Le Regioni e il “Sistema educativo professionalizzante”

Le Regioni e il “Sistema educativo professionalizzante”

di Gian Carlo Sacchi

Merita una particolare attenzione un documento della Conferenza delle Regioni del dicembre scorso che cerca di disegnare un profilo del nostro “sistema educativo professionalizzante”. L’interesse nasce da una serie di fattori: è la prima volta che in tempi recenti le Regioni motu proprio si pronunciano sul sistema educativo nel suo complesso, perlopiù hanno espresso pareri o stipulato intese per iniziativa governativa; sono tornate a far sentire la loro voce in un momento in cui le riforme istituzionali sembrano diminuire i loro poteri: le “competenze concorrenti” sono sparite dal nuovo testo costituzionale, da un lato l’ordinamento scolastico rimane saldamente nelle mani e dello stato, e, dall’altro, il ministro Poletti ritiene di dare maggiore organicità alla formazione professionale attraverso la sua nazionalizzazione, non limitandosi al già esistente repertorio delle qualifiche. Per le Regioni il sistema è educativo professionalizzante forse non solo per mantenersi nell’ambito delle proprie attribuzioni, ma perché l’interesse prevalente a questo livello è quello del lavoro e dell’occupazione.

Il riferimento è a Europa 2020 ed alle previsioni circa la domanda di professionalità ad alto livello di qualificazione che in altri Paesi arriva direttamente dal canale professionale, mentre da noi si raggiunge soprattutto passando per i licei. Qui c’è una questione dirimente: qual è il ruolo che viene attribuito in termini di obiettivi formativi, di esiti occupazionali e di governance alla “istruzione e formazione professionale” indicata dalla Costituzione come competenza esclusiva delle regioni stesse. Il governo nazionale con il documento sulla “buona scuola” sembra non affrontare con chiarezza il problema, è più disponibile a piegare tutto il sistema formativo verso il mondo del lavoro, anticipando le scelte professionalizzanti e riportando le competenze di governo, come si è detto, verso lo stato nazionale, piuttosto che riorganizzare i diversi segmenti del sistema, magari trasferendo gli istituti statali del settore alle regioni, evitando però la polarizzazione con i licei e mantenendo le relazioni, soprattutto in termini di risultato, tra competenze generali e professionali. Dove poi vadano collocati gli istituti tecnici è un problema tutto italiano, in riferimento ai profili che gli stessi devono sviluppare a scala nazionale soprattutto in relazione con la grande impresa.

L’ambiguità che dovrebbe essere risolta è proprio quella della confluenza di diversi indirizzi e modalità di governance nel momento in cui si debbono attribuire qualifiche riconosciute anche a livello europeo e costruire percorsi territoriali ad alta qualificazione (ITS, Poli Tecnici) che vadano in aiuto perlopiù alle piccole e medie imprese. Il nuovo Senato delle autonomie potrebbe essere un luogo adatto a presidiare tale complesso sistema e proprio per questa ragione la divaricazione di competenze istituzionali renderebbe difficile una gestione integrata dei curricula utile non solo all’occupabilità, ma alla crescita delle persone, allo sviluppo delle competenze ed alla formazione continua.

A proposito di centralismo c’è da notare che nel decreto così detto “collegato per il lavoro” si riportano allo Stato le “politiche attive per il lavoro”, oltre al predetto ordinamento scolastico, e compare l’istituzione di un’agenzia nazionale per l’occupazione e la gestione dei servizi per l’impiego. Tali politiche, precisa il decreto, si occuperanno di attivazione dei soggetti che cercano lavoro….al fine di incentivare la ricerca di una nuova occupazione secondo percorsi personalizzati…..A regioni ed enti locali la programmazione sul territorio.

Istruzione e formazione professionale, un sistema frammentato, sia per i riconoscimenti delle qualifiche, sia per la qualità delle prestazioni e questo lo si vede da un lato con il tentativo di arginare la dispersione mediante la formazione professionale regionale e l’apprendistato (il 73% dei dispersi, rileva il documento regionale, proviene da quegli indirizzi scolastici), e, dall’altro, dalla sgangherata collaborazione tra istituti professionali ed enti di formazione regionali per quanto riguarda le qualifiche triennali.

L’ISFOL rileva che questi livelli di preparazione sono più facilmente spendibili nel mondo del lavoro e quindi più richiesti, come prima scelta, da quelle famiglie che, complice anche la crisi economica, rinunciano a percorsi di studio più lunghi.

La proposta ordinamentale delle Regioni è di unificare l’istruzione tecnica e professionale, con un primo livello di qualificazione dopo il terzo anno, arrivare al quarto già presente nell’IFP, prevederne un quinto come IFTS, per proseguire poi con ITS/università. Questo potrebbe avvicinarsi all’idea di concludere la scuola superiore a 18 anni, di rinforzare il carattere terziario non accademico, di guadagnare diverse opportunità lavorative anche europee. Può trattarsi di scuola a tempo pieno o a tempo parziale con contratti, come avviene in Germania, di apprendistato retribuito, finalizzati al completamento del percorso formativo. Il tutto seguito dall’aumento delle ore destinante alle materie professionalizzanti, ai laboratori, per creare un solido ancoraggio con la vocazione del territorio. E da qui, come si è detto, lanciare la formazione permanente, come sequenza di opportunità di uscite e rientri tra formazione e lavoro.

il tanto decantato modello tedesco tiene ben distinte la formazione liceale da quella professionale, mentre noi dobbiamo ancora capire se la buona scuola sia quella completamente funzionale all’economia, e su quest’ultimo versante molta strada resta ancora da compiere per quanto riguarda la continuità verticale fino ad arrivare alle più alte qualificazioni (messa a sistema degli ITS) e quella orizzontale nei rapporti tra scuola e imprese (dare impulso alle varie forme di apprendistato). A tenere questa impalcatura i tedeschi hanno alle spalle una storica pedagogia del lavoro ed un grosso impegno, anche finanziario, delle aziende private. il Confronto con la nostra realtà è piuttosto evidente. I numerosi pronunciamenti di Confindustria sulle riforme della scuola non mettono in campo risorse dirette, ma chiedono investimenti pubblici, che nelle regioni più avvedute hanno visto nascere i poli tecnici.

Dall’altra parte la governance della nostra scuola non facilita certo rapporti efficaci con il territorio: autonomia degli istituti, flessibilità dei curricoli, modifica delle classi di concorso per i docenti, organici funzionali, reti territoriali, di cui si parla nel documento delle regioni sono condizioni già note da tempo ma mai compiutamente realizzate.

Parlare di “costi standard” anche per il settore scolastico significa avere una visione federalista, di cui però c’è ragione di dubitare; in quest’ottica il compito dello Stato è quello di definire i “livelli essenziali delle prestazioni” per la garanzia dei diritti sociali, cosa che non sembra essere tra le preoccupazioni della politica.

E’ interessante cogliere la necessità di consolidare un’efficace azione orientativa che nella scuola deve riprendere la dimensione della crescita personale ed ispirare la valutazione: non serve infatti ripristinare una selezione che porta a sacche di abbandono che risultano essere di peso per la società, ma per ognuno bisogna cercare la strada giusta, che non è semplicemente un rapporto meccanicistico tra domanda e offerta o un apprendistato precoce, se non vogliamo che le politiche attive del lavoro siano destinate quasi esclusivamente al riorientamento.

Istruzione e formazione professionale hanno bisogno di un forte rinnovamento nella organizzazione pedagogica e didattica: se un tale intervento avrà successo sul piano occupazionale non dipende direttamente dalla “vision” formativa, ma il valore aggiunto nel lavoro è il lavoratore e la cura delle sue capacità non solo professionali, ma personali e di cittadinanza. Ed è bene che siano le Regioni a ripartire perché in questi anni si è avuta l’impressione che tranne alcune eccezioni, giocassero di rimessa nei confronti dello stato, e la qualità formativa ne abbia risentito. Un rinnovato rapporto tra competenze generali e professionali, che non vuole rieccheggiare modelli scolastici considerati obsoleti, dato anche l’alto tasso di abbandono, ha bisogno di ricerca e di innovazione, ma anche la comunità scientifica su questo fronte, a parte certi enti di tradizione pedagogica, non sembra particolarmente impegnata. Indagini effettuate dicono che i risultati formativi sembrano migliori nei centri di formazione accreditati che negli istituti professionali.

Siamo ad un bivio: da una parte si vuole configurare un nuovo asse tecnico-professionale su tutto il territorio nazionale che gradualmente lascia scomparire quella che oggi è la formazione professionale regionale, dall’altra si può pensare ad istituti statali e centri regionali insieme per una nuova istruzione e formazione professionale, indicata dalla riforma della Costituzione come competenza esclusiva delle regioni stesse.

Ma quello che un po’ sconcerta è che negli anni settanta del secolo scorso le Regioni avevano un gran fretta di entrare in possesso di tale competenza, oggi sembra che il loro atteggiamento coincida con quello citato del ministro Poletti. Il documento in discussione chiede una funzione di coordinamento e di responsabilità dello stato anche in questo settore come parte del sistema nazionale di istruzione, in modo che quello che resta si limiti a qualcosa di molto più simile alla formazione aziendale, di supporto all’apprendistato, alla riconversione professionale, ecc. Sarà una questione economica o si dichiara fallimento sul piano del governo del sistema da parte delle realtà regionali ? L’allarme lanciato dalle Regioni sul finanziamento dell’istruzione e formazione professionale, o meglio di un sistema ancora a pezzi, basato su intese con il ministero dell’istruzione, che nonostante venisse previsto nel 2001 ancora non si riesce a costruire in modo organico, dimostra da un lato che il federalismo fiscale viene progressivamente svuotato, con buona pace del movimentismo impresso dagli enti locali su tutto il capitolo risorse, dall’altro che lo Stato in questi anni ha investito ancora meno nell’istruzione e non si sa se questo atteggiamento rinunciatario delle regioni servirà a convogliare maggiori soldi statali.

Che il governo centrale adotti un comportamento gattopardesco non stupisce più di tanto, anche se verrebbe da chiedersi di cosa abbiamo parlato, con tanto di leggi e decreti mai applicati, dal 1997 ad oggi, lamentandoci del centralismo burocratico dello stato e dei suoi organi territoriali. In questo orizzonte non serve più la potestà legislativa alle regioni, le quali possono tranquillamente andare a sostituire le province ad esercitare mere funzioni amministrative.

L’efficacia del decentramento è sotto gli occhi di tutti, ma lo è altrettanto la debolezza della politica. Anche questa volta pare che non riusciremo proprio ad orientare i processi formativi verso l’apprendimento permanente, altra caratteristica che ci distanzia in profondità dalla realtà europea.

Superiori, se sbagli scuola ci sono le “passerelle”

da La Stampa

Superiori, se sbagli scuola ci sono le “passerelle”

Danno la possibilità di cambiare scuola senza perdere l’anno
roma

Tre studenti su 10 confessano di vivere con ansia il momento della scelta delle Superiori. A giocare un ruolo importante è la paura di sbagliare scuola, di ritrovarsi ad avere a che fare con materie troppo difficili o che semplicemente non piacciono quanto si era immaginato. Di iniziare a prendere un brutto voto dietro l’altro fino ad arrivare ai debiti, o peggio, alla bocciatura. È quanto emerge da una ricerca di Skuola.net.

Un timore, quello degli studenti, che andrebbe tuttavia ridimensionato poiché esistono le cosiddette “passerelle” che danno la possibilità di cambiare scuola quando già si è alle superiori e senza perdere l’anno.

Mario Rusconi, vice presidente dell’Associazione nazionale presidi, spiega come funzionano. «Se ci si accorge di aver sbagliato scuola in primo superiore, bisogna sceglierne una diversa e comunicarlo al proprio istituto. Sarà quest’ultimo a mettere in contatto la famiglia dello studente con la scuola scelta» .

«Se si capisce l’errore prima della fine del primo quadrimestre, entro Gennaio insomma, è sufficiente – aggiunge – che il ragazzo sostenga un colloquio conoscitivo con il Consiglio d’Istituto della nuova scuola per poi attuare il passaggio, la passerella appunto».

Diverso è il discorso per chi si accorge di aver sbagliato la scelta delle superiori più tardi, magari in secondo o terzo superiore. «In questo caso – spiega Rusconi – lo studente dovrà sostenere un colloquio con una commissione scelta dal Consiglio d’Istituto. Colloquio che non è più conoscitivo, ma di verifica delle competenze. Mettiamo per esempio che il ragazzo venga da un istituto tecnico e voglia frequentare un liceo scientifico, la commissione dovrà verificare le sue competenze in latino e su tutte quelle materie che al tecnico non c’erano e che invece troverà nella nuova scuola».

Non sempre, comunque, il meccanismo delle passerelle funziona come dovrebbe, tanto che Rusconi le ha definite una «buona macchina a cui manca la benzina». Perché? «Non ci sono i fondi per attuare i corsi di recupero. Questo significa che il povero studente dell’esempio che deve passare dal tecnico allo scientifico, non potrà essere preparato in latino dalla scuola. Dovrà pensarci da solo o con l’aiuto della sua famiglia nel caso possa permettersi delle ripetizioni private. Non ha i mezzi per farlo? O continua a frequentare il suo tecnico senza cambiare scuola, oppure sceglie comunque di farlo sapendo che probabilmente avrà un gap di competenze che potrebbero condurlo alla bocciatura».

Insomma, a rimetterci – conclude Skuola.net – sono comunque gli studenti provenienti dai ceti sociali meno abbienti, quelli che non possono permettersi troppe ripetizioni private e che quindi, avendo difficoltà a cambiare scuola durante l’anno scolastico, potrebbero trovarsi a far parte dei numeri che alimentano la dispersione scolastica. Senza contare che, come continua Rusconi, «non tutte le scuole riescono ad attuare il meccanismo delle passerelle. Implicano troppo lavoro per le scuole in uscita e in entrata».

Iscrizioni on line, superato il mezzo milione di domande inoltrate

da La Tecnica della Scuola

Iscrizioni on line, superato il mezzo milione di domande inoltrate

A comunicarlo è stato il ministero dell’Istruzione, a poco più di una settimana dall’avvio della procedura: oltre il 40% delle scelte già effettuate riguarda gli alunni della scuola primaria.

Le iscrizioni on line al prossimo anno scolastico vanno a gonfie vele: a distanza di poco più di una settimana dall’avvio della procedura, il 23 gennaio il ministero dell’Istruzione ha fatto sapere che “è stato superato nella giornata di oggi il mezzo milione di domande inoltrate dalle famiglie. Oltre il 40% di moduli già completati e inviati alle scuole riguarda la primaria, seguono la secondaria di I grado (oltre il 35% di moduli) e la secondaria di II grado (18%)”.

Per i tanti che non hanno ancora inoltrato la domanda, comunque è bene sapere che c’è tempo fino al 15 di febbraio per completare la procedura. Le iscrizioni riguardano le prime classi della scuola primaria o secondaria di primo (medie) e secondo grado (superiori), per l’anno scolastico 2015/2016.

Tutte le informazioni sono reperibili attraverso il sito www.iscrizioni.istruzione.it

Maturità: no alle commissioni tutte interne

da La Tecnica della Scuola

Maturità: no alle commissioni tutte interne

Le commissioni dell’esame di Maturità non vanno modificate. È questo il parere di 753 docenti che, dal 4 dicembre scorso al 13 gennaio, hanno partecipato con grande sollecitudine a un sondaggio online condotto dalla Gilda degli Insegnanti.

Il tema, infatti, è molto caldo e le indiscrezioni proliferano. C’è chi è convinto che si arriverà a una commissione tutta formata da interni, chi è speranzoso sul fatto che rimarrà mista e chi vocifera che ci si servirà di commissari interni-esterni, cioè docenti della stessa scuola, ma non delle classi quinte. Come dire i panni sporchi si tenterà di lavarli almeno in casa.

Il questionario, comunque, pubblicato nei siti www.gildains.it e www.gilda-unams.it con l´ausilio del software specializzato SurveyMonkey, era composto da cinque domande riguardanti l´ipotesi, dettata da esigenze di risparmio economico, di cambiare la composizione delle commissioni esaminatrici. E ha dato degli esiti molto chiari.
Contro l´introduzione, molto probabile, di soli commissari interni ai quali non corrispondere alcuna retribuzione aggiuntiva (vedi Q1 nel pdf allegato) si è espresso l´85,66%. A motivare il no secco dei docenti non è stata unicamente la mancanza di compensi accessori per i commissari: secondo l´83% dei partecipanti al sondaggio, infatti, l´introduzione della commissione interna potrebbe creare disparità di valutazione tra i maturandi delle scuole statali e quelli degli istituti parificati (Q2). Il 79,81% ritiene che il modello attualmente in vigore, che prevede commissioni miste, debba essere mantenuto perchè la compresenza di membri esterni, che valutano la prestazione dei maturandi all’esame, e interni, che nel loro giudizio prendono in considerazione anche l´intero percorso di studi dei candidati, garantisce un maggiore equilibrio (Q3).
Bocciata dall´85,52% anche l´ipotesi, alla quale secondo indiscrezioni starebbe pensando il Governo, di insediare commissioni con docenti interni alle scuole ma non titolari sulle classi quinte (Q4).
Nettamente maggioritaria, infine, la percentuale dei docenti – 75,56% – in disaccordo con l´eventuale abolizione del valore legale del titolo di studio, uno scenario verso cui la modifica delle commissioni di Maturità potrebbe rappresentare il primo passo.

Insomma la maturità svolta da una commissione interna farà sì risparmiare al sistema scuola 147milioni di euro: ma non convince nessuno, se non gli alunni…

 

Il 27 gennaio, un giorno per non dimenticare

da La Tecnica della Scuola

Il 27 gennaio, un giorno per non dimenticare

Il “Giorno della memoria” si celebra il 27 gennaio (giorno dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz) per ricordare le leggi razziali in Italia, lo sterminio del popolo ebraico e le persecuzioni subite da tutti i deportati nei campi nazisti. Iniziative e momenti di riflessione nelle scuole. Molteplici iniziative per “non dimenticare”.

Quest’anno ricorrere il 70° anniversario della liberazione dei sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz : era infatti il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche dell’Armata rossa che avanzavano verso Berlino raggiunsero il lager presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), abbattendone i cancelli e consentendo quindi ai sopravvissuti di rivelare gli orrori e i crimini infami commessi dai nazisti.

Nel nostro Paese, il “Giorno della memoria” è stato istituito dal Parlamento italiano con la legge n. 211/2000 (cinque anni prima che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite scegliesse, con risoluzione 60/7 del 2005, la stessa giornata del 27 gennaio), per ricordare le leggi razziali in Italia (introdotte nel 1938 dal regime fascista e firmate dall’allora re d’Italia), la Shoah e le persecuzioni subite da tutti i deportati nei campi nazisti, anche da omosessuali, dai sinti e dai rom, da altre minoranze e dai deportati militari e politici.

A proposito delle conseguenze delle “leggi razziali”, dal volume pubblicato dal Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica, nato nel 1999 per iniziativa di lavoratori della scuola di area Cobas) in occasione del Giorno della memoria 2015 leggiamo, in particolare per quanto riguarda la scuola: “Durante l’estate del 1938 il ministro Bottai inviò una circolare ai presidi e direttori didattici per avviare le prime procedure di censimento degli ebrei presenti tra i docenti, gli studenti e gli autori di libri di testo adottati dalle classi. Una procedura burocratica che, con tempi diversi, produsse tra settembre e novembre l’espulsione di 279 tra presidi e professori e di un numero ancora ignoto di maestre elementari, la cacciata di migliaia di studenti e la sostituzione di oltre un centinaio di libri scolastici già adottati”. In Germania, la segregazione degli ebrei tedeschi era già iniziata nel 1933.

Nel volume “Nei banchi del regime – Studiare nella scuola fascista” curato dalla sede bolognese del Cesp (www.cespbo.it), in cui troviamo interventi di Piero Fossati, Gianluca Gabrielli, Alberto Gagliardo, Fabio Targhetta su diverse tematiche legate alla “fascistizzazione” della scuola nel ventennio del regime, si fa esplicito riferimento anche alla nascita della “scuola di razza”:

Ma la ricorrenza del 27 gennaio serve anche per ricordare il ruolo di coloro che si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio della propria incolumità hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Essendo la scuola il luogo più idoneo per trasmettere alle nuove generazioni l’importanza della memoria e per diffondere i valori contenuti nella Carta costituzionale e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo, gli istituti di ogni ordine e grado sono invitati a dare ampio spazio a iniziative, cerimonie, momenti di riflessione (anche nei giorni successivi al 27 gennaio), al fine di mantenere vigile la memoria per impedire che la tragedia del nazi-fascismo e gli orrori delle deportazioni e dell’Olocausto possano ripetersi.

Anche quest’anno si è svolto il “Viaggio della memoria”, organizzato dal Miur in collaborazione con l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane: come ormai consuetudine, il Ministro dell’istruzione ha accompagnato (nei giorni 18 e 19 gennaio) in Polonia, per visitare alcuni “luoghi della memoria” (tra cui il Auschwitz –Birkenau), duecento studenti – a loro volta affiancati da docenti – che si sono distinti per le loro attività sul tema della Shoah e che hanno potuto ascoltare il racconto di Andra e Tatiana Bucci e Sami Modiano, sopravvissuti allo sterminio.

Infatti, un forte impatto emotivo hanno gli incontri con persone che vissero quei tragici fatti e soprattutto le testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio o dei familiari di vittime delle persecuzioni. Ma nelle scuole possono essere organizzati momenti di riflessione anche tramite l’ausilio di testi storici e/o letterari che rimandano a quei tragici eventi, magari semplicemente attraverso la lettura in aula, ad esempio, di alcune pagine de “Il diario di Anna Frank” o dei versi introduttivi del romanzo “Se questo è un uomo” di Primo Levi, sopravvissuto alla deportazione nel campo di concentramento. L’importante è non far cadere nel silenzio il ricordo del genocidio nazista e le riflessioni sulle complicità.

Peraltro, in concomitanza con il “Giorno della memoria” avverrà la premiazione degli istituti scolastici proclamati vincitori del concorso “I giovani ricordano la Shoah”, promosso dal Miur in collaborazione con l’Ucei e rivolto agli alunni al fine di approfondire studi e ricerche.

Molte le iniziative che fanno riferimento alla ricorrenza del 27 gennaio. Anche la Rai prevede apposite programmazioni sulle proprie reti televisive e radiofoniche in relazione all’evento del 70° anniversario della liberazione dei superstiti del lager di Auschwitz (su un’ apposita pagina web informazioni, approfondimenti e video).

Partendo dalla considerazione che “chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”, il ricordo dell’Olocausto rappresenta un monito per il presente ed il futuro (in un periodo in cui si diffondono tentativi di “revisionismo” che tendono a falsificare la drammatica storia che caratterizzò il periodo antecedente la II guerra mondiale, la Shoah, la Resistenza in Italia e in Europa) e permette di far maturare nei giovani un’etica della responsabilità individuale e collettiva, dando un contributo alla promozione di una cittadinanza attiva e consapevole ed alla realizzazione di una pacifica convivenza.

Studenti in viaggio-studio con l’Erasmus, altro che tramonto!

da La Tecnica della Scuola

Studenti in viaggio-studio con l’Erasmus, altro che tramonto!

 

L’anno accademico 2012/13 ha segnato un record: sono stati 25.224 gli studenti italiani in mobilità sul totale europeo di 268.143. Floride le prospettive per Erasmus+: nel 2015 ben 1.600 i docenti coinvolti in un corso di formazione o un periodo di codocenza in scuole europee. E 273 scuole riceveranno finanziamenti.

Altro che lento tramonto. Negli ultimi anni tanti studenti italiani e europei hanno continuato ad usufruire del progetto Erasmus, contraddicendo le nere prospettive che in quasi 30 anni ha fatto viaggiare 3 milioni di giovani. E sono confortanti anche i numeri dell’Erasmus+, il nuovo programma che fa viaggiare gli studenti universitari, giunto in Italia e in Europa un anno fa. A sostenerlo, il 23 gennaio a Roma, sono stati i direttori delle Agenzie europee del programma, riuniti a Roma per l’incontro annuale.

Questi i numeri forniti.

UNIVERSITA’ – L’anno accademico 2012/2013 ha segnato un record sia per l’Europa che per l’Italia: sono stati 25.224 gli studenti italiani in mobilità Erasmus per studio e tirocinio sul totale europeo di 268.143. Questo dato posiziona l’Italia tra i quattro principali paesi per studenti in partenza verso diverse destinazioni europee. Se si guarda all’accoglienza il nostro paese è al quinto posto, poco dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito, con circa 19.000 studenti europei ospitati nelle nostre università. Per il 2014-2015 ne sono stati finanziati altrettanti ed è realistico un aumento se si considera il tasso di crescita registrato negli anni.

Dall’inizio del programma, nel 1987 fino a tutto il 2013 gli studenti universitari complessivamente coinvolti a livello europeo hanno superato i 3 milioni. L’Italia ha contribuito per il 10%, quindi con 300mila studenti universitari che hanno partecipato.

SCUOLA – Saranno oltre 1.600 i docenti di scuole italiane coinvolti in un corso di formazione o un periodo di codocenza in scuole europee (+60% rispetto al 2013). Sono 273 le scuole che riceveranno finanziamenti per svolgere attività di collaborazione in partnership internazionali con studenti e docenti di altri paesi d’Europa. Altre 48 scuole saranno invece le pioniere dell’azione dedicata ai cosiddetti Partenariati strategici trans-settoriali, che coinvolgono anche imprese, enti locali e altre organizzazioni, impegnate in attività volte a migliorare le competenze dei giovani per il mondo del lavoro.

ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE – Nel 2014, il finanziamento all’Italia è stato di oltre 33 milioni di euro per circa 8.000 soggetti in mobilità in Europa e quasi 200 organismi coinvolti nei Partenariati.

“In questo momento – il presidente di Isfol, Pietro Varesi – di crisi occupazionale, le opportunità di crescita, formazione e professionalizzazione offerte da un’esperienza di stage all’estero costituiscono per i giovani del nostro Paese uno strumento prezioso ai fini del successivo inserimento lavorativo”. GIOVANI – Nel 2014, sono stati 12 milioni gli euro destinati a circa 500 progetti di mobilità giovanile approvati dall’ANG. “E’ stato un primo anno soddisfacente che ci fa ben sperare per il futuro”, ha commentato Giacomo D’Arrigo, direttore generale dell’Agenzia.

EDUCAZIONE DEGLI ADULTI – le mobilità riguarderanno 330 persone impegnate nell’educazione degli adulti (+50% rispetto al 2013). “Anno dopo anno – ha detto Flaminio Galli, direttore dell’Agenzia Nazionale Erasmus+ – il programma Erasmus+ dimostra la sua straordinaria importanza e vitalità. La voglia di fare esperienza formativa all’estero cresce come il numero dei partecipanti e i risultati sul piano formativo e sociale. In un momento storico in cui torna la tentazione di alzare frontiere e steccati, la mobilità degli studenti e dei docenti rafforza l’identità comune europea, migliora la preparazione individuale e favorisce l’occupazione”. Erasmus+ prevede anche altri due ambiti, quelli “Istruzione e Formazione Professionale”, di competenza di Isfol, e “Giovani”, gestito dall’Agenzia Nazionale per i Giovani.

Nei settori “Scuola, Università ed Educazione degli adulti” (gestiti in Italia da Indire), l’Italia ha beneficiato nel 2014 di un budget di 78 milioni di euro: 56,5 milioni per l’istruzione superiore, 16,7 mln per la scuola e 4,9 mln per l’educazione degli adulti.

Docenti, la valorizzazione si fa per Contratto e senza gerarchizzazioni

da La Tecnica della Scuola

Docenti, la valorizzazione si fa per Contratto e senza gerarchizzazioni

Il segretario della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, dichiara: “la Buona scuola ha bisogno di lavoro cooperativo e paritario. E si fa con docenti, Ata e dirigenti motivati e ben pagati”.

Leggiamo anticipazioni sul decreto della Buona scuola e non possiamo non avvertire i nostri interlocutori governativi: la valorizzazione del personale della scuola, docente e Ata, si realizza per contratto e, per quanto riguarda la docenza, deve contenere l’esperienza maturata per anzianità, l’impegno nel lavoro d’aula, nell’organizzazione scolastica e nei territori a rischio.

Ma ciò deve avvenire senza creare gerarchie e competizione in un lavoro libero e collegiale.

Sappia il Governo che su queste materie un intervento per legge e non per Contratto è figlio di un decisionismo politico deleterio e senza sbocchi, oltre ad essere controproducente e foriero di confusione e divisione nella categoria.

Non si può dal 2007 impedire la negoziazione e imporre per legge una finta valorizzazione professionale senza prevedere risorse aggiuntive.

Appare evidente l’intenzione di cancellare gli scatti di anzianità e di utilizzare quelle risorse per premiare, in modo unilaterale, solo una parte dei docenti.

Sappia ancora il Governo che percorsi divisivi fra la categoria, posticce gerarchizzazioni in un lavoro libero e autonomo, quotizzazioni fra non meritevoli (25%) e meritevoli (75%), che fra l’altro riecheggiano proposte già avanzate negli anni dell’autoritarismo berlusconiano, si scontreranno con la nostra proposta contrattuale – che stiamo illustrando in tutte le scuole d’Italia – e la nostra ferma opposizione.

E infine la Flc-Cgil ribadisce che senza un organico funzionale anche per il personale Ata le scuole non potranno attuare adeguatamente i Pof di istituto.

La Flc Cgil chiede di esentare le scuole dallo split payment

da La Tecnica della Scuola

La Flc Cgil chiede di esentare le scuole dallo split payment

L.L.

Il Sindacato solleva il dubbio dell’applicabilità della misura alle scuole, non chiaramente menzionate nel comma 629 della Legge di Stabilità. E suggerisce pertanto alle istituzioni scolastiche di sospendere ogni iniziativa in proposito, in attesa di chiarimenti

In una precedente notizia abbiamo dato conto della nuova misura contabile introdotta dalla legge di stabilità 2015, il cd. split payment o scissione dei pagamenti.

Il comma 629 prevede che le pubbliche amministrazioni, acquirenti di beni e servizi, ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo dell’IVA, debbano versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori.

A tale proposito la Flc Cgil ha sollevato un dubbio: la misura riguarda anche le istituzioni scolastiche?

“Come accade spesso – scrive il Sindacato -, nel testo della legge le scuole non sono menzionate, e ciò ci fa dire che la misura in questione non riguarda le istituzioni scolastiche. Anche perché sarebbe un ennesimo adempimento che costringe, sia pur per operazioni di  acquisti di beni e servizi di scarso valore monetario, a fare diverse moleste operazioni”.

Su questo aspetto la Cgil ha chiesto un chiarimento al Miur, che speriamo non tardi a venire.

Nel frattempo, il Sindacato suggerisce alle scuole di continuare ad operare come sempre, perché la misura prevede comunque l’emanazione di un apposito decreto attuativo da parte del Ministero dell’Economia e Finanze (MEF), che ha tutt’oggi non è stato emanato, ma solo anticipato dal comunicato Mef del 9 gennaio scorso.

“Qualsiasi ipotesi di buon comportamento – conclude la Cgil – , in mancanza di passaggi di chiarimento previsti  peraltro dalla stessa legge, o basati su note estemporanee può solo indurre in errore”.

Migliorano le prestazioni degli studenti ai test Pisa

da La Tecnica della Scuola

Migliorano le prestazioni degli studenti ai test Pisa

Nonostante le loro performance in Matematica, Italiano e Scienze restino al di sotto delle medie Ocse, l’Italia è uno dei paesi che è riuscito a migliorare maggiormente le prestazioni dei propri studenti nell’ultimo decennio

Lo scrive Repubblica che riporta il focus numero 47 sui test Pisa (Programme for International Student Assessment) 2012, pubblicato sul proprio sito. Il nostro Paese, insieme con  Brasile, Germania, Grecia, Messico, Tunisia e Turchia, è riuscito a migliorare più delle altre le prestazioni dei propri quindicenni.

Dal 2000 l’Ocse effettua uno studio sulle competenze fondamentali dei quindicenni di mezzo mondo nella giusta convinzione che lo sviluppo economico di un paese sia strettamente legato al livello di preparazione dei propri cittadini.

L’ultima indagine è quella condotta nel 2012  –  con approfondimento sulla Matematica  –  ma pubblicata l’anno scorso. I giovani italiani rispetto alla tornata del 2003 sono riusciti a migliorarsi più dei compagni di altre nazioni.

In Matematica, dal 2003 al 2012, il punteggio dei ragazzini nostrani è cresciuto di quasi 20 lunghezze, passando da 466 a 485 punti. Un balzo in avanti superiore al 4 per cento che può vantare solo qualche nazione: anche nel corso del tempo, l’eccellenza e l’equità nell’istruzione non sono obiettivi mutuamente esclusivi, mentre per scalare le classifiche bisogna prestare maggiore attenzione agli alunni in difficoltà supportandone gli apprendimenti e portandoli a livelli almeno sufficienti.

Il nostro Paese, in appena un decennio, ha infatti ridotto di oltre sette punti percentuali  –  dal 31,9 al 24,7 per cento  –  gli alunni che in matematica mostravano scarse competenze. Un messaggio chiaro anche per gli operatori della scuola e il governo italiano alle prese con l’ennesima riforma della scuola: non è possibile migliorare le performance complessive del proprio sistema di istruzione se non si focalizzano le risorse sui più deboli e gli alunni meno attrezzati

Iscrizioni, superato il mezzo milione di domande online

da tuttoscuola.com

Iscrizioni, superato il mezzo milione di domande online
Oltre il 40% riguarda la scuola primaria

Iscrizioni on line, è stato superato nella giornata di oggi il mezzo milione di domande inoltrate dalle famiglie. Oltre il 40% di moduli già completati e inviati alle scuole riguarda la primaria, seguono la secondaria di I grado (oltre il 35% di moduli) e la secondaria di II grado (18%).

C’è comunque tempo fino al 15 di febbraio per completare la procedura. Le iscrizioni riguardano le prime classi della scuola primaria o secondaria di I e II grado per l’anno scolastico 2015/2016. Tutte le informazioni sono reperibili attraverso il sito www.iscrizioni.istruzione.it

Scuola-lavoro: l’occupazione raddoppia con l’alternanza

da tuttoscuola.com

Scuola-lavoro: l’occupazione raddoppia con l’alternanza

Il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, commentando l’anticipazione dei dati dell’indagine AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati italiani, sottolinea in una dichiarazione all’agenzia Dire che  “questi dati confermano che è solo attraverso l’alternanza scuola-lavoro e la capacità di conseguire competenze che possiamo dare una possibilità di trovare lavoro ai ragazzi”.

Lo dimostra il fatto che “a un anno dal conseguimento del titolo di studio sono occupati il 30% degli intervistati, valore che tocca il 38% per i diplomati di istituti tecnici e il 39% per i professionali. Mentre per i diplomati liceali, che nella maggioranza dei casi (92%) proseguono con lo studio universitario, il tasso di occupazione arriva al 20,5%”.

Secondo il sottosegretario ciò si deve al fatto che chi frequenta scuole tecniche e professionali ha più occasioni di seguire insegnamenti pratici e di acquisire competenze a contatto con le aziende. Questo “raddoppia le sue possibilità di trovare lavoro una volta terminata la scuola. Il punto è lavorare per aumentare queste occasioni di dialogo tra scuola e lavoro senza parlare di svendita della scuola alle imprese o al privato“, continua Toccafondi.

Con ‘La Buona Scuola’, conclude il sottosegretario Toccafondi, stiamo percorrendo questa strada“.

ERASMUS+, bilancio positivo

da tuttoscuola.com

ERASMUS+, bilancio positivo
Tre milioni di studenti coinvolti. A Roma summit dei direttori delle agenzie UE

Fino a domani, sabato 24 gennaio, Roma è la capitale della cooperazione europea in ambito di istruzione, formazione, gioventù e sport, con l’incontro annuale dei direttori delle Agenzie europee del programma Erasmus+. L’obiettivo quello di fare un bilancio del primo anno di progettazione a livello europeo, individuando i punti di forza della nuova gestione del programma ma analizzando anche le criticità e difficoltà emerse.

Si discute di strategie di gestione da condividere a livello comunitario, di rapporti tra Agenzie Nazionali e Commissione Europea, di strumenti di disseminazione e valorizzazione dei risultati. L’evento è organizzato dalle tre Agenzie Nazionali che gestiscono il programma Erasmus+ in Italia: INDIRE, ISFOL, ANG. All’incontro è presente Xavier Prats Monné, Direttore Generale DG Education and Culture alla Commissione Europea, intervengono inoltre i Rappresentanti delle autorità nazionali, di MIUR, MLPS e Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Negli ambiti “Scuola, Università ed Educazione degli adulti” (gestiti in Italia da INDIRE), il nostro Paese ha beneficiato nel 2014 di un budget di 78 milioni di euro. Il finanziamento è così ripartito: 56 milioni e mezzo per l’istruzione superiore, 16 milioni e 700 mila euro per la scuola e 4 milioni e 900 mila euro per l’educazione degli adulti.

SCUOLA – Saranno oltre 1600 docenti di scuole italiane a partire nei prossimi mesi, o già partiti all’inizio dell’anno scolastico, per svolgere un corso di formazione o un periodo di codocenza in scuole europee, un dato che rappresenta un incremento del 60% rispetto al 2013. Sono 273 le scuole, capofila di progetto o partner di un team, che riceveranno finanziamenti per svolgere attività di collaborazione in partnership internazionali con studenti e docenti di altri paesi d’Europa. Altre 48 scuole saranno invece le pioniere dell’azione dedicata ai cosiddetti Partenariati strategici trans-settoriali, che coinvolgono anche imprese, enti locali e altre organizzazioni, impegnate, tra le altre, in attività volte a migliorare le competenze dei giovani per il mondo del lavoro.

UNIVERSITA’Dall’inizio del programma, nel 1987 fino a tutto il 2013 gli studenti universitari complessivamente coinvolti a livello europeo hanno superato i 3 milioni L’Italia ha contribuito a questo record per il 10%. L’anno accademico 2012/2013, l’ultimo censito in modo completo, ha segnato un record sia per l’Europa che per l’Italia: sono stati 25.224 gli studenti italiani in mobilità Erasmus per studio e tirocinio sul totale europeo di 268.143 (212.522 per studio e 55.621 per tirocinio). Questo dato posiziona l’Italia tra i quattro principali paesi per studenti in partenza verso diverse destinazioni europee. Se si guarda all’accoglienza il nostro paese è al quinto posto, poco dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito, con circa 19.000 studenti europei ospitati nelle nostre università. Per il 2014-2015 ne sono stati finanziati altrettanti ed è realistico un aumento se si considera il tasso di crescita registrato negli anni.

EDUCAZIONE DEGLI ADULTI – In questo settore le mobilità riguarderanno 330 persone impegnate nell’educazione degli adulti (+50% rispetto al 2013), risultato dei 21 progetti vincitori presentati dalle organizzazioni nazionali su 174 proposte presentate. Sul lato della cooperazione sono stati autorizzati 16 partenariati strategici tutti orientati al confronto e scambio tra organizzazioni del settore pubblico e della società civile per l’implementazione di pratiche innovative.

Il Direttore dell’Agenzia Nazionale Erasmus+ INDIRE, Flaminio Galli, dichiara: “Anno dopo anno, il programma Erasmus+ dimostra la sua straordinaria importanza e vitalità. La voglia di fare esperienza formativa all’estero cresce come il numero dei partecipanti e i risultati sul piano formativo e sociale. In un momento storico in cui torna la tentazione di alzare frontiere e steccati, la mobilità degli studenti e dei docenti rafforza l’identità comune europea, migliora la preparazione individuale e favorisce l’occupazione”.

Carriera dei docenti per decreto legge?

da tuttoscuola.com

Carriera dei docenti per decreto legge?

Se non è una rivoluzione poco ci manca”. Così inizia l’articolo dedicato ieri da Il Sole-24 Ore alle novità sulla carriera dei docenti preannunciate dal sottosegretario Davide Faraone nell’intervista rilasciata al quotidiano economico.

Le novità non stanno tanto nei contenuti, che sono quelli già delineati nel documento ‘La Buona Scuola’ (gli scatti di competenza al posto di quelli di anzianità riservati a due terzi dei docenti, l’introduzione di due nuove figure professionali, i “mentor” e i quadri intermedi), ma nel metodo con il quale tali novità dovrebbero essere tradotte in pratica: un decreto legge da approvare entro la fine di febbraio, in modo da renderle esecutive (per “un 20-30% dei docenti”), già con l’anno scolastico 2015-2016.

Nell’intervista Faraone afferma che “la carriera è un diritto degli insegnanti. Già oggi una parte significativa dei professori non si concepisce come mero esecutore di compiti, ma come professionista, progettista di percorsi formativi o come quadro che supporta il preside e la scuola”. È giunto dunque “il momento di cambiare visto che sono maturi i tempi per costruire percorsi di carriera per i professori”.

Tanto maturi da richiedere i tempi brevi – almeno sulla carta – di un decreto legge, al quale i sindacati, praticamente tutti, sono assolutamente contrati. Se il governo riuscirà nell’impresa di cambiare lo stato giuridico dei docenti per legge, senza contrattazione, sarà davvero una “rivoluzione”. Senza “quasi”…

Amor che a nullo amato amar perdona

AMOR CHE A NULLO AMATO AMAR PERDONA di Umberto Tenuta

CANTO 377 Puoi costringermi a bere l’olio di ricino.

Ma non puoi impedirmi di vomitarlo.

Che cosa resta nella testa degli studenti dopo la promozione alla classe successiva?

E dopo il Diploma, e dopo la Laurea?

La risposta ognuno la dia dopo un autoesame.

 

Risposta scontata!

Tranne che per pochi fortunati.

Resta poco, molto poco, assai poco.

Tutto dimenticato là, tra i banchi della scuola.

La bidella lo spazza via.

Spazzatura!

E quel poco di appiccicaticcio che resta non basta ad affrontare la vita.

Ad ogni nuovo esame che la vita pone ci si deve preparare, cominciando daccapo.

L’olio di ricino te lo versano in bocca.

Con la camicia di forza.

Ma nessuno lo cerca, nessuno lo vuole, nessuno lo beve.

Ecco!

Salve pochissime eccezioni, questo avviene nella scuola.

Studiare è una pena.

Studiare è un obbligo.

Studiare è un dovere.

Studiare è una costrizione.

Ma che dici?

Vedi, Studium è amore.

Amore, amore di Sofia, Filosofia!

<<La scuola non sembra in grado … di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>>[1].

Perché la scuola non riesce?

La risposta la dà un grande Matematico.

«Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco» (F. Enriques).

Scintilla di fuoco!

Scintilla di fuoco che incendia.

Incendia i cuori, li innamora.

Maestra, fuoco d’amor hai acceso nel mio cuore!

Ora non ho pace.

Ardo di desiderio.

Desiderio di te, SAPERE!

Tutto amo, desidero, voglio sapere.

Maestra, tu non mi hai insegnato nulla, e te ne vanti.

Ti vanti di non avermi riempito la testa di zavorra.

Ti vanti di avermi fatto crescere libero.

Libero di andare là dove fuoco d’amor mi chiama.

Cieli, terre, mari, vestigia degli antichi patri io amo esplorare, amo conoscere, amo assimilare: carne della mia carne!

Maestra, tu sei una Tempesta di fuoco!

Ovunque volgi lo sguardo incendi i cuori dei tuoi studenti, li innamori, li fai ardere di desiderio di esplorare gli oceani profondi, le terre lontane, i cieli infiniti.

Altro non fai.

Tu sei troppo grande.

De minibus non curat praetor!

Maestri, non perdete il vostro prezioso tempo a spiegare, dimostrare, interrogare, valutare!

Siate fuoco d’amor che accende altri fuochi!

Incendiate i cuori dei vostri studenti!

Il resto lasciatelo a chi si accontenta di riempire i sacchi della spazzatura.

Docenti, Insegnanti, Maestre e Maestri, non credo proprio che sia questo il vostro mestiere!

Voi siete scintille di fuoco!

Voi siete fiamme che tutto incendiano.

Voi siete fuoco d’amor che accende altri fuochi.

Amore della Parola: la parola è divina.

Amore della Matematica: la Matematica è pensiero, intelligenza, conoscenza.

Amore della mia vita: Passato prossimo e Passato remoto.

Amore dei fiori del mio giardino: Monocotiledoni e dicotiledoni…

Amore del mio pappagallo: grilli e lucciole che belle!

Tanti e tanti amori della mia vita, un solo amore, l’amore di crescere, l’amore di diventare grande, l’amore di essere un uomo grande!

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

[1] Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998

Docenti digitali

DOCENTI DIGITALI di Umberto Tenuta

CANTO 376 DAL VILLAGGIO REALE AL VILLAGGIO DIGITALE.

E-LEARNING.

Insegnamento a distanza.

La Scuola al tempo di Internet.

 

Nasce la Scuola quando i Saggi del villaggio insegnano le virtù ai giovani.

Li riuniscono al centro del villaggio.

Sotto l’albero antico.

Ancora ai miei tempi c’erano le Scuole all’aperto.

Dove sono finite?

Ma che finite, eccole qua!

Con gli smartphone ed i tablet i docenti fanno scuola.

Quando docenti e studenti stanno nelle aule.

Quando docenti e studenti stanno ciascuno a casa loro.

Che cosa cambia?

I docenti fanno i docenti.

Gli studenti fanno gli studenti.

Tutto cambia perchè nulla cambi.

Non cambiano i ruoli.

Il docente è colui che sa.

Gli studenti sono coloro che vogliono sapere.

Il docente è autorevole.

Ed autorevole resta anche col tablet.

Gli studenti vogliono diventare autorevoli.

Anche col tablet.

I ruoli non cambiano.

I ruoli sono ascritti.

Nel villaggio antico.

Nel villaggio globale.

Ieri si comunicava a viva voce.

Oggi si comunica a viva voce.

Un giorno non lontano suoni, colori, sapori, odori saranno digitali.

Un giorno non lontano le aule non ci saranno più.

Io di qua, tu di là dagli Oceani.

Il giorno tanto atteso è arrivato già.

Docenti e studenti comunicano a distanza.

Non si finisce mai di imparare.

La scuola continua anche quando ritorni a casa.

Il docente in poltrona.

Il discente sul tappeto.

−Sì, Professo’, ti ascolto.

−Roberto, dimmi che cosa vuoi sapere!

−Sì, ora ti faccio il disegno del TRIANGOLO ISOSCELE.

−Come ben puoi vedere, ha queste due GAMBE UGUALI.

−Ho capito, ora ho veramente capito, grazie Professo’!

Che ci vedete di male?

Che a pensar male non si sbaglia mai, lo diceva un grande Politico italiano.

Nella Politica.

Mica nella Scuola.

La Scuola ha la sua Etica professionale che vige dentro e fuori dalle aule scolastiche.

 

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