LA SCUOLA LOMBARDA NON HA BISOGNO DI VETI

LA SCUOLA LOMBARDA NON HA BISOGNO DI VETI

Dopo oltre un mese in cui la scuola lombarda è stata spettatrice obbligata di un imbarazzante balletto che ha visto l’entrata in scena e l’immediata eliminazione di molte competenze, finalmente nei giorni scorsi il ministro Giannini ha individuato nella figura della dott.ssa Delia Campanelli, dirigente MIUR, il nuovo direttore generale dell’Ufficio Scolastico della Lombardia.
La Federazione Gilda-Unams della Lombardia auspica che venga chiusa la stagione dei veti e che si metta in atto una collaborazione fattiva tra gli organismi istituzionali del Sistema di Istruzione lombardo.
In attesa del decreto di ratifica della nomina da parte del Governo, la FGU Lombardia saluta la dott.ssa Campanelli e le augura buon lavoro. Le conferma che, com’è nella propria natura costitutiva e come ha sempre fatto, valuterà ogni proposta nel merito, con spirito costruttivo, senza pregiudizi e senza sconti.

Valeria Ammenti
Coordinatrice FGU Lombardia

GLI ULTIMI DATI SUGLI ABBANDONI DEGLI ALUNNI FANNO PAURA: URGE ELEVARE L’OBBLIGO SCOLASTICO

da IMGPress

GLI ULTIMI DATI SUGLI ABBANDONI DEGLI ALUNNI FANNO PAURA: URGE ELEVARE L’OBBLIGO SCOLASTICO
(13/10/2014)- Mentre l’Unione Europea chiede di portare entro 6 anni al 10 per cento il tasso di abbandono dei banchi di scuola, gli ultimi dati nazionali ci dicono che l’Italia rimane ferma ad un deludente 17,6 per cento. Nella scuola superiore la dispersione rimane da allarme rosso, visto che negli ultimi 15 anni il 31,9% degli studenti non hanno conseguito il diploma di maturità: si tratta, in larga prevalenza, di allievi che frequentavano gli istituti professionali e tecnici, purtroppo ancora non sufficientemente organizzati per formare, ma nello stesso tempo per fare da “cuscinetto” con le aziende e più in generale con il mondo del lavoro.“Nelle isole – scrive oggi Orizzonte Scuola, commentando i numeri forniti dalla rivista Tuttoscuola – il dato sulla dispersione fa davvero paura, 35% nella sola Sardegna e Sicilia, con Caltanissetta che presenta un 41,7% di dispersione al termine del quinquennio 2009-10/2013-14. Segue Palermo con il 40,1%, quindi Catania con il 38%, seguita da Prato”. Siamo davanti ad un fenomeno che “ha conseguenze sociali non indifferenti, se si lega a quello dei Neet che vede l’Italia ad una percentuale del 23,9% a confronto con il 15,4 della media europea”.

“Purtroppo questi numeri non ci sorprendono – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ma confermano solo il ritardo sensibile, attorno ai 5 punti percentuali, che l’Italia registra sul fronte della dispersione rispetto al valore medio dell’indicatore nell’Ue a 27. È tutto dire che alcuni Paesi dell’Est, come Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia, possano oggi vantare livelli di abbandono scolastico attorno ad appena il 5 per cento. Sono numeri che parlano da soli e che indicano come la politica del ridurre il tempo scuola abbia portato solo risultati negativi, ora anche in termini di mantenimento dei nostri giovani sui banchi di scuola”.

L’Anief ritiene che non si possa più temporeggiare: un Paese come l’Italia non può permettersi di perdere per strada 2 milioni e 900mila giovani delle superiori, come è accaduto negli ultimi 15 anni. Anche perché si tratta di ragazzi tra i 16 e i 19 anni quasi sempre destinati ad allargare il numero dei Neet, l’esercito sempre più ampio di giovani che non studia e non lavora. E che nei territori più difficili – particolarmente poveri a livello di tessuto sociale, di strutture e opportunità occupazionali – diventano non di rado potenziali nuove leve al servizio della criminalità organizzata.

“Eppure le opportunità per cambiare il corso di questa situazione stagnante ci sono – incalza Pacifico –: il primo passaggio legislativo dovrebbe senza dubbio portare l’obbligo formativo a 18 anni, come aveva giustamente provato a fare 15 anni fa l’ex Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Occorrono, certamente, anche fondi ulteriori, nazionali e europei, finalizzati a migliorare l’orientamento scolastico dei nostri alunni alle prese con la scelta del corso superiore”.

“Come rimane fondamentale l’introduzione di quote di organico di personale maggiorate da destinare proprio nelle aree dove la percentuale di alunni dispersi è più alta. Il contrario, tanto per capirci, di quello che è accaduto quest’anno, con il Miur che ha sottratto docenti alle regioni del Sud, a partire dalla Sicilia, che detiene punte provinciali di abbandono superiori al 40 per cento, continuando ad associare gli organici esclusivamente al numero degli iscritti; e continuando incredibilmente ad ignorare le condizioni del territorio e il grado di difficoltà di apprendimento degli alunni”.

Al Ministero dell’Istruzione si lavora adottando parametri diametralmente opposti. Con il giovane sindacato che ha denunciato come i fondi nazionali per la dispersione scolastica destinati alle aree a rischio non solo sono stati tagliati del 30%, ma anche mal distribuiti: alla Sardegna, che con la Sicilia detiene il top di bocciature e abbandoni, è stato assegnato appena il 3% del budget nazionale.

“Per evitare di continuare a perdere alunni dalle nostre classi, servirebbe, infine, una seria riforma dell’apprendistato, con i giovani degli ultimi tre anni delle superiori finalmente introdotti con efficacia nelle realtà aziendali. Prevedendo – conclude il sindacalista Anief-Confedir – sia un monte orario di stage e tirocini più corposo dell’attuale, sia una quota di retribuzione da assegnare allo studente per il periodo passato in azienda”.

Scuola: S.O.S. Andrologo

Scuola: S.O.S. Andrologo

di Adriana Rumbolo

Quante volte riferendoci alla vita di un soggetto , siamo più inclini a cominciare dall’età adulta.

Si, poi, via via che si prosegue,  si può accennare: sembra che abbia avuto un’infanzia difficile, sembrerebbe ci sia stato un lutto in famiglia,è cresciuto/a senza padre o senza madre,forse una famiglia poco presente, gravi problemi economici… però il periodo che va dalla nascita al momento in cui definiamo un soggetto , adulto, tendiamo ad ignorarlo soprattutto per quello che attiene alla sfera emotiva-sessuale-affettiva.

In un passato anche recente varie erano le interpretazioni e le censure di quegli anni:religiose, trasgressive, sociologiche, moraliste psicologiche intuizioni a volte geniali ,a volte insignificanti, mode passeggere.

Poi la tecnologia più avanzata ha permesso di scansionare il cervello e lo studio , la conoscenza e il funzionamento delle sue cellule,i neuroni, prenderà il nome di neuroscienze.

Finalmente è possibile vedere , dimostrare scientificamente come funziona il cervello durante i nostri comportamenti,le nostre reazioni, patologie cerebrali, prendere coscienza di quanto sentiamo e dargli un nome.

Soprattutto non dobbiamo più tacere del percorso affettivo-emotivo-sessuale e della sua importanza fin dalla nascita   che è alla base della vita.

Noi possiamo inventare macchine tecnologiche fantastiche, costruire un ponte dalle arcate infinite ,fare un sottomarino , ma il nucleo profondo che   che è coinvolto e che coinvolge è sempre lì nelle emozioni , nell’affettività , nella sessualità che se non usufruiscono di sano equilibrio e benessere   influiranno negativamente nel comportamento e in molte opere dell’essere umano.

Di tanto in tanto qualche episodio di cronaca nera ce lo ricorda.

Non ho mai pensato che potessimo risolvere tutto e ogni volta che ci addentriamo in un percorso di conoscenza ci imbattiamo in misteri indecifrabili ,ma rimane sempre una parola per un cauto ottimismo:prevenzione.

Quando un soggetto prevalentemente maschile usa la violenza sessuale spesso nasconde la natura vera dell’atto dicendo :ci ha provocato ,dovevamo dargli una punizione per fargli comprendere che la sua condotta come omosessualità , transessualità era moralmente sbagliata o come nell’ultimocaso di cronaca la punizione voleva correggere la dieta alimentare del violentato.

Diciamolo con chiarezza :chi violenta sessualmente denuncia un suo ditsurbo emotivo –affettivo-sessuale .

Il fatto che sia sposato e abbia figli non lo mette al di sopra di ogni disordine emotivo-sessuale-affettivo.

Gli studenti che ho incontrato a scuola dopo che ne avevo conquistato la fiducia mi riferivano che erano pieni di dubbi di ansie e quello che sapevano sulla sessualità lo apprendevano dalla confidenza di un amico o da giornaletti porno o da films porno.

E io pensavo sempre: perché,no! un andrologo nelle scuole?

Travolti dal multitasking? No, se sapremo scegliere

da la Repubblica

Travolti dal multitasking? No, se sapremo scegliere

il punto è sostanziale: siamo noi i responsabili degli effetti della tecnologia sull’individuo e la società

FABIO CHIUSI
DA TEORICO dei benefici della collaborazione online, Clay Shirky non si può certo definire un tecnofobo. Eppure, confessa in un lungo post su Medium, ha preferito per la prima volta vietare l’uso di laptop, smartphone e tablet ai suoi studenti al corso di Teoria e pratica dei social media alla New York University. Motivo? «Gli effetti pratici della mia decisione di consentire l’uso della tecnologia in classe sono peggiorati nel tempo». Troppe distrazioni causate, ipotizza, proprio dal multitasking, il dedicare la propria attenzione a più device o più fonti contemporaneamente. Un processo «cognitivamente estenuante», scrive, ricalcando la tesi che Nicholas Carr ha espresso nell’ormai celebre atto d’accusa su The Atlantic dal titolo “Google ci rende stupidi?”, e approfondito in The Shallows e nel recentissimo The Glass Cage. Il timore di Carr è concreto: nelle parole di un altro guru della materia, Howard Rheingold, è che la «mentalità del link» porti alla «morte delle modalità di pensiero incentivate dal libro », alterando i nostri circuiti cerebrali e adattandoli all’etica della superficialità e della frenesia che il teorico dei media associa alla nostra era iperconnessa.
Una forma di determinismo tecnologico, dice ancora Rheingold, che assume che all’introduzione di una tecnologia seguano effetti precisi e invariabili a seconda di contesti, società e persone. E che produrrebbe conseguenze nocive per la nostra capacità di concentrazione, la riflessione profonda, la memoria. Diversi studi, menzionati dallo stesso Shirky, confermano: il multitasking può condurre a decisioni peggiori, che risultano per esempio in voti più bassi per gli studenti di college che facciano i compiti mentre inviano sms e scorrono Facebook. Ma è proprio Rheingold, in Net Smart, a indicare che il determinismo non è l’unica ipotesi in campo: «Non sono d’accordo con l’inevitabilità di tale processo», scrive. «Una cultura può scegliere di istruirsi seriamente, come fecero l’Europa e il resto del mondo nell’epoca successiva a Gutenberg, in risposta all’abbondanza dirompente di comunicazioni e di modi di comunicare». Quell’abbondanza, insomma, è un problema solamente se ce ne facciamo travolgere, «e non è detto che ciò debba accadere».
E del resto, un’altra ricerca pubblicata a maggio 2013 da Aryn Karpinski e colleghi studiando l’impatto del multitasking su gruppi di studenti statunitensi ed europei ha concluso che «non è l’uso dei social media in sé a essere deleterio, ma usarli come disturbo, interruzione» — come fanno i primi, ma non i secondi. Non a caso, spiega Tom Cheshire su Wired, diversi studiosi ne stanno indagando gli effetti positivi su socievolezza, espressività e creatività dei bambini. La stessa tecnologia che può distrarli, in altre parole, ne può «se adeguatamente accompagnati» aguzzare l’ingegno.
Vero, le prove sono ancora «frammentarie », scrive Cheshire, ma il punto è sostanziale: siamo noi i responsabili degli effetti della tecnologia sull’individuo e la società. Retoriche come quella dei “nativi digitali”, che si vorrebbero giovani e quindi automaticamente predisposti a essere connessi (quando, dimostra Danah Boyd in It’s complicated , non lo sono), o quella opposta dei “dementi digitali”, per dirla con Manfred Spitzer, finiscono per dimenticarlo, deresponsabilizzandoci. Mentre la comunità scientifica cerca di comprendere a fondo il fenomeno, ragioniamo piuttosto su come coniugare tempo reale e umanità. Chi sostiene che troppa connessione ci mette in pericolo ne tragga quantomeno le dovute conseguenze, per esempio chiedendo nuove tutele per tenere salda la distinzione tra lavoratore e automa.

Imparare al tempo del web

da la Repubblica

Imparare al tempo del web

Correttori nei telefonini versioni già tradotte e motori di ricerca sempre pronti a dare risposte Ora gli esperti lanciano l’allarme: “La Rete rischia di compromettere l’apprendimento per le nuove generazioni”

ANTONELLO GUERRERA
CORRETTORI automatici sui telefonini che minacciano le competenze linguistiche; versioni di latino già tradotte online; calcolatori ultra-performanti che scuotono le fondamenta matematiche dei ragazzi; assoluta dipendenza dai motori di ricerca, dove si schizza da un sito all’altro in maniera orizzontale e superficiale. «I vecchi metodi di studio per approfondire, strutturare e assimilare le informazioni vengono sempre più ignorati », ammette Massimo Ammaniti, professore di Psicopatologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma. E poi: ultra-stimolazione dei neuroni da parte di computer, smartphone e tablet; deficit di attenzione e concentrazione sempre più preoccupanti. Le nuove generazioni hanno un problema con l’apprendimento? Per alcuni studiosi, sì. E le conseguenze sarebbero gravissime.
L’ultimo allarme è stato lanciato pochi giorni fa dalla rivista americana Atlantic, che ha parlato addirittura di rischio “stupidità” per gli studenti di oggi. La causa? Google e Internet, come spiega The Glass Cage (“ La gabbia di vetro”). E cioè il nuovo libro di Nicholas Carr, uno dei saggisti più critici del Web, diventato famoso nel 2008 grazie all’articolo Google ci rende stupidi?
Da allora, Carr non ha cambiato idea. In The Glass Cage ( arriverà nel 2015 in Italia per Raffaello Cortina) lo scrittore americano insiste: la Rete e le nuove tecnologie ci facilitano la vita, certo, e offrono una quantità abnorme di informazioni. Ma, secondo Carr, allo stesso tempo queste piattaforme inibiscono o danneggiano alcune fondamentali facoltà cerebrali e cognitive. E ciò sarebbe particolarmente pericoloso in studenti e ragazzi in fase di crescita. «Tanto su Internet c’è tutto» è il comodo refrain dei nostri tempi. Dunque, perché perdere tempo a memorizzare dati e nozioni sempre disponibili?
Per Carr, tuttavia, l’allenamento blando della memoria umana è solo un aspetto della spinosa questione. Perché ormai bambini e ragazzi sfruttano mezzi così efficienti da rinunciare a sviluppare competenze cruciali in vari ambiti, dalla matematica alle lingue, col risultato di potersi ritrovare in grave difficoltà se lo strumento non funziona. Carr fa l’esempio di un fatale incidente aereo avvenuto nel 2009 a Buffalo (Stati Uniti, 50 morti), causato da un errore umano del comandante «andato in totale confusione» per un inaspettato malfunzionamento del pilota automatico. Una simile “sindrome” potrebbe colpire anche gli studenti. Del resto, «il “consumismo cognitivo” su Internet — commenta Ammaniti —alimenta una facile onnipotenza che rende i giovani più vulnerabili di fronte a problemi complessi. Sorgono così situazioni di ansia e impotenza, tipiche delle personalità e delle società narcisistiche».
Carr, tra gli studi che cita, riporta anche una ricerca dell’università di Utrecht in cui si dimostra che, nella risoluzione di enigmi logici come il celebre “Missionari e cannibali”, i giovani che utilizzano supporti elettronici avanzati mostrano in un primo momento performance migliori. Ma a lungo termine, vengono superati da studenti che, sfruttando i metodi tradizionali, hanno invece sviluppato capacità ed espe- rienza necessarie per affrontare livelli più complicati del problema. Il pericolo di oggi, secondo Carr, «è di non essere mai bravi in niente».
Carr identifica principalmente due patologie dell’apprendimento ultra-informatico: la “compiacenza” e il “pregiudizio” dell’automatizzazione. La prima «si verifica quando un mezzo elettronico ci culla in un falso senso di sicurezza ». Esempio: si revisionano stancamente i propri scritti «perché tanto c’è il correttore automatico ». Il pregiudizio, invece, si manifesta nella «fiducia totale» nel mezzo di supporto «che ci fa escludere », aprioristicamente, «altre fonti di informazione». Due rischi abissali per i più giovani.
«È vero», conferma Michael Rich, psicologo di Harvard che ha studiato per anni il rapporto tra media e bambini. «Uno dei problemi principali dell’istruzione del XXI secolo non è tanto l’impatto di Google sull’apprendimento, quanto l’approccio passivo e scarsamente critico degli adolescenti nel discernere tra informazioni utili e inutili, vere e inesatte. I media sono neutrali, siamo noi a dover scegliere come e quando usarli».
Inoltre, rimarca lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet, autore con Marco Aime di La fatica di diventare grandi ( Einaudi), «oggi i metodi di insegnamento sono diventati noiosi per i ragazzi, che vivono nel caos: sanno tutto, ma non sanno niente. È la scuola che deve aiutarli a passare da un uso puramente informativo a un uso conoscitivo delle nozioni». «Se un ragazzino cresce in un contesto ultra- interattivo, da YouTube ai social network, i meccanismi dell’insegnamento odierno sono obsoleti», aggiunge Rich, «anche a causa del digital divide tra professori e studenti. E intanto si accentua il deficit di attenzione degli adolescenti». Che, ricorda Carr, affligge il 10 per cento di sco- lari americani e addirittura il 20 per cento dei liceali.
Su questo, come sull’influenza negativa di computer e tablet sul sonno dei più piccoli, concordano tutti. «Ma attenzione a emettere facili sentenze», avverte lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, esperto di nativi digitali e delle problematiche legate alle nuove tecnologie. «Perché, se è vero che cresce il deficit di attenzione e concentrazione, è altrettanto vero che viviamo in una società del “sempre distanti e mai soli”, invocata anche dai genitori. Oggi, se un ragazzino si isola, magari per approfondire, desta purtroppo preoccupazione in molte famiglie. Inoltre — continua Lancini — non è affatto detto che non memorizzare alcune cose “perché c’è Google” provochi un’automatica involuzione delle nuove generazioni ».
A tal proposito, il professor Christoph van Nimwegen, che all’università di Utrecht si occupa di “Interaction technology”, dice: «Non c’è alcuna prova di una stupidità permanente causata da Google e da Internet. I nostri cervelli possono deteriorarsi, ma in futuro potrebbero anche sviluppare nuove sinapsi e connessioni cerebrali. Per ora nessuno lo sa». «Anche con l’arrivo della televisione », ricorda Charmet, «dicevano che saremmo diventati più stupidi, ma non mi pare». E se per Ammaniti, «i troppi stimoli tecnologici interferiscono con la creatività e l’immaginazione dei ragazzi», un altro esperto della Rete come Clay Shirkly sostiene che Internet e i social network siano così creativi da sviluppare nei giovani un «surplus cognitivo». Insomma, il dibattito scientifico è apertissimo e imprevedibile. Una cosa, però, è certa: i bambini e i ragazzi di oggi alle prese con tablet & Co. saranno le cavie di questa nuova epoca touch e iperconnessa. Perché ci vorrà ancora qualche anno, infatti, affinché la scienza possa comprendere più chiaramente l’effetto di Internet e smartphone sulle loro menti. Nel frattempo, il mondo continuerà a dividersi tra chi teme una nuova generazione di “stupidi” e chi, rispolverando Socrate e il Fedro di Platone, ricorderà che molti secoli fa persino la scrittura era considerata da alcuni un’innovazione venefica che avrebbe sbriciolato l’apprendimento e il “vero” sapere.

L’insegnante di sostegno può essere utilizzato anche per altre funzioni?

da La Tecnica della Scuola

L’insegnante di sostegno può essere utilizzato anche per altre funzioni?

La domanda è la solita e serpeggia nell’aria da anni, senza trovare risposte univoche, ma perdendosi nel ginepraio di leggi, leggine e interpretazioni giurisprudenziali: l’insegnante di sostegno  può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzione se non quelle strettamente connesse al progetto d’integrazione? Come deve essere considerato tale utilizzo, qualora riduca anche in minima parte l’efficacia di tale progetto?

Certo l’assegnazione delle supplenze ai docenti di sostegno è un problema molto sentito e sul quale non è sempre facile fare chiarezza, in quanto la normativa è tutt’altro che chiara e univoca. E spesso viene invocata dalla parti in causa per sostenere gli interessi ora dell’una ora dell’altra.

L’unico punto fermo è che, in presenza dell’alunno con disabilità, mai il docente di sostegno può essere utilizzato per la sostituzione di un collega assente. Infatti, all’art.13 comma 6, la Legge 104/92 dispone chiaramente che “gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipando alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti”

Inoltre ai sensi dell’art. 315/5 del D.Lgs. 297/1994, art. 15/10 dell’O.M. n. 90/2001 e artt. 2/5 e 4/1 del D.P.R. 122/2009, è a pieno titolo docente della classe e quindi non solo dell’allievo  disabile a lui affidato: egli è dunque contitolare della classe e compresente durante le attività didattiche per effetto della sua particolare funzione di supporto alla classe del disabile di riferimento e la sua funzione non viene meno anche quando è assente il docente curricolare.

Non a caso il MIUR nelle Linee guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità ha precisato: “(…) l’insegnante per le attività di sostegno non può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzioni se non quelle strettamente connesse al progetto d’integrazione, qualora tale diverso utilizzo riduca anche in minima parte l’efficacia di detto progetto.

Tale indicazione è stata ribadita dalla Nota ministeriale n. 9839 del 08/11/2010 che richiama l’attenzione “sull’opportunità di non ricorrere alla sostituzione dei docenti assenti con personale in servizio su posti di sostegno, salvo casi eccezionali non altrimenti risolvibili”.

E quando l’alunno disabile è assente?  L’orientamento adottato in alcune scuole o USR  più attenti al problema è infatti quello di consentire supplenze ai docenti di sostegno in orario sulla classe solo quando l’alunno con disabilità è assente.

Qualora sia prevista una specifica attività didattica con la classe, dove è necessaria la compresenza del docente di sostegno, anche in assenza dell’alunno con disabilità, è opportuno farlo presente al Dirigente Scolastico (responsabile per l’assegnazione della supplenza) affinchè provveda a individuare altro personale docente in servizio.

Quando l’alunno disabile è assente, dunque, l’interpretazione della norma si biforca sostanzialmente in due direzioni opposte.

 

1. La norma che vieta l’utilizzo del docente di sostegno nelle supplenze vale solo se l’alunno con disabilità è presente a scuola. Quando invece è assente, deve ritenersi che l’insegnante per le attività di sostegno rimanga a disposizione della comunità scolastica e possa essere utilizzato per supplenze ovunque, come accade per tutti i docenti che hanno ore a disposizione. Né è legittimo, sostenere che, essendo egli docente in una classe, anche quando manchi l’alunno con disabilità debba rimanere a disposizione solo di quella classe; infatti  il docente, in caso di assenza dell’alunno per la cui integrazione è stato nominato, si trova in condizioni simili a quelle di un docente curriculare quando tutta la sua classe sia assente (p. es. per una gita) e quindi a disposizione di tutta la scuola.

2. L’insegnante di sostegno, docente contitolare della classe, in caso di sia di presenza sia di assenza  dell’alunno disabile, non può essere impegnato in supplenze, in caso contrario si limiterebbe il diritto allo studio del disabile sancito dalla legge 104 e si violerebbe il principio di contitolarità innanzi citato.

 

Pertanto, in caso di assenza dell’alunno, l’insegnante di sostegno dovrà rimanere nella classe in cui è contitolare.

Molti dirigenti si orientano così: solo nel caso sia assente il docente della classe nell’ora della contitolarità, il docente di sostegno è individuato prioritariamente per la sostituzione, a patto che ciò non arrechi danno alla  situazione dell’alunno disabile e della classe

Se è assente l’insegnante curricolare, che condivide la stessa classe,  in base al principio della contitolarità dell’insegnante di sostegno (art 13.b6L.104/92), non si parla nemmeno di supplenza, ma di diversa organizzazione dell’attività didattica. Anche questa situazione va comunque contenuta in un intervallo temporale ragionevole per evitare pesanti ricadute sulla qualità dell’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità.

Naturalmente ogni situazione va valutata singolarmente, ma principio guida dovrà essere il buon senso.

Riassumendo: il docente di sostegno non dovrà essere utilizzato per la sostituzione dei colleghi assenti, né in presenza né in assenza dell’alunno disabile, a meno che non ricorrano situazioni di particolare urgenza, nelle quali può essere richiesta la sua volontaria disponibilità. Ciò, è ovvio, deve avere il carattere della eccezionalità e non può e non deve diventare una regola,

Il docente di sostegno resterà nella propria classe qualora sia assente il collega di compresenza, organizzando in modo differente il lavoro di integrazione. Sarà possibile contravvenire a questa regola nei casi di particolare gravità, individuati come tali all’interno dei consigli di classe. Si tratta di quei casi nei quali l’alunno con handicap ha bisogni che non consentono al docente di dedicarsi all’intera classe.

Resta un criterio imprescindibile: la necessità di condivisione degli sforzi che orientano la comunità scolastica a un lavoro sereno e proficuo per condurre gli studenti al più alto grado di successo formativo.

Giannini: con internet in tutte le classi cambierà il modello d’insegnamento

da La Tecnica della Scuola

Giannini: con internet in tutte le classi cambierà il modello d’insegnamento

Il Ministro: abbiamo chiesto 45 milioni per far sì che l’accesso a internet sia patrimonio di tutti. Un concetto su cui nessuno può ormai dissentire. Pochi mesi fa, però, il rapporto Glocus indicava ben 400 milioni come necessari per introdurre la banda larga nelle 140mila aule che oggi ne sono ancora prive.

”Digitalizzazione significa far cambiare il modello dell’insegnamento tenendo conto che i ragazzi sono nativi digitali. La mia persona in sostanza è al centro di un’operazione complessa che abbiamo cercato di fare in modo molto articolato e i sindacati interagiscono con noi per capire gli aspetti critici ma anche quelli veramente innovativi”. Le parole sono quelle del ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, intervenuto telefonicamente ad un dibattito sull’agenda digitale all’Internet festival di Pisa.

A dire il vero, Giannini avrebbe dovuto intervenire personalmente ma impegni personali improvvisi le hanno fatto declinare l’invito. All’esterno dell’arena dove si svolgeva il dibattito si erano anche radunate poche decine di contestatori dei centri sociali e della sinistra radicale, giunti per manifestare contro la riforma della scuola del Governo Renzi, ma se ne sono andati subito dopo avere appreso che Stefania Giannini non sarebbe stata presente.

”Il nostro impegno sulla digitalizzazione – ha sottolineato il Ministro – è un fatto complesso e per questo ci vuole un impegno corale. In concreto abbiamo chiesto 45 milioni per poter far sì che l’accesso a internet sia patrimonio di tutti. Se arriveranno avremmo centrato l’obiettivo”.

Insomma, anche il Ministro, come sottolineato di recente dalla Tecnica della Scuola, si rende conto dell’importanza di ampliare nelle non solo le tecnologie, ma anche e soprattutto il mezzo primario utile per farle interagire. Su questo punto siamo tutti d’accordo.

Il dubbio, piuttosto, è forte quando Giannini sembra voler indicare 45 milioni di euro come sufficienti per riuscire a far navigare ad alta velocità tutte le scuole italiane: in estate, attraverso il rapporto ‘Glocus’ è emerso che nella Penisola, dove meno del 20% delle scuole detiene la banda larga, per riuscire nell’impresa di connettere le 140mila aule scolastiche mancanti occorrerebbe una cifra circa dieci volte superiore: circa 400 milioni di euro.

La tredicesima mensilità non spetta per alcuni periodi di congedo

da La Tecnica della Scuola

La tredicesima mensilità non spetta per alcuni periodi di congedo

A volte qualche docente non riesce a spiegarsi come mai la sua tredicesima è inferiore a quella del collega che ha pari anzianità di servizio. Eppure una spiegazione plausibile a questa differenza stipendiale esiste.

Infatti bisogna sapere che nel contratto della scuola, nel CCNL del novembre 2007, all’art.80 comma 5 è scritto chiaramente che  i  ratei della tredicesima non spettano per i periodi trascorsi in aspettativa per motivi personali o di famiglia o in altra condizione che comporti la sospensione o la privazione del trattamento economico e non sono dovuti al personale cessato dal servizio per motivi disciplinari.
Quindi facendo un esempio specifico, un docente che avesse preso un permesso non retribuito, come ad esempio il periodo di congedo senza retribuzione per malattia del figlio,  è vero che tale periodo è computato nell’anzianità di servizio, ma non è spettante per  il rateo di tredicesima.
Il comma 3 dell’art.80 del contratto scuola spiega che la tredicesima mensilità è corrisposta per intero al personale in servizio continuativo dal primo gennaio dello stesso anno. Questo significa che ci sono alcuni casi in cui, il servizio non essendo continuativo, non spetta una tredicesima intera. Infatti nel caso di servizio prestato per un periodo inferiore all’anno o in caso di cessazione del rapporto nel corso dell’anno, la tredicesima è dovuta in ragione di un dodicesimo per ogni mese di servizio prestato o frazione di mese superiore a 15 giorni.
Quindi, se un docente dovesse prendere un mese o anche solo 16 giorni di aspettativa per motivi familiari o di studio, perderebbe un rateo di tredicesima ovvero un dodicesimo di questa. Ecco spiegato come è possibile che due docenti con la stessa anzianità possano percepire tredicesime differenti. Quindi, è utile sapere anche che la tredicesima si matura in base ai mesi lavorati dell’anno solare, l’importo spettante è commisurato in proporzione ai dodicesimi lavorati.
Per quanto attiene alcuni tipi di congedi come la maternità o l’assenza per malattia, nulla viene sottratto dalla tredicesima. Tuttavia bisogna sapere che sulla tredicesima, dall’anno 2011, il prelievo Irpef è fatto con l’aliquota massima, senza l’applicazione di alcuna detrazione d’imposta. Il fatto che la tredicesima venga tassata con l’aliquota massima dell’Irpef dal 2011 è il male minore, rispetto ai rumors che circolavano in quel tragico fine 2011 dove qualcuno parlava addirittura di congelamento delle tredicesime per i dipendenti pubblici.

Giannini agli studenti: parliamone

da La Tecnica della Scuola

Giannini agli studenti: parliamone

Intervenuta ad un incontro nella Comunità di San Patrignano,  la ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, lancia un appello agli studenti che hanno manifestato venerdì scorso contro le politiche sulla scuola del Governo.

Agli studenti che si sono riversati in tante piazze italiane per manifestare contro la riforma della scuola “dico: parliamone, dialoghiamo”.

“Ragazzi oltre a protestare, oltre a fare il corteo, parlate anche con noi, con tutti coloro che sono profondamente convinti di quello che avete detto e cioè che ‘la scuola siamo noi’ dove il noi comprende chi studia, chi insegna, chi organizza e chi si occupa di coordinare tutto questo sistema”.

Ai ragazzi quindi, ha ribadito il ministro dell’Istruzione, “dico parliamone, dialoghiamo. Abbiamo lanciato, per la prima volta, l’idea di anticipare il dibattito, di chiamare al dialogo e al confronto in tutto il Paese. Le consulte giovanili-provinciali hanno organizzato loro 108 incontri già da oggi e per i prossimi 45 giorni”.

Ma Giannini ha anche annunciato un progetto per la lotta al consumo di droga in 20 scuole, in collaborazione con San Patrignano e altre realtà. La scuola “deve rispondere anche a compiti nuovi”.

L’esame di stato non è una farsa

da La Tecnica della Scuola

L’esame di stato non è una farsa

Scrivere dritto su righe storte: valenza educativa degli esami

L’annunciata modifica delle commissioni degli Esami di Stato con la sola presenza di un presidente esterno quale garante della regolarità delle operazioni di esami, condotti dai docenti della classe, ha creato non pochi dissapori.

Scrivere dritto su righe storte” è una competenza che solo la scuola di ieri sapeva insegnare ed oggi che i ragazzi scrivono poco e male non appare una strada di comune accesso.

Leggere il positivo anche quando il bicchiere è quasi vuoto diventa un’arte e corrisponde ad una competenza di non comune rilievo.

L’esperienza del presidente “notaio” è già stata fatta ed in alcuni casi è risultata soltanto come atto formale quando nel 2002 le molteplici commissioni avevano un solo presidente (uno per scuola). Si auspica che il modello delle commissioni composto da due classi rimanga e quindi il presidente potrà seguire con diligente vigilanza le procedure delle due sottocommissioni.

Ci sono i nostalgici dei bei tempi, quando gli esami di stato erano un’occasione premiale di vacanze per i docenti e i dirigenti. Si registrava, infatti, una variopinta girandola che vedeva i docenti del Sud nelle scuole del Nord ed in particolare nelle località turistiche, ed altrettanto molti docenti del Nord venivano in Sicilia o per le vacanze al mare o per ritrovare i parenti.

Spesso la permanenza presso parenti e amici era sostenuta dalla buona indennità di missione e le vacanze erano assicurate anche per i familiari.

Ci sono gli accaniti difensori di una scuola che boccia, per i quali gli esami non valgono niente: “tanto non c’è nemmeno il piacere di bocciare”. Brutta espressione che rivela una mentalità antiquata e per nulla in linea con la dimensione educativa della scuola, la quale non si misura in relazione alle percentuali degli studenti bocciati, bensì alla qualità degli alunni, che dopo la scuola potranno affrontare l’Università o inserirsi nel mondo del lavoro, traguardo e percorso oggi difficile, ma certamente non solo a causa della scuola.

Ci sono anche i docenti che credono nel lavoro dei ragazzi e li hanno visti maltrattati dai docenti esterni, alcuni dei quali, con aria di supponenza, hanno assunto il compito improprio di “valutatori” dell’operato dei colleghi.

Che l’esame sia un momento educativo è scritto nelle disposizioni ministeriali e nel decalogo dell’etica professionale. I veri protagonisti degli esami sono, infatti, gli studenti, i quali dimostrano, a se stessi per primi e poi ai docenti della commissione, i traguardi conseguiti e le competenze acquisite. Questo credo sia il significato della valenza didattica degli esami, indipendentemente dalla costituzione della commissione. L’esame non è una farsa, a meno che, gli operatori se ne rendano responsabili.

Consapevoli che il “rito formale” dell’esame di Stato non potrà essere eliminato, perché la Costituzione lo prevede a conclusione di ciascun ciclo scolastico, come già avviene con gli esami di licenza media, anch’essi “Esami di Stato”, che si svolgono con commissari tutti interni, anche se nel tempo non hanno avuto alcun riconoscimento e compenso aggiuntivo, ora la proposta del risparmio sui costi dei commissari esterni appare “legittima”.

Non sarà, infatti, un dramma per gli studenti affrontare gli esami con i propri docenti che li hanno seguiti nel corso del triennio, anzi sarà proprio un vantaggio ed uno stimolo a prendere meglio e sul serio l’impegno nello studio, così da poter dimostrare, in sede d’esame, la sintesi degli apprendimenti e dimostrare pubblicamente le competenze possedute.

Il consiglio di classe nell’elaborare il documento del 15 maggio farà la sintesi del lavoro svolto nel corso del triennio, detterà i criteri della conduzione degli esami e della valutazione delle prove e nei giorni degli esami gli studenti ne forniranno prova nell’ufficialità degli esami delle competenze acquisite, che saranno tradotte in voto finale, poiché ancora il titolo di studio ha la sua validità.

Quando poi si perverrà all’abolizione del valore legale del titolo di studio, la questione avrà un altro aspetto e ci saranno altre polemiche.

Le valutazioni intermedie nel corso degli anni e la valutazione del primo quadrimestre avranno un particolare coinvolgimento di responsabilità per gli studenti e per i genitori, cosicché lo scrutinio finale di ammissione agli esami sarà svolto con maggior senso di responsabilità, di attenzione e di rigore, senza porre successivi rinvii. Allora le “sofferte sufficienze”, se riconosciute sanabili con il voto favorevole all’ammissione agli esami, sostenute ed accompagnate da fiducia, rispetto e responsabilità, saranno validate nella sfera della “sufficienza” anche in sede di esame.

Alcuni vedono, inoltre, in quest’operazione, dettata da una logica di risparmio, un ennesimo regalo alle scuole private” ed il rischio non è lontano, ma nello stesso tempo si registra un’inversione di tendenza nei confronti di alcune scuole paritarie, che compensano la prestazione professionale soltanto con il punteggio, giacché la cancellazione o quasi dei punteggi per avanzare nelle graduatorie non costituirà più un elemento determinante per l’inserimento nel ruolo di docenti, al quale si accederà soltanto per concorso e dopo aver conseguito le necessarie abilitazioni all’insegnamento, allora soltanto le “buone” scuole paritarie che pagano i docenti, dovrebbero avere diritto di presenza nella logica della parità.

Resta pur sempre da tener presente una speciale attenzione educativa verso tutti gli studenti, anche nei confronti di coloro che stentano e fanno fatica a seguire il ritmo ordinario negli studi.

La scuola che promuove talenti, qualità e competenze dovrebbe essere al di sopra dei meccanismi operativi degli esami, ai quali i docenti e gli studenti daranno la giusta importanza nella condivisione di una visione di scuola, pensata per lo sviluppo integrale della persona.

Se la logica machiavellica che il fine giustifica i mezzi ha ancora una valenza, sarebbe auspicabile che la somma di 144 milioni di euro, risparmiata attraverso la modifica della composizione degli esami di stato, venga reinvestita concretamente nella qualità di una “buona scuola” e non si perda nei mille rivoli o nel vortice dei tagli, che provocano soltanto danni alla scuola e alla società intera

AFAM, al via cantiere Miur

AFAM, al via cantiere Miur
A novembre audizioni degli stakeholder
A dicembre Rapporto per ridefinire futuro settore

Dopo i cantieri sulla scuola, arriva quello sull’AFAM, l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica. Un gruppo ristretto di componenti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e di esperti dovrà produrre, entro l’anno, un Rapporto per ridefinire il futuro del settore. A questo scopo, durante il mese di novembre, il cantiere AFAM incontrerà gli stakeholder per ascoltare il loro punto di vista. Il cantiere sarà coordinato dal capo di Gabinetto, Alessandro Fusacchia, insieme alla vice capo di Gabinetto Simona Montesarchio e al Capo del Dipartimento per l’Alta Formazione e la Ricerca Marco Mancini. Ai lavori parteciperà il Sottosegretario Angela D’Onghia.

I tempi
I lavori del cantiere prenderanno avvio domani. Entro inizio novembre il gruppo di lavoro produrrà un documento con la struttura del Rapporto a cui si dovrà arrivare, le prime riflessioni e le domande aperte. Il documento sarà reso pubblico e sulla sua base, a novembre, si faranno le audizioni con gli stakeholder esterni. Verranno ascoltati, fra gli altri, le Conferenze dei Direttori, dei Presidenti dei Conservatori, delle Accademie di Belle Arti, il Coordinamento delle Accademie non-statali, la Consulta degli studenti dei Conservatori, delle Accademie e degli Isia, Associazioni e rappresentanze della docenza, le Organizzazioni Sindacali, l’Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), personalità del mondo della cultura.

I temi del cantiere
Fra gli obiettivi del cantiere, la rivisitazione della governance delle Istituzioni dell’AFAM, la razionalizzazione della distribuzione dell’offerta formativa secondo precisi criteri e indicatori di accreditamento, l’avvio di percorsi formativi di III livello (dottorati), nuove regole di distribuzione del finanziamento ordinario con l’individuazione di quote premiali crescenti. Si parlerà anche di stato giuridico del personale e valorizzazione delle rispettive specificità, principi su cui sarà predisposto il nuovo regolamento sul reclutamento del sistema AFAM. Il cantiere si occuperà anche della valorizzazione e valutazione dei titoli artistici, della mobilità studentesca e dei processi di internazionalizzazione dell’offerta formativa.

Cantiere AFAM

Flc-Cgil: Lotta alla dispersione scolastica sia priorità

da tuttoscuola.com

Flc-Cgil: Lotta alla dispersione scolastica sia priorità

La forte riduzione delle risorse contrattuali per le aree a rischio, l’episodicità degli interventi e delle risorse previsti dal Decreto Carrozza (art. 7 del D.L. 104/13), l’utilizzo preponderante dei Fondi Europei aggiuntivi rispetto alle politiche ordinarie, il tentativo di appaltare una parte cospicua degli interventi sulla dispersione a soggetti esterni alle scuole, sono la testimonianza di una politica scolastica sbagliata, inconcludente e a favore degli interessi dei soliti noti“. Lo sostiene Domenico Pantaleo, segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil.

Pantaleo segnala come i dati sulla dispersione scolastica in Italia restino molto gravi: “A fronte della media dell’Unione Europea pari al 12 per cento, in Italia si registra una percentuale di circa il 17 per cento, con punte di oltre il 25% in Sicilia, lontanissima dal target previsto da Europa 2020 di riduzione dell’abbandono al 10%“.

E aggiunge: “Persino l’attivazione del Sistema nazionale di valutazione, che doveva avere come primo obiettivo quello di ridurre i tassi di abbandono scolastico, è stata piegata verso una deriva tutta ideologica fatta di classifiche ed esclusioni. La FLC CGIL chiede che la lotta alla dispersione sia considerata la prima priorità delle politiche scolastiche ‘ordinarie’, sia generalizzata la scuola dell’infanzia, siano stanziate risorse finanziarie ed umane cospicue soprattutto nei territori più in difficoltà, sia affermata la centralità delle istituzioni scolastiche negli interventi di contrasto all’abbandono scolastico, sia ribadita l’aggiuntività delle risorse provenienti dai Fondi Europei. Se anche su questo tema non saranno fornite risposte concrete e attendibili e a fronte  di ulteriori tagli di risorse che il governo intenderebbe effettuare nella legge di stabilità nei settori della conoscenza, continueremo con le iniziative di mobilitazione fino allo sciopero“.

Malala e Satyarthi, un Nobel alla scuola

da tuttoscuola.com

Malala e Satyarthi, un Nobel alla scuola

Malala Yousafzai, studentessa pachistana ora diciassettenne già nota per il suo impegno a favore dell’istruzione soprattutto delle bambine (ragione per la quale subì l’aggressione dei talebani), e Kailash Satyarthi, l’attivista indiano da decenni impegnato con la sua ONG a liberare i bambini dalla schiavitù del lavoro minorile e dell’ignoranza, sono stati insigniti del premio Nobel per la Pace.

Come ha osservato l’autorevole economista e filosofo indiano Amartya Sen (a sua volta premio Nobel nel 1998, ma per l’economia) la scelta effettuata quest’anno dai ‘saggi’ di Oslo “ci ricorda che la scuola è il mezzo principale per combattere ignoranza e sopraffazione”. Insomma è come se il Nobel fosse stato dato alla scuola, come si evince dalla motivazione della scelta dei due personaggi-simbolo, che fa riferimento alla “loro lotta contro la repressione dei bimbi e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione: devono andare a scuola, non essere sfruttati”.

Malala ha commentato a caldo che per lei il premio ricevuto “non è il punto d’arrivo ma l’inizio di una più forte battaglia per i diritti dei bambini allo studio. Ce ne sono 57 milioni che non possono studiare”: un richiamo ai ritardi con i quali si sta provvedendo a livello internazionale all’attuazione dell’iniziativa Education For All (EFA), lanciata nel 1990 e coordinata dall’UNESCO insieme a UNDP, UNFPA, UNICEF e Banca Mondiale.

Nel Forum mondiale di Dakar (2000), convocato per definire un programma operativo, 164 Paesi avevano preso l’impegno di “assicurare, entro il 2015, l’accesso all’istruzione primaria universale obbligatoria, gratuita e di buona qualità per tutti i bambini, in particolare per le bambine, i bambini che vivono in condizioni difficili e quelli che appartengono a minoranze etniche”.

Questo Nobel è anche un richiamo a onorare quell’impegno, largamente disatteso.

Perequazione sostegno fallita

da tuttoscuola.com

Perequazione sostegno fallita

Nella stabilizzazione dei posti di sostegno voluta dalla legge 128 del 2013 è stato anche previsto che con il 2014-15 la percentuale di posti stabilizzati sia uguale in ogni regione.

Ma, come ha rilevato Tuttoscuola, la perequazione non c’è stata e la legge è stata ignorata.

Partendo dai dati elaborati dalla nostra rivista, l’on. Milena Santerini, firmataria dell’emendamento di perequazione regionale, ha presentato un’interrogazione parlamentare alla ministra Giannini per chiedere conto di questa perequazione fallita.

In particolare, la parlamentare rileva che “se il piano triennale di stabilizzazione sta procedendo a norma di legge, con variazioni sostanzialmente non significative, non altrettanto può dirsi, invece, per la perequazione regionale”.

Dopo aver messo a confronto i dati del sostegno stabilizzato del 2013-14 con quelli del 2014-15, l’onorevole ha constatato che “tutte le regioni che disponevano di percentuali di posti stabilizzati al di sopra della media nazionale hanno mantenuto le proprie posizioni di vantaggio”.

Invece di perseguire la perequazione voluta dalla legge, si è avuta una sperequazione.

Rispetto alla media nazionale di posti stabilizzati pari al 73,38% (80.871 posti per il 2014-15 su 110.216 posti di sostegno di fatto del 2013-14) la forbice di sperequazione calcolata è stata tra l’84,89% della Basilicata e il 67,13% del Molise.

L’interrogante ha rilevato che in questo modo 2.406 posti di sostegno stabilizzati (su cui si fanno le nomine in ruolo) sono stati tolti alle regioni sfavorite nel processo di stabilizzazione.

Secondo i nostri calcoli, otto regioni hanno avuto più posti di quelli dovuti: la Campania (887 posti in più), la Sicilia (621), la Puglia (322), la Calabria (225), la Sardegna (190), la Basilicata (122), il Friuli Venezia Giulia (28) e la Liguria (12).

Si tratta appunto di 2.406 posti sottratti alle altre dieci regioni.

Le dieci regioni cui illegittimamente non sono stati assegnati i posti in organico di diritto sono: la Lombardia (926 in meno), il Lazio (642), il Veneto (280), l’Emilia Romagna (185), le Marche (136), la Toscana (87), l’Umbria (54), il Molise (49), il Piemonte (35) e l’Abruzzo (11).

Il duro scontro su ‘La Buona Scuola’

da TuttoscuolaFOCUS

Il duro scontro su ‘La Buona Scuola’

Forse la dialettica interna al Pd è risultata più visibile in queste settimane sul terreno del Jobs Act, con la minaccia ancora non rientrata di una spaccatura sul voto di fiducia al governo (si vedrà alla Camera) ma anche sulla politica scolastica lo scontro è duro.

A una affermazione come quella di Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, che per difendere la renziana ‘Buona Scuola’ mette sotto accusa “la politica che negli scorsi dieci anni ha tagliato invece che investire in istruzione e coloro che si sono chiusi in un dibattito autoreferenziale senza rendersi conto che il mercato del lavoro intanto cambiava e soprattutto cambiavano i ragazzi che oggi hanno un modo diverso di apprendere che esige una vera innovazione didattica”, o a un Luigi Berlinguer che parla del documento governativo come di una “grande occasione”, fa da contraltare la posizione assunta da Mimmo Pantaleo, segretario della Flc Cgil, a cui giudizio “il piano scuola non risponde alle vere criticità della istruzione pubblica” e “si intende piegare la scuola pubblica al mercato e agli interessi delle imprese”.

Quanto alla giornata del 10 ottobre, puntualizza il sindacalista, “La Flc Cgil è stata insieme agli studenti in tutte le piazze per costruire con loro un vero cambiamento del sistema di istruzione e formazione del nostro Paese. Il Governo Renzi invece vuole eliminare i diritti nel lavoro con la cancellazione dell’articolo 18, precarizzare ulteriormente il lavoro, ridurre i salari e continuare a tagliare risorse alla scuola e alle università pubbliche”.

Non si vede quale punto non diciamo di dialogo, ma neppure di contatto, possa esserci tra il Pd di Renzi e un soggetto politico sociale che unisce contro la sua politica scolastica i Cobas, il Partito della Rifondazione Comunista, il Movimento 5 Stelle e alcune organizzazioni studentesche come l’UdS e Rete della Conoscenza che scrivono nei loro siti che “come ne #labuonascuola non c’è una parola su diritto allo studio e lotta alla dispersione scolastica – se non una postilla preoccupante sulla possibilità di ‘finanziarizzare’ tali obiettivi – nell’orizzonte del Governo non c’è alcuna idea che non sia regressiva sulla costruzione di un nuovo ruolo del pubblico nella società”.