Un figlio con sindrome di Down fa nascere un padre consapevole

da Redattore sociale

Un figlio con sindrome di Down fa nascere un padre consapevole

Nel libro “Ti seguirò fuori dall’acqua”, Dario Fani ha raccolto pensieri, sensazioni e molto vissuto dei giorni seguiti alla nascita prematura di suo figlio Francesco. La scrittura “essenziale per rielaborare”

ROMA – “Io e mia moglie abbiamo aspettato Francesco per diversi anni. La notizia della gravidanza di Iole e stata una piacevole inattesa sorpresa. Nutrivo grandi aspettative di me come padre e c’era anche il latente timore di poter non essere all’altezza. Cioè di non riuscire a diventare quel padre perfetto che pensavo mio figlio meritasse. Poi, come spesso, accade la vita mi ha mostrato che raramente accade quel che ci aspettiamo”. Si racconta con estrema schiettezza Dario Fani. La stessa schiettezza che ha usato scrivendo il volume Ti seguirò fuori dall’acqua, in cui ha raccolto pensieri, sensazioni e molto vissuto dei giorni seguiti alla nascita prematura di suo figlio Francesco, che ha la sindrome di Down ed è celiaco. “In un primo momento ho visto crollare ogni forma possibile di felicità. Prima di Francesco ho sempre creduto che la sofferenza e il dolore fossero l’espressione materiale della sconfitta. Appena ricevuta la notizia ho pensato a mio figlio come a un dolore che sarebbe durato tutta la vita. Non potevo immaginare inferno peggiore di un’esistenza vissuta nell’infelicità. Quei giorni di vita sospesa nell’incubatrice sono stati determinanti. Francesco, ora dopo ora, ha sciolto quell’amore che ogni padre ha per il proprio figlio e mi ha aperto la strada per uscire dall’inferno. Sì, ne sono venuto fuori, per quanto possa apparire banale, scoprendo che era possibile camminare lungo la strada dell’amore”.

Il nome l’avevano scelto, lui e sua moglie Iole, perché “personalmente sono sempre stato affascinato la figura di un uomo come San Francesco, che pur di testimoniare la propria verità, ha il coraggio di sfidare un intero sistema di valori, una società e la propria stessa famiglia. C’era poi il fatto che Iole ha avuto la sua prima esperienza come baby sitter di un bimbo di nome Francesco. Un’esperienza molto gratificante e bella che l’ha legata molto a quel bambino e a quel nome”. Il libro lo ha scritto in tempi diversi: “La prima parte è una rielaborazione di quanto era stato provato al momento della nascita ed è stata scritta 4-5 mesi dopo la nascita di Francesco, in pochi giorni. È stato un momento necessario di riflessione, il desiderio di recuperare uno spazio interiore e andare ad esplorare quelle zone buie che la paternità mi aveva ‘donato’ – ricorda Dario –. Altre parti riprendono appunti e considerazioni successive. Durante la scrittura al principio non ho mai pensato a una pubblicazione e questo credo sia stato un vantaggio in relazione all’onestà. Scrivere è stato comunque essenziale per rielaborare l’intera vicenda. Attraverso la scrittura e ancor più attraverso la pubblicazione ho capito quanto sia importante la scelta di narrare le proprie esperienze. Le nostre narrazioni sono in grado di produrre altre narrazioni. C’è una responsabilità profonda in come si agisce ma anche in ciò che si scrive è una responsabilità a cui non dobbiamo sottrarci”.

“Mio figlio mi insegna continuamente a guardare il mondo da angolazioni diverse. Questo è fonte di grande ricchezza nella mia vita”, aggiunge Fani. Per il papà Francesco è nato la prima volta che ha potuto tenerlo in braccio, fuori dall’incubatrice. Quel contatto fisico ha fatto nascere anche lui come padre, lo ha generato a un amore oblativo, gratuito, incondizionato. Perché padri si diventa. Forse lui ha avuto il dono di prenderne consapevolezza attraverso uno shock, il crollo di tutte le sue aspettative e proiezioni. (Laura Badaracchi)

IL MULTILINGUISMO DEI RAGAZZI

L’Age provincia di Brescia ed Age regione Lombardia, in collaborazione con ist. Lunardi, L’ufficio per l’educazione, la scuola e l’università della diocesi di Brescia e con Comunità e scuola organizzano una mattina di studi e riflessioni in merito al tema del multilinguismo ed alle certificazioni internazionali dal titolo :”NOIO… VOLEVAM…VOLEVAN SAVOIR… L’INDIRISS” – IL MULTILINGUISMO DEI RAGAZZI COME COMPETENZA DEL 21ESIMO SECOLO “.
L’iniziativa si terrà sabato 14 marzo presso l’aula magna dell’Ist. Lunardi in invia Riccobelli a Brescia, dalle ore 9.30 alle ore 13.
L’iniziativa è organizzata al fine di aumentare la sensibilità dei genitori in merito alle competenze  che il mondo dello studio e del lavoro richiede ai loro figli, concentrandosi in particolare sulla promozione del multilinguismo e delle certificazioni internazionali.
Durante la mattinata verranno anche presentati i risultati di una piccola indagine eseguita da Age provincia di Brescia sui genitori in merito al tema .
Interverranno al dibattito, fra gli altri, la dott.ssa Di Cosimo dell’ Ufficio Scolastico territoriale, Davide Guarneri della Diocesi di Brescia e referenti di diversi enti certificatori, fra cui Trinity College London.”

Toscana, i malati di Sla chiedono di uniformare i livelli di assistenza

da Redattore sociale

Toscana, i malati di Sla chiedono di uniformare i livelli di assistenza

Audizione dell’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica in commissione sanità del consiglio regionale. Il presidente Remaschi: “Elementi positivi entro fine marzo”

FIRENZE – In commissione sanità del consiglio regionale toscana audizione dell’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla). Tra le progettualità richieste la creazione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale dei malati di Sla a livello regionale per uniformare i livelli di assistenza; la verifica del processo di integrazione fra ospedale e territorio, per garantire efficacia ed efficienza; l’attivazione di un servizio di telemedicina con telesorveglianza medica per malati con tracheostomia; la messa a disposizione a domicilio di presidi per il posizionamento/trasferimento; il sostegno economico per l’acquisto di auto attrezzate per garantire l’autonomia e una vita sociale “quasi normale”.
Il presidente della commissione Remaschi, ringraziando per il contributo, si è impegnato – insieme agli altri membri della commissione – ad analizzare in modo approfondito il documento rilasciato e quindi a rimetterlo all’attenzione del governatore Rossi e dell’assessore Marroni, “sperando di poter fornire qualche elemento positivo entro il mese di marzo”. Ancora un dato: in Toscana i malati di Sla sono circa 900 e oltre 150 tra Firenze e provincia.

Libero pidocchio in non libero docente

Libero pidocchio in non libero docente

 di Claudia Fanti

 

Mi metto comoda dopo una giornata a scuola. Incollo orecchi e occhi allo schermo e cerco nelle parole del premier qualcosa. La cerco nonostante tutto con quella caparbia speranza nell’essere umano, propria della maestra, non certo speranza  nel politicante.

 

La cerco con il lanternino, con la lente di ingrandimento, ma non la trovo.

Sento parlare di cifre ballerine: bonus ai professori di 500 euro per la preparazione individuale. Possibilità di scaricare dalla dichiarazione dei redditi delle famiglie una parte della retta di iscrizione a una scuola privata. 100000 assunzioni di precari. Scatti di anzianità tutelati così come uno stanziamento per il cosiddetto merito.

Ok, le cifre si fermano qui, a parte l’accenno a quella stanziata per l’edilizia.

Sono contenta per i precari, ma la gioia si ferma qui (e si fa speranza anche per loro) a questo annuncio tanto atteso dai tanti/e che hanno investito un’esistenza nell’insegnamento senza alcun riconoscimento.

 

Dopodiché ricomincio a cercare e ascoltare.

 

Ci parla di formazione in servizio, poco prima di aver nominato il bonus dei 500 euro per la preparazione culturale (mostre, libri, dvd, ecc…), ma l’associazione mi pare non pertinente, perché ritengo che le due cose siano ben diverse. Il premier forse non sa che il fondo dell’autonomia in relazione all’aggiornamento in servizio nella  scuola è ridotto all’osso quando esistente!

 

Eh già, ciò che non trovo è come sempre la parte viva, quella della pedagogia. So che ormai sindacati e opinione pubblica si accontentano di non fare pollice verso appena sentono odore di denari, tuttavia per gli insegnanti e le insegnanti le preoccupazioni più importanti sono quelle che riguardano la praticabilità di una pedagogia attenta a bambine e bambini nel contenitore-riforma che verrà disegnandosi nel tempo.

 

Il premier dice scuole aperte il pomeriggio, ma non accenna al tempo pieno e al tempo lungo. Allora mi tornano in mente le “antiche” attività integrative: che voglia una cosa analoga? Non ci voglio credere.

 

Ma mi rimetto in ascolto, non si sa mai.

 

Si mostra scandalizzato per le classi pollaio, tuttavia non accenna alle modalità di sdoppiamento delle classi. Non vorrei allora che fosse l’anticamera della suddivisione in gruppi al posto delle classi, idea-proposta organizzativa di Berlinguer. Intanto che le parole si fanno retorica e sciorinano ogni due minuti la favola dello studente al centro del pensiero renziano, io penso che se la classe-comunità di incontri.scontri, conflitti da sanare in tempi di riflessione e recupero, fosse smembrata, si perderebbe l’ultima occasione di conoscenza tra il sé e l’altro in azione costante di interscambio per essere sostituita da una piccolo-gruppo-squadra diretto alla conquista di  scopi-competenze formato da individui “simili” per “vocazione” e “interesse”: sarebbe una specie di quelli che si formano durante le attività extrascolastiche a pagamento. No, spero che non sia così. Spero che la classe resti come è: unica comunità-laboratorio, vero laboratorio di convivenza civile, momento di conversazioni durature e continuative, di conflitti da affrontare per imparare a reggerli e a superarli qui ed ora ma anche nella vita. Non mi piace la fuga nelle nicchie se pur divertenti, se pur fiorite di talenti.

 

Ma voglio ascoltare ancora.

 

Ci dice di volere il potenziamento della lingua straniera affermando che essa non può essere insegnata da maestre con alle spalle un “corsetto” di poche ore, ma non ci spiega cosa ne farà proprio di quelle poverette che già da alcuni anni si sono sobbarcate l’onere di frequentare corsi, da quando furono eliminati gli specialisti. Basterebbe intervistare queste maestre per comprendere quanto hanno profuso in termini di energia fisica e psichica per correre dal posto di lavoro verso sedi lontane per seguire corsi di inglese alla bella età di quarant’anni e oltre per appropriarsi di una lingua che a volte non avevano neppure studiato alle superiori.

 

Ci dice di potenziamento della motoria, affermando il solito mens sana in corpore sano di antica memoria, ma non ci spiega cosa faranno le maestre delle classi nel momento in cui entrassero alla primaria docenti di altri ordini di scuola specializzati in educazione fisica. Egli non sa che la palestra è un locale prezioso per ogni maestra di classe che insegni motoria, unitamente ad altre materie, per conoscere, valutare comportamenti, per organizzare squadre e gruppi disomogenei che in tale spazio cominciano a condividere, a cooperare, a interiorizzare concetti che difficilmente lo sono in altri contesti e momenti di studio e lavoro. Mi dico che di questo passo la figura della maestra potrebbe scomparire per lasciare il posto alla professoressa di lettere, a quella di musica, a quella di storia, a quella di geografia, a quella di disegno e di educazione tecnica…tutte specializzate in una disciplina. Anzi, ora che ci penso, si potrebbero eliminare pure i professori e sostituirli con docenti universitari certamente ancora più specializzati.

 

E ascolto di nuovo.

 

Ci parla di curricoli professionali trasparenti di ogni insegnante senza ricordare che nel 2012 fu avviata proprio una ricognizione del ministero della carriera di ognuno di noi e che dovemmo inserire on-line una marea di dati personali che a fatica recuperammo visto che nessuno ce li aveva mai chiesti e non era in alcun modo obbligatorio conservarli. Molti documenti non erano neppure stati trovati, quindi non inseriti. In ogni caso, tutta la fatica che facemmo noi e anche le segreterie dove è finita? Nel 2013, provai a informarmi sia nella mia città attraverso l’USP, sia presso il ministero: impiegati su impiegati si passarono la palla, ma nessuno sapeva più nulla di tutta l’operazione che tante ore ci era costata, tanto tempo anche perché i pc continuamente si bloccavano non appena tentavamo di accedere al sito del ministero. Io mi chiedo allora a che curricoli si riferisca il premier se non si sa dove siano finiti quelli prodotti. Non dovremo mica rifare tutto!

 

In ogni modo, la chiamata diretta dei dirigenti sulla base dei titoli dei docenti pare proprio una specie di scherzo sia verso la categoria dirigente sia verso quella dei docenti: per far sì che la scuola funzioni per merito e meriti, si sceglie proprio la strada meno chiara e trasparente che ci sia. Non occorre qui fare illazioni e ricordare come siano fragili gli animi umani e gli equilibri della scuola. Non siamo più bambini anche se ci lavoriamo.

 

Non ho più voglia di ascoltare perché in ciò che ho sentito non ho mai trovato quello che cercavo: un riferimento alla pedagogia, alla psicologia dell’età evolutiva, alla scuola di Stato, al tempo pieno, all’integralità dello sviluppo della persona, quindi dell’insegnamento e di un apprendimento che portino in sé tutti i segni dell’intero. Non mi riconosco nella scuola on-demand.

 

Vado a farmi esaminare il cuoio capelluto. La scuola ha un enorme bisogno di aiuto anche contro i volgarissimi pidocchi, ma pure in questo caso, nessuno dà una mano: per fare un trattamento anti succhiasangue ci vogliono circa 40 euro tra sterminio e mantenimento, ma forse è compreso nel bonus dei 500 euro. Mi rassereno.

La pedagogia del Capo

La pedagogia del Capo
di Cosimo De Nitto
Dal dopoguerra ad oggi c’è stato sempre un acceso dibattito pedagogico, prima ancora che politico, su quale fosse da intendere il perno centrale, l’asse di senso che riassumesse in un significato forte l’idea di scuola. Dalla scuola centrata sul docente, sulle sue capacità trasmissive di conoscenze e saperi, si è passati alla scuola puerocentrica, centrata cioè sullo studente, sulle sue capacità di apprendimento, sulla specificità dei suoi stili cognitivi e dei suoi bisogni. Poi si è passati all’idea che l’elemento centrale della scuola non coincidesse con un soggetto definito ma con la relazione educativa tra i soggetti protagonisti principali che sono appunto docenti e studenti. Allora il centro di senso della scuola è stato individuato nella relazione apprendimento/insegnamento. Ad ogni asse così individuato corrispondeva un’idea di scuola, un’idea pedagogica e persino pratiche didattiche e stile di insegnamento che scaturivano da questo ordine di priorità. Si sono confrontate grandi scuole di diversa ispirazione da quella che pone l’accento sulla valenza sociale ed emancipatrice dell’istruzione e dell’educazione, a quella personalistica cristiana. Spesso queste correnti di pensiero si sono intrecciate in una faticosa mediazione politica e istituzionale concorrendo ai cambiamenti della legislazione scolastica.
Molto della storia della nostra scuola, la sia identità culturale, la sua specificità nei sistemi formativi dell’occidente democratico consiste in questi processi cui hanno dato vita queste grandi correnti di pensiero pedagogico.
Oggi incombe la rottamazione come pratica iconoclastica che crea una soluzione di continuità non solo tra ieri e oggi, tra la tradizione e il presente, tra l’una e l’altra corrente di pensiero pedagogico, ma crea una frattura insanabile con la Pedagogia in quanto tale, in quanto fonte ispiratrice di modelli e relazioni educative e didattiche, che sono poi ciò che chiamiamo scuola.
Con questo disegno di legge, illustrato con linguaggio un po’ cameratesco e po’ da universitari scherzosi e fuoricorso, il governo rottama ciò che fino ad oggi abbiamo pensato come Pedagogia e inaugura una nuova e inedita forma di pensiero di matrice economico-aziendale e gestionale che dà il via alla vera novità, se così si può definire: la pedagogia del Capo.
Per 60 anni ci siamo arrovellati la mente alla ricerca del “centro di gravità permanente” intorno al quale far ruotare la scuola affinché avesse senso, affinché questo senso declinasse la lettera e lo spirito della Costituzione in quanto patto sociale fondatore della Nazione e del Popolo italiano. Avevamo la soluzione sotto il naso e non l’abbiamo presa in considerazione. Ci voleva un rottamatore e un semplificatore per questa impresa che spiazzasse tutti con un coup de théâtre. Ed eccola lì la soluzione. La pedagogia del Capo.
In questa pedagogia ancien régime e nouveau régime trovano la perfetta sintesi che armonizza pensiero e azione nel principio del comando di una sola persona, quella del dirigente (Capo, boss se qualcuno lo preferisce) ormai “assoluto”, almeno verso il basso, studenti, insegnanti, genitori.
Al centro pedagogico della scuola non sono più i docenti (con che faccia di bronzo il governo continui a dire che vuole restituire dignità alla professione docente, non si sa, dal momento che agli insegnanti dedica le parole dolci, ai dirigenti invece riserva tutto il potere reale), e non sono nemmeno gli studenti e i genitori ridotti a utenti e consumatori. L’idea della scuola come comunità educativa semplicemente non esiste più, come non esiste più la libertà costituzionale di insegnamento e persino di pensiero, se si pensa che dal Capo dipenderà l’assunzione, il riconoscimento del merito, la gratificazione, la carriera anche economica di ciascun insegnante.

Penso alla difficoltà che avranno le nuove generazioni di docenti quando dovranno preparare i concorsi. I testi di Storia della Pedagogia non serviranno più, sarà difficile infatti andare a cercare in essi qualche grande Maestro che abbia costruito un sistema di pensiero che possa in qualche modo aver dato luogo alla “pedagogia del Capo”. Piuttosto il contrario. Troverà via via sempre più grandi autori che metteranno in relazione proporzionale l’autonomia dell’allievo e la riduzione progressiva dello spazio direttivo dell’insegnante fin quasi a zero. Sarà difficile darsi ragione di questa situazione schizofrenica che si determina tra modelli opposti e conflittuali. Quello del docente verso l’alunno teso a dargli sempre più spazi di libertà e autonomia, quello del Capo verso il docente teso ad annullare ogni forma di autonomia professionale e persino personale. Il problema teorico, ma non solo tale, sarà: comè può la libertà derivare da una non-libertà?

Non serve nemmeno il panegirico dell’autonomia perché essa non è rapportata alla comunità scolastica, non si parla dell’autonomia di docenti, alunni, genitori nel decidere le sorti della scuola, si parla dell’autonomia del Capo nel decidere da solo tutto, proprio tutto. Miserabili e ipocriti suonano quei “sentiti” riferiti a organi come il Collegio dei docenti che giuridicamente non esiste più, non ha alcun potere decisionale in nessuna materia significativa. L’autonomia è morta evviva l’autonomia! L’autonomia è nata come progetto di grande democrazia dal basso, come atto di fiducia e responsabilità attribuite al mondo della scuola complessivamente inteso nelle sue istanze professionali e sociali. L’autonomia è nata come progetto di crescita sociale, interpretazione e riappropriazione dei propri diritti di cittadinanza, primo tra tutti il diritto allo studio, all’istruzione, all’educazione e alla cultura. L’autonomia è nata come progetto che serve a riavvicinare i contenuti delle scelte educative e la comunità che quelle scelte è chiamata a compiere. All’autonomia delle persone il disegno di legge del governo sostituisce l’autonomia di una sola persona, il Capo che sarà incondizionato e incondizionabile nell’esercitare il suo potere monocratico.

E pensare che fino a ieri avevamo discusso della differenza di significato e di ruolo tra il vecchio (così veniva deriso più che definito) “Preside” e il nuovo (così veniva annunciato) Dirigente. Discussione datata ormai e rottamanda anch’essa. Oggi siamo oltre, molto oltre non solo il Preside, ma anche oltre il Dirigente. Oggi siamo al Capo e all’unica pedagogia possibile, quella del Capo, appunto.

DDL LA BUONA SCUOLA: NO A ‘PRESIDE SCERIFFO’. PRECARI BEFFATI

DDL LA BUONA SCUOLA, GILDA: NO A ‘PRESIDE SCERIFFO’. PRECARI BEFFATI

“Improvvisazione, confusione e inconsapevolezza di cosa è la scuola e di chi sono gli insegnanti”. Secondo Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, sono queste le caratteristiche dominanti del disegno di legge sulla Buona Scuola approvato ieri dal Consiglio dei Ministri e atteso da lunedì al vaglio del Parlamento.

“L’unico aspetto positivo è il dietrofront sugli scatti di anzianità, ma tutto il resto del provvedimento ci preoccupa, ed è necessario che la nostra categoria si mobiliti contro il rafforzamento dei poteri dei dirigenti scolastici prevista dal disegno di legge. L’idea di fondo – prosegue Di Meglio – è di istituire una sorta di ‘preside sceriffo’, un autocrate al quale, da quanto si legge nel testo, verrebbe attribuita la responsabilità della didattica della scuola, che invece è prerogativa di ogni singolo docente, e della programmazione, che spetta al collegio dei docenti”.

Bocciato anche il capitolo riguardante i precari, per i quali si profila una vera e propria beffa: “Prima si era parlato di 150mila assunzioni, scese poi a 120mila e adesso a 100mila. Immissioni in ruolo che avverrebbero a rate – sottolinea il coordinatore della Gilda – senza tenere conto che, per garantire il corretto avvio del prossimo anno scolastico, l’organico dovrebbe partire adesso. E’ evidente che il Governo non dispone delle risorse economiche per sanare la piaga del precariato, se ne lava le mani e, dopo promesse e proclami, passa la patata bollente al Parlamento. Il risultato sarà che a settembre, probabilmente, si assumerà soltanto il turn over. La Gilda, invece, ritiene che si debba dare una risposta positiva a tutti i docenti che, a prescindere dall’inserimento nelle Gae, hanno già svolto anni di servizio con titolo idoneo e abilitazione, come previsto dalla sentenza della Corte Europea. La questione del contenzioso – aggiunge Di
Meglio – viene poi liquidata vietando i contratti superiori ai 36 mesi, una ‘non-soluzione’ decisamente poco seria, mentre l’organico funzionale viene rinviato ai posteri, come già successo in passato”.

Di Meglio usa toni duri anche per il merito che “il Governo non vuole affrontare seriamente ma soltanto a livello propagandistico, assegnando la magra cifra di 200 milioni di euro ai presidi che decideranno quali sono i bravi docenti da premiare, con il rischio tutt’altro che infondato di una discrezionalità inaccettabile. Di fronte a tutto ciò, la carta del docente di 500 euro annui ci sembra un semplice contentino”.

Bocciato anche il finanziamento delle scuole con il 5 per mille e le detrazioni fiscali per l’iscrizione alle scuole private “che non possono prescindere dai necessari controlli su qualità, gestione e organizzazione”.

“Confidiamo – conclude Di Meglio – che il Parlamento modifichi radicalmente queste parti del disegno di legge, apra un confronto con sindacati e associazioni professionali e, considerati i tempi stretti, spinga il Governo a varare un decreto legge stralcio sulle assunzioni con le dovute modifiche”.

Una retromarcia avventurosa

Una retromarcia avventurosa

 

Sul sito di Dirigentiscuola è comparsa, in data di ieri, una nota che suona come ammissione di colpa per le affermazioni contenute nel comunicato di qualche giorno fa e come richiesta ufficiale di scuse. La nota fa seguito al nostro comunicato del 10 marzo, con il quale si forniva la prova della clamorosa falsificazione dei fatti ad opera di quella organizzazione.

Prendiamo atto del riconoscimento dell’errore e delle scuse presentate: e non abbiamo difficoltà a dichiarare chiuso l’incidente, almeno per questa volta e sempre che non si ricominci con la strategia delle insinuazioni e delle accuse fondate su ricostruzioni a memoria.

Non possiamo però non rilevare che il comunicato di scuse si accompagna con alcune “(ri-)sottolineature”, come le chiamano gli stessi autori, che tenderebbero a dimostrare un nostro supposto ripensamento sulla questione del “ruolo unico” rispetto a quello che viene indicato come un iniziale silenzio nel merito.

Dobbiamo smentire ancora una volta. Abbiamo già dato conto lo scorso 15 settembre sul nostro sito (http://www.anp.it/anp/doc/meglio-tardi-che-mai) di tutti i documenti ufficiali da noi prodotti sulla materia. Il primo di essi risale al 6 aprile 2014, quasi un anno fa e ben prima dell’audizione con il ministro Madia del 12 giugno che – nell’ultima versione dei fatti proposta da Dirigentiscuola – viene indicata come l’occasione del nostro silenzio. E non si tratta di un comunicato qualunque, ma di un ordine del giorno votato dal Consiglio Nazionale dell’Anp e pubblicato sul sito, dove si trova tuttora (http://www.anp.it/anp/doc/ruolo-unico-della-dirigenza-e-fun_-due-importanti-prese-di-posizione-del-consiglio-nazionale-di-anp) .

Un altro “lapsus calami” di Nuzzaci? Due in tre giorni: non è male per il presidente del Consiglio Nazionale di Dirigentiscuola. A voler infierire, si potrebbe porre la domanda esplicita sull’attendibilità generale delle tesi e delle informazioni che provengono da quella parte. Ma abbiamo detto di voler chiudere l’argomento e ci atterremo a questa linea.

Quanto alla riproposizione di slogan, quali “i contratti della vergogna”, essa non merita che ci si perda altro tempo sopra. Tutti coloro che hanno esperienza di relazioni sindacali sanno che i contratti si fanno con le risorse che ci sono sul tavolo e non con quelle che si vorrebbe avere. E la qualità dei contratti si giudica non con i propri desideri, ma con quel che si è concretamente portato a casa nelle circostanze specifiche.

Se per assurdo volessimo prendere sul serio la tesi di Dirigentiscuola, non avremmo dovuto firmare nessuno dei tre contratti della dirigenza scolastica finora conclusi: non quello del 2002, né quello del 2006 né quello del 2010, perché nessuno di questi ha portato la sospirata equiparazione. Se lo avessimo fatto, gli stipendi dei dirigenti scolastici sarebbero ancora quelli del 1999, ultimo contratto di comparto prima della dirigenza. Se questo è fare sindacato, lo giudichino i colleghi.

La “BUONA SCUOLA” di Renzi, finalmente si premia il merito

da Firstonline

La “BUONA SCUOLA” di Renzi, finalmente si premia il merito

di Donatella Purger

Per la prima volta un Governo introduce nella scuola meccanismi e soprattutto fondi (200 milioni) per premiare il merito degli insegnanti: è il punto cruciale della riforma approvata ieri dal Consiglio dei ministri, che – insieme alle 100 mila assunzioni dei precari che sanano una piaga dolorosa e all’autonomia – Può finalmente segnare una svolta

Il merito, finalmente. Per la prima volta un Governo introduce nella scuola meccanismi e, soprattutto, fondi – 200 milioni – per valorizzare il merito degli insegnanti. È uno degli assi portanti di quella che Matteo Renzi ha definito ieri in conferenza stampa, dopo il via libera del cdm al disegno di legge, “La riforma principale per il nostro Paese”.

Insieme alla valorizzazione del merito, tra i dieci punti presentati dal Premier, autonomia e assunzioni dei centomila precari costituiscono senz’altro i nodi strategici per la rivoluzione concettuale della scuola che si intrecciano fra di loro per determinare un sistema di virtuosi effetti.

La valorizzazione del merito degli insegnanti da tempo, a partire dal generoso tentativo del ministero Berlinguer, è oggetto di contraddittorie resistenze da parte dei docenti stessi che diffidano di tutti i meccanismi finora ipotizzati per decidere chi e come valuta. Ebbene, Renzi ha sciolto con agile mossa questo dilemma, affidando ai compito ai presidi che decideranno tenendo anche conto del parere dei Collegi docenti.

Il tema della valorizzazione del merito non appare solo legato al premio economico ma è anche implicito in altri punti della riforma, nella chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi sulla base del curriculum e nell’ambito di un albo professionale. Inoltre sempre alla valorizzazione del merito bisogna ascrivere l’assunzione per concorso dei docenti, una volta esaurite le famigerate graduatorie ad esaurimento dei precari.

I tre punti nodali della riforma si intrecciano così fra di loro in una cornice che è quella dell’autonomia finalmente sostanziata in concreta attuazione dei provvedimenti legislativi adottati sin dalla fine degli anni novanta, ma finora vanificati dai formalismi burocratici e centralistici.

Le scuole autonome ora disporranno, grazie all’assunzione dei centomila, anche di un organico funzionale, cioè di una sorta di task force che renderà agile e pronta la copertura delle assenze improvvise e temporanee. Ma soprattutto le scuole autonome opereranno in termini di responsabilità di fronte all’utenza e i loro presidi saranno valutati per i risultati che otterranno le scuole da loro dirette.

Questi presidi avranno certamente più poteri, potranno chiamare direttamente i docenti, decideranno chi premiare e così via, ma dovranno dar conto dell’efficienza e dell’efficacia delle loro scelte, comunque non arbitrarie ma sempre fatte in rapporto a criteri predefinito come l’albo professionale e il cv dei docenti.

Le centomila assunzioni infine saneranno una dolorosa piaga, quella di tante persone costrette all’incertezza e al precariato e forniranno alle scuole personale sufficiente per venire incontro alle esigenze finora compresse. Consentiranno soprattutto che non ci siano mai più classi-pollaio. Nel contempo si porrà fine a un meccanismo perverso – quello delle supplenze – che non garantiva qualità e generava aspettative deludenti.

A questo riguardo, diverse sono le perplessità che vengono sollevate sui tempi necessari per rendere possibili le assunzioni entro settembre. A chi chiede in conferenza stampa se si farà in tempo per quella datail Premier risponde “Il Parlamento riuscirà, in un modo o nell’altro” e insiste “Il Parlamento riuscirà. Bella questa frase – aggiunge scherzando rivolto al sottosegretario Graziano Delrio. Ma, soprattutto l’esortazione è rivolta al Parlamento, a fare presto e bene.

Gli altri aspetti della riforma – trasparenza, introduzione della musica e dell’arte – rispondono tutti a traguardi di qualità che tendono a cambiare e a rendere migliore non solo la scuola ma la società stessa che nella scuola si forma.

Una rivoluzione quindi più che una riforma, ma forse è meglio, come dice Renzi in conferenza stampa (“Basta con le riforme!), una serie di scelte di buon senso che possono portare a concreti effetti.

DDL scuola: condivisibili alcuni contenuti, ma tanti altri negativi

Il disegno di legge sulla scuola ha alcuni contenuti condivisibili ma tanti altri negativi. Non è accettabile l’impianto generale tutto incentrato su aspetti organizzativi piuttosto che didattico pedagogici. La quantità delle risorse stanziate è inadeguata rispetto ai contenuti del disegno di legge.

Sono positive le 100 mila assunzioni dal prossimo anno scolastico ma molto meno delle 150.000 promesse dal Presidente del Consiglio! Non sono nemmeno certi il rispetto dei tempi e lo svuotamento delle graduatorie a esaurimento. Per queste ragioni serve un decreto per le assunzioni e tempi più ragionevoli per l’esame e il confronto sul merito del disegno di legge.

Occorre esplicitare cosa esattamente si intende per organico funzionale. La nostra priorità è il potenziamento della qualità dell’offerta formativa nel Mezzogiorno. Prima di procedere con nuovi concorsi bisogna dare risposte credibili ai precari della scuola dell’infanzia, agli idonei del precedente concorso, ai pas e alle terze fasce rispettando la sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Il personale ATA, a fronte di tante emergenze occupazionali e salariali, viene completamente ignorato.

È un importante risultato delle organizzazioni sindacali avere difeso gli scatti di anzianità ma è assente l’impegno a rinnovare il contratto nazionale e sono presenti nel disegno di legge pesanti incursioni sulla regolazione contrattuale di molti istituti. Siamo radicalmente contrari all’accentramento dei poteri ai dirigenti scolastici sulle assunzioni, sull’organizzazione delle scuole e sull’attribuzione di quote premiali. Viene declinata una idea autoritaria e gerarchica di autonomia scolastica, simile all’organizzazione aziendale svuotando di ogni funzione gli organi collegiali. Si assegnano, su aspetti ordinamentali e didattici cruciali per la qualità del sistema di istruzione, deleghe incondizionate al Governo. Sono improponibili i finanziamenti a favore delle private mettendo sullo stesso piano scuole statali e paritarie.

Continueremo con le mobilitazioni per difendere la scuola pubblica della Costituzione, il diritto di tutti i precari al lavoro e per riconquistare il contratto nazionale. Il disegno di legge deve essere radicalmente cambiato e su questo obiettivo vogliamo costruire un vasto fronte di alleanze sociali e politiche.

In difesa del diritto di rappresentanza dei dirigenti delle scuole

In difesa del diritto di rappresentanza dei dirigenti delle scuole

Abbiamo già segnalato alcune incongruenze o veri e propri errori contenuti nell’OM n. 7, con cui vengono indette le elezioni per la costituzione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Non possiamo non rilevare che almeno due di questi sono particolarmente gravi, in quanto ledono in radice il diritto di rappresentanza dei dirigenti scolastici in seno al costituendo Consiglio:

– da un lato, ciascun dirigente è inserito di diritto nella lista degli elettori della propria scuola (art. 20 comma 1); dall’altro, ogni elettore è tenuto a votare nella scuola presso le cui liste è iscritto (art. 31 comma 2). Ne deriva che il voto del dirigente – che è l’unico a votare per la propria categoria nella propria scuola – non è tutelato dal segreto;

– molto più radicalmente, stando alla lettera dell’art. 16 comma 4, nessun dirigente scolastico si può candidare, in quanto tutti sono membri “di diritto” di una commissione elettorale (quella costituita presso il proprio istituto). Ne conseguirebbe che ai dirigenti scolastici – cui l’OM riserva due seggi nel costituendo CSPI – sarebbe però vietato candidarsi per essere eletti.

Si tratta, con ogni evidenza, di grossolane sviste, che però devono essere corrette in tempi brevissimi per non cancellare il diritto di rappresentanza della categoria. Il termine per la presentazione delle liste scade il 27 marzo: se per quella data almeno il problema dell’incompatibilità fra candidature e presenza nella commissione del proprio istituto non sarà stata risolta, non sarà possibile presentare liste.

Abbiamo già segnalato la questione alla Direzione Generale per gli Ordinamenti del MIUR. Dobbiamo però aggiungere che – ove la correzione non intervenisse in tempi brevissimi o non rimuovesse in modo radicale le gravi lesioni del diritto attualmente riscontrate – dovremo di necessità adire il Tribunale Amministrativo del Lazio per chiedere l’annullamento dell’Ordinanza, previa sospensiva immediata dei suoi effetti.

DDL GOVERNO, QUESTA NON E’ BUONA SCUOLA

RETE STUDENTI: DDL GOVERNO, QUESTA NON E’ BUONA SCUOLA / VOGLIAMO DIRITTO ALLO STUDIO E AUTONOMIA DEMOCRATICA

Ieri sera è stato presentato il DDL del Governo sulla cd. “Buona Scuola”, dopo mesi di annunci e settimane di rinvii.

Dichiara Alberto Irone, portavoce nazionale Rete degli Studenti Medi: “In attesa di verificare il testo nei dettagli, quello che si evince dalle dichiarazioni del Presidente Renzi e del Ministro Giannini è che l’impianto complessivo rimane sostanzialmente invariato: un’idea di autonomia scolastica interamente basata sulla centralità del Dirigente Scolastico e della sua gestione e su finanziamenti privati diretti, che creeranno un nuovo abisso di diseguaglianza tra scuole e tra territori e metteranno a rischio l’autonomia didattica. Invece non si fa menzione del Diritto allo Studio, in un Paese dove il 47% degli italiani non arriva a fine mese (Eurispes) e la dispersione scolastica si attesta ancora al 17%. Però si conferma l’impiego di risorse dello Stato per sgravi fiscali alle rette delle scuole paritarie, che anche se limitato fino alle scuole medie è un grande regalo alla lobby delle scuole private e uno schiaffo alla concezione laica, pubblica e democratica dell’Istruzione.”

“L’idea di autonomia scolastica che prospetta questo DDL – continua Irone – è un tradimento dello spirito originario della riforma dell’autonomia, che nasceva dalla consapevolezza che in una società profondamente diseguale e multiforme è necessario ribaltare il modello educativo mettendo al centro del processo educativo l’apprendimento e lo studente. Significa avere una scuola capace di andare incontro alle differenze di apprendimento di ciascuno e capace di adattarsi al contesto socio-economico locale, con l’obiettivo di portare tutti al successo formativo: ma questo concetto rivoluzionario si concretizza solo spostando la decisione didattico-educativa dal vertice alla base del sistema, trasformando gli studenti non più in soggetti passivi ma protagonisti attivi, consapevoli e interessati del processo educativo. In una parola, democrazia: partecipazione concreta ai processi decisionali di coloro che la scuola la fanno e la vivono. E’ l’autonomia democratica.
Nulla di più lontano da una proposta che invece mette ancora una volta il preside al centro della governance, attribuendogli nuove e vaste prerogative senza prevedere altrettanti poteri per gli organi collegiali, nuovi e più concreti meccanismi di partecipazione degli studenti, regole democratiche chiare. Così la scuola è una macchina amministrata da un solitario deus ex machina (e dalla sua squadra), non certo una comunità, e il modello educativo resta il solito vecchio autoritarismo di gentiliana memoria. Siamo di fronte a un grave errore politico e culturale di interpretazione.”

“La scuola che vogliamo, quella buona per davvero – conclude il portavoce – parte da un grande e concreto investimento nel Diritto allo Studio, per ottenere un’istruzione pubblica gratuita per tutte e tutti, passa per una radicale revisione del sistema dei cicli e arriva all’autonomia scolastica interpretata come autonomia democratica.
La speranza è che il Parlamento sia in grado di compiere una riflessione politica seria che porti a un vero cambiamento: chiediamo subito di cancellare gli sgravi per le paritarie, i meccanismi di finanziamento privato diretto, di superare lo strapotere dei “presidi-manager-sindaci” con una vera riforma degli organi collegiali e della democrazia scolastica, di approvare e finanziare la legge nazionale sul Diritto allo Studio Scolastico e la riforma dei cicli.
Se anche il Parlamento, come il Governo, non vorrà ascoltare gli studenti, nelle scuole porteremo una vera mobilitazione all’insegna di queste parole d’ordine: diritto allo studio, nuovo modello educativo, autonomia democratica.”

DIFENDIAMO IL DIRITTO ALL’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI DISABILI

DIFENDIAMO IL DIRITTO ALL’INTEGRAZIONE  DEGLI ALUNNI DISABILI
PRETENDIAMO CLASSI MENO NUMEROSE
DIFENDIAMO IL RUOLO DELL’INSEGNANTE DI SOSTEGNO
Per questo vi aspettiamo tutti , genitori e insegnanti della provincia di Bologna alle scuole
Aldrovandi Rubbiani
via Marconi, 40
ore 14:30 GIOVEDI ’ 19 MARZO  2015
All ‘incontro interverrà anche Sebastiano Ortu, docente di sostegno del la provincia di Pisa  che racconterà l’esperienza  delle mobilitazioni di insegnanti e genitori che hanno in questi anni ottenuto numerose vittorie
nella rivendicazione del diritto all’integrazione.

In contrasto con le leggi e con la sentenza della Corte costituzionale,
continua il taglio progressivo del diritto all ‘integrazione degli alunni disabili . Vengono costantemente ridotte le ore di insegnante di sostegno assegnate ad inizio anno scolastico. Non viene quasi mai rispettata la norma che impone il tetto di 20 alunni nel le classi in cui è presente un ragazzo certificato. Aumenta la concentrazione nelle classi , dove non è raro trovare anche quattro alunni con handicap.
Il MIUR è già stato condannato più volte dai tribunali di tutta Italia per questi eccessi di potere, ma nonostante questo insiste nel dare la priorità alle esigenze di bilancio imposte dai tagli del la Gelmini (e non solo).
Per questo è necessario anche a Bologna mobilitarci per la difesa di
una scuola realmente inclusiva, dove il diritto all’integrazione del l ‘alunno
disabile sia rispettato anche tramite il riconoscimento delle ore di insegnante di sostegno realmente necessarie e un numero di 20 alunni per classe.
Pretendiamo che queste esigenze siano determinate dalle famiglie e
dai docenti che sono i soggetti di rettamente coinvol ti nel progetto
di integrazione e non dalle burocrazie del Ministero dell’ Istruzione.

BUONA SCUOLA. QUALCHE PASSO AVANTI MA RESTA MOLTO DA MIGLIORARE

SNALS-CONFSAL: BUONA SCUOLA. QUALCHE PASSO AVANTI
MA RESTA MOLTO DA MIGLIORARE

Nigi: “Va data certezza alla stabilizzazione di tutti i precari”

Roma, 13 marzo.  “Dopo il Consiglio dei ministri di ieri, qualcosa è cambiato nella Buona scuola e qualche passo avanti è stato fatto, ma è importante che venga data certezza alla stabilizzazione di tutti i precari”, ha dichiarato Marco Paolo Nigi, segretario generale SNALS-CONFSAL.
“In ogni caso, resta molto da migliorare in sede di conversione”, ha aggiunto Nigi.
Dal sindacato viene valutato positivamente il cambio di rotta del governo che, ascoltata la voce dei lavoratori della scuola, ha confermato l’attuale meccanismo degli scatti di anzianità. Bene anche l’affermazione secondo cui, per premiare il merito, il governo reperirà risorse aggiuntive – come rivendicato da sempre dallo SNALS-CONFSAL. Positiva, infine, l’istituzione di un credito per le spese culturali dei docenti.
Preoccupa, invece, l’incertezza, l’incompletezza e la parzialità di alcuni aspetti della stabilizzazione del precariato, in particolare in merito all’individuazione degli aventi diritto e alle decorrenze.
“Confidiamo, ha concluso Nigi, che il parlamento, in sede di conversione, non cada nella tentazione di invadere le materie contrattuali con la legge, ma solleciti l’emanazione di un atto di indirizzo all’ARAN per l’avvio del rinnovo del contratto scaduto da troppi anni, migliori i contenuti del provvedimento  ed elimini alcune norme inaccettabili, in primis quelle relative a ipotesi di chiamata diretta senza regole da parte dei dirigenti scolastici”.
“Gli operatori scolastici siano certi che lo SNALS-CONFSAL opererà, lungo tutto l’iter parlamentare del provvedimento, affinché vengano apportate le modifiche e le integrazioni necessarie. A loro e alla scuola vanno date le risposte che da tanto tempo attendono”, ha concluso Nigi.

Si torna alle benedizioni nelle scuole?

Si torna alle benedizioni nelle scuole?
A Bologna un attacco alla laicità della scuola statale
In un Istituto comprensivo di Bologna sta accadendo una vicenda paradossale.
Tutto inizia un paio di mesi fa, quando tre parroci delle parrocchie locali inviano una lettera al
Dirigente per chiedere di poter dare la benedizione pasquale agli alunni delle tre scuole
dell’Istituto. Il Consiglio di Istituto, senza nemmeno perdere tempo per mettere all’ordine del
giorno la richiesta, dibatte nelle “varie” e vota a maggioranza la benedizione a scuola. Salvo
accorgersi poi che la faccenda non rappresentava un assolvimento burocratico scontato, ma
costituiva una decisione pesante, che non aveva chiari appigli normativi, che capovolgeva le
consuetudini delle scuole in questione, che non partiva da esigenze o richieste di alcuna
componente diffusa (genitori o docenti), che tra l’altro era stata presa in modo irrituale
perché con votazione di un tema non incluso nell’ordine del giorno.
A questo punto uno potrebbe pensare che un tale sbilanciamento, effettuato solamente per
accontentare tre parroci, poteva rientrare almeno parzialmente e divenire occasione di
verifica della normativa e di ascolto delle componenti scolastiche, insomma: poteva essere
occasione di un’apertura ad una dialettica “democratica”. Invece di lì a meno di un mese il
Consiglio viene riconvocato con l’inclusione della “benedizione” quale oggetto dell’ordine del
giorno e, sotto gli occhi esterrefatti di alcuni docenti presenti come pubblico, la celebrazione
del rito viene approvata, con le sole limitazioni di non essere obbligatoria (ci mancherebbe
anche questo) e di venir svolta non nell’orario curricolare. A nulla valgono le proposte di
mediazione di chi propone una strada più rispettosa della fisionomia pluralista e
costituzionale della scuola pubblica, quella di affiggere nelle bacheche della scuola un
cartello delle parrocchie con l’appuntamento alle rispettive chiese: la determinazione della
maggioranza è di ferro e non viene scalfita.
Per comprendere bene su quale terreno si innesta tale determinazione però occorre
conoscere qualche dato aggiuntivo. Bisogna sapere cioè che nel 1993, oltre vent’anni prima,
quello stesso Istituto scolastico aveva approvato addirittura la celebrazione di riti cattolici
all’interno dell’orario curricolare e che già allora un ricorso al Tar aveva cassato come
illegittima questa pratica e nella motivazione aveva aggiunto che anche come attività in
orario extrascolastico la pratica non era giustificata, sostanzialmente perché la benedizione
o la messa è la celebrazione di un rito e la scuola non è luogo deputato a ciò. Almeno la
scuola statale, perché nelle scuole confessionali il problema non si pone.
Quindi sembra di capire che, passati vent’anni, pur non essendo intervenuti cambiamenti
legislativi sul tema, un nuovo tentativo nella stessa scuola esprime la volontà di riprovare a
far entrare nella scuola un rito cattolico creando un precedente significativo. La speranza
degli ostinati sostenitori del prete a scuola (e – immaginiamo – di quei preti che hanno
avanzato la richiesta) è evidentemente quella di provare a incrinare il carattere laico che
caratterizza in parte la scuola italiana (teniamo presente che comunque a scuola sono
previste due ore di insegnamento della religione cattolica) facendo marcare il territorio al
sacerdote attraverso la benedizione, una benedizione che le anime credenti potrebbero
benissimo recarsi a ricevere nella chiesa viciniore.
A questo punto un gruppo non piccolo di insegnanti e genitori di quell’Istituto si ritrova a
ragionare su tale scelta e – non condividendone le ragioni e avendo dubbi sulla legittimità –
decide di rivolgersi ad un avvocato e – a proprie spese – di fare ricorso al Tar. Sono
evidentemente insegnanti che considerano la scuola statale come uno spazio in cui non si
svolgono riti religiosi, ma semmai si parla di religioni studiandone gli aspetti culturali.
Pensano che la presenza nella società italiana di scolaresche sempre più composite per
credo religioso o non religioso suggerisca comportamenti che non creino divisioni tra alunni
credenti e alunni non credenti in quella religione specifica o non credenti affatto; reputano
quindi scontata la tutela dello spazio scolastico – curricolare ed extracurricolare – dalle
celebrazioni religiose di qualsiasi confessione.
Questi insegnanti e genitori quindi ricorrono e attendono di sapere dalla magistratura
amministrativa chi ha ragione sulla legittimità – poiché il diritto a confrontarsi sulla base di
diverse opinioni lo garantisce la Costituzione. Il pronunciamento sulla richiesta di
sospensiva è previsto per il 26 marzo e quindi rimarrebbe tutto il tempo, qualora la
sospensiva non venisse accordata, per dare corso successivamente alla delibera del
Consiglio di Istituto.
Su questa situazione però si innesta un incredibile capovolgimento mediatico delle posizioni.
Attorno a questi docenti e genitori che hanno un’opinione diversa si scatena una canea
mediatica vergognosa, a tratti intimidatoria, francamente imbarazzante. Dapprima Don
Raffaele Buono afferma in un testo inviato alla stampa che “l’effetto della benedizione sarà di
incoraggiamento e consolazione per chi crede in un Dio d’amore e misericordia; per chi non
crede sarà certo meno preoccupante dello sventolare di una bandiera nera”. Poi l’allusione
all’Isis fa scuola e riappare più volte. Vediamo alcune citazioni: per Camillo Langone sul
“Giornale” (prima pagina, titolo principale) ricorrere al Tar diventa “una mossa degna del
califfato”, i professori sono “indiavolati”, “la sinistra che tifa per l’Isis” e le ragioni dei
ricorrenti sono bollate come “delirio laicista”. Il “Carlino” titola “sì alle benedizioni, basta con
i prepotenti”, il direttore descrive gli insegnanti ricorrenti come “pervasi da spirito ideologico
che mal si concilia con la funzione che svolgono”, il vicedirettore decreta: “gente come gli 11
di cui sopra andrebbero a loro volta portati davanti ai giudici perché impediscono ad altri di
coltivare i propri valori”… Fermiamoci qui. Appellarsi ad uno strumento costituzionale della
giustizia amministrativa diviene un atto bollato come vergognoso e violento: il fango
mediatico ha realizzato il suo scopo: oscurare il dibattito e demonizzare i soggetti che la
pensano diversamente (molti – tra l’altro – cattolici praticanti).
Ma ciò non è bastato a suggerire riflessioni e a rallentare la determinazione di chi ritiene che
si debba procedere con forza verso queste benedizioni. Oggi, 12 marzo 2014, un nuovo
Consiglio di Istituto, convocato in tutta fretta, ha fissato l’organizzazione delle benedizioni per
i giorni precedenti la data del pronunciamento del Tar, in modo da vanificare il ricorso dei
docenti e dei genitori e per mettere tutti – giudici del Tar compresi – di fronte al fatto compiuto
(oltretutto con voto favorevole della rsu Flc-Cgil). Tutto ciò nonostante nel frattempo il
Consiglio di interclasse di una delle tre scuole si sia riunito e, tra le altre materie all’ordine del
giorno, abbia discusso sul tema esprimendo praticamente all’unanimità (un solo astenuto)
l’imbarazzo per una scelta che risulta divisiva per i bambini e le famiglie, fuori dalle
tradizionali scelte educative della scuola, non in linea con la precedente sentenza del Tar.
In definitiva quindi si conferma la determinazione della maggior parte dei consiglieri d’istituto
di andare avanti nonostante tutto e a tutti i costi mentre l’unica voce proveniente dal basso (i
docenti di una scuola riuniti in un organo collegiale) esprime un parere diametralmente
opposto che non viene preso in considerazione.
I Cobas – Comitati di base della scuola sostengono insegnanti e genitori in questa lotta per
la laicità della scuola, per il rispetto delle diverse scelte religiose o non religiose di ognuno.
Deplorano i toni e i contenuti fortemente diffamatori e intimidatori di molti interventi
giornalistici sul tema, si stupiscono che dalla dirigenza dell’istituto non emerga una parola di
difesa della professionalità dei docenti che sono ricorsi al Tar in virtù dei loro pieni diritti di
cittadinanza. La scuola statale italiana è laica e la Costituzione garantisce tale laicità. Queste
forzature in direzione clericale rivelano solamente la pochezza delle argomentazioni di questi
paladini della benedizione a tutti i costi.

Diritto al turismo, una possibilità per tutti con “Cosy for you”

da Redattore sociale

Diritto al turismo, una possibilità per tutti con “Cosy for you”

A Napoli parte il progetto nato per rispondere ai bisogni dei turisti “speciali”. Dopo una lunga fase di monitoraggio, individuate strutture accessibili e percorsi turistici idonei che permettano a tutti, ed in particolare ai disabili di ogni tipo, di accedere alle bellezze che offre la regione Campania

NAPOLI – Sancito dalla nostra Costituzione il “diritto al turismo” decreta la possibilità di tutti i cittadini di accedere direttamente e personalmente alla scoperta delle ricchezze del pianeta. Un diritto di cui non tutti i cittadini possono in realtà fruire, non quelli con “bisogni speciali” o almeno, non sempre. A rappresentare una piacevole voce fuori dal coro in tema di turismo accessibile è Peepul l’associazione di volontariato napoletana presieduta da Ileana Esposito che persegue tenacemente l’obiettivo di individuare, interpretare e rispondere ai bisogni speciali di alcune persone (disabili, anziani etc.) ideando e promuovendo proposte di qualità, basate su strategie innovative e politiche di cambiamento culturale. Nasce da una costola dell’associazione Peepul il progetto “Cosy for you”, presentato oggi a Napoli e finanziato con circa 150 mila euro dall’Unione Europea. Un progetto unico nel suo genere, che ha consentito di individuare, dopo una lunga, attentissima fase di monitoraggio, strutture accessibili e percorsi turistici idonei che permettano a tutti, ed in particolare ai disabili di ogni tipo, di accedere alle bellezze che offre la regione Campania con l’obiettivo di far crescere la cifra del 20%.

Ad oggi il “traffico” dei turisti con bisogni speciali – individuato in 127 milioni di persone – muove in Europa circa 350 miliardi di euro, una cifra che arriva a 800 miliardi se si considerano anche gli accompagnatori. E in base ad una ricerca svolta da circa 600 tour operators, l’Italia è una delle destinazioni più ambite ma che soddisfa le esigenze dei turisti con bisogni speciali solo nella misura del 50%. Il 54% degli acquirenti, infatti, denuncia problemi legati ai trasporti, situazione che migliora leggermente (46%) quando si parla di hotel e di ristoranti (38%). Ma il picco di insoddisfazione raggiunto dal turista con bisogni speciali riguarda proprio i monumenti, i musei, solo l’8% di essi risulta accessibile.

In sinergia con operatori del settore, aziende, imprenditori, commercianti, associazioni di categoria e associazioni che operano su questi territori e che vogliono entrare nella rete progettuale, sostenendola allo scopo di “creare valore” per tutti, soddisfacendo i bisogni di tutti i turisti, locali ed esteri “Cosy for You” si propone quindi come buona pratica per la amministrazioni pubbliche e per i privati per portare da ogni parte del mondo in Italia ed in Campania un turismo consapevole realizzando itinerari turistici accessibili (20 sino ad ora, ma la mappatura è in costante aggiornamento) e mettendo a disposizione anche eventuali supporti di tipo specialistico per far fronte alle diverse esigenze di questa particolare clientela. Inoltre  ha un sito Web ed una App  che consentono a chiunque di scegliere il proprio viaggio senza problemi e senza ostacoli. (www.napolicittasociale.it)