Lo spettro delle competenze

Uno spettro si aggira per la scuola: lo spettro delle competenze

di Maurizio Tiriticco

Faccio mio l’incipit del saggio di Mario Castoldi “Dietro la certificazione: valutare le competenze”, pubblicato da “Notizie della Scuola”, n. 11 dello scorso 1-15 febbraio! Quale miglior titolo per tornare a parlare dei modelli di certificazione delle competenze terminali della scuola primaria e del primo ciclo di istruzione, di cui alla cm 3/15? [1]. Non riesco a capire perché un’operazione, che avrebbe dovuto richiedere indicazioni chiare e nette, per quanto riguarda la definizione delle competenze da accertare e da certificare da parte della istituzioni scolastiche e le relative procedure, sia invece sostenuta da pagine e pagine… una cm, Linee guida e relativi allegati, per un totale di 24, inclusi i due modelli. Insomma, un conto è un trattatello sulle competenze, altro conto una norma che ne prescriva la certificazione, anche se in via sperimentale. Il fatto è – a mio vedere – che in materia di competenze è lo stesso Miur a balbettare. Nelle Indicazioni nazionali non si “indicano” competenze da certificare, ma si ripiega sui traguardi; nelle Linee guida si passa dai traguardi ai profili. Ma queste benedette competenze da certificare quali sono? Non le possono inventare gli insegnanti! Se vuoi imparare a guidare un’automobile, non è la scuola guida che inventa che cosa devi conoscere e saper fare, ma la Motorizzazione, se non erro, o chi per essa. La medesima cosa vale per le abilitazioni rilasciate dagli ordini professionali: si parva licet componere magnis

Basti pensare che, per quanto riguarda la conclusione dell’istruzione obbligatoria decennale, il Miur ha indicato con chiarezza quali sono le competenze da certificare e con quali procedure [2]. In effetti, spetta all’amministrazione centrale – qualunque essa sia – scegliere e decidere ciò che va certificato: si tratta di operazioni di ampio respiro sulle quali organi periferici non hanno e non possono avere alcuna competenza.

Di fatto, e di diritto, è una materia sulla quale non si può sperimentare. Chi deve individuare, definire e descrivere competenze che abbiano un respiro nazionale – ed oggi anche europeo, stando alle indicazioni dell’EQF [3] – è l’Amministrazione centrale. Ovviamente, con il passar del tempo le competenze cambiano – il meccanico della Ford T del 1908 non è il meccanico della Toyota ibrida dei nostri giorni – e tocca sempre al potere centrale la responsabilità di intercettare i cambiamenti.

Comunque si è scelta la via della sperimentazione. Fino ad ora gli insegnanti sono stati “costretti” (sic!) a “inventare” le competenze terminali del primo ciclo di istruzione! Ora non sono più tenuti a “inventare”, ma a “sperimentare”. Ma non è chiaro se la sperimentazione consenta di modificare i modelli proposti. Comunque, per quest’anno non è obbligatoria. Così gli insegnanti possono continuare a inventare! Ma dal prossimo anno scolastico, l’adozione “del prototipo di modello, così come viene validato ed eventualmente integrato” sarà generalizzata in tutte le scuole e, dall’anno scolastico 2016-17, diventerà obbligatoria. Insomma, lo schiacciasassi procede comunque! E non scioglie un’altra questione di fondo, che è a monte, da sempre: e cioè che valutare con i voti è una cosa; certificare competenze è un’altra cosa. Sono norme che configgono, e che ci portiamo dietro da anni e che nessun ministro è stato capace finora di modificare conseguentemente.

Va anche detto che l’adesione al percorso comporta operazioni complesse e un coinvolgimento da parte degli insegnanti pressoché totalizzante. Il rischio di riempire carte su carte è evidente e non vorrei che si realizzasse! Già nel precedente scritto ho manifestato una serie di riserve sui due modelli, in primo luogo perché le competenze non sono individuate, definite e descritte in quanto tali (che cosa concretamente sa fare l’alunno al termine di un percorso), ma indicate secondo la voce “profili delle competenze”: il che, a mio vedere, vuol dire tutto o nulla! O meglio, l’Amministrazione centrale non si vuol far carico di nulla e scarica alle periferie la responsabilità di “dire la loro”! Tanti galli a cantare! Per non dire poi che lo sforzo che l’Amministrazione ha fatto è pressoché nullo! Se è vero che i “profili” sembrano risultare un copia e incolla dei “traguardi” di cui alle Indicazioni nazionali.

Ma la cosa più preoccupante è che le competenze conclusive del primo ciclo sono certificate dal consiglio di classe in sede di seduta finale di ammissione all’esame di Stato. Ciò che cosa significa, di fatto e di diritto? Che quelle competenze, pardon, quei profili, una volta certificati e con tanto di livello, saranno messi in discussione e forse anche smentiti dall’esito delle prove. Se si pensa al fatto che la prova nazionale proposta e imposta dall’Invalsi in larga misura mette in discussione i voti di ammissione in due delle materie fondamentali, si potrà verificare che certe competenze saranno smentite dall’esame. Mah!

Concludendo: la certificazione di competenze è un ATTO FINALE, comunque, esame di Stato o non esame di Stato! Non solo! Una reale certificazione di competenze nulla ha a che fare con i voti a cui siamo abituati, in quanto nasce da una logica diversa e profondamente innovativa dell’insegnare/apprendere! Insomma, non si possono salvare capra e cavoli: da un lato la certificazione perché è un’innovazione e perché, come si suol dire. “ce lo chiede l’Europa”; dall’altro un esame di Stato con tanto di voti finali perché, terminando un ciclo, ce lo impone la Costituzione!

Insomma, temo molto che tale incongruenza – da un lato la normativa tuttora vigente, dall’altro una innovazione normativamente ancora non vigente – possa creare all’interno delle istituzioni scolastiche un grande e inutile lavoro. Tuttavia gli scudieri del re mi diranno che per la prima volta gli insegnanti sono tenuti a partecipare a una grande operazione, in virtù dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e che in materia di valutazione – stando all’articolo 4, comma 4 del dpr 275/99 – la responsabilità è tutta loro. Ed è vero, però, “nel rispetto della normativa nazionale”, all’interno di quadri di riferimento che solo il potere centrale può e deve indicare.

Comunque, voglio essere ottimista e… speriamo che ce la caviamo! Ne abbiano viste di peggio!


 

[1] Vedi “Con le competenze non si gioca”, del 20 febbraio u.s.

[2] Si vedano i dm 139/07 e 9/10. Il fatto poi che sulle indicazioni ministeriali si avanzino critiche o meno è altro discorso, ma la norma è la norma.

[3] Si tratta dell’European Qualifications Framework che il nostro Governo ha recepito con l’Accordo quadro Stato-Regioni siglato il 20 dicembre 2012. In quell’Accordo leggiamo che il livello 2 dell’El notro Il livello

I sindacati scuola uniti per il contratto, le stabilizzazioni, gli investimenti

L’11 aprile a Roma una grande manifestazione concluderà la mobilitazione di tutto il personale della scuola indetta da FLC CGIL, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda.
“Rinnovare il contratto di lavoro e dare risposte concrete alle migliaia di persone che oggi lavorano con contratti precari per assicurare organici funzionali alla scuola dell’autonomia, investire in formazione: ecco le ragioni della mobilitazione” spiegate in un documento diffuso dai cinque sindacati.
Ecco il programma:
Dal 20 al 24 marzo si svolgeranno iniziative e azioni nelle scuole e nei territori.
Il 25 marzo a Roma i rappresentanti dei cinque sindacati incontreranno parlamentari e forze politiche ai quali sottoporranno la loro piattaforma.
E infine la manifestazione di aprile.
Oltre al rinnovo del contratto, scaduto da 6 anni, preoccupa i sindacati che questioni come salari, carriere, orari invece che dal contratto tornino a essere disciplinate dalla legge, prefigurando così un sistema gerarchizzato, poco flessibile e lontano dalla realtà del lavoro.
I sindacati criticano anche le proposte contenute nel piano “La Buona Scuola” su premialità, valutazione, ruolo della dirigenza scolastica e sottovalutazione del personale Ata.
“Lo stato di incertezza sul fronte delle assunzioni e le ipotesi di interventi sbagliati sulle retribuzioni – si legge nel documento – stanno generando preoccupazione e tensioni. Il progetto del governo non ha i requisiti della vera innovazione, non investe risorse, non si fonda su un reale confronto, presuppone la condivisione ma poi non la pratica. La scuola italiana ha bisogno di un significativo piano di investimenti che la riporti in linea con gli altri Paesi europei”.

ELEZIONI RSU

ELEZIONI RSU, UIL PA: IN DIREZIONE SCOLASTICA REGIONALE CI CONFERMIAMO IL PRIMO SINDACATO CON IL 50% DEI VOTI

 

“A Milano un risultato straordinario, molto oltre le nostre previsioni, che porta la Uil Istruzione a essere il sindacato maggiormente rappresentativo con il 50% dei voti negli Uffici della Direzione Scolastica Regionale per la Lombardia di via Pola a Milano”.

 

Lo afferma Teresa Palese, segretario responsabile della Uil Miur lombarda, commentando i dati sulle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie, che si sono concluse oggi.

 

“Il numero dei voti alla nostra lista – continua Palese – supera largamente quello degli iscritti e il maggior numero di preferenze in assoluto è andato alla nostra candidata Mariella Valenza in forza all’Ufficio dirigenti scolastici”.

 

“Un risultato che premia ancora una volta l’azione di un sindacato libero, la coerenza della nostra attività sindacale e l’impegno con il quale i nostri iscritti e i candidati hanno affrontato questa non semplice tornata elettorale” – dichiara soddisfatta Teresa Palese – e noi, per questo, ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile il risultato”.

 

“In una fase in cui – conclude Teresa Palese – i processi di riorganizzazione in atto al Ministero dell’Istruzione, e di conseguenza nelle sue strutture amministrative periferiche, non sono ancora ben definiti, noi continuiamo a sostenere la necessità di non “chiudere” gli Uffici, bensì continuare a mantenere i servizi alla collettività e il personale sul territorio”.

Il coordinatore regionale Uilpa Miur

Collocamento in IV Fascia è illegittimo

Vittoria piena dell’ANIEF presso il Tribunale di Verona: il collocamento in IV Fascia è illegittimo perché non consente l’accesso al pubblico impiego secondo Costituzione

 

Nel pieno rispetto del merito e dei dettami costituzionali, il Tribunale di Verona accoglie le tesi patrocinate dall’ANIEF e dichiara illegittimo l’inserimento in IV Fascia delle GaE di un nostro iscritto in quanto tale collocazione non rispetta il suo diritto al collocamento secondo il fondamentale principio del merito. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Maria Maniscalco, con la competenza e la professionalità che li contraddistingue da sempre, ottengono nuovamente la condanna del MIUR al rispetto dell’accesso ai pubblici uffici senza alcun riguardo al momento in cui il titolo di accesso alle GaE è stato conseguito e, dunque, al collocamento del ricorrente nelle III Fascia delle graduatorie di interesse nel rispetto dei dettami costituzionali.

 

Il Giudice del Lavoro di Verona, richiamando la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 2011 ottenuta proprio dai legali ANIEF, ha ribadito la necessità di rispettare il meccanismo meritocratico delle graduatorie, individuando nel DM 53/2012, ai sensi del quale alcune categorie di docenti venivano collocati dal MIUR in IV Fascia delle GaE, una nuova “espressione del principio dell’inserimento in coda nelle graduatorie ad esaurimento, principio come si è visto dichiarato dalla Corte Costituzionale non conforme a legge”. Rilevando, poi, che il MIUR, con nota prot. 4719 del 13.5.2013, “ha negato la possibilità per i docenti già inseriti in 4^ fascia di essere inseriti in 3^ fascia all’atto dell’aggiornamento delle graduatorie valide per il triennio 2014 -2017”, ha dedotto che in tal modo il Ministero dell’Istruzione ha interpretato la “fascia aggiuntiva” (c.d. IV Fascia) come “fascia subordinata alla terza fascia delle graduatorie” questione già risolta dall’ANIEF nel recente passato con dichiarazione di incostituzionalità di tale assunto.

 

Le argomentazioni esposte dai legali ANIEF, dunque, sono apparse al Giudice pienamente “esaustive, del tutto convincenti e condivisibili”, osservando che già in altri giudizi di merito il nostro sindacato aveva ottenuto ragione e confermando che “né l’art. 401 del TU n. 297/94 né l’art. 2 della legge n. 124/99 di istituzione delle graduatorie uniche permanenti, hanno previsto l’articolazione delle stesse in scaglioni elaborati secondo una regola di precedenza cronologica, ponendo piuttosto quale criterio per determinare l’ordine progressivo dei docenti, anche in conseguenza di aggiornamenti e inserimenti nell’elenco, quello del punteggio posseduto dagli stessi e, quindi, quello del merito”. Tale esegesi, dunque, è stata ritenuta “del tutto orientata costituzionalmente, in quanto consente l’accesso ai pubblici uffici a tutti coloro che ne hanno titolo, senza alcun riguardo al momento in cui detto titolo è stato conseguito e, dunque, secondo merito”.

 

L’ANIEF, sindacato che da sempre si è posto come imperativo la difesa senza condizioni dei diritti fondamentali dei lavoratori della scuola, ha nuovamente tutelato i dettami costituzionali ottenendo la dichiarazione che il DM 53/2012 emanato dal MIUR, in quanto in contrasto con le norme primarie di riferimento ed ostativo all’esercizio del diritto alla collocazione per merito nelle GaE, è illegittimo e deve essere disapplicato. Il Giudice ha, infatti, escluso categoricamente “che per mezzo di un atto di normazione secondaria possano introdursi deroghe alla disciplina posta per legge”, e ha accolto pienamente il ricorso ANIEF, dichiarando il diritto del nostro iscritto a essere inserito nella III Fascia delle GaE a decorrere dall’1.9.2014 in base al punteggio posseduto e condannando, di conseguenza, le Amministrazioni resistenti a rifondere le spese di lite liquidate nella somma complessiva di Euro 2.000, oltre accessori.

La scuola cattiva è questa

da Corriere.it

La scuola cattiva è questa

di Ernesto Galli della Loggia

La buona scuola non è solo quella degli edifici che non cascano a pezzi, degli insegnanti assunti e progredenti nella carriera per merito, o delle decine di migliaia di precari (tutti bravi? Siamo certi?) immessi finalmente nei ruoli: obiettivi ovviamente giusti, e sempre ammesso che il governo Renzi riesca a centrarli, visto che specie sui mezzi e i modi per conseguire gli ultimi due è lecito avere molti dubbi. Ma la buona scuola non è questo. La buona scuola non sono le lavagne interattive e non è neppure l’introduzione del coding, la formazione dei programmi telematici; non sono le attrezzature, e al limite – esagero – neppure gli insegnanti. La buona scuola è innanzi tutto un’idea. Un’idea forte di partenza circa ciò a cui la scuola deve servire: cioè del tipo di cittadino – e vorrei dire di più, di persona – che si vuole formare, e dunque del Paese che si vuole così contribuire a costruire.

In questo senso, lungi dal poter essere affidata a un manipolo sia pur eccellente di specialisti di qualche disciplina o di burocrati, ogni decisione non di routine in merito alla scuola è la decisione più politica che ci sia. È il cuore della politica. Né è il caso di avere paura delle parole: fatta salva l’inviolabilità delle coscienze negli ambiti in cui è materia di coscienza, la collettività ha ben il diritto di rivendicare per il tramite della politica una funzione educativa.

La scuola – è giunto il momento di ribadirlo – o è un progetto politico nel senso più alto del termine, o non è. Solo a questa condizione essa è ciò che deve essere: non solo un luogo in cui si apprendono nozioni, bensì dove intorno ad alcuni orientamenti culturali di base si formano dei caratteri, delle personalità; dove si costruisce un atteggiamento complessivo nei confronti del mondo, che attraverso il prisma di una miriade di soggettività costituirà poi il volto futuro della società.

La scuola, infatti, è ciò che dopo un paio di decenni sarà il Paese: non il suo Prodotto interno lordo, il suo mercato del lavoro: o meglio, anche queste cose ma soprattutto i suoi valori, la sua antropologia, il suo ordito morale, la sua tenuta.

Che cosa è diventata negli anni la scuola italiana lo si capisce dunque guardando all’Italia di oggi. Un Paese che non legge un libro ma ha il record dei cellulari, con troppi parlamentari semianalfabeti e perfino incapaci di parlare la lingua nazionale, dove prosperano illegalità e corruzione, dove sono prassi abituale tutti i comportamenti che denotano mancanza di spirito civico (dal non pagare sui mezzi pubblici a lordare qualunque ambiente in comune). Un Paese di cui vedi i giovani dediti solo a compulsare ossessivamente i loro smartphone come membri di fantomatiche gang di «amici» e di follower; le cui energie, allorché si trovano in pubblico, sono perlopiù impiegate in un gridio ininterrotto, nel turpiloquio, nel fumo, nella guida omicida-suicida di motorini e macchinette varie; di cui uno su mille, se vede un novantenne barcollante su un autobus, gli cede il posto. Essendo tutti, come si capisce, adeguatamente e regolarmente scolarizzati. È così o no?

Si illude chi crede – come almeno una decina di ministri dell’Istruzione hanno fin qui beatamente creduto – che a tutto ciò si rimedi con «l’educazione civica», «l’educazione alla Costituzione», «l’educazione alla legalità» o cose simili. A ciò si rimedia con la cultura, con un progetto educativo articolato in contenuti culturali mirati a valori etico-politici di cui l’intero ciclo scolastico sappia farsi carico. Un progetto educativo che perciò, a differenza di quanto fa da tempo il ministero dell’Istruzione, non idoleggi ciecamente i «valori dell’impresa» e il «rapporto scuola-lavoro», non consideri l’inglese la pietra filosofale dell’insegnamento, non si faccia sedurre, come invece avviene da anni, da qualunque materia abbia il sapore della modernità, inzeppandone i curriculum scolastici a continuo discapito di materie fondamentali come la letteratura, le scienze, la storia, la matematica. Con il bel risultato finale, lo può testimoniare chiunque, che oggi giungono in gran numero all’Università (all’università!) studenti incapaci di scrivere in italiano senza errori di ortografia o di riassumere correttamente la pagina di un testo: lo sanno il ministro e il suo entourage ?

All’imbarbarimento che incombe sulle giovani generazioni si rimedia altresì creando nelle scuole un’atmosfera diversa da quella che vi regna ormai da anni. In troppe scuole italiane infatti – complici quasi sempre le famiglie e nel vagheggiamento di un impossibile rapporto paritario tra chi insegna e chi apprende – domina un permissivismo sciatto, un’indulgenza rassegnata. Troppo spesso è consentito fare il comodo proprio o quasi, si può tranquillamente uscire ed entrare dall’aula praticamente quando si vuole, usare a proprio piacere il cellulare, interloquire da pari a pari con l’insegnante. Ogni obbligo disciplinare è divenuto opzionale o quanto meno negoziabile, e l’autorità di chi si siede dietro la cattedra un puro orpello. Mentre su ogni scrutinio pende sempre la minaccia di un ricorso al Tar.

Quando ho sentito il presidente Renzi e il ministro Giannini annunciare una svolta, parlare di riforma, di «buona scuola», ho pensato che in qualche modo si sarebbe trattato di questi argomenti, si sarebbe affrontato almeno in parte questi problemi. E finalmente, magari, con uno spirito nuovo di concretezza, con una visione spregiudicata. In fondo il primo ha una moglie insegnante, mi sono detto, la seconda ha passato la sua vita nell’Università: qualcosa dovrebbero saperne. Invece niente. Prima di tutto e soprattutto i soldi e le assunzioni (bene), ma poi per il resto il solito chiudere gli occhi di fronte alla realtà, i soliti miraggi illusori per cui tutto è compatibile con tutto, per cui l’«autonomia» degli istituti invece di essere quella catastrofe che si è rivelata viene ancora creduta la panacea universale, la solita melassa di frasi fatte e mai verificate. E naturalmente mai uno scatto di coraggio intellettuale e politico, mai una vera volontà di cambiare, mai quell’idea alta e forte del Paese e della sua vicenda di cui la scuola dovrebbe rappresentare una parte decisiva, invece della disperata cenerentola che essa è, e che – ci si può scommettere – continuerà a essere.

Istruzione e formazione femminili sono un moltiplicatore per la crescita

da Il Sole 24 Ore

Istruzione e formazione femminili sono un moltiplicatore per la crescita

di Silvia Costa*

La scolarizzazione femminile ha rappresentato la vera rivoluzione pacifica del Novecento, un secolo che – specie nella seconda parte, ha visto non solo crescere la presenza delle donne nell’educazione, anche come insegnanti, ma anche superare quella maschile. Tre dati per tutti, collegati agli obiettivi di Europa 2020: la dispersione scolastica tra 18 e 24 anni vede le ragazze coinvolte per il 12% e i ragazzi al 16% (obiettivo Ue: 10%); la frequenza delle scuole superiori registra una percentuale di ragazze superiore rispetto ai loro coetanei (addirittura dell’11%, in alcuni Paesi, come in Irlanda ma anche a Malta e in Romania); nelle università gli studenti di vent’anni sono per il 42% femmine e il 30% maschi, e le ragazze rappresentano inoltre il 60% dei laureati.

Ma sappiamo che permangono, sia pure in misura diversa, precoci discriminazioni dirette e indirette e aree di segregazione negli studi universitari (discipline scientifico-matematiche), nella formazione professionale e nell’alta istruzione tecnica (le ragazze sono meno presenti nelle competenze legate al TIC, all’energia e all’ambiente). È ancora troppo basso il numero delle giovani donne che si orientano verso la ricerca e le nuove tecnologie, mentre, la grande femminilizzazione del corpo docente (che prevale nelle scuole e si riduce nelle università) non sembra avere avuto l’impatto atteso: la riduzione degli stereotipi, il consolidamento di una maggiore autostima delle ragazze e il radicamento della cultura delle pari opportunità fra i ragazzi.

Se questo è vero in Europa, nell’anno europeo dedicato allo sviluppo e a pochi giorni dall’apertura della sessione Onu della Commissione Donne a vent’anni da Pechino, dobbiamo registrare che in molti Paesi in via di sviluppo la relazione fra accesso all’educazione delle donne, empowerment e partecipazione attiva è molto più evidente e che quindi l’esclusione o la riduzione delle possibilità di formazione diventa una priorità assoluta da affrontare e che deve vedere anche l’Europa più attiva sia nei partenariati e nella cooperazione allo sviluppo sia rimettendo l’educazione e la formazione più fortemente al centro della sua politica di crescita, intelligente, inclusiva e sostenibile.

I dati Unesco sull’istruzione delle ragazze, d’altro canto, sottolineano la relazione positiva con la salute, la riduzione della mortalità e povertà infantile, la tutela dell’ambiente, la crescita economica e la difesa dei diritti e dalla violenza e ci spingono ad agire almeno in due direzioni: nell’ambito dei modelli e degli strumenti educativi fin dalla prima infanzia, rafforzando da una parte la consapevolezza delle identità e delle attitudini personali e superando discriminazioni e stereotipi, e dall’altra, nei curricula scolastici, quelle competenze non formali (lavoro di gruppo, responsabilità, atteggiamento critico, creatività) che fanno crescere l’autostima e l’empowerment, ma anche la parità fra ragazze e ragazzi e l’attitudine alla partecipazione sociale; in ambito sociale e lavorativo, il gap tra le aspettative di ragazze con alti livelli di istruzione e il loro effettivo inserimento e i percorsi di carriera e le differenze di salario possono essere ridotti attraverso una maggiore applicazione dell’approccio della dual education, che consente di acquisire conoscenza non solo del mercato del lavoro ma anche delle proprie reali attitudini e capacità.

Accanto a questo il ruolo di nuove politiche di welfare che consentano la conciliazione è strategico. Ma c’è anche un livello culturale e simbolico. L’apporto dell’istruzione e dell’occupazione femminile ha un effetto moltiplicatore sia sulle prestazioni scolastiche dei figli, sia sull’incremento del Pil, e quindi delle risorse per un nuovo welfare. Ricerche europee su presenza femminile, scienza e tecnologie hanno testimoniato come la sotto-rappresentazione di donne costi alle imprese in termini di performance e profitti (i team di lavoro misti risultano essere più produttivi ), e che le imprese che investono di più nelle donne sono quelle che hanno maggior successo grazie alla loro capacità di produrre innovazione.

In generale, più fonti attestano che quelle competenze che ancora chiamiamo non formali o informali, insieme al talento e alla capacità di innovazione, ma anche di sintesi fra la cultura umanistica e quella scientifica sono oggi strategici per il nuovo mercato del lavoro. E sono patrimonio soprattutto delle donne. In questo consiste, dopo la rivoluzione del Novecento, consiste la sfida per il secolo che stiamo vivendo.

*Presidente commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo

A lezione di educazione finanziaria: una settimana di lezioni gratuite a Roma

da Il Sole 24 Ore

A lezione di educazione finanziaria: una settimana di lezioni gratuite a Roma

di Alessia Tripodi

Si apre oggi «EconomiaScuola», ciclo di eventi formativi realizzato con Bankitalia, Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate e museo Explora

Si inaugura oggi a Roma «EconomiaScuola», la settimana di lezioni sulla cittadinanza economica e sulla legalità promossa dalla Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio, in collaborazione con Banca d’Italia, Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate ed Explora – Museo dei bambini di Roma. Un’iniziativa realizzata nell’ambito delle manifestazioni internazionali Global Money Week ed European Money Week che, dal 9 al 13 marzo, offre a 1.000 studenti delle scuole della Capitale un’opportunità didattico-formativa a costo zero.

Il programma delle lezioni
Il progetto ha l’obiettivo come obiettivo quello di avvicinare i giovani ai temi dell’educazione finanziaria, dell’economia sostenibile e della legalità fiscale ed economica, aspetto quest’ultimo ricordato di recente anche dal Presidente della Repubblica. Le lezioni di “EconomiaScuola” si svolgeranno presso le sedi dell’Associazione Bancaria Italiana e presso Explora – Il Museo dei Bambini.
La lezione di apertura, dal titolo «Come diventare cittadini sostenibili», curata dalla Fondazione per l’Educazione Finanziaria e dal Prof. Carlo Alberto Pratesi, docente dell’università Roma Tre, stimolerà 170 ragazzi delle scuole secondarie di primo grado a riflettere sulla necessità di adottare comportamenti responsabili e ridurre gli sprechi.
Le lezioni dedicate alle scuole primarie si terranno presso il museo Explora dove, insieme alla Fondazione per l’Educazione Finanziaria, 110 bambini potranno avvicinarsi ai temi del risparmio e dell’economia con i laboratori didattici di «Fiabe e Denaro».
Oltre 250 ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado saranno invece guidati dagli esponenti della Guardia di Finanza alla scoperta del significato della legalità economica attraverso esempi concreti legati alla vita di ogni giorno. La lezione «Educazione alla legalità economica» ne illustrerà infatti il valore sotto il profilo individuale e sociale e stimolerà gli studenti a riflettere sul loro ruolo di cittadini, titolari di diritti e di doveri che investono anche il piano economico.
Con gli esperti della Banca d’Italia, inoltre, più di 330 ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado approfondiranno il tema degli strumenti di pagamento con cui hanno a che fare quotidianamente: la lezione «La moneta ai tempi del web» si concentrerà sulla moneta bancaria, sulle carte di pagamento e sul ruolo delle istituzioni monetarie.
Ai rappresentanti dell’Agenzia delle Entrate è infine affidato il compito di accompagnare oltre 150 studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado nel percorso di «Fisco&Scuola», che illustrerà i fondamenti del vivere civile per far comprendere ai ragazzi l’importanza del rispetto delle regole, anche fiscali, per il funzionamento della società.

Distacchi e permessi sindacali dipendono dal voto delle RSU

da TuttoscuolaNews

Distacchi e permessi sindacali dipendono dal voto delle RSU

Il voto per il rinnovo delle RSU non rappresenta soltanto l’immagine del consenso che il personale scolastico conferisce ai sindacati, ma è anche il mezzo per conferire loro la rappresentatività della categoria nella contrattazione.

Il voto concorre al 50% a determinare la rappresentatività, mentre il restante 50% viene dalla forza degli iscritti (rilevabili dal numero delle deleghe per la ritenuta sullo stipendio).

La media percentuale delle deleghe e dei voti per le RSU determina un percentuale media che se è almeno del 5% conferisce ufficialmente la rappresentatività.

Come si può rilevare dalla tabella ufficiale dell’ARAN per il triennio 2013-15, riportata integralmente sul sito di Tuttoscuola (http://www.tuttoscuola.com), e comprensiva di circa 90 sigle sindacali presenti nel comparto scuola, è la Flc-Cgil ad avere il tasso più elevato di rappresentatività con il 28,29%, seguita dalla Cisl-scuola con il 26,42%.

Seguono lo Snals, l’Uil-scuola e la Gilda.

Cobas scuola e Anief risultano al di sotto del limite minimo del 5% rispettivamente con l’1,61% e l’1,41%. In particolare l’Anief, il sindacato che, grazie al possibile consenso elettorale dei precari, aspira a raggiungere il 5% per essere riconosciuto a pieno titolo come sindacato rappresentativo, contava sull’1,58% di deleghe e l’1,24% di voti (9.632).

La rappresentatività costituisce anche il principale mezzo di sopravvivenza del sindacato, perché, proprio in base al tasso ottenuto, i sindacati si ripartiscono i 340 distacchi e i permessi sindacali.

I distacchi fino all’anno scorso erano 681, ma sono stati dimezzati dalla riforma della PA, il che crea verosimilmente maggiore tensione sul voto per le RSU.

Paritarie. Tramonto del ‘senza oneri per lo Stato’

da TuttoscuolaNews

Paritarie. Tramonto del ‘senza oneri per lo Stato’ 

Una delle novità intervenute dopo la consultazione sul piano “La buona scuola”, che non trattava la questione, è quella delle detrazioni fiscali di cui beneficerebbero le famiglie che scelgono di iscrivere i figli alle scuole paritarie.

L’ipotesi è maturata in un contesto di gravi difficoltà per queste ultime, accresciutesi con la crisi economica degli ultimi anni: un problema del quale, per la prima volta in termini espliciti, si è fatto carico anche un consistente gruppo di parlamentari della maggioranza che sostiene il Governo (tra i quali alcuni autorevoli esponenti del PD), che in 44 hanno sottoscritto una lettera di sostegno alla proposta di detrazioni fiscali per le famiglie delle paritarie. Forza Italia si è detta favorevole con la sua responsabile scuola Elena Centemero, che ha a sua volta promosso un analogo documento, sottoscritto da 39 esponenti del partito.

Anche il ministro Stefania Giannini, che sul problema aveva già mostrato in passato una certa disponibilità,  ha nei giorni scorsi ribadito “l’importanza delle paritarie, dove sono iscritti circa un milione di studenti che altrimenti graverebbero sulle finanze dello Stato” E ha aggiunto che quella proposta è “una misura molto importante per liberare da briglie ideologiche e riconoscere la libertà di scelte educative. Una misura che segna un cambio culturale assolutamente necessario”. Luigi Berlinguer ha invitato a “chiudere questo conflitto del Novecento: scuole statali contro private. Non esiste, non è più tra noi, ci ha fatto perdere tempo e risorse” (intervista a Corrado Zunino di Repubblica).

Esistono dunque, per la prima volta nell’Italia repubblicana, le condizioni per una larga convergenza parlamentare su una misura che supera, sia pure indirettamente, l’interpretazione restrittiva del ‘senza oneri per lo Stato’ alla quale la Sinistra si era finora sempre attenuta.

L’ipotesi di cui si discute prevede detrazioni fino a 4.000 euro, probabilmente parametrate in base al reddito, per un importo complessivo che non è stato peraltro quantificato con precisione. Forse, alla fine, si tratterà di una misura modesta. Ma di grande significato simbolico. Comunque una svolta.

Con la riforma si darà il voto ai prof ma è ancora buio su criteri e valutatori

da Il Messaggero

Con la riforma si darà il voto ai prof ma è ancora buio su criteri e valutatori

Un meccanismo che inciderà pesantemente anche sugli scatti salariali, considerato il fatto che gli aumenti legati all’anzianità varranno solo per il 30% mentre il restante 70% sarà proprio decretato dal successo o dall’insuccesso del lavoro degli insegnanti. E chi saranno le figure incaricate di valutare un docente?

LE NOVITÀ
ROMA Una scuola che riesca a proiettarsi dal Novecento al terzo millennio non è soltanto quella che riesce a stabilizzare i precari. La buona scuola, con la “b” maiuscola, passa inevitabilmente anche per buoni professori capaci di insegnare ma soprattutto di far crescere i ragazzi in un’ottica di preparazione internazionale. Autonomia, ma soprattutto qualità, sono le scommesse che Renzi intende vincere con una riforma che potrebbe segnare il successo di questo governo, così come affossarlo. E per far questo, gioco forza, è necessario saper valutare il lavoro di chi ogni mattina entra in classe, inizia a interrogare o a spiegare. È la valutazione dei docenti, l’altro grande capitolo rivoluzionario contenuto nel piano della riforma. Un meccanismo che inciderà pesantemente anche sugli scatti salariali, considerato il fatto che gli aumenti legati all’anzianità varranno solo per il 30% mentre il restante 70% sarà proprio decretato dal successo o dall’insuccesso del lavoro degli insegnanti. E chi saranno le figure incaricate di valutare un docente?
LE FIGURE
A partire dal 2016 sarà operativo il nucleo interno di valutazione con seguente fondo finanziario a disposizione per un valore iniziale di 11,4 milioni di euro. Compariranno le figure del docente Mentor e di quello di Staff, cui sarà affidata all’interno di ogni scuola il compito di verificare i docenti. A queste figure saranno affiancate quelle degli ispettori, seguendo anche quello che avviene all’estero. Il loro incarico durerà tre anni e potrà essere rinnovato. Fin qui è tutto abbastanza chiaro. Il piano della Buona scuola prima, la bozza di decreto poi, da cui dovrà venir fuori il disegno di legge, specifica, con dovizia di particolari, i criteri, i compiti, (persino le indennità aggiuntive) a carico di chi si dovrà occupare di valutazione. Il difficile viene invece nel cercare – e al momento non trovare – i criteri attraverso i quali questi docenti si troveranno a verificare altri docenti. Saranno utilizzati colloqui orali? Prove scritte sulle materie di pertinenza? I criteri di valutazione saranno nazionali o tarati sulle singole scuole? Perché è vero che le scuole italiane pubbliche in questo sono tutte uguali, ma è altresì corretto evidenziare delle profonde differenze tra ognuna a seconda del contesto socio-economico in cui sono inserite. A questi interrogativi il governo non ha ancora risposto. Si conoscono, finora, solo i crediti, diversi e cumulabili, che i docenti potranno mettere insieme durante un triennio.
I CREDITI
Si parte con i crediti formativi, ossia quei crediti che gli insegnanti potranno maturare (ignote le scale di punteggio) e che verteranno sulla formazione in servizio – da piano di riforma obbligatoria – sulle attività di ricerca svolte e anche sulla produzione scientifica. Seguono i crediti professionali e cioè i crediti cumulati sulla base degli obiettivi raggiunti nel percorso di miglioramento di una determinata scuola, attraverso la partecipazione attiva alla sua organizzazione e alle sue progettualità. Infine, ecco comparire i crediti didattici, maturabili sulla base degli obiettivi raggiunti dagli studenti. Il riconoscimento della professionalità dei docenti avverrà attraverso la rilevazione delle attività d’insegnamento e di analisi della documentazione prodotta dal docente, sentiti anche gli studenti e le famiglie.
C. M.

Scuola, precari assunti in due tappe

da Il Messaggero

Scuola, precari assunti in due tappe

Ma c’è anche il rischio che il ddl, considerata la tempistica usuale del Parlamento, si impaludi prima dell’inizio del nuovo anno scolastico

 PROVVEDIMENTI
ROMA Avanti con l’approvazione, in tempi rapidissimi, della riforma sulla Scuola. Il governo guidato da Matteo Renzi ci crede perché ritiene possibile che il Parlamento riesca a licenziare il disegno di legge nei tempi giusti per proseguire, in prima battuta, con il piano d’assunzioni per i docenti precari delle Gae e del concorso 2012, dal prossimo primo settembre. Martedì, nel Consiglio dei ministri, arriverà proprio il testo del disegno di legge da sottoporre poi alle Camere. Ma c’è anche il rischio che il ddl, considerata la tempistica usuale del Parlamento, si impaludi prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. O almeno, che non si arrivi alla pubblicazione in Gazzetta nei tempi stabiliti. Tra i sindacati e le associazioni di categoria è reale – e sconcertante – la certezza che, comunque, al netto degli sforzi di onorevoli e senatori, operare per disegno di legge non darà il tempo di procedere al piano assunzionale stabilito dal crono programma governativo. Sono ipotesi, naturalmente, ma se per un motivo o per un altro la riforma dovesse slittare, cosa accadrebbe a quei precari – 136mila, esclusi quelli delle graduatorie d’istituto e i docenti di terza fascia – che attendono una stabilizzazione?
GLI SCENARI

L’obiettivo, ampiamente esposto a margine del Consiglio dei ministri di martedì 3 marzo, dal premier Renzi e dalla ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, era perentorio: «Le coperture finanziarie ci sono (un miliardo di euro già in legge di stabilità altri 3 entro il 2016) daremo seguito alle assunzioni secondo quanto detto finora e confidiamo su tempi certi in Parlamento». Dovrebbe filare tutto liscio con 136mila docenti finalmente liberi dal precariato. Gli insegnanti iscritti nelle graduatorie d’Istituto (solo 50mila dei 120mila presunti) – non meno titolati o capaci degli altri ma impossibilitati a iscriversi nelle Gae perché chiuse da anni – dovrebbero andare a colmare il paniere dell’organico funzionale, quella sacca di docenti-jolly a disposizione delle scuole destinato a cancellare le supplenze brevi e annuali, dove i posti sono vacanti con un contratto a tempo in attesa del concorso. Concorso che dovrebbe lasciare anche dei posti per chi resta fuori da tutto: gli insegnanti di terza fascia e quelli delle graduatorie d’istituto con 36 mesi di servizio.
Il bando, stando sempre al cronoprogramma renziano, dovrebbe essere pubblicato entro il primo ottobre del 2015. Queste sono le premesse, ma soprattutto le promesse fatte agli italiani e a chi la scuola vera, e non soltanto quella bella e sognata, la fa da anni. Poi però bisognerebbe mettersi a far di conto, o almeno cercare di capire, cosa potrebbe accadere se questo piano andasse in fumo, se il ddl dovesse arenarsi.
L’ALTERNATIVA

A questo punto, il governo potrebbe optare – ma il condizionale è d’obbligo – per un decreto legge con un pacchetto d’assunzioni “urgenti” per coprire le cattedre vacanti e il turn-over. In tutto si stimano circa 43mila assunzioni da settembre, quelle per le cattedre realmente vuote (23mila) più i posti lasciati disponibili dai pensionamenti e quindi dal turn-over (circa 20mila). Una soluzione tampone, in sostanza. Che metterebbe al riparo il governo dall’alzata di scudi di categorie e sindacati, ma che rimanderebbe le assunzioni più corpose al 2016 perché incardinate al disegno di legge. E a pagarne le spese sarebbe proprio l’organico funzionale, considerato il fatto che, coprendo solo le cattedre effettivamente libere, l’attivazione dei posti su organico funzionale potrebbe slittare di un anno, giacché dovrà seguire l’approvazione della legge che ne stabilisce le regole e assegnazione del contingente alle scuole, chiamate entro giugno a presentare una progetto per la necessità su singolo istituto.
Camilla Mozzetti

#riformabuonascuola, la settima della verità: la novità sono i presidi-sindaci

da La Tecnica della Scuola

#riformabuonascuola, la settima della verità: la novità sono i presidi-sindaci

Il condizionale è d’obbligo, dopo il doppio rinvio di fine febbraio: stavolta, però, dovremmo esserci. Renzi conferma la linea del confronto, a patto che non vi sia ostruzionismo. Sul testo si è lavorato fino a venerdì notte con i tecnici e gli uffici legislativi del Miur e della presidenza del Consiglio: nell’ultima versione si dà sempre più peso ai ds meno burocrati e più attenti alla didattica, con l’aiuto dei docenti motivati dagli scatti di merito.

Per la scuola dovrebbe essere arrivata la settimana della verità. Il condizionale è d’obbligo, dopo il doppio rinvio di fine febbraio dell’approdo dei contenuti della Buona Scuola: stavolta, però, dovremmo esserci. Nei giorni scorsi lo ha assicurato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Domenica 8 marzo anche il premier, Matteo Renzi: “in settimana iniziamo l’esame in Consiglio dei ministri per chiuderlo velocemente. Poi la palla passa al Parlamento con lo stesso metodo della scuola”, ha scritto il presidente del Consiglio nella sua E-news, parlando della riforma della Rai. Sempre sulla riforma della scuola, Renzi ha confermato la linea del confronto nelle Camere: “se le opposizioni non fanno ostruzionismo, ma provano a dare una mano anche migliorando il testo, non ci sarà nessun provvedimento di urgenza da parte nostra”.

Ma qual è il testo da approvare? In attesa di vederlo, dobbiamo accontentarci delle versioni provvisorie. E delle indiscrezioni. Come quelle dell’Ansa, secondo cui siamo ormai alle “ultime limature per il disegno di legge sulla scuola, con le annunciate assunzioni di migliaia di precari, che dovrà essere approvato dal consiglio dei ministri previsto per martedì prossimo” 10 marzo.

“Sul testo destinato a concretizzare la Buona Scuola – continua l’agenzia di stampa – si è lavorato fino a tardi venerdì notte, con i tecnici e gli uffici legislativi del ministero dell’Istruzione e della presidenza del Consiglio che hanno dovuto ‘trasformare’ l’articolato del decreto nel Ddl che il governo ha deciso, invece, all’ultimo momento di portare all’approvazione del Parlamento. Dopo la rilettura effettuata nel fine settimana, nelle prossime ore si verificheranno gli ultimi tasselli da sistemare in un provvedimento ormai più volte descritto e annunciato ma sul quale il premier Matteo Renzi punta molto e che ha due idee di fondo: l’autonomia e la qualità”.

Uno dei leitmotiv del testo che arriverà in CdM, dovrebbe essere il “forte investimento sul ruolo dei “presidi-sindaci” che dovranno essere sempre meno burocrati e più attenti alla didattica con l’aiuto del corpo docente sempre più motivato dagli scatti di merito. Nelle intenzioni del governo, anche l’idea che con i finanziamenti adeguati le scuole italiane possano finalmente fare il salto di qualità”.

Nel ddl permangono, tuttavia, diversi punti dubbi: ad iniziare dalle “assunzioni dei 120 mila docenti precari, sulle quali è un rincorrersi di rassicurazioni, timori e auspici. Un capitolo spinoso del pacchetto istruzione, sul quale il ministro Stefania Giannini ha assicurato più volte che saranno rispettati “tutti gli impegni”, ribadendo che le immissioni in ruolo dipenderanno dal “fabbisogno della scuola”. E se ci saranno ancora, per un periodo molto limitato, supplenze, sarà perché serve “un periodo per mandare a regime una riforma complessa”.

Rimangono poi in vita i tanti dubbi sui tempi di approvazione imposti dal premier. In un’intervista a L’Espresso, il premier ha spiegato che “ci sono sei mesi prima di assumere i precari della scuola, vediamo se la legge va avanti o se ci sarà il requisito di urgenza per un decreto”. In quest’ultimo caso, però, le immissioni in ruolo sarebbero prive della parte destinata all’organico funzionale (legato a doppio filo con il ddl dai tempi di approvazione più lunghi).

Anche per l’Ansa, “una seconda tranche di assunzioni dei precari potrebbe essere poi incardinata nel Ddl. Naturalmente il Ddl sarà più ampio e andrà dalle risorse (1 miliardo di euro per il 2015, 3 miliardi a partire dal 2016), al fisco “amico” (5xmille e school bonus) ma anche alle detrazioni per le paritarie, altro tema che ha acceso il dibattito politico e sul quale a questo punto sarà il parlamento a pronunciarsi. Priorità saranno anche l’edilizia scolastica e l’integrazione degli stranieri, con l’obiettivo, fra l’altro, di mettere in soffitta le “classi pollaio“”.

Novità in arrivo anche per la nuova carriera dei docenti: “oltre alla rimodulazione degli scatti (con circa il 70% da destinare in base al merito), ci saranno la valutazione e la formazione, mentre per gli studenti si troveranno potenziate materie come inglese e arte, con attenzione anche al sostegno. Previste, infine, misure nell’ambito del piano nazionale per la scuola digitale, sulla pubblicazione online dei dati sulla scuola, sulla semplificazione amministrativa, sul sistema integrato di educazione 0-6” anni. Ora, però attendiamo la versione ufficiale che passerà all’esame di Camera e Senato.

Quando i procedimenti disciplinari sono approssimativi

da La Tecnica della Scuola

Quando i procedimenti disciplinari sono approssimativi

Sempre più spesso arrivano alla nostra redazione segnalazioni di procedimenti disciplinari condotti in modo impreciso. Forse il Miur dovrebbe promuovere qualche iniziativa di formazione.

La gestione del contenzioso disciplinare sta diventando nelle scuole di tutta Italia una delle questioni più complesse e che più di altre impegnano uffici e dirigenti scolastici.
E questo soprattutto dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 150/2009 che ha ampliato poteri e responsabilità dei dirigenti scolastici senza aver però previsto un adeguato piano di formazione del personale.
Le segnalazioni che ci arrivano da lettori e organizzazioni sindacali vanno un po’ di tutte in questo senso.
Emblematico, per esempio, il caso che ci viene segnalato (e documentato) dalla segreteria nazionale dell’Unicobas relativo ad un procedimento disciplinare aperto nei confronti di un docente del liceo scientifico “Torricelli” di Roma accusato di gravi carenze nella gestione della propria classe.
L’ufficio legale dell’Unicobas, che sta seguendo la vicenda, ha però molto da eccepire: per esempio l’atto iniziale di apertura del procedimento non chiarisce che si tratta di una vera e propria contestazione di addebito e con il medesimo atto l’Amministrazione intende avviare un procedimento disciplinare.
Ma le imprecisioni non si fermerebbero qui: nella convocazione per l’audizione a difesa non sarebbe stato indicato l’orario della seduta.
Per venire al merito della vicenda il professore sarebbe accusato di ritardi nella  consegna delle verifiche scritte nonché del fatto di aver proposto agli studenti un numero insufficiente di verifiche scritte. Il tutto sulla base di “segnalazioni dell’utenza” non meglio precisate.
Ovviamente sarà il giudice del lavoro a stabilire chi abbia ragione in questa vicenda, da parte nostra ci limitiamo ad evidenziare che sempre di più il contenzioso disciplinare sta prendendo piede nelle scuole. E, a leggere le cronache (e in qualche caso a vedere gli atti o una parte di essi), ci sembra di poter dire che in diversi casi le situazioni vengono affrontate in modo piuttosto semplicistico.
Non sarebbe forse il caso che il Ministero attivasse percorsi formativi adeguati per i dirigenti e per tutto il personale che deve gestire il contenzioso?

Governo: 400 milioni annui per mentor, staff, merito e anzianità

da La Tecnica della Scuola

Governo: 400 milioni annui per mentor, staff, merito e anzianità

Forse chi ha scritto la bozza di decreto non ha fatto i conti giusti. Si parla di indennità del 10% di stipendio per 100mila mentor e docenti di staff. Ma se così fosse dei 400 milioni disponibili non rimarrebbe quasi nulla.

C’è qualcosa di poco convincente nelle cifre segnalate nella bozza del provvedimento sulla scuola che il Governo intende approvare (o far approvare dal Parlamento) nei prossimi mesi.
E si tratta precisamente delle cifre destinate a pagare gli stipendi e a riconoscere il merito e gli impegni aggiuntivi.
All’articolo 20 della bozza che sta circolando si dice che per il calcolo di premi e indennità si farà riferimento a quanto oggi viene pagato annualmente per riconoscere gli scatti stipendiali; andando a controllare sui due CCNL sottoscritti nel 2013 e nel 2014 si scopre che tale cifra è di circa 350-400 milioni all’anno.
La bozza del Governo stabilisce poi che ai mentor e al docente di staff spetterà comunque una indennità pari al 10% dello stipendio, diciamo quindi mediamente 3mila euro all’anno. Ma quanti saranno i docenti con questo incarico? L’articolo 19 dice che a regime potranno arrivare al 15% dell’organico. Ora, l’organico attuale è di circa 600mila unità; se andrà in porto l’operazione Renzi, si dovrebbe arrivare a non meno di 700mila unità (ci teniamo bassi, in via prudenziale). Avremmo quindi più di 100mila docenti a cui andrà pagata una indennità di 3mila euro all’anno. Totale: non meno di 300milioni di euro.
Quindi nella migliore delle ipotesi resterebbe 100milioni di euro per riconoscere premialità e anzianità.
Sempre l’articolo 20 parla di un 70% riservato alla premialità (70 milioni) e di un 30% per garantire gli scatti di anzianità.
Non c’è bisogno di andare molto oltre.
La sensazione è che chi ha scritto il testo della bozza abbia qualche problemino serio con i numeri e con la matematica perchè il nostro calcolo è molto prudenziale; se lo facessimo con un po’ più di rigore (per esempio anche soltanto calcolando l’organico a 750mila unità e non a 700mila) forse si scoprirebbe che a conti fatti i soldi basterebbe appena per pagare mentor e staff.
Non solo: per semplicità di analisi non abbiamo considerato che i 400milioni annui di cui parlano i CCNL del 2013 e 2014 riguardano anche il personale ATA e non solo il persionale docente.
Può darsi che da una analisi ancora più precisa emerga che i soldi non bastino neppure per mentor e staff.  Ma forse nei prossimi giorni ne capiremo qualcosa di più.

Per le paritarie serve un miliardo in tre anni

da La Tecnica della Scuola

Per le paritarie serve un miliardo in tre anni

Ottocento milioni per il 2016 e poi a regime 400 da aggiungere ai 700 milioni circa di contributi che già arrivano ogni anno in diverse forme alle scuole paritarie

Lo scrive Il Corriere della Sera, secondo il quale, in base alle stime del ministero del Tesoro su richiesta del Miur, sarebbe di oltre un miliardo il costo per il bilancio dello Stato degli sgravi alle famiglie i cui figli vanno alle scuole private-paritarie.

Gli sgravi, voluti dalla norma aggiunta in extremis dal sottosegretario Gabriele Toccafondi (Ncd) e approvata dal ministro Stefania Giannini sono individuabili in  quattro punti.

Poiché il tetto è previsto a 4 mila euro, una detrazione del 19 per cento porta ad un peso di 387 milioni all’anno e poiché per il 2015 non è stato accantonato nulla, l’anno prossimo il costo raddoppia. E’ stata poi calcolata una detraibilità del 15 per cento, per la quale si stima la necessità di 306 milioni all’anno, una del 10 per cento (204 milioni) e infine un’ipotesi minima, poco probabile, del 5 per cento (102 milioni).

In  base ai dati del Miur, il numero di alunni che nell’anno scolastico 2013/14 hanno frequentato una scuola paritaria sono circa 993 mila, di cui 622 mila la scuola dell’infanzia (materna), 186 mila la primaria, 66 le medie e 119.000 le superiori, mentre il valore medio delle rette annuali pagate dai genitori è stato fissato, come media, pari a 1.500 euro per l’infanzia, a 2.000 euro per la scuola primaria, a 3.000 euro per le medie e a 4.500 euro per le superiori.

Le nuove norme porterebbero con sé, sottolinea Il Corriere, anche una modifica alle detrazioni già previste per gli asili nido, per la frequenza dei quali è prevista una detrazione del 19 per cento fino a 623 euro al mese, tetto che andrebbe rivisto al rialzo secondo i tecnici del Tesoro, anche visto che la riforma della scuola prevede che anche gli asili nidi diventino parte del percorso «scolastico» 0-6 anni.