli e condividerli in modo sano. Non è un lavoro che si acquisisce semplicemente con la formazione iniziale (tra l’altro, oggi, assolutamente inadeguata e insufficiente), e nemmeno semplicemente con l’esperienza. Ha bisogno di formazione e aggiornamento continuo. Formazione in servizio somministrata su linee guida nazionali, obbligatoria, programmata, continua, qualificata e svolta in collaborazione con gli istituti riconosciuti di ricerca educativa nazionale e internazionale. Senza una fortissima e sostanziosa riqualificazione professionale dei docenti non si può agire sui sistemi d’istruzione.
La proposta di sopra è integrabile, emendabile e soggetta a tutti i contributi. E’ una base di discussione e riflessione comune, prima che la facciano altri e ci impongano soluzioni irricevibili come quella delle 24 ore, calate dall’ alto e assolutamente ignare delle reali condizioni attuali della professione docente. Vi chiediamo una mano a diffonderla e a renderla patrimonio comune di discussione in vista della scadenza del CCNL del 2014, condividendola sulle vostre bacheche e facendola girare.
Miriamo a formulare una proposta compiuta e condivisa da sottoporre all’attenzione dei decisori istituzionali e delle parti sindacali. O quanto meno a farne base di confronto per attivare riflessioni? Ogni proposta, integrazione, critica è adesso sacrosanta.