Tirocinio in un ostello di Barcellona per 24 ragazzi con sindrome Down

da Redattore Sociale

Tirocinio in un ostello di Barcellona per 24 ragazzi con sindrome Down

Il progetto “Fuga di braccia e di cervelli” è stato realizzato dall’Aipd e finanziato dal programma europeo “Erasmus Plus”. In due anni gruppi di 4 tirocinanti per volta lavoreranno per tre settimane nell’Inout Hostel gestito da ragazzi con disabilità intellettiva che faranno da tutor

BOLOGNA – Si chiama “Fuga di braccia e di cervelli” ed è il progetto che consente ai ragazzi con la sindrome di Down di fare un’esperienza lavorativa a Barcellona per tre settimane. Quattro ragazzi, accompagnati da due educatori, lavoreranno in un ostello gestito da persone con disabilità intellettive. Durante la loro permanenza si occuperanno delle pulizie delle camere, del giardino e di apparecchiare (e riordinare) i tavoli del ristorante. Un’esperienza che ha lo scopo di spingere i ragazzi verso l’indipendenza e l’inserimento nel mondo del lavoro. Il progetto, realizzato dall’Aipd (Asssociazione italiana persone Down) e finanziato dal programma europeo “Erasmus Plus”, è partito a novembre del 2014 e si concluderà alla fine del 2016. Il tirocinio coinvolgerà, in due anni, 24 ragazzi provenienti da 12 diverse sezioni dell’Aipd, che svolgeranno la loro formazione nell’Inout Hostel gestito dall’associazione Icaria Initiatives Socials, che è partner del progetto. “I ragazzi che sono stati selezionati per partecipare ai tirocini formativi hanno un’età compresa tra i 18 e i 28 anni – dice Carlotta Leonori, educatrice e responsabile del progetto – sono persone abbastanza autonome e hanno già fatto vacanze senza la famiglia”. Una volta arrivati in ostello i 4 tirocinanti avranno come tutor gli stessi ragazzi disabili che gli insegneranno come muoversi tra i tavoli, sistemare le camere e come tenere in ordine e pulito l’ostello. Nelle 3 settimane i ragazzi dovranno imparare a diventare autonomi nelle loro mansioni e a lavorare in squadra svolgendo ognuno il proprio compito. “La prima settimana sarà di vera e propria formazione – continua Leonori –. Ai ragazzi verranno spiegati i compiti e saranno seguiti nei loro primi passi sia dai loro tutor che dagli educatori che li hanno accompagnati.

L’obiettivo è far sì che i ragazzi, alla terza settimana, siano in grado di svolgere i loro compiti e si siano integrati con i loro colleghi spagnoli”. Una formazione alla pari che consente ai ragazzi di aiutarsi tra loro e crescere insieme non solo dal punto di vista lavorativo ma anche culturale. “Lavoreranno 5 o 6 giorni alla settimana per 7 ore – spiega Leonori –. Il resto del tempo lo trascorrono esplorando Barcellona e visitando le sue bellezze”. Musei, mostre sono i luoghi in cui i ragazzi si muoveranno durante il loro tempo libero, accompagnati dai loro educatori. Una scoperta e uno scambio che gli permette di accrescere la loro esperienza e di arricchirsi. In quello che è lo spirito del programma Erasmus. “Grazie agli 80 mila euro del progetto riusciamo a garantire ai 24 ragazzi vitto, alloggio, un corso di preparazione linguistica, prima e durante il tirocinio, e la possibilità di visitare la città – conclude –. Per ora siamo riusciti a trovare un aggancio lavorativo solo con la Spagna, dove esiste quest’ostello, ma stiamo cercando anche altre realtà per poter allargare l’offerte e la possibilità di fare degli scambi”. (Dino Collazzo)

A proposito di IVA e di “split payment”

A proposito di IVA e di “split payment”

Abbiamo dato notizia qualche giorno fa (21 gennaio) di un adempimento, contenuto nell’art. 1, comma 629, lettera b) della recente legge di stabilità, che introduce il regime cosiddetto dello “split payment” nel pagamento dell’IVA sulle fatture per forniture emesse nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

In quell’occasione, abbiamo fatto riferimento ad un primo comunicato interlocutorio del Ministero dell’Economia (n. 7 del 9 gennaio), che preannunciava un successivo decreto attuativo, ma nel frattempo indicava: “La norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo dell’IVA, devono versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori.” Stante il tenore ormai univoco del termine “pubbliche amministrazioni”, che include le scuole di ogni ordine e grado, abbiamo anche noi ritenuto, come tutti, che la norma avesse valore generale.

Il decreto attuativo, datato 23 gennaio, ma pubblicato solo una settimana dopo, modifica in parte tale impostazione. Vi si legge infatti che le norme contenute nel decreto si applicano “a talune pubbliche amministrazioni” ed in particolare “alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi di cui all’articolo 17-ter del decreto 633 del 1972, effettuate nei confronti delle amministrazioni ivi contemplate”. Nell’articolo in questione è contenuto un elenco analitico di enti ed amministrazioni, fra cui non figurano le scuole.

Come è di prassi nell’ermeneutica normativa, quando un elenco è dettagliato, va letto come esaustivo e non ampliabile in via analogica. Tale è anche il parere di un autorevole interprete come “Il Sole 24 ore”, in un articolo del 1° febbraio scorso cui rinviamo.

Riteniamo quindi che le scuole non siano tenute ad attuare le previsioni di cui al comma 629 citato della legge di stabilità 2015. Non possiamo tuttavia esimerci dal rilevare, una volta di più, come la produzione normativa si caratterizzi ultimamente, oltre che per la sua sovrabbondanza, per una sempre più frequente imprecisione nella formulazione: tanto che perfino lo stesso Ministero ispiratore della norma si è contraddetto, a distanza di pochi giorni, nell’illustrarla.

Mattarella: “Rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità”

Mattarella: “Rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità”

“L’apprezzamento alle parole del nuovo Presidente della Repubblica non può che essere immediato e profondamente sentito. Profondamente colpiti dalle affermazioni di Sergio Mattarella, non possiamo che trarne un motivo di speranza e di fiducia nel cambiamento reale e concreto della qualità della vita delle persone con disabilità e dei loro diritti ritornando nel solco della Costituzione e degli atti internazionali che sanciscono i diritti umani e civili.”

Questo il commento a caldo di Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, dopo il discorso di insediamento del neo eletto Presidente della Repubblica.

Particolarmente apprezzati i passaggi che con maggiore intensità richiamano il ruolo di garante, non certo notarile, della Carta costituzionale: “Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.

Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale.

Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici. Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace.

Significa garantire i diritti dei malati.

Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale.

Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.

Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni.

Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità.

Significa sostenere la famiglia, risorsa della società. (…) Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.”

Prosegue Falabella: “Per chi come noi ha posto al centro della propria azione l’inclusione e i diritti umani, queste dichiarazioni rappresentano un nuovo impulso e una nuova carica. Ci auguriamo che gli intenti del Presidente trovino riscontro negli amministratori, nelle istituzioni ad ogni livello, ma anche nei Cittadini con rinnovato spirito partecipativo.”

LA GESTIONE DEL RAPPORTO DI AUTOVALUTAZIONE (RAV)

ANDIS Viterbo

LUNEDI’ 9 FEBBRAIO, ALLE ORE 9

I.T.G.S. “L. DA VINCI” DI VITERBO, IN VIA A. VOLTA,

INCONTRO DI STUDIO E DI APPROFONDIMENTO, SUL TEMA

 

LA GESTIONE DEL RAPPORTO DI AUTOVALUTAZIONE (RAV)

 

Durante l’incontro verranno approfonditi i seguenti temi:

– cornice e sfondo normativo;

– struttura del RAV;

– aspetti procedurali;

– indicazioni per la compilazione.

 

L’INCONTRO E’ GRATUITO E APERTO A TUTTI

 

NB: E’ CONSIGLIATA LA PARTECIPAZIONE ANCHE DEI DOCENTI REFERENTI

       O   TITOLARI DI F.S. NELL’AREA DELL’AUTOVALUTAZIONE D’ISTITUTO

 

 

 

 

 

Il presidente provinciale

Giuseppe Guastini

Riforma della scuola, la valutazione degli insegnanti che arma la guerra tra poveri

da Il Fatto Quotidiano

Riforma della scuola, la valutazione degli insegnanti che arma la guerra tra poveri

di

Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, cantore e sostenitore delle occupazioni scolastiche, ma – soprattutto – “giovane”, occhieggia ai giovani (come lui) cercando di concretizzare uno dei sogni più o meno velato dello studente medio italiano: dare il voto ai propri prof.

Dal prossimo anno, infatti, due milioni e mezzo di ragazzi tra i 15 e i 19 anni dovrebbero avere a disposizione un questionario in cui giudicheranno i loro docenti: puntualità, chiarezza d’esposizione, efficacia della didattica. Una pratica, peraltro, non così innovativa come sostiene il giovane Faraone, dal momento che molte scuole già la sperimentano. Eh già; perché dopo il tempo della scuola come palestra di democrazia, emancipazione degli individui, crescita ecologica, insieme alla Milano da bere e a Maria De Filippi è arrivata la scuola degli stakeholders (sic!), della premialità, del merito. Di una valutazione che mortifica intelligenze e saperi critici.

Il progetto di Faraone prevede poi che gli studenti potranno eleggere un loro rappresentante che andrà a ricoprire uno dei cinque posti del nucleo di valutazione (gli altri quattro saranno affidati al preside e a tre insegnanti esperti), che scriverà il rapporto di autovalutazione annuale (Rav) della scuola, avrà voce sugli scatti di merito degli insegnanti e anche sull’anno di prova necessario per il neo-docente da stabilizzare. Una paletta in più per far salire qualcuno sul trono, una in meno per scalzare qualcun altro. Naturalmente, nel Renzi Pensiero Unico, cui tutti gli accoliti religiosamente si attengono, anche nelle scelte lessicali, si tratta di una “rivoluzione”: “è stato imposto un nuovo linguaggio che sta travestendo di eccezionalità ed eccellenza la banalità” (Maria Serene Peterlin).

La scuola degli anni cinquanta – scrive Massimo Recalcati ne “L’ora di lezione” – era la scuola di Edipo: l’insegnante era l’incarnazione della tradizione e ciò lo rendeva rispettabile; in essa vigeva l’alleanza tra insegnanti e genitori. Ma da lei si è ingenerato il mostro destinato a dissacrarla: la contestazione, del ’68 e del ’77, in cui si lotta contro la Legge per far prevalere il desiderio; ma il desiderio senza legge, dice lo psicanalista, diventa puro caos, frammento. Ed eccoci alla scuola di Narciso, quella del mondo ridotto all’immagine dell’io. Una scuola in cui l’alleanza non è più tra genitori e insegnanti, ma tra figli e genitori, che si sentono chiamati ad abbattere gli ostacoli che mettono alla prova gli studenti: Narciso non sopporta né fallimento né critica. Esaltando l’io e mettendo in dubbio l’autorità del Padre, la scuola Narciso impoverisce il sapere critico analitico, schiacciandolo sulla ripetizione, sull’“oggetività” delle prove e delle griglie di valutazione. Infine una scuola possibile e auspicabile, quella di Telemaco: che riconquista il compito di restituire valore all’adulto, all’insegnante e all’adulto venuti meno, alla loro funzione come figure, simboli ed elementi centrali nel processo di “umanizzazione della vita” e di trasformazione del sapere in un corpo erotico, tentando di sono venuti meno gli adulti. Si vede che Renzi e Faraone di Recalcati non sanno niente. Il suo non è oro colato, ma una suggestiva rappresentazione per un’”erotica dell’insegnamento”.

Figli di scatole colme di soldi e tronisti, allevati alla Scuola di Narciso, Rete degli Studenti medi (per l’ennesima volta appiattita sulle posizioni del Governo) plaude all’iniziativa, in una pericolosa confusione. Valutare è un’azione – pare dire, concorde per l’ennesima volta con gli strateghi del Miur e con il giovane capo-neutra, che non prevede alcuna specifica competenza, nessuna professionalità: valutano tutti e tutti devono valutare. Perché sono consumatori. Prevengo le critiche ovvie e banali che tante volte, quando si parla di valutazione dei docenti, provengono dai non addetti ai lavori e da alcuni presidi neoliberal hard. Non sto proponendo l’assenza di valutazione, ma contestando questo – come tanti altri provvedimenti e proposte – che si sono succeduti da una ventina d’anni a questa parte, sempre più aggressivamente negli ultimi tempi. Affidare il voto agli studenti non significa operare sulla collegialità, sulla democrazia scolastica, sulla partecipazione (evocate anche dal movimento studenti di Azione Cattolica): a quello ci avevano già pensato nel ’73 e nel ’74 i decreti delegati; che molti studenti (come molti docenti e molti dirigenti e genitori) hanno fatto fallire.

In realtà – scrive l’Uds, Unione degli Studenti, unica voce fuori dal coro – una rivendicazione storica del movimento studentesco di una valutazione dei docenti da parte degli studenti, pensata per consentire a questi ultimi di potersi esprimere sulla didattica e sull’effettiva qualità del processo formativo e per poter quindi contribuire attivamente al miglioramento complessivo della realtà scolastica esiste. “Ma è inaccettabile che essa venga utilizzata strumentalmente dal Governo per alimentare una guerra tra poveri all’interno delle nostre scuole e continuare a produrre classifiche degli istituti e del personale. Non abbiamo bisogno di una patina di democraticità, di contentini o di poltrone da occupare in organi non paritetici e pensati per legittimare la premialità e la competitività. Oggi più che mai risulta prioritario che commissioni paritetiche per redigere il Pof e individuare i criteri valutativi, organi collegiali che favoriscano la partecipazione studentesca e lo strumento del referendum studentesco vengano istituiti e introdotti negli istituti. Infatti, una reale riforma del sistema di valutazione può avvenire solo nel momento in cui si spoglia la valutazione del suo ruolo di strumento di controllo e di punizione che oggi la contraddistingue. Quella attuale non è una valutazione in grado di contribuire alla crescita individuale e collettiva e, pertanto, risulta necessario slegarla dalle logiche di competitività e di mercato che la caratterizzano. Il meccanismo di autovalutazione può essere virtuoso solo se considerato in una prospettiva di ricerca didattica e pedagogica, per arginare e contrastare la deriva competitiva che avanza nelle nostre scuole e nel nostro Paese. E’ uno strumento di fondamentale importanza perché consente di integrare i dati statistici esterni e i commenti interni di chi la scuola la vive ogni giorno rispetto alla vivibilità, ai punti di forza e ai punti di debolezza dei luoghi di formazione e favorisce così la maturazione di maggiore consapevolezza e la promozione di riflessioni operative, discussioni, interventi ragionati, che vedrebbero gli studenti come soggetti attivi del processo. Contrariamente a quanto avviene con la valutazione esterna, l’autovalutazione consentirebbe anche un monitoraggio in itinere, maggiormente spendibile per il miglioramento complessivo e reale della realtà scolastica. Non è la retorica del merito ed una valutazione premiale il giusto strumento per spingere ad una maggiore attenzione pedagogica, ma, nuovi strumenti di cooperazione tra studenti e docenti, con obiettivi mirati classe per classe e studente per studente sulla base delle condizioni di partenza e non del risultato da ottenere”.

Insomma: nessuna disponibilità a svendere a suon di lusinghe il senso profondo della democrazia scolastica. Faraone, attento. C’è ancora qualcuno, in questo Paese, capace di pensare con la propria testa.

Si rafforza l’asse scuola-lavoro: più laboratori e 600 ore di formazione on the job

da Il Sole 24 Ore

Si rafforza l’asse scuola-lavoro: più laboratori e 600 ore di formazione on the job

di Claudio Tucci

I periodi di alternanza scuola-lavoro avranno una durata di 200 ore l’anno, e potranno svolgersi anche durante l’estate. Saranno interessati gli studenti del secondo biennio dell’ultimo anno degli istituti tecnici e professionali (si sale così a 600 ore totali – oggi invece le ore di formazione on the job sono in media 70/80 l’anno e sono svolte quasi esclusivamente dai ragazzi delle classi quarte).

Potenziamento dei laboratori
Sarà poi portata a regime la possibilità, prevista fino al 2016 dal decreto Carrozza, per gli alunni degli ultimi due anni delle superiori di poter apprendere in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato di alta formazione (a oggi è in piedi la sola sperimentazione Enel che, a settembre scorso, ha assunto 150 studenti-apprendisti). Si potenzieranno i laboratori, con un bando per i laboratori consortili aperti al territorio e co-progettati da reti di scuole, università, realtà produttive, terzo settore ed enti locali; e si sgraveranno le imprese dai compiti di svolgere corsi di formazione su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in favore degli studenti in alternanza (ci penseranno direttamente gli istituti scolastici e le Asl).
Si va riempiendo di contenuti il decreto «Buona Scuola» che il ministro, Stefania Giannini, porterà in Consiglio dei ministri a fine febbraio. Del resto, anche ieri, il premier, Matteo Renzi, ha ribadito la «centralità» della riforma dell’Istruzione, «che dovrà entrare in vigore il prossimo 1° settembre».

Formazione obbligatoria, e più lingue
Il provvedimento non conterrà la sola stabilizzazione di circa 140mila docenti precari. Si punterà anche sul rafforzamento di alcune materie (inglese, storia dell’arte, musica, economia, diritto inteso come educazione alla cittadinanza, competenze digitali); verrà introdotta una nuova carriera per gli insegnanti (con scatti di carriera basati sulla valutazione delle performance); e sarà resa davvero obbligatoria la formazione in servizio.
Un piatto forte del Dl è il rafforzamento dell’asse scuola-lavoro, guardando al modello duale tedesco. «L’occupazione giovanile deve essere un’ossessione quotidiana del Paese e sicuramente lo è per questo governo – spiega al Sole24Ore il ministro Giannini -. Per questo vogliamo potenziare l’apprendimento attivo. Non possiamo parlare di politiche occupazionali se non facciamo prima politiche coerenti della formazione».
Il Miur pensa di realizzare un albo nazionale delle imprese, una piattaforma dinamica dove far incontrare le scuole con le aziende disponibili ad accogliere studenti in alternanza e attraverso cui accreditare le imprese che fanno formazione. Inoltre, si valorizzerà una didattica basata sul “saper fare”. Verrà finanziata la creazione di laboratori di nuova generazione. Si punterà a rendere strutturale l’apprendistato negli ultimi due anni delle superiori.

Puntare su competenze linguistiche e digitali
«Stiamo lavorando ad una policy sull’alternanza – sottolinea Giannini – che ci aiuti a curare la patologia della dispersione scolastica e anche a dare una risposta alle imprese che, in un momento storico in cui la percentuale di disoccupati fra i giovani è molto alta, non trovano personale specializzato. Fra scuola e aziende è andato in scena finora un dialogo fra sordi. Dobbiamo invertire questa situazione, creare un legame più forte fra queste due realtà. E dobbiamo farlo con l’alternanza, ma anche dando ai nostri ragazzi le competenze di cui hanno bisogno per entrare nel mondo del lavoro, sicuramente quelle linguistiche e digitali».
Il Dl prevede poi una razionalizzazione dei percorsi di istruzione tecnica e professionale (quest’anno va a regime la riforma varata nel 2010). Per ora, il Miur pensa solo a ridurre alcuni indirizzi “doppioni” dell’istruzione professionale per farli confluire nei settori dell’istruzione tecnica (perchè ritenuti più corrispondenti). Si lavora anche per aumentare le attività didattiche laboratoriali, attraverso una rimodulazione, a parità di tempo scuola, dei quadri orari degli indirizzi, con particolare riferimento al primo biennio. Si sta ragionando, infine, sulla possibilità di valorizzare il periodo trascorso in alternanza all’esame di maturità: avrà un peso reale nella prova orale, oggi essenzialmente limitata alla discussione di una tesina preparata dallo studente.

Meno abbandoni e stage in aumento grazie ai fondi europei

da Il Sole 24 Ore

Meno abbandoni e stage in aumento grazie ai fondi europei

di Cl. T.

Riduzione dell’abbandono scolastico di circa 7 punti (dal 28,7% al 21,5%). Aumento del tasso di scolarizzazione superiore (dal 67,4% al 74,6%) e della partecipazione degli adulti a percorsi di apprendimento permanente. Più studenti in alternanza scuola-lavoro, e un primo miglioramento delle dotazioni tecnologiche negli istituti: oggi il rapporto computer-allievi è sceso a 1 ad 8 (era 1 a 33, fino a qualche anno fa).

I circa 2 miliardi del Pon Istruzione 2007-2013 attribuiti alle quattro Regioni Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) «stanno avendo un impatto positivo, e certificato dagli ultimi dati ufficiali Istat e Ocse-Pisa – spiega il capo dipartimento per la Programmazione e le risorse umane e finanziarie del Miur, Sabrina Bono -. Il tasso di abbandono alla fine del secondo anno delle superiori è sceso dal 4,8% al 2,6% e il divario Nord-Sud nell’abbandono durante il primo ciclo è stato del tutto abbattuto». Inoltre, il tasso di partecipazione alle scuole secondarie nelle regioni Convergenza «è passato dal 91,8% al 94,2%, in controtendenza con le Regioni del Nord che registrano un tasso inferiore».

Il Pon Istruzione 2007-2013 è composto da 1,4 miliardi di risorse Fse (Fondo sociale europeo) e da oltre 510 milioni di risorse Fesr (Fondo europeo sviluppo regionale). La capacità d’impegno è stata del 100%, le risorse Fse sono state certificate al 74,92% (1,1 miliardi). Un po’ più a rilento il Fesr dove l’importo certificato Ue è di 281,2 milioni (circa il 55%). «Abbiamo ancora due anni per terminare la rendicontazione, ma non ci sono rischi di mancato raggiungimento degli obiettivi con conseguente perdita automatica di risorse – aggiunge Bono -. Anzi, i buoni risultati del Pon 2007-2013 saranno da stimolo per far bene anche con i nuovi fondi 2014-2020 che sono saliti a tre miliardi e potranno essere spesi in tutte le regioni, non solo quindi in quelle del Sud».

La programmazione 2007-2013 «ha interessato il 95% delle scuole delle 4 Regioni Convergenza – sottolinea Annamaria Leuzzi, autorità di gestione presso il Miur dei fondi comunitari per l’istruzione -. Sono stati finanziati 15.470 progetti relativi a laboratori multimediali e per i diversi settori formativi, produttivi. Circa 500 sedi scolastiche sono in via di riqualificazione e di messa in sicurezza degli edifici». Positivi anche i dati sull’alternanza scuola-lavoro: le azioni «Tirocini e stage» e «Impresa simulata» hanno interessato oltre 110mila studenti (15.468 hanno realizzato uno stage all’estero) e sono state circa 8mila le imprese che hanno ospitato i ragazzi.

La sfida è ora la nuova partita 2014-2020. Il programma approvato dalla Ue prevede che alle Regioni più sviluppate andranno 700 milioni, a quelle in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) circa 200 milioni e alle regioni meno sviluppate del Mezzogiorno arriveranno 2,1 miliardi. I primi bandi sono in via di definizione, e riguarderanno digitale, laboratori e infrastrutture per le regioni del Centro-Nord. Poi si partirà con il Sud. Che risultati ci si attende? «Il miglioramento delle competenze degli studenti in italiano e matematica – evidenziano dal Miur -, la riduzione del tasso di dispersione scolastica e un consistente rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro».

Fondi ai docenti meritevoli per migliorare la qualità dell’insegnamento

da Il Sole 24 Ore

Fondi ai docenti meritevoli per migliorare la qualità dell’insegnamento

di Attilio Oliva*

Il ministro Giannini ha da poco dato notizia che oltre l’80% di coloro che hanno partecipato alla grande consultazione su “La Buona Scuola” si è espresso per il riconoscimento del merito; ma al contempo costoro hanno chiesto che in ogni scuola si crei un’offerta di formazione permanente per migliorare la professionalità di tutti gli insegnanti. Tuttavia per TreeLLLe (e per l’Ocse) è necessario realizzare un terzo punto che è previsto ma non enfatizzato dal documento governativo. Infatti, se le scuole non sono aziende, sono comunque “imprese sociali” di elevata complessità che richiedono una “leadership distribuita”, comprendente il preside e un limitato numero di docenti di sua fiducia (“quadri intermedi”) impegnati nell’organizzazione dei servizi.

Su questi temi il progetto Buona Scuola è innovativo: esso riconosce infatti a ogni istituto l’autonomia per decidere sia chi siano i docenti meritevoli sia quelli cui attribuire particolari funzioni. Affidando tali scelte a un Nucleo di valutazione della singola scuola composto dal preside e da due docenti (per TreeLLLe potrebbero essere eletti dal collegio dei docenti), più un esterno di garanzia. Il Nucleo opererebbe su tre versanti: attribuirebbe ogni tre anni al 66% dei docenti un riconoscimento economico permanente al posto degli attuali scatti di anzianità che al momento sono uguali per tutti; individuerebbe fra gli insegnanti i più apprezzati per le loro capacità didattiche e formative, i “mentori” incaricati di realizzare la formazione permanente (fino al 10% massimo); farebbe emergere i quadri intermedi (dal 5 al 15%, a seconda della complessità della scuola) che si farebbero carico di realizzare, insieme al preside, una “leadership distribuita”. Mentori e quadri intermedi avrebbero incarichi (e una retribuzione aggiuntiva) temporanei e rinnovabili previa valutazione del lavoro svolto. Questo modello realizza per la prima volta tre caratteristiche finora ignorate nel nostro sistema e risultate vincenti in altri paesi: un concreto riconoscimento dei meriti professionali, un effettivo spazio per l’autonomia delle scuole e un decisivo apprezzamento alla flessibilità organizzativa.

In prospettiva, TreeLLLe indica un ulteriore sviluppo positivo: riservare l’accesso alla funzione di preside solo a chi ha svolto positivamente ruoli di mentore o di quadro intermedio, così da verificare preventivamente i requisiti attitudinali(oggi ignorati) essenziali per dirigenti che di fatto occuperanno per tutta la vita, nel bene o nel male, quella posizione. Tutto ciò richiede che un po’ di risorse siano finalmente dedicate al personale meritevole per migliorare la “qualità dell’insegnamento“ nell’interesse degli studenti piuttosto che, come ė finora avvenuto, per creare nuovi posti di lavoro. Ma i soliti nemici della autonomia non si danno ancora per vinti: giungono notizie di spinte per spostare la valutazione del merito al di fuori delle scuole, tramite concorsi nazionali o territoriali. Con l’appendice di nominare a vita mentori e quadri secondo un modello di carriera rigido e immodificabile nel tempo.

L’esperienza dovrebbe aver ben dimostrato che i concorsi sono costosi, lenti ed inefficaci, esposti a raffiche di contenzioso e comunque affidati a commissioni che non hanno conoscenza diretta della singola scuola, né un diretto interesse a scegliere i più idonei. Il principio di operare nomine a vita, poi, costituisce un doppio errore: toglie a tutti i non prescelti la tensione positiva a migliorare e preclude ai più giovani la possibilità di concorrere a posizioni superiori, occupate a vita da chi vi è approdato per primo. Una tale decisione, ove mai fosse assunta, non terrebbe conto del fatto che non solo le persone cambiano nel tempo, ma che anche la scuola cresce e modifica i propri bisogni e non può essere trattata come un esercito da irreggimentare. Tanto più che queste figure rigide, migrando da una scuola a un’altra, determinerebbero soprannumeri e/ o carenze nei vari profili necessari.

*Presidente dell’Associazione TreeLLLe

Eurispes, Italia indietro su abbandono scolastico e laureati under 34

da Il Sole 24 Ore

Eurispes, Italia indietro su abbandono scolastico e laureati under 34

di Francesca Milano

Il capitolo dedicato all’Istruzione nel rapporto 2015 conferma che il nostro Paese è sempre più lontano dal raggiungimento degli obiettivi Ue per il 2020.

Nell’istruzione l’Italia non riesce a tenere il passo dell’Europa. Nel suo rapporto relativo al 2015, l’Eurispes fa il punto sulla stategia decennale varata dalla Ue in tema di istruzione, i cui obiettivi sono la riduzione sotto al 10% del tasso di abbandono scolastico e l’aumento al 40% dei laureati entro i 34 anni (guarda la tabella ).

Abbandono scolastico
A cinque anni dall’avvio del decennio “strategico”, in Italia l’abbandono scolastico tocca ancora cifre molto elevate: 17% contro la media europea che si attesta a quota 11,9 per cento. A preoccupare – secondo il rapporto Eurispes – è soprattutto la lentezza con la quale si sta riducendo tale percentuale: di questo passo, entro la fine del decennio (2020) l’Italia non raggiungerà il target proposto dalla Ue, motivo per cui per l’Italia è stato fissato un target nazionale a quota 15-16%, ben lontano dall’inarrivabile 10% che invece sembra essere alla portata della maggior parte degli altri Paesi.
Nel dettaglio, in Italia sono soprattutto i ragazzi ad abbandonare gli studi: 20,2% contro il 13,7% delle ragazze. Oltre al divario di genere, ne esiste anche uno legato alla cittadinanza: gli studenti extracomunitari che abbandonano la scuola solo il 34,4%, contro il 14,8% degli italiani.

Laureati
Anche il secondo obiettivo europeo è ancora troppo lontano per l’Italia, che sul fronte dei laureati tra i 30 e i 34 anni è addirittura fanalino di coda nella classifica dei Paesi. La percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni in Italia è pari al 22,4%, contro la media Ue del 36,5 per cento. Anche in questo contesto si registra una differenza tra uomini e donne: 17,7% contro il 27,2 per cento. Questo ritardo rispetto agli obiettivi Ue ha portato a un ridimensionamento del target per l’Italia, che entro il 2020 dovrà ragginugere il 26-27% dei laureati sotto i 34 anni, contro lo standard comunitario del 40 per cento.

Inglese fin da piccoli, progetti in 84% delle scuole dell’infanzia

da La Stampa

Inglese fin da piccoli, progetti in 84% delle scuole dell’infanzia

Le “lezioni” sono prettamente a carattere ludico con l’inglese come lingua più gettonata

L’84,8% delle scuole dell’infanzia prevede tra le sue attività anche progetti di insegnamento di una lingua straniera, dell’inglese in primis (96,5%).

Un’offerta che piace molto a genitori e maestri di scuola primaria, ma che allo stesso tempo mette in luce la necessità di «intervenire in modo sistemico sulla formazione dei docenti».

Circa uno su 5, infatti, ha un’abilitazione (livello A2) «decisamente inferiore» a quella richiesta a un docente di lingua straniera (livello B2). È quanto emerge dal primo “Rapporto di monitoraggio sulle esperienze di insegnamento/sensibilizzazione alle lingue straniere nella scuola dell’infanzia” del Ministero dell’Istruzione, che sarà presentato nei prossimi giorni e che ha analizzato, tramite questionario, le attività di un campione di 1.740 scuole (1425 statali e 315 paritarie) di 18 regioni. 257.713 i piccoli allievi coinvolti, di cui 29.150 non italofoni.

L’84,8% delle scuole intervistate dichiara di aver attivato forme di insegnamento della lingua straniera, mentre il 53,4% ha attivato forme di sensibilizzazione alle lingue. Il 48,7% ha avviato entrambe le proposte. Potrebbe essere un buon inizio per un sistema scolastico che, nei piani e nelle intenzioni del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, vede l’introduzione dell’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (Clil) già dalla primaria.

Alla scuola dell’infanzia, nella metà dei casi, è un docente interno a tenere le «lezioni». La maggior parte possiede una laurea abilitante, una laurea in lingue o un diploma magistrale ed è qualificata per l’insegnamento di una lingua straniera. Una fetta di questi, però, impegnata sia nelle attività di insegnamento (20,7%) che in quelle di sensibilizzazione (16%), ha un livello di abilitazione (A2) «decisamente inferiore» a quello solitamente richiesto (B2). Di contro, invece, ci sono docenti con livelli di competenza molto alti, C1-C2, presenti per il 25,4% nelle attività di insegnamento e per il 14,8% nelle attività di sensibilizzazione.

Le «lezioni», prettamente a carattere ludico, hanno cadenza settimanale (62,5%) e durano più di 30 minuti (68,2%). Sono rivolte in particolare ai bambini dai 5 anni (46,3%). Solo il 15,9% delle scuole statali e il 27,9% di quelle paritarie ha un’aula dedicata alla didattica. In generale, nella maggioranza dei casi (62,3%) per queste attività non sono chiesti costi aggiuntivi alle famiglie.

L’inglese è la lingua più gettonata tra quelle insegnate (96,5% delle scuole) nelle scuole prese a campione, ma ci sono anche percorsi didattici dedicati al francese (1,62%), allo spagnolo (0,81%), al tedesco (0,5%) e alle lingue emergenti come cinese (0,07%) e arabo (0,5%). Dai questionari, conclude il rapporto, «non emergono però iniziative per l’insegnamento o la sensibilizzazione a lingue come il rumeno o l’albanese, ormai prevalenti tra la popolazione non italofona».

Riforma, ecco perchè cambierà la vita scolastica di studenti e insegnanti

da La Tecnica della Scuola

Riforma, ecco perchè cambierà la vita scolastica di studenti e insegnanti

 

Nel dl che a fine mese arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri vi saranno tre macro-capitoli: studenti, insegnanti, vita scolastica. All’interno il pacchetto assunzioni, il concorso per prof, la nuova carriera, l’aggiornamento obbligatorio, la valutazione. E interventi sui programmi. Tempi più lunghi per la legge delega, dove confluiranno le parti più “ostiche”: revisione organi collegiali, nuovo testo unico, forse riforma dei cicli e della scuola dell’infanzia.

Cominciano a trapelare indiscrezioni sempre più dettagliate sulla riforma della scuola: l’annuncio ufficiale del programma è previsto per il prossimo 22 febbraio, in occasione del primo compleanno del Governo Renzi. Presso il Tempio di Adriano di Roma, il Pd presenterà le linee guida, rivedute e corrette sulla base delle indicazioni pervenute nel corso dei due mesi di consultazione nazionale on line. Di sicuro, al momento, si sa solo il nome dell’evento: “La scuola che cambia, cambia l’Italia”.  Sui contenuti del decreto legge che approderà a lì a qualche giorno in Consiglio dei Ministri (seguirà una legge delega che accoglierà questioni più ampie), dicevamo, ci dobbiamo accontentare delle indiscrezioni. Che però si fanno sempre più dettagliate.

Secondo l’agenzia nazionale Ansa, il decreto legge, la parte della riforma da approvare con urgenza e che avrà effetti pratici già dal prossimo anno scolastico, come ha confermato dal premier Renzi, “sarà sostanzialmente composto di tre grandi capitoli: studenti, insegnanti, vita scolastica. In esso confluiranno il pacchetto di assunzioni (circa 140 mila persone che dovranno restare almeno tre anni nel posto che scelgono), sarà impostato il nuovo concorso per docenti (“avremo – ha assicurato il ministro – professori più giovani. Nel 2025 la media sarà scesa di 3-4 anni”), verranno affrontate le questioni che riguardano carriera (a cominciare dagli scatti di merito; gli scatti di anzianità rimarranno in vita, ma con un ruolo sempre più marginale), aggiornamento (obbligatorio) e valutazione”.

Sono previsti anche interventi sulle discipline e i programmi scolastici, la cui ultima rivisitazione normativa risale alla legge 133/2008 durante l’ultimo Governo Berlusconi e con Maria Stella Gelmini ministro dell’Istruzione. Anche in questo caso vi sono previsioni, anche dettagliate. “Nelle quarte e quinte elementari oltre alla musica e all’educazione fisica con insegnanti specialisti, da settembre ci sarà la possibilità di avere professori di inglese che insegneranno, in compresenza con la maestra, una materia in inglese, il cosiddetto Clil. In terza e quarta superiore verrà introdotta un’ora di economia”.

Qualche indizio comincia a trapelare anche sulla legge delega, attraverso cui verranno affrontati le parti della riforma più “ostiche”: come la riforma degli organi collegiali, attesa da decenni, ma anche il nuovo “testo unico per la scuola, un’eventuale riforma dei cicli e con buona probabilità anche la riforma della scuola dell’infanzia recependo il disegno di legge sul sistema integrato per l’infanzia, prima firmataria Francesca Puglisi, che prevede l’estensione dell’educazione prescolare dai tre mesi ai sei anni su tutto il territorio nazionale”.

Riforma imminente: partirà il 1° settembre 2015

da La Tecnica della Scuola

Riforma imminente: partirà il 1° settembre 2015

L’annuncio arriva dal premier Matteo Renzi, la mattina del 2 febbraio, tornando a Palazzo Chigi: ormai ci siamo, è una priorità anche perché ci sono dei tempi tecnici e deve entrare in vigore con il nuovo anno scolastico. A fine mese il documento in CdM.

La riforma della scuola si farà in tempi stretti e partirà subito dopo l’estate, con l’avvio del prossimo anno scolastico. A dirlo, senza giri di parole, è stato il premier Matteo Renzi, la mattina del 2 febbraio, tornando a Palazzo Chigi dopo una passeggiata alla Galleria Colonna.

“Sulla riforma della scuola ci siamo, è una priorità anche perché ci sono dei tempi tecnici e deve entrare in vigore il 1° settembre” 2015.

I tempi dovrebbero essere questi: domenica 22 febbraio in occasione del primo compleanno del Governo, verranno presentate le rinnovate linee guida di riforma: il luogo è già stato fissato, il Tempio di Adriano, e anche il titolo dell’evento, che sarà “La scuola che cambia, cambia l’Italia”. Mancano però i dettagli e il programma della giornata.

Quel giorno il Pd organizzerà una manifestazione nazionale sulla Buona Scuola nella quale, ha spiegato nei giorni scorsi lo stesso Renzi, saranno contenuti i nuovi atti normativi sugli insegnanti, sul merito, ma anche su precariato e supplenze, sulla formazione tecnica e professionale, sull’alternanza scuola lavoro, sull’educazione motoria, sull’arte, l’educazione civica, l’inglese, sulla valutazione degli insegnanti e delle scuole e sul merito. Subito dopo, l’ultima settimana di febbraio, il documento contenente le linee guida di riforma, verrà portato in Consiglio dei Ministri per essere approvato nella stessa seduta.

Su alcuni punti, come la quasi sparizione degli scatti di anzianità, si prevede lotta dura con i sindacati. Poche ora fa l’Anief ha parlato di febbraio come “mese cruciale per il futuro della scuola italiana”. Ed ha messo “subito le mani avanti” per “indica al Governo che su alcuni punti personale e sindacato non transigono”.

Segreterie scolastiche prossime al collasso?

da La Tecnica della Scuola

Segreterie scolastiche prossime al collasso?

Il sistema informatico per il pagamento degli stipendi funziona a intermittenza e molto spesso alle scuole vengono chiesti “monitoraggi” e rendicontazioni dall’oggi al domani.
La denuncia di Unicobas.

Ormai le molestie burocratiche di cui sono vittime le segreterie scolastiche sono pressochè quotidiane. Per l’intero mese di gennaio le scuole sono state oggetto continuo di solleciti per il pagamento degli stipendi dei supplenti, sia quelli arretrati sia quelli di gennaio.
E, proprio in materia di stipendi, le scuole devono scontare anche il fatto che non sempre il sistema di Noipa funziona in modo regolare. Le ore perse per capire se il malfunzionamento dipende dalla postazione da cui si lavora, dalla connessione disponibile o dal sistema centrale non si contano più.
Al Ministero sembrano non rendersi conto che le segreterie scolastiche non si trovano tutte nelle grandi città servite dalla banda larga, ma sono sparse dovunque anche in montagna o nelle aree più isolate. Le scuole senza una connessione internet adeguata sono ancora tante.
E poi ci sono le vere e proprie “scocciature”, come quella che nei giorni scorsi è stata segnalata da Unicobas e relativa ai progetti scuola-lavoro. Nel Lazio (ma probabilmente anche in altre regioni) l’USR ha chiesto alle scuole di predisporre seduta stante i rendiconti delle spese connesse con i progetti scuola-lavoro: “Sono indispensabili – hanno spiegato i funzionari regionali – per consentire al Ministero di erogare il saldo”.
Ovviamente i rendiconti doveva esssere predisposti nel giro di pochissimo tempo e, per di più, firmati da revisori dei conti: evidentemente la firma di un DSGA e di un dirigente scolastico non sono sufficienti o addirittura non sono considerate abbastanza affidabili da parte del Ministero.
Le scuole hanno “obbedito” ma il malumore degli uffici sale sempre di più.
“Difficile dire fino a quando le segreterie riusciranno a resistere – sottolinea Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas – certo è che a settembre, il taglio di 2mila posti previsto dalla legge di stabilità provocherà il collasso finale degli uffici”.

Il decreto stipendi non verrà convertito in legge

da La Tecnica della Scuola

Il decreto stipendi non verrà convertito in legge

Salta la conversione in legge perchè – spiegano dalla Commissione Finanze del Senato – la norma sta già scritta nella legge di stabilità. Per i supplenti non cambierà nulla perchè hanno già ricevuto gli arretrati.

Il decreto 185 del 16 dicembre scorso che stanziava 64 milioni di euro per garantire il pagamento degli stipendi arretrati dei supplenti non verrà convertito in legge. Neppure questa settimana, infatti, i lavori della sesta Commissione (Finanze) prevedono l’esame del provvedimento che- a questo punto – dovrà decadere.
Dalla Commissione spiegano che in realtà non c’è nessuna necessità di convertirlo in legge in quanto le disposizioni in questione sono già contenute nella legge di stabilità.
Ma, per la verità, la questione non è del tutto chiara perchè nella legge di stabilità una norma precisa che stanzia i fondi necessari per pagare gli arretrati non c’è; a meno che non ci si voglia riferire al miliardo di euro messo a disposizione dalla legge per l’attuazione del Piano Buona Scuola.
Resta però il fatto che il decreto stabiliva anche un’altra regola: il MEF d’ora in avanti avrebbe dovuto monitorare la spesa per le supplenze; nel caso di sforamento dello stanziamento previsto il Miur dovrebbe far fronte alla maggiore spesa utilizzando i fondi destinati al funzionamento amministrativo e didattico delle scuole.
Dal punto di vista pratico per i supplenti non cambierà nulla perchè in realtà gli arretrati sono sono già stati liquidati. Resta da capire come verrà affrontato di qui in avanti il problema dell’eventuale sforamento del tetto di spesa.

Un solo asilo, ma per tutti, da 0 a 6 anni

da La Tecnica della Scuola

Un solo asilo, ma per tutti, da 0 a 6 anni

Nella “Buona scuola” entra la riforma delle scuole dell’infanzia. Il Pd, prima firmataria Francesca Puglisi, propone la legge “Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni (e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento)”

Nelle intenzioni della senatrice democratica c’è l’obiettivo di azzerare la separazione  tra asili nido (0-3 anni) e scuole dell’infanzia (3-6 anni), portando tutto a “zero-sei”, un’unificazione insomma dell’educazione della prima infanzia e il nido non sarà più un servizio a domanda individuale, ma generale, sotto la responsabilità unica del ministero dell’Istruzione.

Lo scrive oggi la Repubblica che spiega come gli attuali due segmenti siano “attraversati da tensioni e spinte regressive” e rispondono alla domanda sociale con servizi per l’infanzia “senza condizioni minime di qualità” e continue fughe in avanti verso la scuola dell’obbligo.

Se oggi i nido ancora oggi gravano quasi interamente sui bilanci dei comuni, tanto che alcune amministrazioni locali hanno dovuto abbassare la qualità dei servizi, nella scuola dell’infanzia invece i pre-adolescenti sono distribuiti tra scuole statali, comunali e dei privati, mentre l’Europa chiede il 90 per cento di mano pubblica sui 3-6 anni.

La legge delega, presentata da Puglisi, punta invece al 75 per cento e con particolare riferimento alla formazione degli educatori che, spiega sempre Repubblica,  dovranno essere formati all’interno di percorsi universitari e dovranno essere continuamente formati. Bambine e bambini dovranno poter coprire la distanza tra casa e scuola “in tempi ragionevoli”, a piedi, con i mezzi pubblici, con un trasporto appositamente predisposto. Le aziende pubbliche e private, quale forma di welfare aziendale, potranno erogare alle famiglie che hanno figli in età compresa fra i tre mesi e i tre anni un buono denominato, un “Ticket nido” fino a 150 euro spendibile nel sistema dei nidi accreditati o a gestione diretta comunale.

La nuova legge prevede, così come illustra Repubblica,  un sostegno finanziario non solo per l’istituzione di nuovi servizi e scuole, ma anche per la loro successiva gestione e ridisegna meccanismi di finanziamento pubblico: il 50 per cento dei costi di gestione delle scuole dell’infanzia sarà a carico dello Stato, il restante resta alle Regioni e agli enti locali. Ci saranno 700 milioni per l’anno 2015, 900 milioni per il 2016, 1,2 miliardi per il 2017, 1,4 miliardi per il 2018, 1,5  miliardi a decorrere dall’anno 2019. Ragioneria dello Stato permettendo.