M.G. Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana

Mario Giacomo Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013, p. 240, € 19,00

di Maurizio Tiriticco

 

duttoLa metafora che segna l’incipit del volume è evidente! E indica l’intento dell’autore: Se una situazione è difficile, non è necessario, a volte, ripartire da zero, ma intervenire con intelligenza e determinazione là dove come è possibile e necessario. In effetti, la nostra scuola non è a pezzi, ma a macchia di leopardo: vi sono situazioni difficili, ma anche situazione di eccellenza! Quindi – ritiene l’autore – occorre guardarsi da visioni palingenetiche e mirate a riordini totalizzanti, ma intervenire con sagacia. “Acqua alle funi non significa modificare l’impianto, sostituire l’impalcatura e ripartire da capo, ma semplicemente raccogliere un suggerimento per spingere il colosso di pietra nella sua giusta posizione… La ripartenza che siamo venuti fin qui tracciando mira a fare delle nostre scuole, dalle sballottate imbarcazioni in mare aperto di oggi, i velieri di gamma di domani capaci di solcare oceani” (p. 220).

Personalmente, sono convinto che – l’ho detto e l’ho scritto più volte – non si può ripartire, se non si ha un disegno chiaro di dove si vuole andare e, soprattutto, da dove veniamo. La frammentazione della nostra scuola, in gradi e ordini, si è sviluppata nel corso dei decenni fin dalla primissima legge Casati! E tutta la nostra politica scolastica si è sviluppata nel corso degli anni aggiungendo pezzo a pezzo percorsi a seconda delle necessità culturali e occupazionali che nel Paese si presentavano di volta in volta. Un disegno unitario è sempre mancato, almeno fino alla fine del secolo scorso quando due ministri, Berlinguer prima e Moratti successivamente, intesero por mano a un riordino – con criteri e fini diversi, date le diverse impostazioni politiche e culturali – che investisse la totalità di una scuola che ormai, nella società della conoscenza e dell’apprendimento per tutta la vita, non poteva non essere un vero e proprio sistema. E non fu un caso che, in ambedue le loro leggi delega, il progetto intende costruire un “sistema educativo di istruzione e formazione”, istruzione generalista, potremmo dire, e formazione professionale.

In effetti lo stesso Dutto, pur non credendo a riordini sistematici complessivi che, forse, richiederebbero tempi lunghi e presenterebbero, forse, più problemi di quelli che occorrerebbe risolvere, non rifugge da una visione di insieme: “Ridurre a quattro anni il secondo ciclo, scelta ragionevole, peraltro già praticata nei licei italiani all’estero, può essere di stimolo per gli studenti. L’allentamento delle rigidità nel percorso scolastico, con anticipi nell’ingresso nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, è la risposta ai tempi diversi e ai ritmi di crescita degli studenti” (p. 230). Giacomo Dutto è troppo intelligente e ne sa troppo di scuola per non riconoscere che acqua alle funi può nascere solo dalla consumata esperienza e dall’intuizione di quell’operaio di cognome Bresca, che di costruzioni ne sapeva forse più di un ingegnere! E non da interventi a pioggia e, certamente, approssimati, anche se giustificati da una sorta di “disegno Intelligente”! Intelligente quanto si vuole, ma così difficile a costruirsi!.

L’acqua alle funi di Dutto vuole quindi essere in primo luogo un invito a una riflessione attenta sullo stato della nostra scuola, che a occhi superficiali potrebbe apparire in uno stato tale per cui occorrerebbe ricominciare tutto da capo! Ma è proprio il “da capo” che per l’autore non avrebbe senso. Anche perché il “da capo” richiederebbe un’intelligenza sistemica e una prospettiva lungimirante propria di una classe politica di alto profilo. E richiederebbe anche tempi lunghi e risorse non indifferenti. E così non è! Allora occorre ripartire da quello che c’è di buono. E di questo “buono” ne abbiamo tanto e diffuso in tutta la penisola. Lo sa Dutto e i tanti appassionati insegnanti di cui disponiamo. Basta sfogliare l’ultimo libro di Luigi Berlinguer, dal titolo più che significativo: Ri-creazione, una scuola di qualità per tutti e per ciascuno (Liguori, Napoli, 2014) [1]. L’autore riferisce di iniziative e di sperimentazioni di estremo interesse, diffuse su tutto il territorio nazionale. Si tratta di “obelischi” che la sagacia, l’intuito e la determinazione di tanti insegnanti e dirigenti hanno eretto con dispendio di tante energie e, soprattutto, intelligenza… e di tanta acqua da dare alle corde!

Quindi, ri-creare e ri-partire costituiscono atteggiamenti, consapevolezze, intenzioni, che danno poi luogo a iniziative di alto profilo. Dutto ci offre una sorta di sillabario della ripartenza consapevole e mirata. In primo luogo la consapevolezza che “la scuola è questione di tutti: l’educazione tocca le diverse età e determina la qualità della vita” (p. 5); è l’incipit del volume. Tuttavia, “andare a scuola non ha lo stesso significato per ciascuno” (p.5). La dispersione è ancora altissima; e un Paese avanzato non la può assolutamente tollerare. Apprendere tutti e per tutta la vita è una vera e propria parola d’ordine per la società della conoscenza. Di qui la primazia dell’insegnamento e del sistema educativo di istruzione e formazione. E si susseguono i diversi capitoli: gli errori commessi e da evitare; i risultati da raggiungere per competere anche a livello mondiale; le decisioni da assumere, anche per incentivare e moltiplicare le buone pratiche. Sono interessanti le considerazioni sulla leadership educativa dei dirigenti e sulle “energie sconosciute” (p.150) che la stagione dell’autonomia ha fatto emergere e che a tutt’oggi restano in una certa misura disattese. Non manca un discorso sulla valutazione e sulla necessità di non farne l’unica ragione di fondo dell’insegnare/apprendere. Forse occorre valutare meno, ma valutare meglio (p. 173).

Particolare importanza assume l’intervento educativo nelle primissime fasce di età. Anche se possiamo vantare un’ottima scuola dell’infanzia, non possiamo fare a meno delle “politiche che occorre adottare per l’intera fascia di età fino ai 6 anni, come investimento per le future risorse umane” (p. 184). Ed è importante sottolineare come e perché “alcuni programmi di testing internazionale hanno, seppur in modo indiretto, posto a 15 anni la prima tappa significativa per verificare lo stato di salute dei sistemi scolastici misurando, a tale età, capacità, conoscenze e competenze di ogni singolo studente” (p. 185). A questo proposito, è opportuno sottolineare gli obiettivi che l’European Qualifications Framework ha posto a tutti i sistemi educativi, istruttivi e formativi dei 28 Paesi dell’UE, obiettivi che il nostro Paese ha fatto propri con l’Accordo quadro del 20 dicembre 2012. Ed è una sfida che dobbiamo accettare e che non possiamo assolutamente perdere.

Particolare importanza assume una rinnovata riflessione pedagogica, anche perché a volte è sembrata prevalere una sorta di pedagogia dell’amministrazione: la circolare ministeriale che veicola e avalla certe procedure e non altre; una cm che finisce spesso con il sostituirsi a quelle pratiche dell’insegnare/apprendere di cui la scuola deve essere ed è responsabile nell’autonomia delle sue scelte. “Serve un ritorno alle origini, non cronologico bensì culturale e, si direbbe, filosofico. Il termine ‘pedagogia’ può essere fuorviante e spostare attenzione su diatribe circa le basi epistemologiche delle scienze della formazione o le distinzioni e le gerarchie rispetto ad altre discipline o ambiti disciplinari. Sarebbe improprio lasciarsi prendere da questa pur interessante prospettiva, mentre potrebbe rivelarsi fruttuoso rispolverare letture classiche, da Comenio a Jean-Jacques Rousseau, da Pestalozzi a Gabelli, da Sant’Agostino a Quintiliano, a Socrate” (p. 205). Costituiscono quei fondamentali su cui poi procedono le ricerche più recenti e avanzate, dagli Jakobson ai Wigotsky, dai Bruner ai Gardner, per non dire dei nostri, da Mario Lodi a Loris Malaguzzi, da Don MIlani ad Aldo Visalberghi, a Raffaele Laporta.

Sono gli autori che fanno dell’insegnante prima di tutto un esploratore, un suscitatore di emozioni e di ricerche. “L’interesse, la curiosità e la scoperta sono i fattori che possono riconciliare gli studenti di oggi e di domani con un’esperienza scolastica guidata da insegnanti capaci di alimentare la passione per il sapere”.

Potremmo anche avere la migliore legge sulla scuola, ma quant’è più importante disporre dei migliori insegnanti! Per “produrre” i migliori studenti! “Uno studente che trova e coglie la sua opportunità è una persona che percorre la strada del successo formativo ed è una ricchezza per il Paese. Non è fiducia illusoria: è l’unico modo in cui la scuola può interpretare la propria responsabilità e ritrovare il gusto di sé”. E’ l’expedit dell’ottimo saggio che introduce il volume: “Ragione e passione. Verità, responsabilità e fiducia per scuola”, di Renata Viganò.

In conclusione, si tratta di un volume che delinea problemi, li delimita e li illumina, anche in forza di un corposo corredo di note e di citazioni. Problemi che non si possono risolvere, se prima non si è riflettuto sullo stato delle cose e sui passi che occorre percorrere!

 

[1] Vedi la mia recensione al volume di Luigi Berlinguer in www.edscuola.it

A. Parente, Una scuola inclusiva

A. Parente, Una scuola inclusiva

Principi, processi, protagonisti, problematiche, progettazioni, Ed. dal Sud, Bari 2014

 

parenteIl testo vuole offrire una bussola per docenti curricolari, docenti di sostegno e per chi aspira a diventarlo.

Dopo un excursus storico-normativo, dall’ esclusione alla valorizzazione della diversità fino alla recente normativa sui BES, si analizzano le caratteristiche di una realtà scolastica sorretta da una logica inclusiva.

Riflessioni pedagogiche, educative e didattiche guidano il lettore nella comprensione del mondo della diversità nei differenti ordini scolastici: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il variegato e complesso panorama delle nostre scuole richiede docenti – fra cui docenti per le attività di sostegno- che sappiano coniugare “umanità” e “competenza” per il successo educativo e formativo di ciascuno.

Utopia pedagogia o realtà possibile e realizzabile?

Nelle pagine sono indicate alcune delle strategie e metodologie didattiche per una progettualità educativa e sono individuati possibili percorsi di inclusione validi per i differenti ordini di scuola.

Consapevoli che l’essenziale è invisibile agli occhi e che va cercato con il cuore, come il Piccolo Principe ci insegna nelle sue relazioni con la volpe e con la rosa, ogni docente, educatore e genitore, nell’ascolto della grande sinfonia dell’umanità, dovrebbe percepire le sfumature delle singole diversità per accompagnare l’educando nel proprio processo educativo.

Il testo è un valido supporto sia per coloro che parteciperanno alle selezioni per il TFA di sostegno, sia per chi si prepara ad entrare nel mondo della scuola e per chi già vi è e vuole esserne maggiormente aggiornato

Scuola e pensionamenti: insegnanti ‘quota 96′, se una svista può costare sette anni

da Il Fatto Quotidiano 

Scuola e pensionamenti: insegnanti ‘quota 96′, se una svista può costare sette anni

 di

Circa 4mila lavoratori  della scuola,  nati  nel 1951 e 1952,  furono esclusi dal diritto maturato di andare in pensione, nonostante nel dicembre 2012 ne avessero i requisiti: o 61 anni di età e 35 di contributi; o 60 anni e 36 di contributi. Sono i Quota 96, gli “esodati della scuola”, tra le principali vittime della riforma delle pensioni targata Elsa Fornero (quella che – interrotta dalle lacrime – non riuscì a pronunciare la parola “sacrifici”. E poi si è visto come è andata).

La riforma Fornero, scattata l’1 gennaio 2012 (in estate Profumo avrebbe bandito il concorso “storico”, quello che avrebbe “svecchiato” la scuola italiana), ha tenuto fuori quei lavoratori per un errore. In conseguenza della specificità della scuola, infatti, che distingue l’anno scolastico dall’anno solare, è possibile andare in pensione esclusivamente nel giorno del 1 settembre, pur avendo maturato i requisiti in precedenza. La conseguenza di questo svista da dilettanti allo sbaraglio sta costando e costerà alle vittime dai 2 ai 7 anni di permanenza ulteriore.

Facciamo un salto in avanti. Il 26 luglio scorso, tra i primi, il parlamentare Marco Di Maio (Pd), commissione Affari Costituzionali della Camera, annuncia che il Decreto Madia sulla riforma della Pubblica Amministrazione contiene: “Un risultato che fino ad oggi era solo stato promesso, ma che oggi diventa realtà. Con l’approvazione in Commissione Affari Costituzionali dell’emendamento Ghizzoni e sostenuto da tutti i componenti della commissione, abbiamo dato risposta a 4mila insegnanti ‘esodati’ i cosiddetti ‘quota 96’”. All’articolo 1 del decreto promosso dal ministro Marianna Madia viene infatti approvato un emendamento che consente di sbloccare 4 mila pensionamenti nella scuola, già da settembre, aprendo così anche alla possibilità di nuove assunzioni. Seguono dichiarazioni trionfalistiche.

Alla fine di luglio, però, Carlo Cottarelli svela l’imbroglio delle coperture di Renzi, la Ragioneria dello Stato rileva a sua volta difetti di copertura, il governo presenta emendamenti soppressivi alla riforma Madia, proprio in tema di pensionamento, che bloccano nuovamente l’uscita dalla scuola dei Quota 96.

Ci si sarebbe attesi quanto meno delle scuse. E, invece: “State sereni!”, al solito. Il nuovo premier – che ha avuto, quanto a faccia tosta e mistificazione, un ben illustre predecessore -, continua ad insistere sulla sorridente sottovalutazione delle reali condizioni del Paese. Avremo modo in futuro di commentare la “sorpresa di fine agosto” che è stata preannunciata alla scuola: manca poco. Per il momento possiamo limitarci a sottolineare l’impudicizia con cui Renzi ha chiosato sul problema dei Quota ’96.

“Ci sono quattromila persone che vorrebbero andare in pensione, che ne hanno legittima aspettativa, non direi un diritto, ma il problema non sono quei quattromila, che un lavoro ce l’hanno, bensì i milioni di persone che non ce l’hanno”, ha affermato. È quindi Renzi a decidere oggi cosa sia un diritto e cosa non lo è. L’autoproclamato decisore delle sorti italiane, come è evidente, nella consueta attitudine alla manipolazione di concetti e parole, occhieggia a problemi gravissimi (quello della disoccupazione) per stornare l’attenzione dall’ennesima promessa che si è tradotta in un nulla di fatto; promessa vana, dunque.

Avevano detto: abbiamo eliminato il problema dei Quota 96; poi la Ragioneria dello Stato gli ha ricordato che la questione non si risolve con gli annunci e con la volontà, ma con gli euro. E gli euro non ci sono. Davanti a questa limpida ed inconfutabile verità, invece di chiedere scusa ai 4mila docenti ultrasessantenni che, per un errore del “governo tecnico”, dovevano andare in pensione l’anno scorso e invece si trovano costretti a rimanere a scuola per ancora molti anni; invece di chiedere scusa per la svista di allora, dunque, ma anche per la grossolana faciloneria che ha condotto l’attuale governo ad annunciare trionfalmente la soluzione dell’imbarazzante situazione, si passa al contrattacco: il diritto maturato diventa semplicemente “legittima aspettativa”. Quindi qualcosa di meno grave ed urgente, di meno inviolabile. Senza pensare, peraltro, che i 4mila posti lasciati da questi sessantenni piagnucolosi (certamente fannulloni!) che continuano a  chiedere di andare in pensione sarebbero destinati ad altrettanti docenti che aspettano la stabilizzazione. E, di conseguenza, si avvantaggerebbero altrettanti, ancora, che aspettano di poter ricoprire posti con le supplenzeannuali.

Il Pd in campagna elettorale, tra le tante promesse, aveva garantito la soluzione di Quota 96. Bisogna avere fiducia che per la fine naturale della legislatura riescano a dar concretezza alle loro affermazioni. Diversamente, rischiamo di dover prevedere una doppia partita stipendiale da destinare ai Quota 96: la loro e quella della badante. Scherzi a parte, il prossimo 29 agosto alle 11, al Pantheon a Roma, in piazza della Rotonda, si svolgerà una manifestazione dei docenti che si trovano in questa paradossale situazione. Non è escluso che a dar loro manforte ci saranno anche i precari. Perché i due fenomeni, come invece Renzi finge di credere, non sono svincolati.

A nessuno dei due, per il momento, è stata fornita una risposta credibile.

Ultimo mese di vacanza, si torna sui banchi il 15 settembre

da La Stampa

Ultimo mese di vacanza, si torna sui banchi il 15 settembre

I primi a tornare in classe saranno i ragazzi della provincia di Bolzano l’8 settembre
roma

 Ultimo mese di vacanza per gli studenti italiani. Il nuovo anno scolastico inizierà, infatti, per la maggior parte il prossimo 15 settembre.

 I primi a rientrare in classe dopo la pausa estiva saranno i ragazzi della provincia di Bolzano che varcheranno i portoni l’8 settembre. A seguire gli studenti della provincia di Trento e del Molise, per i quali la prima campanella suonerà il 10 settembre. Il giorno successivo, l’11 settembre, sarà quindi la volta degli studenti di Abruzzo e Valle d’Aosta. Quindi il 15 il rintro nella maggior parte delle regioni, alcune della quali, come Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e lazio hannno adottato da quest’anno il calendario scolastico permanente, che resterà invariato anche negli anni a venire, tutti in classe il 15. Gli ultimi a rimettere lo zaino sulle spalle i rgazzi pugliesi e siciliani che torneranno in classe il 17 settembre.

Le vacanze di Natale inizieranno tra il 22 e il 24 dicembre. Rientro in classe dopo la Befana. Dal 2 al 7 aprile di nuovo tutti a casa per le vacanze di Pasqua.

Studenti a casa, come ogni anno, anche il 1 novembre, per la festa di Tutti i Santi, l’8 dicembre per l’Immacolata concezione. E ancora, il 6 gennaio per l’Epifania, il lunedì dopo pasqua, il 25 aprile Anniversario della Liberazione, il 1 maggio Festa del Lavoro, il 2 giugno festa nazionale della repubblica e per la festa del santo Patrono.

Ultima campanella dell’anno scolastico 2014-2015 tra il 6 e l’11 giugno. I primo ad andare in vacanza, il 6 giugno appunto, saranno gli studenti dell’Emolia Romagna e del Molise. Seguiranno quindi l’8 i ragazzi lombardi quelli del Lazio, mntre il giorno successivo termineranno le lezioni i ragazzi del Trentino e della Puglia. Il 10 chiuderanno le scuole in Liguria, Toscana, Umbria, Veneto, Marche e sardegna. Mentre le scuole della Valle d’Aosta, Piemonte, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Campania, Basilicata e Calabria, chiuderanno i battenti il giorno successivo. Ultimi ad andare in vacanza gli studenti della Sicilia, che dovranno attendere il 13 e quelli dell’Alto Adige che resteranno in classe siano al 16.

 

Il 19 giugno, infine, la prova nazionale Invalsi per la terza media e il 17 il primo scritto della Maturità.

Ricomincia la scuola e aumentano ancora i docenti di religione

da la Repubblica

Ricomincia la scuola e aumentano ancora i docenti di religione

Sono 2mila in più di dieci anni fa, nonostante il calo degli alunni “Specialisti” scelti dai vescovi, al posto delle maestre “tuttofare”

ROMA

Settembre, la scuola italiana avrà bisogno di più insegnanti di Religione dello scorso anno. Duemila in più rispetto a dieci anni fa. A certificarlo è l’organico dei docenti di Religione 2014/2015 del ministero. E se da un decennio a oggi nella scuola italiana tutto (o quasi) presenta un segno rosso — dai finanziamenti per le attività pomeridiane e accessorie agli organici dei docenti, dai bidelli al personale di segreteria — l’unico settore che pare immune dalla spending review è proprio quello dei docenti di Religione cattolica. Che, nonostante l’inarrestabile calo degli alunni che seguono la materia,
aumentano.
Il trucco c’è ma non si vede, verrebbe da dire. In passato, la Chiesa cattolica forniva anche alle insegnanti curricolari che lo richiedevano il lasciapassare per insegnare Religione. Ma da parecchi anni questo non è più possibile. Così, andate in pensione le maestre “tuttofare”, le ore di Religione passano dunque agli specialisti scelti dai vescovi. Ecco perché diventa necessario reclutare nuove maestre di religione, in possesso dei requisiti previsti dal concordato Stato-Chiesa del 1984.
Così, mentre i primi di agosto in Italia impazzava la polemica sui cosiddetti ”Quota 96” — circa 4mila docenti che nel 2012 avevano già maturato i requisiti per andare in pensione ma, per effetto di un errore nella legge Fornero, furono bloccati in classe fino al compimento dei 67 anni di età — il governo approvava il decreto con i posti complessivamente funzionanti per l’insegnamento della Religione cattolica, che aumenteranno di 310 unità rispetto al 2013. A settembre dunque, il loro organico sfiorerà le 24mila unità: un record. In poco più di un decennio la pianta organica degli insegnanti di Religione è cresciuta del 9,3 per cento, passando da 21.951 cattedre alle 23.994 dell’anno scolastico che sta per iniziare.
Per il ministero dell’Istruzione l’incremento è però da attribuire all’aumento della popolazione scolastica: «Il contingente complessivo dei docenti di religione è individuato sulla base di un decreto interministeriale», spiegano. «Le unità sono 16.794, determinate sulla base del numero di alunni e nella misura del 70 per cento dei posti di insegnamento complessivamente funzionanti. Rispetto al 2013/2014 c’è quindi un incremento di 215 unità di personale che si aggancia all’incremento di alunni totali nel sistema di istruzione (+44.209)». Mentre per lo stesso incremento gli organici degli altri insegnanti è invariato.
Nel frattempo, per la presenza degli alunni stranieri, la frequenza dell’ora di Religione cattolica è scemata. Undici anni fa, quando il prof di Religione entrava in classe erano poco più di sette gli alunni che uscivano dall’aula per dedicarsi ad altre attività, nel 2012/2013 — secondo i dati della Cei — la quota di quanti scelgono l’esenzione è arrivata all’11,1 per cento. Circa 874 mila alunni che non seguono l’ora di religione.
Ma l’incremento dei posti con-
finora è soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno accelerato da un accordo sottoscritto due anni fa dall’allora ministro Profumo e dal cardinal Bagnasco. L’intesa stabilisce che dal 2017 anche le circa 50mila anziane maestre in attività che insegnano religione dovranno passare la mano agli specialisti: per insegnare la religione cattolica occorrerà essere in possesso di un apposito master universitario di secondo livello in scienze religiose. In palio, quasi 7mila cattedre.

“È vero, domande sbagliate e valutazioni da rivedere ma andiamo avanti con i test”

da la Repubblica

“È vero, domande sbagliate e valutazioni da rivedere ma andiamo avanti con i test”

Il ministero dell’Istruzione conferma che i test di preselezione per l’accesso ai corsi universitari dei Tirocini formativi (necessari per ottenere l’abilitazione all’insegnamento) presentavano domande errate, ambigue, vaghe

CORRADO ZUNINO
ROMA .
Il ministero dell’Istruzione conferma che i test di preselezione per l’accesso ai corsi universitari dei Tirocini formativi (necessari per ottenere l’abilitazione all’insegnamento) presentavano domande errate, ambigue, vaghe, come ha rivelato ieri Repubblica . In una nota ufficiale ispirata dal ministro Stefania Giannini, il Miur certifica che sui 2.840 quesiti somministrati (per un totale di 11.360 risposte), «le segnalazioni giunte al ministero sono state meno di un centinaio». Il 3,5%. Il ministero spiega di essere intervenuto in corsa su 38 domande (l’1,3% del totale), «in tutti gli altri casi le ragioni alla base della le segnalazioni sono state respinte perché infondate».
Sui 38 test che lo stesso ministero ha ritenuto da rivedere, 16 quesiti sono stati «effettivamente annullati» perché viziati nella forma «in modo tale da rendere impossibile una risposta corretta». In questo caso tutti i candidati che hanno dovuto affrontare le sedici domande sbagliate hanno ottenuto gli 0,5 punti previsti per la risposta esatta (anche coloro che avevano sbagliato). Per altre sedici domande sono state accettate, in un secondo tempo, due risposte su quattro, anziché una su quattro come da regolamento: la formulazione delle domande o delle risposte era tale da rendere possibili due risposte. «Per evitare
di escludere aspiranti docenti meritevoli si è scelto di convalidare due risposte anziché annullare i quesiti». Questa scelta potrebbe produrre nuovi ricorsi, possibili fino al 22 agosto. Infine, per sei domande c’è stato un problema al momento della pubblicazione delle risposte corrette sul sito dedicato: «È stato erroneamente invertito l’ordine delle risposte, ma è subito intervenuta la correzione». Ecco, l’orientamento di tutta la preselezione «è stato quello di tutelare il merito dei candidati».
I risultati dei test per il Tfa (seconda tornata) sono stati pubblicati dal 4 al 13 agosto. Nelle classi di concorso singole i partecipanti sono stati 80.981 e la selezione è stata superata da 33.040 candidati (il 40,8%). Negli accorpamenti di classi, su 20.433 gli ammessi sono stati 13.600 (il 66,6%). Ora seguono prova scritta e orale, i corsi universitari partiranno a novembre. I posti banditi per il secondo ciclo di Tfa sono 22.478. Gli aspiranti docenti, età media 33,6 anni, sono due anni più giovani rispetto al 2012.

Il buco nero dell’aggiornamento

da ItaliaOggi

Il buco nero dell’aggiornamento

L’Ocse accusa il sistema italiano: i docenti sono lasciati a loro stessi durante la carriera

Giovanni Scancarello

docenti italiani devono tornare a formarsi. È l’impegno assunto dal governo Renzi sul fronte delle riforme per la scuola. Del resto che i docenti debbano contiuamente fare formazione ce lo dice l’Ocse, ma anche la logica. Ma è proprio questo il punto. Non si capisce quale sia stata finora la strategia sulla formazione dei docenti al punto che l’Ocse rileva un buco.

La storia dell’aggiornamento dei docenti italiani, o come la chiama l’Ocse «dello sviluppo professionale», a cavallo della riforma dell’autonomia scolastica, lascia infatti perplessi.

 

Oggi l’Ocse dice che, oltre al basso livello di coinvolgimento dei docenti in attività formative, i nostri insegnanti chiedono di essere formati su Bes e Tic. Tralasciando il riferimento ai bisogni educativi speciali, nonostante l’Italia sia stata tra i primi Paesi al mondo, quarant’anni fa, a integrare gli alunni diversamente abili nelle classi normali, soffermandoci per un momento sul bisogno formativo nelle Tic, non può sfuggire il fatto che se ne torni a parlare in un Paese in cui si è investito di più negli ultimi anni. Pensiamo solo che tra il 2004 e 2006 furono stanziati 75 mln di euro ricavati dalla vendita delle licenze Umts, per finanziare il più importante piano di formazione dei docenti nelle tic. Fortic così si chiamava il progetto che interessò 196mila docenti, quasi un quarto del totale dell’epoca, a tre livelli di competenza nell’uso delle tic. Si parlò allora di utilizzatori base, ma anche di superdocenti e supertecnici.

 

Più di 4mila furono i centri di formazione coinvolti, 10mila i tutor impegnati. Un’operazione inimmaginale di questi tempi, ma che fa pensare quando sentiamo dall’Ocse che i nostri docenti ancora oggi necessitano di formazinoe sulle tic.

 

Il fatto fu che senza una prospettiva di carriera la maggioranza dei docenti declinò l’invito e lasciò l’onere ai soliti pionieri di turno. All’epoca, va ricordato, già non c’era più l’obbligo di formazione che dal 1995 era stato radiato con l’introduzione del primo contratto di diritto privato della scuola. Ma anche quando la formazione costringeva i docenti a formarsi per avanzare nella carriera retributiva, le cose non andarono affatto meglio.

 

Prima del ’95 se si voleva salire il gradone bisognava aver frequentato almeno 100 ore di formazione in sei anni. Si scatenò la corsa individualistica ai corsi e corsetti di ogni tipo, che tradì di fattò l’obiettivo originario di innalzare il livello di competenza dei docenti. Insegnanti che diventarono esperti di scacchi, origami, fumetto ma c’è stato anche chi frequentò corsi di yoga, cinema, danze popolari.

 

Si parlò di corsifici che si pensò di risolvere abolendo l’obbligo di formazione dal contratto. E fu che accanto alla fuga dalla formazione oggi rilevata dall’Ocse, abbiamo anche assistito al puntificio tra i precari, disposti a sborsare cifre anche ingenti per iscriversi al corso di turno, spesso on line, che desse la garanzia di maturare quel punto in più di titoli che gli avrebbe consentito di scavalcare il collega in graduatoria permanente. Fu guerra tra poveri. Quanto basta appunto per esprimere qualche perplessità sulla logica perseguita nello sviluppo della carriera dei nostri docenti e preoccupazione per il futuro. Recentemente con la legge 128/2013, si rievoca l’obbligo formativo e si stanziano per questo 10mln di euro. Basterà?

 

Stavolta però è l’Ocse che ci richiama all’ordine e all’impegno di «rimuovere le barriere e creare gli incentivi per incoraggiare la partecipazione degli insegnanti nella formazione, ad esempio collegandola alla progressione di carriera. Gli investimenti dovrebbero essere focalizzati sui programmi che riescano a combinare teoria e pratica ma anche ad incentivare le pratiche di formazione tra pari

Immissioni, si riparte da zero

da ItaliaOggi

Immissioni, si riparte da zero

Stop alle operazioni collegate alle vecchie selezioni

Antimo Di Geronimo

Immissioni in ruolo, zero a zero: palla a centrocampo. Nella scorsa tornata di assunzioni sono state sanate tutte le situazioni in cui le assunzioni non erano terminate in parità tra concorso ordinario e graduatorie a esaurimento. E dunque, nella imminente tornata di immissioni in ruolo, bisognerà dividere le assunzioni, in parti uguali, tra graduatorie dei concorsi e le graduatorie a esaurimento, perché non vi è alcuna necessità di disporre eventuali recuperi.

Salvo nel caso delle province dove non erano ancora state pubblicate le graduatorie dei nuovi concorsi. E cioè in tutti quei casi in cui la partita delle assunzioni, l’anno scorso, era finita con una vero e proprio «cappotto» in favore dei precari storici delle graduatorie a esaurimento. Tanto si evince da una nota emanata dal ministero dell’istruzioni il 12 agosto scorso (2595). In particolare, il ministero ha ribadito che: «Eventuali recuperi devono essere effettuati solo nelle ipotesi di graduatorie del concorso di cui al decreto 82/2012 non pubblicate entro il 31 agosto del 2013». E a questo proposito ha spiegato che: «Ciò in quanto relativamente ai concorsi del 1990 e del 1999 l’equilibrio era stato raggiunto nel corso degli anni di vigenza dei predetti concorsi e, a tutto il 2012, non era stata prospettata all’amministrazione centrale del ministero dell’istruzione alcuna situazione di eventuale squilibrio.». In buona sostanza, secondo il dicastero di viale Trastevere, al termine della scorsa tornata di operazioni, tutti gli uffici scolastici, in tutte le tipologie di posto e classe di concorso, avrebbero finito in pari. E cioè, senza che vi fossero situazioni da recuperare per riequilibrare la bilancia tra concorso e graduatoria a esaurimento. L’amministrazione trarrebbe tale informazione basandosi sul fatto che gli uffici non avrebbero segnalato alcuna situazione diversa da tale risultato di parità entro il 2012. Fermo restando che ciò vale solo per le situazioni che sono state gestite facendo riferimento alle graduatorie dei vecchi concorsi. Idem per le province che avevano fatto in tempo a utilizzare anche le graduatorie dei nuovi concorsi. Risultati diversi sarebbero stati segnalati solo in quelle regioni dove non avrebbero fatto in tempo ad approvare le graduatorie dei nuovi concorsi a cattedra. In questi casi il risultato avrebbe visto le graduatorie a esaurimento notevolmente in vantaggio. Anzi, le «partite» si sarebbe concluse con un vero e proprio «cappotto» in favore dei precari storici delle graduatorie a esaurimento. In questo caso, dunque, vale il criterio fissato dalla legge 124/99, il quale prevede che gli aventi titolo alle immissioni in ruolo debbano essere tratti per il 50% scorrendo la graduatoria del concorso ordinario e per il rimanente 50% dalla graduatoria a esaurimento. Nessun problema se le immissioni da disporre sono in numero pari. Per esempio, se le immissioni sono quattro, due vengono tratte dalla graduatoria del concorso e due dalla graduatoria a esaurimento. Se invece sono in numero dispari, la prassi vuole che, la prima volta, l’immissione in ruolo in più debba essere tratta dalla graduatoria del concorso. Ma la volta successiva l’immissione in ruolo debba essere recuperata dandone una in più alla graduatoria a esaurimento e via di seguito.

Per esempio, nel caso la prima volta le immissioni da disporre fossero cinque, tre andrebbero al concorso e due alla graduatoria a esaurimento. La volta successiva, se le immissioni fossero di nuovo cinque, due andrebbero al concorso e tre alla graduatoria a esaurimento.

TFA secondo ciclo, oltre 100mila partecipanti: è passato il 40,8%

da La Tecnica della Scuola

TFA secondo ciclo, oltre 100mila partecipanti: è passato il 40,8%

Alla preselezione per l’accesso agli oltre 22mila posti disponibili del secondo ciclo di TFA ordinario, svolti fra il 14 e il 31 luglio, hanno partecipato 101.414 candidati, in media più giovani del primo ciclo. A fornire i numeri e le percentuali di successo ê stato il Miur: nelle classi di concorso singole è passato poco più del 40% dei candidati, negli accorpamenti passa invece il 67%. In tutto sono stati proposti 2.860 quesiti: a seguito degli accertamenti post-prove, 16 sono stati però annullati e altri 18 modificati.

Un questionario composto da 60 domande con quattro opzioni di risposta. È la prova a cui hanno partecipato i 101.414 candidati che hanno preso parte alla preselezione per l’accesso ai Tfa (Tirocini formativi attivi), i percorsi universitari di abilitazione all’insegnamento. I test si sono svolti nella seconda metà di luglio. A comunicarlo è stato il Miur nella serata del 18 agosto.

A seguito di ciascuna sessione di test, spiega il dicastero di Viale Trastevere, sono state rapidamente pubblicate sul sito dedicato (https://tfa.cineca.it/2014/index.php)  le risposte corrette e, in contemporanea, elaborati i compiti consegnati. Alla data del 13 agosto tutti i candidati erano a conoscenza del punteggio ottenuto. I risultati dei test svolti dal 14 al 18 luglio sono stati infatti pubblicati il 4 agosto, quelli dei test svolti dal 21 al 25 luglio l’8 agosto. I rimanenti risultati, test del 28-31 luglio, sono stati pubblicati il 13 agosto.

I quiz erano uguali su tutto il territorio nazionale per ciascuna classe di concorso o per accorpamento di classi. I quesiti sono stati redatti da una commissione nominata dal Miur e poi elaborati e stampati grazie alla collaborazione con il Consorzio Cineca.

Il Ministero ha monitorato costantemente sia le segnalazioni di dubbi sui quesiti pervenute da parte dei candidati che i forum di discussione in Rete per fornire risposte tempestive. Su 2.840 quesiti somministrati (per un totale di 11.360 risposte) le segnalazioni giunte al Miur sono state meno di un centinaio. Il Ministero è intervenuto con 38 correzioni divise in tre tipologie:

 

·        Solo 16 quesiti su oltre duemila sono stati effettivamente annullati perché viziati nella forma in modo tale da rendere impossibile dare una risposta corretta. In questi casi tutti i candidati hanno avuto gli 0,5 punti previsti per la risposta esatta;

·        16 quesiti hanno avuto convalidate due risposte su quattro, anziché una su quattro: la formulazione delle domande o delle risposte era tale da rendere troppo vicina la plausibilità della risposta esatta (inequivocabilmente esatta) e quella del principale ‘distrattore’, che poteva essere scelto da candidati molto preparati. Per evitare di escludere aspiranti docenti meritevoli si è scelto di convalidare due risposte anziché annullare i quesiti;

·        Nel caso di altre 6 domande, infine, al momento della pubblicazione delle risposte corrette sul sito dedicato è stato erroneamente invertito l’ordine delle risposte stesse. E’ subito intervenuta la correzione per permettere ai candidati di calcolare correttamente il loro punteggio.

 

I quesiti rivisti sono stati complessivamente, dunque, l’1,3% di quelli redatti. In tutti gli altri casi le ragioni alla base delle segnalazioni sono state prese in considerazione ma poi respinte perché infondate. L’orientamento di tutta la preselezione è stato quello di tutelare il merito dei candidati. Il Miur e il Cineca hanno lavorato rapidamente anche per consentire loro di conoscere il prima possibile i risultati ottenuti e di prepararsi al meglio per le prove successive.

Alla preselezione seguiranno una prova scritta e una orale. I corsi, tenuti dalle università, partiranno a novembre. Iposti banditi per il II ciclo di Tfa sono 22.478. L’età media degli aspiranti docenti è 33,6 anni, contro i 35,4 della precedente selezione del 2012. Nelle classi di concorso singole i partecipanti sono stati 80.981. Il 40,8% ha superato la preselezione. Negli accorpamenti di classi su 20.433 partecipanti i non ammessi sono stati 6.833, pari al 33,4%.

Il DL 90 diventa legge 114 ed esce sulla Gazzetta Ufficiale

da La Tecnica della Scuola

Il DL 90 diventa legge 114 ed esce sulla Gazzetta Ufficiale

Poche le norme che riguardano direttamente o indirettamente la scuola. Tra queste la riduzione dei distacchi sindacali e la definitiva soppressione del CNPI

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 agosto il testo della legge 114 datata 11 agosto con cui viene convertito il decreto legge n. 90 del 24 giugno scorso.
Al provvedimento (54 articoli in tutto) è dedicato l’intero supplemento ordinario (un centinaio di pagine) che contiene anche il testo della legge coordinato con il precedente decreto (le modifiche apportate nel corso del dibattito parlamentare sono infatti davvero molte e prendono da sole circa 20 pagine).
Le norme che riguardano direttamente (o indirettamente) la scuola sono contenute in pochi articoli.
L’articolo 1, per esempio,  cancella per tutto il personale della scuola la possibilità del mantenimento in servizio oltre l’età pensionabile.
L’articolo 6 stabilisce il divieto di affidare incarichi di  studio o consulenza al personale in pensione. Sarà possibile conferire incarichi ma solo a titolo del tutto gratuito e per non più di un anno.
L’articolo 7 prevede la riduzione del 50% dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali.
Il comma 3 dello stesso articolo precisa: “Con le procedure contrattuali e negoziali previste dairispettivi ordinamenti può essere modificata la ripartizione dei contingenti ridefiniti ai sensi dei commi 1 e 2 tra le associazioni sindacali. In tale ambito è possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali “.  In pratica questo significa che sarà comunque possibile ridurre in modo più significativo i permessi orari dei delegati sindacali in modo da non dover ridurre eccessivamente i distacchi veri e propri.
Tutta da decifrare è la norma contenuta nell’art. 17bis: “Le amministrazioni pubbliche non possono richiedere ai cittadini informazioni e dati già presenti nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente”. Presa alla lettera questa disposizione potrebbe per esempio significare che al momento delle iscrizioni scolastiche le scuole non potranno chiedere i dati anagrafici di alunni e genitori. Ma è probabile che sulla materia ci sarà un decreto applicativo della Funzione Pubblica.
L’articolo 23 quinquies affronta il vecchio problema della CNPI e sancisce per legge la legittimità di tutti gli atti normativi e amministrativi adottati anche in assenza del prescritto parere del CNPI, sciolto di fatto a partire dal gennaio 2013.
Entro la fine del 2014 dovranno però tenersi le elezioni per la costituzione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che sostituirà definitivamente il CNPI.
Una buona notizia conclusiva: il provvedimento prevede per il 2014 la riduzione delle spese dei Ministeri per circa 700milioni di euro: il Ministero dell’Istruzione non è chiamato a contribuire.

Scuole al via ad ottobre? Non è possibile

da La Tecnica della Scuola

Scuole al via ad ottobre? Non è possibile

Cosi ha risposto il Ministro a Umberto Buratti (Pd), sindaco di Forte dei Marmi, che un paio di giorni fa aveva scritto al suo conterraneo lucchese, ora responsabile del Miur, per chiedere di rinviare l’apertura delle scuole al primo ottobre e permettere così di salvare in parte la stagione estiva funestata dal maltempo: non possiamo danneggiare le famiglie, le nostre vere interlocutrici.

“Caro ministro, è stata un’estate perseguitata dal maltempo e gli operatori turistici hanno dovuto subire gravissimi danni. Le chiedo dunque di posticipare di un mese l’apertura delle scuole, sarebbe di grande sollievo per tutti gli operatori turistici che sono stati seriamente danneggiati. Quando eravamo bambini andavamo a scuola il primo ottobre e settembre era un mese dedicato alle vacanze, spesso al mare, leggendo qualche libro della maestra. Credo che potremmo tornare a quei tempi, magari sperimentandone quest’anno gli effetti”. A formulare questa richiesta al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, era stato un paio di giorni fa Umberto Buratti (Pd), sindaco di Forte dei Marmi: la lettera, riportata dal Corriere della Sera, non era una provocazione. Tanto da provocare non pochi consensi, anche tra gli addetti ai lavori.

Le loro speranze, però , hanno avuto vita breve.  “Ringrazio il sindaco Buratti – ha fatto sapere il ministro Giannini – per la lettera che mi ha inviato. Io, come lui, ho potuto constatare le difficoltà create alla stagione turistica dalle cattive condizioni meteorologiche. E però, al sindaco e a quanti in queste ore si concentrano sull’ipotesi di rinviare l’apertura dell’anno scolastico, non posso non ricordare che i calendari con le date di inizio e di fine delle lezioni vengono deliberati dalle Regioni che li hanno già comunicati alle scuole e al Ministero in tempo utile per consentire la programmazione delle attività didattiche”.

Giannini ha aggiunto che “le scuole nella loro autonomia possono chiedere lievi variazioni rispetto al calendario regionale, a patto di garantire i 200 giorni minimi di lezione previsti per legge. Nella maggior parte dei casi le richieste riguardano aperture anticipate che consentono di programmare pause flessibili nel corso dell’anno scolastico. In questo caso, invece, la richiesta di segno opposto potrebbe entrare in contrasto con gli impegni delle famiglie, nostre vere interlocutrici, dove spesso entrambi i genitori sono impegnati al lavoro – chiude Giannini -. Al sindaco Buratti garantisco la mia collaborazione e sono pronta a incontrarlo, magari proprio in spiaggia, confidando in un miglioramento del tempo”.

Crescono le adesioni dei “beffati” alla protesta del 29 agosto: in piazza ‘Quota 96’ e precari

da La Tecnica della Scuola

Crescono le adesioni dei “beffati” alla protesta del 29 agosto: in piazza ‘Quota 96’ e precari

 Sui social network sale l’attenzione per la manifestazione da attuare a Roma, nello stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri potrebbe dare l’ok alla prima parte di quella riforma della scuola annunciata da tempo dai vertici del Miur e del Pd: in piazza scenderanno così gli ultra sessantenni, prima bloccati dalla riforma Fornero e poi illusi dal Governo Renzi, assieme ai precari, in particolare quelli che si sono visti soffiare il ruolo per lo spostamento in massa di colleghi del Sud nelle province con più posti del Centro-Nord. I supplenti che non potranno raggiungere la capitale, manifesteranno nelle loro città.

Ora è ufficiale: il 29 agosto la protesta a Roma dei ‘Quota 96’ diventerà anche il luogo della contestazione dei giovani docenti che chiedono di essere assunti. Si ritroveranno assieme, uno accanto all’altro: gli ultra sessantenni, prima bloccati dalla riforma Fornero e poi illusi dal Governo Renzi, assieme ai precari, in particolare quelli che si sono visti soffiare il ruolo per lo spostamento in massa di colleghi del Sud nelle province con più posti del Centro-Nord.

Molti supplenti – organizzati in un gruppo su Facebook (“Ora Basta!!!) e che stanno per costituire un comitato – hanno garantito la loro presenza a Roma il 29, e molti che non potranno raggiungere la capitale manifesteranno nelle loro città. “Stiamo preparando presidi pacifici con distribuzione di volantini in occasione delle convocazioni per l’assegnazione dei ruoli e per gli incarichi”, ha spiegato l’amministratrice del gruppo Rosaria Miranda. Quello che chiedono i precari delle Gae, che hanno scritto anche a Giannini e Renzi, sono soprattutto “regole certe” per l’assegnazione del punteggio ai fini della graduatoria. Il Ministro, tuttavia, ha già risposto che le regole ci sono e al Miur non si può fare sostanzialmente nulla per rimediare.

Su Facebook e social network di settore, però, il tema è diventato uno degli argomenti più dibattuti: si chiede con insistenza di rivedere le norme e i punteggi che danno accesso al reclutamento. Come di introdurre flessibilità, senza però penalizzazioni, in uscita. Per andare in pensione. Anche perché, col passare dei giorni, le speranze per i ‘Quota 96’ di poter lasciare la scuola dal prossimo mese di settembre si avvicinano sempre più allo zero.

Giovani e anziani della scuola vogliono così mandare un segnale forte in concomitanza del Consiglio dei ministri previsto proprio quel giorno. Un CdM nel quale potrebbe essere approvata anche una prima parte di quella riforma della scuola annunciata da tempo dai vertici del Miur, del Pd e dello stesso Governo in carica.

L’Ansa scrive che “sul piatto – è idea del premier Matteo Renzi anticipare la ‘sorpresa’ attesa per settembre – anche il cosiddetto “pacchetto scuola”, che potrebbe introdurre importanti ‘innovazioni’. La conferma arriva dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini: in vista dell’inizio della scuola – afferma in un’intervista al Messaggero – “ho avuto diversi incontri preparatori con il presidente del Consiglio. Stiamo studiando insieme una serie di proposte innovative per la scuola”.

La proposta del governo potrebbe riguardare programmi e competenze, autonomia scolastica e docenti: interventi coperti da uno stanziamento di risorse nella legge di stabilità: Renzi ha parlato di “1 miliardo di euro”. Ma su come verranno investiti questi fondi rimane un mistero. Da alcuni rumors, invece, sembrerebbe che sia intenzione del Governo continuare a fare economia, iniziando a tagliare proprio sui supplenti: se le indiscrezioni sono vere, da settembre verrebbero chiamati solo per supplenze superiori a 10-15 giorni; per quelle brevi si utilizzerebbe i colleghi già di ruolo, in particolare nelle tante scuole dove sono presenti docenti senza cattedra, impegnati su progetti o con un numero di ore settimanali inferiore a quello minimo.

Corsa contro il tempo per nominare i neo-dirigenti

da La Tecnica della Scuola

Corsa contro il tempo per nominare i neo-dirigenti

I tempi stringono e si aspetta sempre il via libera del MEF.
In mancanza di autorizzazione si dovrebbero conferire centinaia e centinaia di reggenze, con le conseguenze che è facile immaginare.

Alla fine del mese mancano solamente 9 giorni lavorativi e ancora nulla è dato di sapere a proposito delle sedi scolastiche prive di dirigente.
Si sa, per la verità, che il Ministero dell’Istruzione ha chiesto al MEF l’autorizzazione ad assumere circa 600 dirigenti da attingere dalle graduatorie del concorso 2012.
A questo punto sembra davvero molto difficile che a partire dal 1° settembre tutto possa funzionare regolarmente nelle 8mila scuole italiane.
Pare comunque che in diverse regioni gli Uffici scolastici abbiano già “allertato” i docenti vincitori di concorso invitandoli a presentare al più presto l‘elenco delle sedi prescelte. Questo, ovviamente, per abbreviare il più possibile i tempi di conferimento dell’incarico non appena si saprà qualcosa di certo.
Quello che per ora è sicuro  che in tutte le scuole sottodimensionate (poco meno di 500) saranno nominati dirigenti scolastici e DSGA reggenti. In tutte le altre scuole prive di titolari dopo i trasferimenti formalizzati nel mese di luglio (almeno 1200, ma forse anche di più) potrebbero arrivare docenti che sono entrati nella graduatoria di merito del concorso 2012 ma a condizione che il MEF dia la prescritta autorizzazione.
In ogni caso il visto del MEF consentirebbe l’immissione in ruolo di 600 neo-dirigenti al massimo e quindi altrettanti posti rimarrebbero comunque scoperti.
Particolarmente grave si presenta la situazioni in alcune regioni dove i posti da coprire sono molto superiori al numero degli idonei che potrebbero essere assunti: è il caso, ad esempio, del Piemonte dove gli idonei sono poco più di 20 mentre le sedi scoperte superano abbondantemente le 100 unità.
Certamente il meccanismo della reggenza consente un discreto risparmio per le casse delle Stato, che però appare assai poco giustificato se si considera il grave disservizio legato alla mancanza di dirigenti stabili in tante scuole.

Il sistema di assunzioni dei docenti e di tutta la PA va rifondato su base meritocratica

da La Tecnica della Scuola

Il sistema di assunzioni dei docenti e di tutta la PA va rifondato su base meritocratica

A sostenerlo è l’ex senatore leghista Mario Pittoni, che nel riproporre la riforma di reclutamento regionale risponde alla segretaria Pd del Friuli-Venezia Giulia, Antonella Grim, che lo aveva accusato di creare “pericolose spaccature sociali” tra i docenti, promuovendo riforme che non rispettano Costituzione e norme Ue: l’unico punto su cui sussisteva il dubbio di costituzionalità era la “residenza”, che abbiamo sostituito col “domicilio professionale”, previsto dalle norme europee già recepite dall’Italia.

“Il nostro progetto getta le basi per rivoluzionare su base concretamente meritocratica tutto il sistema di assunzione nel settore pubblico, non solo per la scuola”. A dichiararlo è l’ex senatore leghista Mario Pittoni, che è stato capogruppo della Lega Nord in commissione Istruzione di Palazzo Madama, che nel riproporre il suo progetto di reclutamento regionale coglie l’occasione per rispondere alla segretaria Pd del Friuli-Venezia Giulia, Antonella Grim, che nei giorni scorsi aveva accusato lo stesso Pittoni di fare “propaganda” e creare “pericolose spaccature sociali” tra gli insegnanti, promuovendo riforme che non rispettano Costituzione e norme Ue.

“Grim – risponde ora Pittoni – lasci decidere chi ne ha titolo se la nostra riforma è in linea con Costituzione italiana e normativa europea. A Roma si è fermata semplicemente perché nello stesso mese del 2010 in cui abbiamo consegnato la bozza definitiva al ministro Gelmini, Fini ha fatto l’operazione che ci ha tolto i numeri necessari alla Camera, bloccando di fatto tutte le riforme. E l’unico punto su cui sussisteva il dubbio di costituzionalità era la “residenza”, che abbiamo prontamente sostituito con il “domicilio professionale”, previsto dalle norme europee già recepite dall’Italia. Ricordo – dice ancora Pittoni – che anche il ‘riconoscimento del punteggio per garantire la continuità didattica dei docenti’, che la Grim ora promuove e per il quale mi sono battuto a Roma, è stato definito dalla allora responsabile scuola del Pd Puglisi, ‘anticostituzionale’”.

Concludendo, secondo Pittoni, “quelli che la Grim chiama ‘infondati allarmismi’ sono il posto di lavoro di tanti insegnanti friulani, giuliani e in generale del centro-nord, che il prossimo anno scolastico non ci sarà più, in conseguenza dell’attuale perverso meccanismo che richiede un urgente e profondo aggiornamento”.

TFA: passa il 40,8% dei candidati

da tuttoscuola.com

Alla preselezione si erano presentati in 101.414
TFA: passa il 40,8% dei candidati

Alla prova preselettiva di ammissione al TFA, a cui hanno partecipato nello scorso mese di luglio 101.414 candidati, occorreva rispondere a un questionario composto da 60 domande con quattro opzioni di risposta.

I quiz erano uguali su tutto il territorio nazionale per ciascuna classe di concorso o per accorpamento di classi. I quesiti sono stati redatti da una commissione nominata dal Miur e poi elaborati e stampati grazie alla collaborazione con il Consorzio Cineca.

A seguito di ciascuna sessione di test le risposte corrette sono state rapidamente pubblicate sul sito dedicato (https://tfa.cineca.it/2014/index.php)  e, in contemporanea, sono stati elaborati i compiti consegnati. Alla data del 13 agosto tutti i candidati erano a conoscenza del punteggio ottenuto. I risultati dei test svolti dal 14 al 18 luglio sono stati infatti pubblicati il 4 agosto, quelli dei test svolti dal 21 al 25 luglio l’8 agosto. I rimanenti risultati, test del 28-31 luglio, sono stati pubblicati il 13 agosto.

Su 2.840 quesiti somministrati (per un totale di 11.360 risposte) le segnalazioni di errori o inesattezze giunte al Miur sono state meno di un centinaio. Il Ministero è intervenuto con 38 correzioni divise in tre tipologie:

  • Solo 16 quesiti su oltre duemila sono stati effettivamente annullati perché viziati nella forma in modo tale da rendere impossibile dare una risposta corretta. In questi casi tutti i candidati hanno avuto gli 0,5 punti previsti per la risposta esatta;
  • 16 quesiti hanno avuto convalidate due risposte su quattro, anziché una su quattro: la formulazione delle domande o delle risposte era tale da rendere troppo vicina la plausibilità della risposta esatta (inequivocabilmente esatta) e quella del principale ‘distrattore’, che poteva essere scelto da candidati molto preparati. Per evitare di escludere aspiranti docenti meritevoli si è scelto di convalidare due risposte anziché annullare i quesiti;
  • Nel caso di altre 6 domande, infine, al momento della pubblicazione delle risposte corrette sul sito dedicato è stato erroneamente invertito l’ordine delle risposte stesse. E’ subito intervenuta la correzione per permettere ai candidati di calcolare correttamente il loro punteggio.

I quesiti rivisti sono stati complessivamente, dunque, l’1,3% di quelli redatti. In tutti gli altri casi le ragioni alla base delle segnalazioni sono state prese in considerazione ma poi respinte perché infondate. L’orientamento di tutta la preselezione è stato quello di tutelare il merito dei candidati. Il Miur e il Cineca hanno lavorato rapidamente anche per consentire loro di conoscere il prima possibile i risultati ottenuti e di prepararsi al meglio per le prove successive.

Alla preselezione seguiranno una prova scritta e una orale. I corsi, tenuti dalle università, partiranno a novembre. I posti banditi per il II ciclo di Tfa sono 22.478. L’età media degli aspiranti docenti è 33,6 anni, contro i 35,4 della precedente selezione del 2012. Nelle classi di concorso singole i partecipanti sono stati 80.981. Il 40,8% ha superato la preselezione. Negli accorpamenti di classi su 20.433 partecipanti i non ammessi sono stati 6.833, pari al 33,4%.