E’ questo uno dei punti più dibattuti della proposta di riforma Giannini-Reggi, la querelle che sta facendo infuriare i precari della scuola, sorprendentemente anche quelli storici, non solo le giovani leve, visto che anche loro spesso sono stati costretti dai tagli programmatici di questi ultimi anni a ridursi ad accettare brevi incarichi di lavoro, magari dopo anni di incarichi annuali.
Eppure il risparmio stimato dall’eventuale eliminazione delle supplenze brevi, affidate ai docenti di ruolo, è di circa 800 milioni di euro. Il tempo, all’interno delle scuole, si sta economicizzando e la terminologia diventa sempre più scientifica: è il momento, a quanto si vocifera, della creazione di una banca del tempo, un numero di ore che i docenti di ruolo, non si sa con quale retribuzione, dovrebbero mettere a disposizione dell’istituzione. Una pratica peraltro già in uso in molti istituti con delibera del collegio docenti.
In effetti la contrattazione sui criteri e modalità relativi all’orario deve confrontarsi con un preciso modello organizzativo-gestionale di una scuola viva e vera, delineata sostanzialmente dal POF e dalle scelte anche territoriali che lo supportano.
Da tempo si sbandiera l’idea della flessibilità organizzativa e didattica che è certo un aspetto organizzativo nonché dinamico che tocca l’istituto dell’orario e deve rispondere, in un’armonica composizione di interessi, a particolari esigenze dei lavoratori e quelle della scuola come sistema.
Inoltre è chiaro che l’orario di lavoro dei docenti, pur essendo contrattualmente definiti la funzione e il profilo professionale comune a tutti (cfr artt. 25 e 26 del CCNL 2006/2009), assume un diverso approccio, non solo per quantità oraria, secondo i diversi gradi di scuola, l’aggregazione in istituti comprensivi e anche i diversi ordini di scuola a livello superiore.
Non a caso anche linguisticamente la questione dell’orario docenti è abbastanza complessa. Esiste una differenza tra orario di servizio (la durata di funzionamento del servizio scolastico, l’apertura della scuola con le sue articolazioni); orario di lezione (l’orario che comprende le attività curriculari); e orario di lavoro (la durata della prestazione del singolo lavoratore che comprende tutte le tipologie delle attività relative al proprio profilo professionale e alla specifica funzione).
Da tempo in parecchi istituti è vigente il cosiddetto contratto di solidarietà per le sostituzioni giornaliere, appunto una forma di banca delle ore, senza aggravi di spesa per l’amministrazione pubblica, grazie alla quale il dirigente si garantisce la possibilità di garantire le sostituzioni quotidiane. A ciascun docente che aderisca al contratto di solidarietà per le sostituzioni viene intestato un conto individuale su cui potrà immettere o prelevare ore. Le ore che possono essere conteggiate in tale conto sono solo ed esclusivamente quelle rese per prestazioni di lavoro straordinario e supplementare, oltre l’orario di cattedra, autorizzate dal dirigente scolastico. L’utilizzo delle ore accantonate può avvenire in due modalità differenti, previa autorizzazione del dirigente scolastico e a seconda delle necessità personali e di servizio: tramite permessi brevi ad ore secondo quanto previsto dal CCNL art. 16 – commi 1 e 3; tramite la concessione di giornate di ferie, in numero massimo di sei per anno scolastico, secondo le modalità stabilite dall’art. 13 comma 9 del CCNL, conteggiando le effettive ore di assenza durante la stessa giornata di ferie.
In sintesi si vorrebbe (si attendono chiarimenti in tal senso) estendere questo sistema anche alle supplenze brevi che, proprio per la loro brevità, non possono garantire alcun vantaggio didattico per gli allievi.
“Le supplenze brevi vanno sostituite…” dichiara il Sottosegretario Reggi, non aggiungendo ulteriori ore di lezione ai docenti (Reggi ha smentito questa interpretazione della sua intervista a Repubblica), ma dando attuazione all’organico funzionale di scuola o di rete, come previsto dalla legge 35/2012.
A quanto pare, dunque, al di là del sensazionalismo delle notizie e della comprensibile angoscia dei precari, la scuola dell’autonomia dovrebbe andare in tale direzione. Sulla quale si ritrovano d’accordo anche donne di scuola di posizioni antitetiche come Valentina Aprea e Mariangela Bastico. In un’intervista rilasciata a Italia Oggi la Aprea, ex sottosegretario alla PI e assessore regionale all’istruzione della Lombardia, dichiara: “Trovo auspicabile un orario maggiore per gli insegnanti se legato a maggiori responsabilità o attività, comprese le sostituzioni dei colleghi assenti per brevi periodi. Questo però funziona se l’insegnante ha un suo interesse anche economico. Servono risorse.”
E sulle supplenze brevi: “Non ha senso per gli studenti avere docenti estranei alla classe che fanno qualche ora e via, è tempo perso. Sostituire i colleghi della classe all’interno di un progetto educativo condiviso, è meglio anche per il supplente, vuol dire non essere dei tappabuchi. Ovviamente questo sistema non va bene per le lunghe sostituzioni, per le quali servirebbero altri strumenti, come gli organici di rete.”
Della stessa idea la Bastico, ex viceministro alla P.I. del governo Prodi: “Credo che obiettivo, anche per gli insegnanti precari, sia giungere ad un organico stabile corrispondente alle esigenze scolastiche, non ampliare la platea di coloro che hanno svolto un’attività scolastica, magari di pochi giorni, aumentando soltanto il numero delle persone in graduatoria, in un’attesa senza fine. Comprendo l’obiezione di chi dice “meglio piuttosto che niente”, ma non penso che questo possa essere l’obiettivo verso cui orientare le riforme.”
Ma possiamo immaginare come la vedono, nella situazione attuale, i supplenti brevi, che spesso, oltre al danno, si godono la beffa. Non solo lavorano da anni su convocazione dell’ultimo minuto, coprendo cattedre vuote per supplenze brevi, ma restano anche senza stipendio per mesi, visto che la loro saltuaria retribuzione dipende dalla disponibilità economica delle singole scuole… Eppure a volte è meglio poco che niente, malgré tout.
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