Scuola del pèassato non prepara il futuro

SCUOLA DEL PASSATO NON PREPARA IL FUTURO di Umberto Tenuta

CANTO 320 William Heard Kilpatrick, Educazione per una civiltà in cammino, 1926

 

Un secolo è passato.

E noi siamo ancora lì.

Scuola del passato!

Che guarda al passato.

Che oltre il passato non sa andare.

Ma i giovani sono il futuro!

E precorrono la Scuola.

La BUONASCUOLA.

La Scuola del futuro!

Carta di Amalfi e di Fabriano essi ignorano.

In Finlandia hanno abolito la BIRO.

Essi sono già a VIA VOICE.

Dice FLORA che si annoiano.

E che volete, volete ch’essi muoiano?

La Scuola è morta.

I giovani vivono.

Vivono il futuro, nelle loro tasche.

Non li raggiungerete.

Non li raggiungerete mai.

Essi sono sempre una generazione avanti, davanti a voi.

Non sono loro che rincorrono voi.

Affannate pure!

Non li raggiungerete mai.

È destino che i figli uccidano i padri.

EDIPO RE.

Via di scampo al FATO?

L’Amore!

L’Amore materno, l’Amore paterno.

I nostri figli saranno più grandi, più grandi di noi.

Che gioia!

Padre di tanto figlio.

Madre di tanta figlia.

Maestro di tanto Alunno.

Maestra di tanta Alunna.

È così, anche per me.

La mia Alunna sarà più grande di me!

 

POST SCRIPTUM

Mi piacerebbe molto che uno dei miei cinque lettori me ne inviasse il riassunto.

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Occupazione delle scuole: quanti vaniloqui!

Occupazione delle scuole: quanti vaniloqui!

di Enrico Maranzana

Davide Faraone, sottosegretario all’istruzione, ha sollevato un vespaio valorizzando le occupazioni delle scuole: “ Iniziative culturali e sociali, momenti di aggregazione e di partecipazione democratica che, con quelle di oggi, hanno in comune il tema centrale intorno al quale ruotavano: la riforma della scuola di cui anche allora si discuteva».

Il fatto è significativo e inquietante: un inequivocabile sintomo del generale disorientamento e del mancato riconoscimento della mission della scuola.

Traslando la situazione in ambito sanitario se ne coglie la sostanza.

 

Una questione di professionalità

Finalità    

L’apparato ospedaliero tratta i degenti in base a specifici protocolli: la loro condizione di salute è da riequilibrare avendo a riferimento i valori elaborati e esplicitati per l’occorrenza.

 

L’apprendimento, lo sviluppo di capacità e di competenze, sono le linee guida del sistema educativo.

Traguardi dal significato variegato:

  • apprendimento: si tratta dell’acquisizione della conoscenza o della promozione di comportamenti produttivi?
  • capacità: da un lato chi afferma “ho le mani e perciò ho la capacità di suonare il piano” dall’altro lato chi le considera dei processi e ne esplicita l’evoluzione: necessaria premessa alla “Programmazione dell’azione educativa”.
  • Competenze: l’attenzione generale si concentra sull’aspetto certificativo. L’elaborazione strategica delle modalità per la loro promozione è trascurata.

 

Progettazione

Le èquipe mediche operano sui singoli pazienti seguendo le indicazioni terapeutiche che elaborano nel momento del loro ricovero.

 

La progettualità è pratica che la scuola non conosce, sorda al decreto sull’autonomia delle istituzioni scolastiche che l’ha prescritta nel 1999.

Progettare implica:

  • la definizione degli obiettivi,
  • il reperimento e l’organizzazione delle risorse,
  • la formulazione di ipotesi,
  • la concretizzazione delle ipotesi in strategie,
  • l’applicazione delle strategie,
  • l’ottenimento di risultati,
  • la capitalizzazione degli scostamenti obiettivi-risultati.

La progettualità unifica tutti gli insegnamenti: i traguardi formativi, quelli educativi e dell’istruzione sono condivisi.

E’ da abbandonare la gestione scolastica parcellizzata, come dispone la legge del 1974 che ha mutuato dalla scienza dell’amministrazione una struttura organizzativa articolata che incrocia le responsabilità dei soggetti interagenti.

 

Punti di vista

L’identificazione e la prescrizione dei farmaci sono compiute in base alle necessità.

 

Nella scuola la scelta degli ambienti e delle occasioni di apprendimento avviene o per motivi esogeni o per le qualità dei singoli oggetti.

Il Piano nazionale scuola digitale e il coding sono d’esempio: ogni riferimento alle finalità del sistema educativo e ai canoni d’una comunicazione efficace è assente.

Emblematico il caso delle Lim introdotte a difesa della tradizionale, unidirezionale, versativa lezione.

Sul versante comunicativo/tecnologico si consideri il tema “La battaglia di Waterloo”:

  • L’origine, le date, i luoghi, i personaggi, gli effetti sono gli aspetti che qualificano l’attività scolastica.
  • Nel gioco di simulazione sulla battaglia di Napoleone si sollecitano l’analisi del campo, la modellazione, lo formulazione d’ipotesi, la loro concretizzazione in strategie, la validazione delle scelte, l’analisi critica dei piani d’attacco dei due schieramenti: capacità e competenze di cui si sostanzia la finalità del sistema educativo.

Due mondi separati:

  • Il primo descrittivo, finalizzato alla trasmissione d’un sapere statico;
  • il secondo coinvolgente e dinamico che,  utilizzando strumentalmente la  conoscenza, promuove comportamenti produttivi.

L’immagine delle discipline insegnate si dilata: le conoscenze sono correlate ai problemi e ai metodi risolutivi che le hanno generate.

 

 

Sono questi i temi di cui discutono gli studenti che occupano gli istituti prefigurando la scuola riformata?

 

La professionalità dei medici e dei docenti matura in anni di studio e di pratica: con quale preparazione ne possono discutere malati e studenti?

La Finlandia dice addio al corsivo Dal 2016 non si insegnerà più

da Corriere.it

La Finlandia dice addio al corsivo Dal 2016 non si insegnerà più

Una scelta dettata dal pragmatismo: lo stampatello è più veloce e più facile. I dubbi di psicologi e pedagogisti

di Redazione Scuola

Corsivo, addio. La Finlandia, il Paese con uno dei sistemi educativi più avanzati al mondo, ha deciso di mandare definitivamente in soffitta gli arnesi della bella calligrafia che fu dei nostri nonni e genitori e in parte è ancora nostra (per i nostri figli è tutto da vedere!). Da agosto 2016 nessun bambino finlandese imparerà più a scrivere le lettere dell’alfabeto una legata all’altra, ma solo in stampatello, con i caratteri lì belli chiari per tutti, facili da scrivere e soprattutto da leggere. E al posto delle lezioni di calligrafia si imparerà a battere sul computer. Così ha deciso l’Istituto Nazionale di Educazione finlandese: con buona pace dei tanti argomenti e dei tanti studi di psicologi e pedagogisti che dimostrano come il corsivo non sia solo un vecchio arnese ma serva a sviluppare precise capacità cognitive nei bambini.

Negli Stati Uniti il corsivo non esiste già più

La Finlandia non è certo il primo Paese a imboccare questa strada. Negli Stati Uniti, ad esempio, il corsivo non lo usa quasi più nessuno. Quello che sorprende semmai è che a tagliare i ponti con la bella scrittura sia lo stesso Paese che non soltanto primeggia nelle classifiche Ocse-Pisa sulle competenze dei 15enni, ma lo fa in modo «gentile», cioè stando sempre dalla parte dei bambini. Al mondo vi sono altri sistemi scolastici che svettano nei test, prima di tutto le tigri asiatiche. Ma lo fanno a prezzo della serenità dei ragazzi sottoposti a ritmi e pressioni spesso intollerabili. Non è certo il caso della Finlandia che viceversa primeggia proprio grazie a un sistema molto «children friendly». Come spiegare allora questa apparente resa armi e bagagli alle ragioni bieche della tecnologia e di Internet, della messaggistica veloce e sgrammaticata dei social contro una pedagogia più alta che difende le ragioni di quel corsivo che non è solo un retaggio del passato ma uno strumento utile a sviluppare apprendimento e memoria affievolite dall’uso dei mezzi tecnologici?

Scelta pragmatica o ideologica?

La risposta è: pragmaticamente. Le ragioni addotte dall’Istituto Nazionale di Educazione sono improntate «solo» al pragmatismo:scrivere in stampatello, ha spiegato la funzionaria Minna Harmanen, è più veloce e si impara prima. Non è escluso che dietro le motivazioni puramente funzionali vi sia anche un’ostilità ideologica nei confronti del corsivo considerato troppo elitario: lo stampatello garantisce una scrittura meno personale certo, ma sicuramente più democratica. Al di là delle ragioni a favore o contro i due tipi di scrittura, lascia un po’ sorpresi la scelta di eliminare il corsivo per legge, quasi di vietarlo, quando in fondo avrebbe potuto continuare a convivere in pace con lo stampatello, che è già destinato a prendere sempre più piede proprio grazie alle nuove tecnologie.

Nel 2014 spesa italiana per l’istruzione in crescita solo dello 0,6%

da Il Sole 24 Ore

Nel 2014 spesa italiana per l’istruzione in crescita solo dello 0,6%

di Nicola Barone

Non c’è davanti il segno negativo ma per le risorse destinate nel corso del 2014 all’istruzione l’Italia si colloca tra i Paesi europei a minore intensità di crescita. L’aumento nel dettaglio è stato dello 0,6 per cento, a fronte dei due terzi dell’Ue che hanno accresciuto di oltre l’1 per cento il budget. I dati resi noti dal network educativo europeo Eurydice dicono che in totale, nel 2014, i fondi stanziati sono stati 49,66 miliardi, contro i 48,57 miliardi del 2013.

Ma c’è anche chi ha usato la scure
Il rapporto denominato «National Sheets on Education Budgets in Europe 2014» prende in considerazione i 28 Paesi Ue più Norvegia, Islanda, Montenegro e Turchia. In sei hanno
aumentato meno dell’1 per cento il bilancio dedicato all’istruzione (dati aggiornati a giugno 2014): Italia (0,6), Belgio-Fiandre (0,92), Lussemburgo (0,08), Slovacchia (0,37),
Spagna (0,08) e nella media del Regno Unito (0,1). Altri sette Paesi hanno addirittura tagliato questa voce del bilancio, ovvero Belgio-Vallonia (0,07), Repubblica Ceca (3,33), Irlanda (1,53), Austria (2,72), Croazia (1,95), Finlandia (2,39), Galles (1,88). In altri sei Paesi il bilancio è invece aumentato notevolmente: Estonia (6,36), Lettonia (6,91), Nord Irlanda
(5,16), Malta (5,41) e Turchia (7,05).

Al top degli impieghi l’istruzione secondaria
In Italia si è investito maggiormente nell’educazione secondaria (22 miliari e 927 milioni di euro), poi in quella primaria (12 miliardi e 788 milioni) e infine in quella universitaria (8 miliardi e 99 milioni di euro).

 

Al via le Olimpiadi di Italiano: entro il 31 gennaio le iscrizioni delle classi in gara

da Il Sole 24 Ore

Al via le Olimpiadi di Italiano: entro il 31 gennaio le iscrizioni delle classi in gara

di Eugenio Bruno

Cambia la dead line per partecipare alle Olimpiadi di Italiano. Il nuovo termine per le iscrizioni delle scuole superiori interessate è slittato al 31 gennaio 2015. Entro quella data gli istituti interessati dovranno indicare anche gli studenti partecipanti alla fase interna della competizione.

Le novità dell’edizione 2015
Le scuole dovranno iscriversi entro fine gennaio attraverso il portale www.olimpiadi-italiano.it . Tra le altre novità che il ministero dell’Istruzione ha comunicato con la nota prot.n. 7671 del 4 dicembre 2014 spicca la possibilità per ciascuna scuola di iscrivere fino a 25 studenti, in ciascuna delle due sezioni di gara: «Junior» per il primo biennio e «Senior» per secondo biennio e quinto anno. A tal proposito il ministero ricorda che per ogni istituto scolastico di secondo grado è ammessa una sola iscrizione, indipendentemente dagli eventuali diversi indirizzi di studio presenti al suo interno, per un totale massimo quindi di cinquanta partecipanti, provenienti anche da differenti corsi di studio.

I quiz
I partecipanti saranno messi alla prova sui diversi livelli di padronanza della lingua italiana: dalla grammatica alla testualità (ortografia, morfologia, sintassi, lessico, testualità), con riferimento anche agli obiettivi e ai contenuti disciplinari per l’Italiano riportati nelle “Indicazioni nazionali”, per i licei, e nelle “Linee guida”, per gli istituti tecnici e professionali.
Sia le gare d’istituto, che si svolgeranno giovedì 12 febbraio 2015, sia le semifinali regionali, che si terranno esattamente un mese dopo (il 12 marzo), prevederanno domande a risposta chiusa, non soltanto a scelta multipla. Durante la finale – che si terrà il venerdì 10 aprile a Firenze nell’ambito della Giornata nazionale della lingua italiana – saranno previste invece domande a risposta aperta e parti di produzione testuale. Quest’anno i finalisti saranno più numerosi del solito visto che, durante la precedente fase regionale, saranno inseriti tra i finalisti anche i primi tre classificati per ciascun indirizzo di scuola secondaria di secondo grado (licei, istituti professionali, istituti tecnici).

Scuola, molti i dubbi sul piano di assunzioni del governo

da la Repubblica

Scuola, molti i dubbi sul piano di assunzioni del governo

Le 148 mila immissioni in ruolo previste dal progetto dell’esecutivo presentano molte incognite. Problematiche messe in evidenza dalla sentenza della Corte di giustizia europea, dai tecnici del Senato, dalla pronuncia del Consiglio di stato

Salvo Intravaia

Piano di assunzioni dei precari della scuola in salita. Da più parti, le 148mila immissioni in ruolo contenute nella Buona scuola di Renzi sono messe in dubbio. E dopo quelli manifestati da sindacati e addetti ai lavori, anche i tecnici del Senato, che nei giorni scorsi si sono espressi sulla Legge di stabilità, avanzano perplessità sulla possibilità che il governo riesca a portare in porto l’assunzione di tutti i supplenti inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento entro il primo settembre del 2015. Le problematiche sul tappeto sono tantissime, a cominciare dalla recente sentenza della Corte di giustizia europea che condanna il nostro Paese per l’eccesso di incarichi a tempo determinato.

Per finire con la recentissima sentenza del Consiglio di stato che consente a coloro che hanno conseguito il diploma magistrale entro il 2002 di entrare, per il momento con riserva, nelle graduatorie ad esaurimento. E all’interno del Partito democratico si discute proprio di come dare attuazione al Piano contenuto nel programma di riforma presentato dal premier lo scorso 3 settembre. Insomma, che tutti gli inclusi – anche coloro che non hanno mai insegnato un solo giorno – vengano traghettati nel mondo della scuola fra qualche mese comincia ad essere messo in dubbio anche da diversi esponenti dei partiti di maggioranza. Del resto, la situazione del precariato scolastico nazionale è così complessa che pensare di risolverla con semplice un “colpo di spugna” è subito apparso come un azzardo.

Vediamo perché. Gli ultimi a sollevare consistenti dubbi sono i tecnici di Palazzo Madama. Il Piano Renzi stanzia per il 2015 un miliardo di euro e 3 miliardi a partire dal 2016 per assumere i supplenti delle graduatorie ad esaurimento e gli idonei degli ultimi concorsi a cattedra. Cifre che serviranno anche a riconoscere loro la “ricostruzione di carriera” per le supplenze effettuate finora. Ma gli esperti del Senato obiettano che, “per i profili di quantificazione e copertura, considerato che la Relazione tecnica riferisce espressamente che gli oneri si intendono, in parte, prioritariamente da correlare alla spesa da sostenersi anzitutto per il piano delle assunzioni ex novo da effettuare, nonché per far fronte alle ricostruzioni della carriera “economica” delle unità lavorative della scuola, di cui si prevede la stabilizzazione in ruolo”, sia possibile quantificare la spesa.

E precisa che “occorre necessariamente segnalare che la medesima relazione tecnica non fornisce i necessari primi elementi circa la platea interessata dal piano assunzionale e i relativi dati concernenti l’anzianità media maturata dal medesimo personale nel servizio a tempo determinato. Ciò al fine di consentire almeno una prima valutazione, circa l’adeguatezza delle risorse stanziate nel fondo ad assicurarne la integrale copertura finanziaria, con la stima dei costi concernenti la ricostruzione di carriera cui avranno diritto coloro che saranno assunti per effetto della immissione in ruolo”. In altre parole, non è possibile capire se i fondi stanziati dalla legge di stabilità per assumere i precari della scuola, anche se ingenti, basteranno. Ma non solo.

“Sul punto va ad ogni modo segnalato che – continuano i tecnici del Senato – il dossier elaborato dal governo “La Buona Scuola” dato in consultazione ai cittadini reca una dettagliata indicazione della platea dei docenti che si intende stabilizzare e degli oneri che si rendono necessari a tal fine”. “Va tuttavia ribadito – puntualizzano – che tal previsione dovrebbe essere riprodotta in una relazione tecnica certificata che rappresenta l’unico documento che può essere preso a riferimento dell’iter legislativo”. Nel frattempo, l’Alta corte europea ha condannato l’Italia per l’abuso di contratti a tempo determinato nei confronti di supplenti nominati su posti liberi. Una sentenza che però riguarda anche il personale amministrativo, tecnici e ausiliario (Ata) della scuola che il Piano del governo non contempla.

Renzi e la sua squadra potrebbero essere costretti ad assumere decine di migliaia di precari Ata utilizzati per oltre 36 mesi in aggiunta ai 148mila promessi lo scorso settembre. Tra questi, però sono presenti un gran numero di inclusi che non hanno neppure un giorno di supplenza alle spalle. E’ possibile definirli precari della scuola ed assumerli? E come dire loro, in caso contrario, che non se ne fa più nulla? Il risvolto della medaglia è anche rappresentato da un numero imprecisato – qualche migliaio – di supplenti d’istituto che insegnano da anni su posto vacante ma che non sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Per questi soggetti, che non rientrano nelle 148mila assunzioni previste dagli esperti del governo, la sentenza della Corte di giustizia europea prevede l’assunzione in ruolo o un megarisarcimento danni. Che fare?

E dulcis in fundo la sentenza del Consiglio di stato di tre giorni fa che riconosce ai diplomati magistrali entro il 2002 il diritto di entrare in graduatoria. Si tratterebbe di circa 50mila docenti – non previsti dalla Buona scuola – che andrebbero ad allungare le liste dei precari della scuola e che rientrerebbero a pieno titolo nel Piano di assunzioni previsto dal governo per cancellare la vergogna del precariato scolastico italiano. All’interno del Pd è in corso una riflessione sulla questione. “I fondi per assumere 148mila precari della scuola ci sono e le assunzioni verranno fatte”, spiegano da via Sant’Andrea delle Fratte. Ma i 148mila in attesa potrebbero non essere tutti quelli inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Potrebbero anche essere assunti Ata e supplenti che non sono inseriti nelle graduatorie ma che hanno lavorato ugualmente su posto vacante per più di tre anni.

Renzi: noi sulla scuola niente ammuina, ora si cambia davvero!

da La Tecnica della Scuola

Renzi: noi sulla scuola niente ammuina, ora si cambia davvero!

 

Sulla necessità di rinnovare il sistema scolastico, il premier non arretra di un centimetro. Resta da capire quali saranno le prossime mosse, dopo la consultazione popolare sulle linee guida di riforma. Intanto, avalla la linea del ‘delfino’ Faraone sulle occupazioni: non le abbiamo impedite, d’altra parte chi è che non le ha fatte?

Il presidente del Consiglio torna a parlare di istruzione pubblica. Sostenendo che il suo Governo non si è farmato ad esprimere proclami. E sulle proteste degli studenti sembra avallare la linea del dialogo avviata dal suo ‘delfino’ Davide Faraone, che nei giorni scorsi aveva definito le occupazioni scolastiche dei momenti di “grande partecipazione democratica“.

“Non abbiamo impedito le occupazioni, d’altra parte chi è che non le ha fatte?”, ha tagliato corto il premier Renzi intervenendo all’assemblea dei giovani dem. Per poi aggiungere che “abbiamo fatto di più: una grande consultazione (una richiesta generalizzata, durata 60 giorni, sulle linee guida di riforma n.d.r.) e ora si cambia davvero. Non abbiamo fatto ammuina”, ha concluso Renzi facendo così un parallelo con altri Governi che sul tema scolastico si sono spesso fermati ai buoni intenti.

Resta ora da capire quale sarà il destino della ‘grande consultazione’ cui fa riferimento Matteo Renzi. Se il suo staff riuscirà a concliliare la volontà popolare su determinati argomenti chiave – come reclutamento, merito, autonomia e via dicendo – con le esigenze di spesa per il settore scolastico, avrà davvero fatto centro.

La spesa per l’Istruzione rimane stabile: nel 2014 appena +0,6%

da La Tecnica della Scuola

La spesa per l’Istruzione rimane stabile: nel 2014 appena +0,6%

Secondo il network educativo europeo Eurydice, i fondi stanziati per la scuola sono stati di poco superiori rispetto all’anno precedente. Gli investimenti minori per medie e infanzia. Ma in diversi Paesi dei 32 considerati il bilancio è aumentato considerevolmente: Estonia (6,36), Lettonia (6,91), Nord Irlanda (5,16), Malta (5,41) e Turchia (7,05).

L’Italia non taglia il bilancio all’istruzione, ma rimane uno dei Paesi europei ad averlo aumentato meno di tutti nel corso del 2014. L’incremento per le spese scolastiche sostenute nel nostro Paese rispetto al Pil è stato infatti pari allo 0,60 per cento, mentre i due terzi dei Paesi europei lo hanno aumentato di oltre l’1 per cento.

Il desolante confronto è contenuto in un rapporto del network educativo europeo Eurydice, reso pubblico l’8 dicembre. Ebbene, complessivamente nel 2014 i fondi stanziati per la scuola sono stati 49,66 miliardi contro i 48,57 miliardi del 2013.

Secondo il rapporto “National Sheets on Education Budgets in Europe 2014” – che ha preso in considerazione i 28 Paesi Ue più Norvegia, Islanda, Montenegro e Turchia – sei Paesi hanno aumentato meno dell’uno per cento il bilancio dedicato all’istruzione (dati aggiornati a giugno 2014): Italia (0,6), Belgio-Fiandre (0,92), Lussemburgo (0,08), Slovacchia (0,37), Spagna (0,08) e nella media del Regno Unito (0,1). Altri sette Paesi hanno addirittura tagliato questa voce del bilancio, ovvero Belgio-Vallonia (0,07), Repubblica Ceca (3,33), Irlanda (1,53), Austria (2,72), Croazia (1,95), Finlandia (2,39), Galles (1,88).

Ma quel che fa pensare è che in diversi Paesi il bilancio è aumentato considerevolmente: Estonia (6,36), Lettonia (6,91), Nord Irlanda (5,16), Malta (5,41) e Turchia (7,05).

In particolare, in Italia si è investito maggiormente nell’educazione secondaria (22 miliari e 927 milioni di euro), poi in quella primaria (12 miliardi e 788 milioni) e infine in quella universitaria (8 miliardi e 99 milioni). Mentre per scuola media e dell’infanzia gli investimenti risultano davvero ridotti. Per il Governo Renzi, insomma, arriva un’altra gatta da pelare: parlare di rilancio, lasciando gli investimenti per la scuola ridotti al lumicino.

Se il prof non compila il registro elettronico può essere censurato?

da La Tecnica della Scuola

Se il prof non compila il registro elettronico può essere censurato?

È il caso di un docente che proprio non vuole saperne di utilizzare il registro elettronico, e che è stato esortato, dal suo dirigente scolastico, a compilare giornalmente e in tutte le sue parti, il registro elettronico personale.

Il docente in questione non ha alcuna competenza tecnologica e non è mai entrato nel proprio registro online; egli  lamenta anche il cattivo funzionamento del collegamento wi-fi delle aule della scuola e per tale motivo giustifica l’impossibilità tecnica di compilare tale registro.
Ma il dirigente scolastico non vuole saperne di scuse del genere, e sottolinea al docente l’obbligatorietà della compilazione del registro elettronico come se fosse un comune registro cartaceo, invitandolo ad essere collaborativo e ad eseguire la delibera collegiale, che, recependo il principio legislativo della dematerializzazione, dispone il registro elettronico personale come sostitutivo di quello cartaceo.

Il docente disattendendo questa delibera del collegio dei docenti e le successive esortazioni del dirigente, ha invece acquistato, di tasca sua, un registro cartaceo che tiene sempre aggiornato. Il Ds ha anche tentato di convincere il docente a compilare il registro elettronico, anche dopo le ore di lezione, da scuola o da casa.
Ma il docente che non possiede, per libera scelta, nessun cellulare e computer, ha rifiutato categoricamente sostenendo che ciò non gli compete.

A quel punto il dirigente scolastico, avendole provate tutte, ha proceduto nei confronti dell’insegnante con una contestazione d’addebito. Il prof, per nulla intimorito e convinto delle sue buone ragioni, ha argomentato i motivi per cui non utilizza il registro elettronico messo a disposizione dalla scuola. Nella sua difesa il docente cita la nota del Miur n. 1682/U del 3 ottobre 2012, in cui emerge la non obbligatorietà per le scuole di dotarsi di registri elettronici, almeno fino a quando non verrà realizzato il Piano di dematerializzazione da parte del MIUR, che dovrà essere approvato dal Garante per la privacy.

Ad oggi, sostiene nella sua difesa il docente, non è stato realizzato nessun piano di dematerializzazione e sull’utilizzo del registro elettronico ed aleggiano anche problematiche di privacy. Inoltre il docente asserisce che nelle aule i collegamenti on line sono scarsamente funzionanti e che spesso non è tecnicamente possibile collegarsi in rete. Infine il docente sostiene che non si può ritenere accettabile, che sia il prof dalla sua abitazione e con il suo pc ad aggiornare il registro elettronico.
Quindi, per il docente, una delibera del collegio dei docenti, non può essere considerata un obbligo, rispetto a questioni di privacy e di strutture digitali della scuola e funzionanti. Basterà questo ad evitare al docente in questione il procedimento disciplinare con un atto di censura? Speriamo solo che, per il bene di questo docente, la linea internet della scuola funzioni meglio, altrimenti, visto che fra poco è Natale, consigliamo al Ds di regalare un bel tablet a questo docente, con l’augurio che lo usi per compilare quotidianamente il suo registro elettronico.

Sentenza Ue sul precariato, ora tocca ai risarcimenti

da La Tecnica della Scuola

Sentenza Ue sul precariato, ora tocca ai risarcimenti

Nei giorni successivi alla sentenza dei giudici europei “sull’abuso dei contratti a termine, i tribunali del lavoro italiani hanno ripreso, con piu’ veemenza, a condannare lo Stato a cospicue spese risarcitorie: la base di partenza sono 15 mensilita’ di stipendio mancato, pari a circa 25mila euro. Ma non mancano sentenze risarcitorie piu’ sostanziose”. A rilevarlo è l’Anief.

Nei giorni successivi alla sentenza dei giudici europei “sull’abuso dei contratti a termine, i tribunali del lavoro italiani hanno ripreso, con piu’ veemenza, a condannare lo Stato a cospicue spese risarcitorie: la base di partenza sono 15 mensilita’ di stipendio mancato, pari a circa 25mila euro. Ma non mancano sentenze risarcitorie piu’ sostanziose”. Lo afferma l’Anief, secondo cui i giudici si dovranno esprimere pure su scatti di anzianita’, pagamento dei periodi non lavorati tra una supplenza e l’altra. Oltre che, ovviamente, sull’obbligo di costituzione del rapporto a tempo indeterminato. Con un danno iniziale per le casse pubbliche di 6 miliardi di euro, sottolonea l’agenzia Agi.

Per Marcello Pacifico, di Anief-Confedir, “i senatori possono limitare il danno all’erario oggi stesso, entro le 18, presentando adeguati emendamenti alla Legge di Stabilita’ 2015. Continuare a far finta che il 26 novembre a Lussemburgo non sia accaduto nulla, non fara’ altro che moltiplicare in modo esponenziale il contenzioso tra i lavoratori e lo Stato. Con la particolarita’ che stavolta gia’ sappiamo chi e’ il vincitore”. Per questo l’associazione sindacale invita a presentare ricorso tutti coloro che hanno i requisiti, “per assicurarsi di essere immessi in ruolo e vedersi corrispondere un risarcimento adeguato” alla mancata assunzione dopo i 36 mesi di supplenze su posti vacanti, come indicato dalla sentenza europea.

“In attesa che chi ci governa venga finalmente illuminato sulla via di Damasco disapplicando quelle leggi che hanno prodotto il problema del precariato endemico nella scuola come in tutta la pubblica amministrazione – insiste Pacifico – le azioni giudiziarie rimangono l’unico strumento per costringere il Governo a dare effettivita’ a quanto deciso dalla sentenza tombale del 26 novembre: un’espressione europea che – conclude il presidente Anief – ha messo la parola fine alla stagione della negazione dei diritti fondamentali dei lavoratori precari”. (AGI) .

Precari e sentenza europea: non inviare richieste di certificazione

da La Tecnica della Scuola

Precari e sentenza europea: non inviare richieste di certificazione

La Sentenza della Corte europea del 26 novembre scorso ha riacceso naturalmente notevole entusiasmo tra i precari della scuola. Ma restano molti dubbi sull’iter da seguire adesso per ottenere finalmente il riconoscimento dei propri diritti.

Una questione fondamentale è quella della prestazione d’opera su posti effettivamente vacanti. In particolare, taluni sindacati stanno già divulgando delle istanze da inoltrare a tutte le ex scuole di servizio per ottenere la certificazione del carattere vacante del posto a suo tempo occupato (cioè la mancanza di titolare); con ciò ritenendo di poter provare la mancanza di ragioni temporanee di sostituzione e, quindi, il carattere abusivo del termine apposto al contratto..
A tal proposito giunge un’interessantissima nota dell’avv. Catanese Fabio Rossi a chiarire la questione. Secondo il legale “tale procedura potrebbe rilevarsi, tuttavia, del tutto inutile e, anzi, controproducente rispetto al buon esito del contenzioso intrapreso o da intraprendere.”
Questo perchè “bisogna fare attenzione a non avallare una lettura della sentenza come, a priori, ostativa al riconoscimento dei diritti dei precari utilizzati, magari anche oltre il decennio, su posti non vacanti. Difatti, le conclusioni della Corte di Giustizia, dichiarative dell’abusività della condotta posta in essere dallo Stato italiano, fanno espresso riferimento ai soli posti vacanti soltanto perché sotto tale specifico profilo era stato richiesto il suo intervento da parte della Corte Costituzionale (quest’ultima a sua volta in tal senso mossa dalle specifiche fattispecie poste al suo esame e dalla specifica formulazione delle relative questioni di costituzionalità da parte dei giudici di merito).”
In realtà la Corte europea  ha ritenuto che la mancata previsione di tempi certi per l’espletamento dei concorsi e, allo stesso tempo, la disponibilità dell’ulteriore strumento di reclutamento individuabile nelle graduatorie ad esaurimento (già graduatorie permanenti) dimostrino, di per sé, l’abusività dei contratti a termine. E non solo di quelli annuali, ma anche per quanto riguarda le esigenze sostitutive di personale di ruolo temporaneamente assente; quindi con riferimento agli incarichi di supplenza conferiti su posti non vacanti.
Anche in tal caso, continua l’avv. Rossi,  se le esigenze sostitutive, nel loro complesso considerate, si prolungano per anni e anni (anzi, decenni) ciò diviene prova inconfutabile di un pretestuoso sottodimensionamento dell’organico e, quindi, del carattere abusivo della relativa condotta.
In sostanza, se l’Amministrazione scolastica sa con certezza di necessitare, fisiologicamente, di un certo contingente di personale per le supplenze (a causa di malattie, gravidanze, aspettative ed altri motivi di assenza del personale di ruolo) non vi è ragione di non istituzionalizzare la relativa dotazione organica aggiuntiva (costringendo, invece, tantissimi lavoratori ad un infinito stato d’incertezza occupazionale); che, poi, è quello che finalmente (e, non a caso, dopo i pressanti rumors provenienti dal Lussemburgo) sembra si sia indirizzati a fare con la previsione del c.d. organico funzionale.
D’altro canto, è la stessa Corte ad avere stigmatizzato in generale, nella sentenza del 26 novembre, l’eccessiva presenza di personale precario nelle scuole italiane: “A seconda degli anni e delle fonti, risulta che circa il 30%, o addirittura, secondo il Tribunale di Napoli, il 61%, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole statali sia impiegato con contratti di lavoro a tempo determinato e che, tra il 2006 e il 2011, il personale docente di tali scuole vincolato da siffatti contratti abbia rappresentato tra il 13% e il 18% di tutto il personale docente di dette scuole. A tale riguardo, va ricordato che, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”.
In un altro passaggio della pronunzia (par.112) viene, poi, ricordato come le disposizioni europee prevedano efficaci strumenti di limitazione del precariato, mediante la previsione di un periodo massimo di lavoro a tempo determinato ovvero di un numero massimo di rinnovi contrattuali (a prescindere, perciò, dalla tipologia di posto o dalle esigenze sottese alla sua copertura); ciò che, tuttavia, la Corte ha accertato non essere stato attuato dallo Stato italiano.
Quindi, è il sistema di reclutamento del personale scolastico, nel suo complesso, ad essere stato censurato dai Giudici di Lussemburgo; con rilievi che, senz’altro, travalicano la specifica casistica dei posti vacanti occasionalmente rimessa al suo esame.
L’insussistenza di un limite di tutela confinato ai soli posti vacanti si ricava, peraltro, anche da precedenti sentenze della Corte europea. Basta ricordare la sentenza Kukuk del 26/1/12, ove è stato chiaramente rimarcato come, ove anche sussistano ragioni di carattere sostitutivo (quindi, in caso di posti non vacanti), il carattere abusivo o meno della relativa condotta datoriale va valutato alla luce di “tutte le circostanze del caso concreto, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro”.
E anche la Corte Costituzionale italiana, ove tornerà il contenzioso dopo la pronunzia europea del 26 novembre, in tema di ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato per ragioni sostitutive, ha sempre preteso che lo stesso si esplichi “entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore” (ex multis, Corte Cost. sentenza 214/09). Ciò che non avviene nel caso del precariato scolastico, per il quale non è previsto alcuno specifico limite percentuale rispetto al personale di ruolo.
E’ dunque necessario, alla luce di tali considerazioni, richiedere la certificazione della tipologia di posto su cui si è prestato servizio? Occorre rilevare che – secondo il consolidato orientamento dei giudici nazionali (ivi comprese la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale) e della Corte di Giustizia Europea, ma, ancor prima, sulla scorta di specifiche disposizioni interne (ad esempio, l’art.1 comma 3 D.Lgs. 165/01) – per la validità del termine finale del rapporto di lavoro non basta che sussista una (effettiva) ragione giustificatrice ma la stessa deve, altresì, essere chiaramente e specificamente indicata in contratto (per evidenti ragioni di trasparenza e di tutela dell’affidamento dei lavoratori).
Se, quindi, il docente (o A.T.A. che sia) è in possesso di contratti di lavoro ove non si fa espresso riferimento alla finalità di sostituzione di un altro dipendente, lo stesso non è tenuto a dimostrare alcunché.
Conclude l’avv. Rossi:  “La richiesta di certificazione alle scuole, oltre ad ingolfare le segreterie e a rallentare inevitabilmente il corso dei giudizi (tra omissioni, dinieghi e risposte ambigue), ingenererebbe, soprattutto, il pericoloso equivoco che debba essere il lavoratore a fornire la prova (che spesso sarebbe una vera e propria probatio diabolica) circa la tipologia di posto su cui è stato occupato e la sussistenza o meno di ragioni sostitutive a carattere eccezionale e temporaneo.”
Niente richieste dunque. Non c’è bisogno di provare un bel niente. E’ tutto chiaro come il sole. Per decenni i precari della scuola sono stati sfruttati dallo Stato italiano.

Come il colesterolo, o quasi

Come il colesterolo, o quasi

di Cosimo De Nitto

 

Il pensare e la comunicazione sociale vivono di stereotipi. Ma “gli stereotipi sono (quasi) come il colesterolo“*. Ce ne sono di positivi che aiutano a vivere, ce ne sono di negativi che non ti aiutano a capire la realtà, soprattutto quando questa è complessa.

Un esempio che mi viene naturale quando si chiacchiera di scuola è quello che si riferisce a opinioni ed espressioni precostituite, generalizzate, meccaniche e banalizzate che si esprimono sulla base di pregiudizî negativi riferiti a gruppi professionali, nel nostro caso alla categoria degli insegnanti.

Me ne vengono in mente alcuni:

1) gli insegnanti sono conservatori (non lo sono più di quanto siano rivoluzionari, stereotipo opposto  che li vuole tutti sessantottini, contestatori del sistema, saccopelisti, egualitaristi ecc. E poi questa conservazione sarebbe politica, culturale, comportamentale, professionale, o che?);

2) gli insegnanti sono corporativi (forse non c’è categoria più atomizzata e frammentata politicamente, sindacalmente, ideologicamente, culturalmente);

3) gli insegnanti odiano le nuove tecnologie (quelle che hanno per la maggior parte se le sono comprate con i soldi propri e spesso sono costretti a fruirle da casa perché i laboratori, se ci sono, sono carenti, la dotazione personale inesistente, le macchine a scuola sono antiquate e spesso prive di manutenzione adeguata e tempestiva);

4) gli insegnanti pensano solo a svolgere il programma (rappresentazione dal valore realistico e attuale quanto quelle delle favole antiche. E poi, quale programma? quello ministeriale? quello del pof? quello di classe? quello individuale?…);

5) gli insegnanti non vogliono aggiornarsi (ma se sono costretti a pagare di tasca propria e col proprio tempo l’aggiornamento in assenza di un serio piano ministeriale e soprattutto in assenza di fondi che sono sempre i primi ad essere tagliati?);

6) gli insegnanti non voglio essere valutati (ma se i fini della valutazione sono punitivi per alcuni e premiali per altri, se gli strumenti usati non sono convincenti né esaurienti e condivisi, se i valutatori sono figure non definite, il buon senso, non il senso comune, vuole che essi respingano il principio della discriminazione negativa non certo quello della valutazione);

7) gli insegnanti sanno e vogliono solo fare lezione frontale (dove, nella scuola dell’infanzia o primaria? chi, i docenti che hanno solo due ore settimanali di lezione? La lezione frontale nella maggior parte dei casi non ha alternativa, è necessitata dal sistema complessivo, se si vuole un’alternativa bisogna cambiare modello di scuola. E poi, dove sta scritto che la lezione frontale è causa della crisi della didattica? Conta o no come essa è svolta? Conta o no il “clima” e l’”ambiente” costruito intorno? Dove sono gli alunni che rifiutano per principio la “spiegazione” o la “trattazione” dell’insegnante? ecc. ecc. Dove sta scritto che laboratorio e lezione frontale sono alternativi, e se ci fosse bisogno di entrambi in situazioni specifiche che li richiedano e per le quali una volta è più opportuna l’uno, altre volte è più opportuna l’altra? ecc. ecc.).

Tralascio per carità di patria altri luoghi comuni e stereotipi che sono talmente offensivi nei confronti degli insegnanti e privi di fondamento che considero un torto all’intelligenza e al buon senso il solo riportarli, come la favola metropolitana delle 18 ore di lavoro, i due mesi di ferie ecc. ecc.

Gli stereotipi, diversamente dal colesterolo cattivo, nella maggior parte dei casi non ammazzano le persone, per fortuna, e la realtà sopravvive loro, anche se offuscata dal pregiudizio.

Lo stereotipo è una sorta di pigrizia mentale che fa venir meno la discriminazione critica, la distinzione, la precisione con cui ci si riferisce alla realtà di fatto, l’equilibrio valutativo e il giudizio su fenomeni la cui complessità non può tante volte essere ridotta e sincopata in una formuletta semplice semplice, magari comoda perché non farà lavorare tanto il cervello.

 

*Il riferimento è al simpatico articolo di Annamaria Testa su Internazionale.it “Stereotipi e colesterolo

Decreto Interministeriale 9 dicembre 2014, n. 893

Determinazione del costo standard unitario di formazione per studenti in corso, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49. (15A00300) (GU Serie Generale n.16 del 21-1-2015)

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

di concerto con

il Ministro dell’Economia e delle Finanze

VISTA la legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni;

VISTO il decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 121 relativo all’istituzione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;

VISTA la legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modificazioni, recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”, ed in particolare l’articolo 5:

A. c. 1, lett. a) e c. 3, lett a, il quale prevede la “introduzione di un sistema di accreditamento .. dei corsi di studio universitari …,  fondato  sull’utilizzazione di specifici  indicatori definiti ex ante dall’ANVUR per la verifica del possesso  da  parte  degli Atenei di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione  dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico-finanziaria”;

B. c. 1 , lett. b, e c. 4, lett. f, il quale prevede la “introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’Università, cui collegare l’attribuzione di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge  10  novembre 2008,  n.  180, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  9 gennaio 2009, n. 1″;

VISTO il d.leg.vo 27 gennaio 2012, n. 19, in attuazione della delega di cui al sopraindicato punto A);

VISTO il Decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49 che dà attuazione, fra l’altro, alla delega di cui al sopraindicato punto B, ed in particolare l’articolo 8 comma 2, il quale prevede che “la determinazione del costo standard per studente è definita con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministero  dell’economia e delle finanze, sentita l’ANVUR, …considerando le voci di costo relative a:

a) attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione  di personale docente  e  ricercatore  destinato  alla  formazione  dello studente;
b) servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico- amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente;
c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;
d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate   alla tipologia degli ambiti disciplinari;

VISTO il Decreto interministeriale 21 luglio 2011, n. 313 – Trattamento economico  spettante  ai  titolari  dei  contratti per attività di insegnamento in cui si prevede che per ogni ora di insegnamento l’importo massimo attribuibile sia pari a euro 100, per ciascuna ora  di insegnamento, al   netto degli oneri a carico dell’amministrazione;

RITENUTO CHE la definizione del costo standard relativamente alle voci di costo di cui alle lett. a) e b) debba avere come riferimento gli indicatori per l’accreditamento dei corsi di studio; mentre per quanto riguarda le voci di costo di cui alle lett c) e d) si debba fare riferimento soltanto a standard complessivi di Ateneo;

CONSIDERATO che, anche in relazione all’analisi delle caratteristiche dei diversi corsi di studio e con particolare riferimento al diverso peso dei Crediti formativi in termini di numero medio di ore di didattica frontale, ore di laboratorio e ore di studio autonomo, sia necessario classificare i corsi di studio aventi caratteristiche omogenee in aree disciplinari;

CONSIDERATO che al fine di consentire agli studenti di poter disporre di un adeguato livello di servizi in termini di docenza di riferimento e di servizi amministrativi, didattici e strumentali, riconducibile a criteri di efficienza nell’impiego delle risorse e standard quantitativi omogenei a parità di area disciplinare, si rende necessario definire un numero di studenti di riferimento per area disciplinare;

CONSIDERATO che il costo standard unitario di formazione per studente in corso di cui al presente decreto rappresenta un valore di riferimento che, rispetto alle voci di costo utilizzate, non incorpora tutti i costi sostenuti dall’ateneo ma esclusivamente quelli che secondo un approccio uniforme a livello nazionale sono riconducibili a standard predefinibili;

TENUTO CONTO delle analisi dei dati relativi al triennio 2010 – 2012 desunti dalle banche ministeriali relative agli studenti, ai bilanci e al personale delle Università;

CONSIDERATO che tali standard sono finalizzati a consentire un’equa valorizzazione degli studenti in corso tenendo conto del contesto economico e territoriale in cui è collocata l’Università e a definire un criterio oggettivo per l’attribuzione di una percentuale della quota del Fondo di finanziamento ordinario non attribuita con finalità premiali;

VISTO il parere dell’ANVUR in data 17 ottobre 2014;

DECRETA

Art. 1
Definizione di studente in corso

  • 1. Ai fini del presente decreto, il concetto di studente in corso è riferito alla condizione di studente iscritto entro la durata normale del corso di studi. A tal fine sono considerati  esclusivamente gli studenti regolarmente iscritti nell’Ateneo da un numero di anni complessivi non superiore alla durata normale del corso frequentato.
  • 2. Gli studenti iscritti part – time sono considerati in relazione alla maggiore durata normale del loro percorso e con peso pari a 0,5.

Articolo 2
Metodologia e Costi considerati nel calcolo del costo standard

  • 1. In attuazione di quanto disposto dall’articolo 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, la determinazione del costo standard unitario per studente in corso è definita secondo le modalità e includendo le voci di costo indicate ai successivi commi 2 e 3. I parametri relativi alla quantificazione di tali voci di costo sono riportati nell’allegato 1 al presente decreto, che ne è parte integrante.
  • 2. I costi relativi alle voci di cui all’art. 8, c. 2, del d.leg.vo 49/2012, lett. a) e b), sono determinati con riferimento a ciascuna delle tre Aree disciplinari (medico-sanitaria, scientifico-tecnologica ed umanistico-sociale) e a ciascuna classe di corso di studio di cui alla Tabella 1 che prendono in considerazione la numerosità di riferimento degli studenti in corso, secondo quanto di seguito indicato:
    • a) Attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente
      • 1) Costo del personale docente, riferito alla numerosità standard di Professori di I e II fascia e di ricercatori di cui alla Tabella 2 avendo come parametro stipendiale di riferimento il costo medio caratteristico dello specifico ateneo del Professore di I fascia.
      • 2) Costo della docenza a contratto, riferito alle ore di didattica integrativa aggiuntiva pari al 30% del monte ore di didattica standard attribuito alla docenza di cui al punto 1), rispettivamente pari a 120 ore per i Professori e 60 ore per i ricercatori. Le ore di didattica integrativa a contratto sono parametrate rispetto a un costo orario di riferimento uniforme a livello nazionale fissato per il triennio 2014 – 2016 in € 100,00 lordo dipendente, pari a un costo orario standard di € 132,7 comprensivo degli oneri a carico dell’ateneo.
    • b) Servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente.
      • 1) Il costo standard di tali servizi è fissato al 37,5% del costo medio caratteristico di ateneo del Professore di I fascia moltiplicato per la dotazione di docenza di cui alla Tabella 2, colonna e.
  • 3. I costi relativi alle voci di cui all’art. 8, c. 2, del d.leg.vo 49/2012, lett. c) e d) sono determinati in termini complessivi di Ateneo, secondo quanto di seguito indicato:
    • c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari.
      • 1) La quantificazione del costo standard è ottenuta attraverso la formula di cui all’allegato 1, che tiene conto della dimensione dell’Ateneo, della numerosità di studenti in corso e della tipologia di corsi cui sono iscritti rispetto alle Aree disciplinari di cui alla Tabella 1, dei costi di cui alla Tabella 3.
    • d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari.
      • 1) Numero di collaboratori ed esperti linguistici a tempo determinato e a tempo indeterminato: ad ogni unità di personale in servizio è attribuito un costo medio pari al 10% del costo medio caratteristico di sistema di 1 Professore di I fascia;
      • 2) numero di figure specialistiche nelle classi di laurea magistrale a ciclo unico di Scienze della formazione primaria e di Conservazione e restauro dei beni culturali, nel numero di 5 per corso in rapporto alle numerosità di riferimento delle relative classi. Ad ogni unità di personale è attribuito un costo medio pari al 10% del costo medio caratteristico di sistema 1 Professore di I fascia;
      • 3) numero di tutors per i corsi di studio a distanza, nel numero di 3 per i corsi di laurea, 2 per ii corsi di laurea magistrale e 5 per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico in rapporto alle numerosità di riferimento delle relative classi. Ad ogni unità di personale è attribuito un costo medio pari al 10% del costo medio caratteristico di sistema 1 Professore di I fascia.

 

Articolo 3
Perequazione del costo standard

  • 1. Al fine di tenere conto dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui ogni Università si trova ad operare, al costo standard per studente in corso, viene aggiunto un importo di natura perequativa, identico per tutte le Università aventi sede nella medesima Regione, parametrato alla diversa capacità contributiva per studente della Regione ove ha sede l’Ateneo, sulla base del reddito familiare medio (al netto dei fitti imputati) rilevato dall’ISTAT.
  • 2. L’importo di cui al comma 1 corrisponde alla differenza tra il contributo standard regionale massimo per studente in corso, riferito alle Regione con reddito  familiare medio più elevato, e il contributo standard regionale per studente in corso della Regione in cui ha sede l’ateneo, secondo quanto indicato nell’Allegato 2 al presente decreto, che ne è parte integrante

 

Articolo 4
Determinazione del costo standard unitario di formazione per studente in corso

  • 1. Il Costo standard unitario di formazione per studente in corso di ogni ateneo è determinato sulla base di quanto indicato agli articoli 1, 2 e 3  secondo la formula di cui all’allegato 3 al presente decreto che ne è parte integrante.

Articolo 5
Calcolo e aggiornamento del costo standard

  • 1. Il calcolo del costo standard unitario di formazione per studente in corso relativo a ciascun Ateneo, determinato secondo quanto indicato agli articoli 1, 2,  3  e 4 del presente decreto, viene pubblicato sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca entro il mese di marzo di ogni anno, sulla base dei dati relativi all’anno accademico e all’anno solare precedente con riferimento a:
    • numero degli studenti in corso rilevati nell’Anagrafe nazionale degli studenti e pubblicati sul sito del Servizio Statistico del MIUR;
    • costo medio caratteristico di ateneo e di sistema dei Professori di I fascia;
    • costi di cui all’articolo 2, comma 3, lettere c) e d).I dati relativi alla capacità contributiva degli studenti di cui all’art. 3 sono aggiornati con cadenza triennale.
  • 2. Relativamente all’anno 2014 il calcolo del costo standard unitario di formazione per studente in corso viene pubblicato contestualmente all’assegnazione del Fondo di finanziamento ordinario.

 

Articolo 6
Disposizioni finali

  • 1. Il presente decreto trova applicazione per le Università statali, con l’esclusione degli Istituti ad ordinamento speciale.
  • 2. Secondo quanto previsto dall’art. 5, c. 4, lett. f., della legge n. 240/2010 e dall’art. 2, c. 1, lett. d, del d.leg. vo n. 49/2012, agli standard di costo individuati nel presente decreto è parametrata l’attribuzione di una percentuale della parte del Fondo di Finanziamento Ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del  decreto-legge 10 novembre  2008,  n.180, convertito,  con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1.
  • 3. Le disposizioni di cui al presente decreto si intendono riferite al triennio 2014-2016 e sono comunque confermate anche per gli anni successivi fino all’emanazione del decreto di modifica delle medesime.

 

Il presente decreto è trasmesso alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità e al competente Ufficio Centrale di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità contabile, ed è altresì pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

(trasmesso alla Corte dei Conti e all’Ufficio centrale di Bilancio)

Registrato dalla Corte dei Conti il 17 dicembre 2014 – Foglio n. 5589
Roma, 9 dicembre 2014

IL MINISTRO DELL’ ISTRUZIONE,
DELL’ UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
f.to Stefania Giannini

IL MINISTRO
DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
f.to Pier Carlo Padoan

 


Nota 9 dicembre 2014, AOODGPER Prot. n. 18522

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale Personale della Scuola

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI

Nota 9 dicembre 2014, AOODGPER Prot. n. 18522

Oggetto: Formazione in servizio dei Dirigenti scolastici.